IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87, quinto comma, della Costituzione;
Vista la legge 13 luglio 2015, n. 107 recante riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, ed in particolare il comma 181 lettera i);
Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri», e successive modificazioni, ed in particolare l'articolo 14;
Vista la legge 5 febbraio 1992, n. 104, legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate;
Visto il decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, e successive modificazioni;
Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59, recante delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa e successive modificazioni ed in particolare l'articolo 20;
Vista la legge 10 dicembre 1997, n. 425, recante disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado, come modificata dalla legge 11 gennaio 2007, n. 1;
Vista la legge 10 marzo 2000, n. 62, recante «Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione»;
Visto il decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, concernente la definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo di istruzione, e successive modificazioni, ed in particolare gli articoli 4, 8 e 11;
Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche;
Visto il decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, concernente norme generali e livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione;
Vista la legge 11 gennaio 2007, n. 1, concernente disposizioni in materia di esami di Stato conclusivi dei corsi di studio;
Visto il decreto-legge 7 settembre 2007, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2007, n. 176, e in particolare l'articolo 1, comma 4, concernente il giudizio di ammissione e la prova nazionale per l'esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione;
Visto il decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, che agli articoli 1, 2 e 3 ha dettato norme in materia di acquisizione delle conoscenze e delle competenze relative a «Cittadinanza e Costituzione», di valutazione del comportamento e degli apprendimenti degli alunni;
Vista la legge 8 ottobre 2010, n. 170 recante norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico;
Visto il decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13 concernete la definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l'individuazione degli apprendimenti non formali e formali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1985, n. 751 recante esecuzione dell'intesa tra l'autorità scolastica e la Conferenza episcopale italiana per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 21 novembre 2007, n. 235, concernente lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, n. 323, recante disciplina degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, relativo al regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (1), ed in particolare l'articolo 45;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, concernente regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122, concernente regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89, recante Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2010, recante approvazione dei traguardi per lo sviluppo delle competenze e gli obiettivi di apprendimento dell'insegnamento della religione cattolica per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo d'istruzione;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 87, che adotta il «Regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti professionali, ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 88, che adotta il «Regolamento recante norme per il riordino degli istituti tecnici a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, che adotta il «Regolamento recante revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2012, n. 263, relativo al regolamento recante norme generali per la ridefinizione dell'assetto organizzativo didattico dei Centri d'istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
Vista la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente;
Visto il decreto del Ministro della pubblica istruzione 22 agosto 2007, n. 139, concernente regolamento recante norme in materia di adempimento dell'obbligo di istruzione, ai sensi dell'articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 14 gennaio 2017;
Acquisito il parere della Conferenza Unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 espresso nella seduta del 23 febbraio 2017;
Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati;
Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 7 aprile 2017;
Sulla proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze;
EMANA
il seguente decreto legislativo:
(1) Si segnala che in GU è riportato il seguente riferimento normativo errato "decreto legislativo 15 luglio 1998 n. 286».
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87, quinto comma, della Costituzione;
Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri», e successive modificazioni, ed in particolare l'articolo 14;
Vista la legge 13 luglio 2015, n. 107, recante riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, e in particolare i commi 180 e 181, lettera b);
Vista la legge 19 novembre 1990, n. 341, recante riforma degli ordinamenti didattici universitari;
Vista la legge 5 febbraio 1992, n. 104, legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate;
Visto il decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, e successive modificazioni;
Vista la legge 15 maggio 1997, n. 127, recante misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo e in particolare l'articolo 17;
Vista la legge 3 agosto 1998, n. 315, recante interventi finanziari per l'università e la ricerca e in particolare l'articolo 1, commi 4 e 5;
Vista la legge 2 agosto 1999, n. 264, recante norme in materia di accessi ai corsi universitari;
Vista la legge 21 dicembre 1999, n. 508, recante riforma delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale di danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati;
Vista la legge 10 marzo 2000, n. 62, recante norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione;
Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche;
Visto il decreto-legge 25 settembre 2002, n. 212, recante misure urgenti per la scuola, l'università, la ricerca scientifica e tecnologica e l'alta formazione artistica e musicale, convertito con modificazioni dalla legge 22novembre 2002, n. 268;
Visto il decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, concernente la definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo di istruzione, e successive modificazioni, ed in particolare gli articoli 4, 8 e 11;
Visto il decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, concernente norme generali e livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione;
Vista la legge 30 dicembre 2010, n. 240 recante norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, concernente regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89, recante revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
Visto il decreto 10 settembre 2010, n. 249, recante regolamento concernente la definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell'infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell'articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 87, che adotta il regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti professionali, ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 88, che adotta il regolamento recante norme per il riordino degli istituti tecnici a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, che adotta il regolamento recante revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2012, n. 263, relativo al regolamento recante norme generali per la ridefinizione dell'assetto organizzativo didattico dei centri d'istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 14 gennaio 2017;
Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, espresso nella seduta del 23 febbraio 2017;
Acquisiti i pareri delle commissioni parlamentari competenti per materia e per profili finanziari; Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 7 aprile 2017;
Sulla proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze;
E m an a
il seguente decreto legislativo:
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto l'articolo 87, quinto comma, della Costituzione;
Visto l'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche";
Visto, in particolare, l'articolo 54 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come sostituito dall'articolo 1, comma 44, della legge 6 novembre 2012, n. 190, che prevede l'emanazione di un Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico;
Visto il decreto del Ministro per la funzione pubblica 28 novembre 2000, recante "Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile 2001;
Vista l'intesa intervenuta in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nella seduta del 7 febbraio 2013;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'Adunanza del 21 febbraio 2013;
Ritenuto di non poter accogliere le seguenti osservazioni contenute nel citato parere del Consiglio di Stato con le quali si chiede: di estendere, all'articolo 2, l'ambito soggettivo di applicazione del presente Codice a tutti i pubblici dipendenti, in considerazione del fatto che l'articolo 54 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come modificato dall'articolo 1, comma 44, della legge n. 190 del 2012, trova applicazione soltanto ai pubblici dipendenti il cui rapporto di lavoro è regolato contrattualmente; di prevedere, all'articolo 5, la valutazione, da parte dell'amministrazione, della compatibilità dell'adesione o dell'appartenenza del dipendente ad associazioni o ad organizzazioni, in quanto, assolto l'obbligo di comunicazione da parte del dipendente, l'amministrazione non appare legittimata, in via preventiva e generale, a sindacare la scelta associativa; di estendere l'obbligo di informazione di cui all'articolo 6, comma 1, ai rapporti di collaborazione non retribuiti, in considerazione del fatto che la finalità della norma è quella di far emergere solo i rapporti intrattenuti dal dipendente con soggetti esterni che abbiano risvolti di carattere economico; di eliminare, all'articolo 15, comma 2, il passaggio, agli uffici di disciplina, anche delle funzioni dei comitati o uffici etici, in quanto uffici non più previsti dalla vigente normativa;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dell'8 marzo 2013;
Sulla proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione;
Emana
il seguente regolamento:
Art. 1 Disposizioni di carattere generale
1. Il presente codice di comportamento, di seguito denominato "Codice", definisce, ai fini dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare.
2. Le previsioni del presente Codice sono integrate e specificate dai codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni ai sensi dell'articolo 54, comma 5, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001.
Art. 2 Ambito di applicazione
1. Il presente codice si applica ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il cui rapporto di lavoro è disciplinato in base all'articolo 2, commi 2 e 3, del medesimo decreto.
2. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 54, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le norme contenute nel presente codice costituiscono principi di comportamento per le restanti categorie di personale di cui all'articolo 3 del citato decreto n. 165 del 2001, in quanto compatibili con le disposizioni dei rispettivi ordinamenti.
3. Le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta previsti dal presente codice a tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché nei confronti dei collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione. A tale fine, negli atti di incarico o nei contratti di acquisizioni delle collaborazioni, delle consulenze o dei servizi, le amministrazioni inseriscono apposite disposizioni o clausole di risoluzione o decadenza del rapporto in caso di violazione degli obblighi derivanti dal presente codice.
4. Le disposizioni del presente codice si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto delle attribuzioni derivanti dagli statuti speciali e delle relative norme di attuazione, in materia di organizzazione e contrattazione collettiva del proprio personale, di quello dei loro enti funzionali e di quello degli enti locali del rispettivo territorio.
Art. 3 Principi generali
1. Il dipendente osserva la Costituzione, servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. Il dipendente svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l'interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui è titolare.
2. Il dipendente rispetta altresì i principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e agisce in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi.
3. Il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione. Prerogative e poteri pubblici sono esercitati unicamente per le finalità di interesse generale per le quali sono stati conferiti.
4. Il dipendente esercita i propri compiti orientando l'azione amministrativa alla massima economicità, efficienza ed efficacia. La gestione di risorse pubbliche ai fini dello svolgimento delle attività amministrative deve seguire una logica di contenimento dei costi, che non pregiudichi la qualità dei risultati.
5. Nei rapporti con i destinatari dell'azione amministrativa, il dipendente assicura la piena parità di trattamento a parità di condizioni, astenendosi, altresì, da azioni arbitrarie che abbiano effetti negativi sui destinatari dell'azione amministrativa o che comportino discriminazioni basate su sesso, nazionalità, origine etnica, caratteristiche genetiche, lingua, religione o credo, convinzioni personali o politiche, appartenenza a una minoranza nazionale, disabilità, condizioni sociali o di salute, età e orientamento sessuale o su altri diversi fattori.
6. Il dipendente dimostra la massima disponibilità e collaborazione nei rapporti con le altre pubbliche amministrazioni, assicurando lo scambio e la trasmissione delle informazioni e dei dati in qualsiasi forma anche telematica, nel rispetto della normativa vigente.
Art. 4 Regali, compensi e altre utilità
1. Il dipendente non chiede, nè sollecita, per sè o per altri, regali o altre utilità.
2. Il dipendente non accetta, per sè o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore effettuati occasionalmente nell'ambito delle normali relazioni di cortesia e nell'ambito delle consuetudini internazionali. In ogni caso, indipendentemente dalla circostanza che il fatto costituisca reato, il dipendente non chiede, per sè o per altri, regali o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti all'ufficio, nè da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell'ufficio ricoperto.
3. Il dipendente non accetta, per sè o per altri, da un proprio subordinato, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore. Il dipendente non offre, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità a un proprio sovraordinato, salvo quelli d'uso di modico valore.
4. I regali e le altre utilità comunque ricevuti fuori dai casi consentiti dal presente articolo, a cura dello stesso dipendente cui siano pervenuti, sono immediatamente messi a disposizione dell'Amministrazione per la restituzione o per essere devoluti a fini istituzionali.
5. Ai fini del presente articolo, per regali o altre utilità di modico valore si intendono quelle di valore non superiore, in via orientativa, a 150 euro, anche sotto forma di sconto. I codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni possono prevedere limiti inferiori, anche fino all'esclusione della possibilità di riceverli, in relazione alle caratteristiche dell'ente e alla tipologia delle mansioni.
6. Il dipendente non accetta incarichi di collaborazione da soggetti privati che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all'ufficio di appartenenza.
7. Al fine di preservare il prestigio e l'imparzialità dell'amministrazione, il responsabile dell'ufficio vigila sulla corretta applicazione del presente articolo.
Art. 5 Partecipazione ad associazioni e organizzazioni
1. Nel rispetto della disciplina vigente del diritto di associazione, il dipendente comunica tempestivamente al responsabile dell'ufficio di appartenenza la propria adesione o appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell'attività dell'ufficio. Il presente comma non si applica all'adesione a partiti politici o a sindacati.
2. Il pubblico dipendente non costringe altri dipendenti ad aderire ad associazioni od organizzazioni, nè esercita pressioni a tale fine, promettendo vantaggi o prospettando svantaggi di carriera.
Art. 6 Comunicazione degli interessi finanziari e conflitti d'interesse
1. Fermi restando gli obblighi di trasparenza previsti da leggi o regolamenti, il dipendente, all'atto dell'assegnazione all'ufficio, informa per iscritto il dirigente dell'ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni, precisando:
a) se in prima persona, o suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione;
b) se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o decisioni inerenti all'ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate.
2. Il dipendente si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall'intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici.
Art. 7 Obbligo di astensione
1. Il dipendente si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza.
Art. 8 Prevenzione della corruzione
1. Il dipendente rispetta le misure necessarie alla prevenzione degli illeciti nell'amministrazione. In particolare, il dipendente rispetta le prescrizioni contenute nel piano per la prevenzione della corruzione, presta la sua collaborazione al responsabile della prevenzione della corruzione e, fermo restando l'obbligo di denuncia all'autorità giudiziaria, segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell'amministrazione di cui sia venuto a conoscenza.
Art. 9 Trasparenza e tracciabilità
1. Il dipendente assicura l'adempimento degli obblighi di trasparenza previsti in capo alle pubbliche amministrazioni secondo le disposizioni normative vigenti, prestando la massima collaborazione nell'elaborazione, reperimento e trasmissione dei dati sottoposti all'obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale.
2. La tracciabilità dei processi decisionali adottati dai dipendenti deve essere, in tutti i casi, garantita attraverso un adeguato supporto documentale, che consenta in ogni momento la replicabilità.
Art. 10 Comportamento nei rapporti privati
1. Nei rapporti privati, comprese le relazioni extralavorative con pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni, il dipendente non sfrutta, nè menziona la posizione che ricopre nell'amministrazione per ottenere utilità che non gli spettino e non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all'immagine dell'amministrazione.
Art. 11 Comportamento in servizio
1. Fermo restando il rispetto dei termini del procedimento amministrativo, il dipendente, salvo giustificato motivo, non ritarda nè adotta comportamenti tali da far ricadere su altri dipendenti il compimento di attività o l'adozione di decisioni di propria spettanza.
2. Il dipendente utilizza i permessi di astensione dal lavoro, comunque denominati, nel rispetto delle condizioni previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi.
3. Il dipendente utilizza il materiale o le attrezzature di cui dispone per ragioni di ufficio e i servizi telematici e telefonici dell'ufficio nel rispetto dei vincoli posti dall'amministrazione. Il dipendente utilizza i mezzi di trasporto dell'amministrazione a sua disposizione soltanto per lo svolgimento dei compiti d'ufficio, astenendosi dal trasportare terzi, se non per motivi d'ufficio.
1. L'amministrazione, attraverso i propri responsabili di struttura, ha facoltà di svolgere gli accertamenti necessari e adottare ogni misura atta a garantire la sicurezza e la protezione dei sistemi informatici, delle informazioni e dei dati. Le modalità di svolgimento di tali accertamenti sono stabilite mediante linee guida adottate dall'Agenzia per l'Italia Digitale, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. In caso di uso di dispositivi elettronici personali, trova applicazione l'articolo 12, comma 3-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
2. L'utilizzo di account istituzionali è consentito per i soli fini connessi all'attività lavorativa o ad essa riconducibili e non può in alcun modo compromettere la sicurezza o la reputazione dell'amministrazione. L'utilizzo di caselle di posta elettroniche personali è di norma evitato per attività o comunicazioni afferenti il servizio, salvi i casi di forza maggiore dovuti a circostanze in cui il dipendente, per qualsiasi ragione, non possa accedere all'account istituzionale.
3. Il dipendente è responsabile del contenuto dei messaggi inviati. I dipendenti si uniformano alle modalità di firma dei messaggi di posta elettronica di servizio individuate dall'amministrazione di appartenenza. Ciascun messaggio in uscita deve consentire l'identificazione del dipendente mittente e deve indicare un recapito istituzionale al quale il medesimo è reperibile.
4. Al dipendente è consentito l'utilizzo degli strumenti informatici forniti dall'amministrazione per poter assolvere alle incombenze personali senza doversi allontanare dalla sede di servizio, purché l'attività sia contenuta in tempi ristretti e senza alcun pregiudizio per i compiti istituzionali.
5. È vietato l'invio di messaggi di posta elettronica, all'interno o all'esterno dell'amministrazione, che siano oltraggiosi, discriminatori o che possano essere in qualunque modo fonte di responsabilità dell'amministrazione.
(1) Articolo inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera a) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.
1. Nell'utilizzo dei propri account di social media, il dipendente utilizza ogni cautela affinché le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza.
2. In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale.
3. Al fine di garantirne i necessari profili di riservatezza le comunicazioni, afferenti direttamente o indirettamente il servizio non si svolgono, di norma, attraverso conversazioni pubbliche mediante l'utilizzo di piattaforme digitali o social media. Sono escluse da tale limitazione le attività o le comunicazioni per le quali l'utilizzo dei social media risponde ad una esigenza di carattere istituzionale.
4. Nei codici di cui all'articolo 1, comma 2, le amministrazioni si possono dotare di una "social media policy" per ciascuna tipologia di piattaforma digitale, al fine di adeguare alle proprie specificità le disposizioni di cui al presente articolo. In particolare, la "social media policy" deve individuare, graduandole in base al livello gerarchico e di responsabilità del dipendente, le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni.
5. Fermi restando i casi di divieto previsti dalla legge, i dipendenti non possono divulgare o diffondere per ragioni estranee al loro rapporto di lavoro con l'amministrazione e in difformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 33, e alla legge 7 agosto 1990, n. 241, documenti, anche istruttori, e informazioni di cui essi abbiano la disponibilità.
(1) Articolo inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera a) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023
Art. 12 Rapporti con il pubblico
1. Il dipendente in rapporto con il pubblico si fa riconoscere attraverso l'esposizione in modo visibile del badge od altro supporto identificativo messo a disposizione dall'amministrazione, salvo diverse disposizioni di servizio, anche in considerazione della sicurezza dei dipendenti, opera con spirito di servizio, correttezza, cortesia e disponibilita' e, nel rispondere alla corrispondenza, a chiamate telefoniche e ai messaggi di posta elettronica, opera nella maniera piu' completa e accurata possibile e, in ogni caso, orientando il proprio comportamento alla soddisfazione dell'utente. Qualora non sia competente per posizione rivestita o per materia, indirizza l'interessato al funzionario o ufficio competente della medesima amministrazione. Il dipendente, fatte salve le norme sul segreto d'ufficio, fornisce le spiegazioni che gli siano richieste in ordine al comportamento proprio e di altri dipendenti dell'ufficio dei quali ha la responsabilita' od il coordinamento. Nelle operazioni da svolgersi e nella trattazione delle pratiche il dipendente rispetta, salvo diverse esigenze di servizio o diverso ordine di priorita' stabilito dall'amministrazione, l'ordine cronologico e non rifiuta prestazioni a cui sia tenuto con motivazioni generiche. Il dipendente rispetta gli appuntamenti con i cittadini e risponde senza ritardo ai loro reclami.(1)
2. Salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell'amministrazione o che possano nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale.(2)
3. Il dipendente che svolge la sua attivita' lavorativa in un'amministrazione che fornisce servizi al pubblico cura il rispetto degli standard di qualita' e di quantita' fissati dall'amministrazione anche nelle apposite carte dei servizi. Il dipendente opera al fine di assicurare la continuita' del servizio, di consentire agli utenti la scelta tra i diversi erogatori e di fornire loro informazioni sulle modalita' di prestazione del servizio e sui livelli di qualita'.
4. Il dipendente non assume impegni ne' anticipa l'esito di decisioni o azioni proprie o altrui inerenti all'ufficio, al di fuori dei casi consentiti. Fornisce informazioni e notizie relative ad atti od operazioni amministrative, in corso o conclusi, nelle ipotesi previste dalle disposizioni di legge e regolamentari in materia di accesso, informando sempre gli interessati della possibilita' di avvalersi anche dell'Ufficio per le relazioni con il pubblico. Rilascia copie ed estratti di atti o documenti secondo la sua competenza, con le modalita' stabilite dalle norme in materia di accesso e dai regolamenti della propria amministrazione.
5. Il dipendente osserva il segreto d'ufficio e la normativa in materia di tutela e trattamento dei dati personali e, qualora sia richiesto oralmente di fornire informazioni, atti, documenti non accessibili tutelati dal segreto d'ufficio o dalle disposizioni in materia di dati personali, informa il richiedente dei motivi che ostano all'accoglimento della richiesta. Qualora non sia competente a provvedere in merito alla richiesta cura, sulla base delle disposizioni interne, che la stessa venga inoltrata all'ufficio competente della medesima amministrazione.
(1) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera b), numero 1 del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.
(2) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera b), numero 1 del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.
Art. 13 Disposizioni particolari per i dirigenti
1. Ferma restando l'applicazione delle altre disposizioni del Codice, le norme del presente articolo si applicano ai dirigenti, ivi compresi i titolari di incarico ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 e dell'articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ai soggetti che svolgono funzioni equiparate ai dirigenti operanti negli uffici di diretta collaborazione delle autorita' politiche, nonche' ai funzionari responsabili di posizione organizzativa negli enti privi di dirigenza.
2. Il dirigente svolge con diligenza le funzioni ad esso spettanti in base all'atto di conferimento dell'incarico, persegue gli obiettivi assegnati e adotta un comportamento organizzativo adeguato per l'assolvimento dell'incarico.
3. Il dirigente, prima di assumere le sue funzioni, comunica all'amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possano porlo in conflitto di interessi con la funzione pubblica che svolge e dichiara se ha parenti e affini entro il secondo grado, coniuge o convivente che esercitano attivita' politiche, professionali o economiche che li pongano in contatti frequenti con l'ufficio che dovra' dirigere o che siano coinvolti nelle decisioni o nelle attivita' inerenti all'ufficio. Il dirigente fornisce le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e le dichiarazioni annuali dei redditi soggetti all'imposta sui redditi delle persone fisiche previste dalla legge.
4. Il dirigente assume atteggiamenti leali e trasparenti e adotta un comportamento esemplare , in termini di integrità, imparzialità, buona fede e correttezza, parità di trattamento, equità, inclusione e ragionevolezza e imparziale nei rapporti con i colleghi, i collaboratori e i destinatari dell'azione amministrativa. Il dirigente cura, altresi', che le risorse assegnate al suo ufficio siano utilizzate per finalita' esclusivamente istituzionali e, in nessun caso, per esigenze personali(1).
4-bis. Il dirigente cura la crescita professionale dei collaboratori, favorendo le occasioni di formazione e promuovendo opportunità di sviluppo interne ed esterne alla struttura di cui è responsabile(2)
5. Il dirigente cura, compatibilmente con le risorse disponibili, il benessere organizzativo nella struttura a cui è preposto, favorendo l'instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori, nonché di relazioni, interne ed esterne alla struttura, basate su una leale collaborazione e su una reciproca fiducia e assume iniziative finalizzate alla circolazione delle informazioni, all'inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere, di età e di condizioni personali.(3)
6. Il dirigente assegna l'istruttoria delle pratiche sulla base di un'equa ripartizione del carico di lavoro, tenendo conto delle capacita', delle attitudini e della professionalita' del personale a sua disposizione. Il dirigente affida gli incarichi aggiuntivi in base alla professionalita' e, per quanto possibile, secondo criteri di rotazione.
7. Il dirigente svolge la valutazione del personale assegnato alla struttura cui e' preposto con imparzialita' e rispettando le indicazioni ed i tempi prescritti , misurando il raggiungimento dei risultati ed il comportamento organizzativo.(4)
8. Il dirigente intraprende con tempestivita' le iniziative necessarie ove venga a conoscenza di un illecito, attiva e conclude, se competente, il procedimento disciplinare, ovvero segnala tempestivamente l'illecito all'autorita' disciplinare, prestando ove richiesta la propria collaborazione e provvede ad inoltrare tempestiva denuncia all'autorita' giudiziaria penale o segnalazione alla corte dei conti per le rispettive competenze. Nel caso in cui riceva segnalazione di un illecito da parte di un dipendente, adotta ogni cautela di legge affinche' sia tutelato il segnalante e non sia indebitamente rilevata la sua identita' nel procedimento disciplinare, ai sensi dell'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001.
9. Il dirigente, nei limiti delle sue possibilita', evita che notizie non rispondenti al vero quanto all'organizzazione, all'attivita' e ai dipendenti pubblici possano diffondersi. Favorisce la diffusione della conoscenza di buone prassi e buoni esempi al fine di rafforzare il senso di fiducia nei confronti dell'amministrazione.
(1) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.
(2) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 2) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.
(3) Comma sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 3) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.
(4) Comma sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 4) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.
Art. 14 Contratti ed altri atti negoziali
1. Nella conclusione di accordi e negozi e nella stipulazione di contratti per conto dell'amministrazione, nonché nella fase di esecuzione degli stessi, il dipendente non ricorre a mediazione di terzi, nè corrisponde o promette ad alcuno utilità a titolo di intermediazione, nè per facilitare o aver facilitato la conclusione o l'esecuzione del contratto. Il presente comma non si applica ai casi in cui l'amministrazione abbia deciso di ricorrere all'attività di intermediazione professionale.
2. Il dipendente non conclude, per conto dell'amministrazione, contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento o assicurazione con imprese con le quali abbia stipulato contratti a titolo privato o ricevuto altre utilità nel biennio precedente, ad eccezione di quelli conclusi ai sensi dell'articolo 1342 del codice civile. Nel caso in cui l'amministrazione concluda contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento o assicurazione, con imprese con le quali il dipendente abbia concluso contratti a titolo privato o ricevuto altre utilità nel biennio precedente, questi si astiene dal partecipare all'adozione delle decisioni ed alle attività relative all'esecuzione del contratto, redigendo verbale scritto di tale astensione da conservare agli atti dell'ufficio.
3. Il dipendente che conclude accordi o negozi ovvero stipula contratti a titolo privato, ad eccezione di quelli conclusi ai sensi dell'articolo 1342 del codice civile, con persone fisiche o giuridiche private con le quali abbia concluso, nel biennio precedente, contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento ed assicurazione, per conto dell'amministrazione, ne informa per iscritto il dirigente dell'ufficio.
4. Se nelle situazioni di cui ai commi 2 e 3 si trova il dirigente, questi informa per iscritto il dirigente apicale responsabile della gestione del personale.
5. Il dipendente che riceva, da persone fisiche o giuridiche partecipanti a procedure negoziali nelle quali sia parte l'amministrazione, rimostranze orali o scritte sull'operato dell'ufficio o su quello dei propri collaboratori, ne informa immediatamente, di regola per iscritto, il proprio superiore gerarchico o funzionale.
Art. 15 Vigilanza, monitoraggio e attività formative
1. Ai sensi dell'articolo 54, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, vigilano sull'applicazione del presente Codice e dei codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni, i dirigenti responsabili di ciascuna struttura, le strutture di controllo interno e gli uffici etici e di disciplina.
2. Ai fini dell'attivita' di vigilanza e monitoraggio prevista dal presente articolo, le amministrazioni si avvalgono dell'ufficio procedimenti disciplinari istituito ai sensi dell'articolo 55-bis, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che svolge, altresi', le funzioni dei comitati o uffici etici eventualmente gia' istituiti.
3. Le attivita' svolte ai sensi del presente articolo dall'ufficio procedimenti disciplinari si conformano alle eventuali previsioni contenute nei piani di prevenzione della corruzione adottati dalle amministrazioni ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 6 novembre 2012, n. 190. L'ufficio procedimenti disciplinari, oltre alle funzioni disciplinari di cui all'articolo 55-bis e seguenti del decreto legislativo n. 165 del 2001, cura l'aggiornamento del codice di comportamento dell'amministrazione, l'esame delle segnalazioni di violazione dei codici di comportamento, la raccolta delle condotte illecite accertate e sanzionate, assicurando le garanzie di cui all'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001. Il responsabile della prevenzione della corruzione cura la diffusione della conoscenza dei codici di comportamento nell'amministrazione, il monitoraggio annuale sulla loro attuazione, ai sensi dell'articolo 54, comma 7, del decreto legislativo n. 165 del 2001, la pubblicazione sul sito istituzionale e della comunicazione all'Autorita' nazionale anticorruzione, di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 6 novembre 2012, n. 190, dei risultati del monitoraggio. Ai fini dello svolgimento delle attivita' previste dal presente articolo, l'ufficio procedimenti disciplinari opera in raccordo con il responsabile della prevenzione di cui all'articolo 1, comma 7, della legge n. 190 del 2012.
4. Ai fini dell'attivazione del procedimento disciplinare per violazione dei codici di comportamento, l'ufficio procedimenti disciplinari puo' chiedere all'Autorita' nazionale anticorruzione parere facoltativo secondo quanto stabilito dall'articolo 1, comma 2, lettera d), della legge n. 190 del 2012.
5. Al personale delle pubbliche amministrazioni sono rivolte attivita' formative in materia di trasparenza e integrita', che consentano ai dipendenti di conseguire una piena conoscenza dei contenuti del codice di comportamento, nonche' un aggiornamento annuale e sistematico sulle misure e sulle disposizioni applicabili in tali ambiti.
5-bis. Le attività di cui al comma 5 includono anche cicli formativi sui temi dell'etica pubblica e sul comportamento etico, da svolgersi obbligatoriamente, sia a seguito di assunzione, sia in ogni caso di passaggio a ruoli o a funzioni superiori, nonché di trasferimento del personale, le cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità.(1)
6. Le Regioni e gli enti locali, definiscono, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, le linee guida necessarie per l'attuazione dei principi di cui al presente articolo.
7. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni provvedono agli adempimenti previsti nell'ambito delle risorse umane, finanziarie, e strumentali disponibili a legislazione vigente.
(1) Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera d), del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.
Art. 16 Responsabilità conseguente alla violazione dei doveri del codice
1. La violazione degli obblighi previsti dal presente Codice integra comportamenti contrari ai doveri d'ufficio. Ferme restando le ipotesi in cui la violazione delle disposizioni contenute nel presente Codice, nonché dei doveri e degli obblighi previsti dal piano di prevenzione della corruzione, dà luogo anche a responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile del pubblico dipendente, essa è fonte di responsabilità disciplinare accertata all'esito del procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni.
2. Ai fini della determinazione del tipo e dell'entità della sanzione disciplinare concretamente applicabile, la violazione è valutata in ogni singolo caso con riguardo alla gravità del comportamento ed all'entità del pregiudizio, anche morale, derivatone al decoro o al prestigio dell'amministrazione di appartenenza. Le sanzioni applicabili sono quelle previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi, incluse quelle espulsive che possono essere applicate esclusivamente nei casi, da valutare in relazione alla gravità, di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 4, qualora concorrano la non modicità del valore del regalo o delle altre utilità e l'immediata correlazione di questi ultimi con il compimento di un atto o di un'attività tipici dell'ufficio, 5, comma 2, 14, comma 2, primo periodo, valutata ai sensi del primo periodo. La disposizione di cui al secondo periodo si applica altresì nei casi di recidiva negli illeciti di cui agli articoli 4, comma 6, 6, comma 2, esclusi i conflitti meramente potenziali, e 13, comma 9, primo periodo. I contratti collettivi possono prevedere ulteriori criteri di individuazione delle sanzioni applicabili in relazione alle tipologie di violazione del presente codice.
3. Resta ferma la comminazione del licenziamento senza preavviso per i casi già previsti dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi.
4. Restano fermi gli ulteriori obblighi e le conseguenti ipotesi di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti previsti da norme di legge, di regolamento o dai contratti collettivi.
Art. 17 Disposizioni finali e abrogazioni
1. Le amministrazioni danno la piu' ampia diffusione al presente decreto, pubblicandolo sul proprio sito internet istituzionale e nella rete intranet, nonche' trasmettendolo tramite e-mail a tutti i propri dipendenti e ai titolari di contratti di consulenza o collaborazione a qualsiasi titolo, anche professionale, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione dei vertici politici dell'amministrazione, nonche' ai collaboratori a qualsiasi titolo, anche professionale, di imprese fornitrici di servizi in favore dell'amministrazione. L'amministrazione, contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro o, in mancanza, all'atto di conferimento dell'incarico, consegna e fa sottoscrivere ai nuovi assunti, con rapporti comunque denominati, copia del codice di comportamento.
2. Le amministrazioni danno la piu' ampia diffusione ai codici di comportamento da ciascuna definiti ai sensi dell'articolo 54, comma 5, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001 secondo le medesime modalita' previste dal comma 1 del presente articolo.
2-bis. Alle attività di cui al presente decreto le amministrazioni provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o ulteriori oneri a carico della finanza pubblica(1).
3. Il decreto del Ministro per la funzione pubblica in data 28 novembre 2000 recante "Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile 2001, e' abrogato.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
(1) Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera e), del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Visto l'articolo 1 della legge 24 marzo 2001, n. 127, recante delega al Governo per l'emanazione di un testo unico in materia di trattamento dei dati personali;
Visto l'articolo 26 della legge 3 febbraio 2003, n. 14, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (legge comunitaria 2002);
Vista la legge 25 ottobre 2017, n. 163, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2016-2017» e, in particolare, l'articolo 13, che delega il Governo all'emanazione di uno o più decreti legislativi di adeguamento del quadro normativo nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016; (2)
Vista la legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea; (2)
Visto il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati); (2)
Vista la legge 31 dicembre 1996, n. 675, e successive modificazioni;
Vista la legge 31 dicembre 1996, n. 676, recante delega al Governo in materia di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali;
Vista la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione dei dati;
Vista la direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 9 maggio 2003;
Sentito il Garante per la protezione dei dati personali;
Acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 27 giugno 2003;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro per la funzione pubblica e del Ministro per le politiche comunitarie, di concerto con i Ministri della giustizia, dell'economia e delle finanze, degli affari esteri e delle comunicazioni;
Emana
il seguente decreto legislativo: (3)
(2) Capoverso inserito dal d.lgs. 101/2018 con effetto a decorrere dal 19 settembre 2018.
(3) Nel presente provvedimento la parola «abbonato», ovunque ricorrente, è stata sostituita dalla parola «contraente» stante il disposto dell'art. 1, comma 12, D.Lgs. 28 maggio 2012, n. 69, con decorrenza dal 1° giugno 2012, come stabilito dall'art. 3, comma 1, del medesimo D.Lgs. 69/2012.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto l'art. 87 della Costituzione;
Visto l'art. 3, comma 5-bis, del decreto-legge 20 giugno 1996, n. 323, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1996, n. 425;
Visto il decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, ed in particolare l'art. 326, commi 17, 18 e 19;
Ritenuta la necessità di emanare un regolamento che disciplini la materia oggetto della direttiva del Ministro della pubblica istruzione n. 133 del 3 aprile 1996;
Ritenuta l'opportunità di rimettere ad un successivo, distinto regolamento, la disciplina della materia di cui all'art. 13 della citata direttiva;
Visto l'art. 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso nell'adunanza generale del 26 settembre 1996;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 3 ottobre 1996;
Sulla proposta del Ministro della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica;
Emana il seguente regolamento:
1. Finalità generali.
1. Le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, nell'ambito della propria autonomia, anche mediante accordi di rete ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, definiscono, promuovono e valutano, in relazione all'età e alla maturità degli studenti, iniziative complementari e integrative dell'iter formativo degli studenti, la creazione di occasioni e spazi di incontro da riservare loro, le modalità di apertura della scuola in relazione alle domande di tipo educativo e culturale provenienti dal territorio, in coerenza con le finalità formative istituzionali.
1-bis. Tutte le attività organizzate dalle istituzioni scolastiche sulla base di progetti educativi, anche in rete o in partenariato con altre istituzioni e agenzie del territorio, sono proprie della scuola, in particolare sono da considerare attività scolastiche a tutti gli effetti, ivi compresi quelli dell'ordinaria copertura assicurativa INAIL per conto dello Stato e quelli connessi alla tutela del diritto d'autore, tirocini, corsi post-diploma, attività extra curriculari culturali, di sport per tutti, agonistiche e preagonistiche e, comunque, tutte le attività svolte in base al presente regolamento.
2. Le iniziative complementari che tengono conto delle concrete esigenze rappresentate dagli studenti e dalle famiglie, si inseriscono negli obiettivi formativi delle scuole. La partecipazione alle relative attività può essere tenuta presente dal consiglio di classe ai fini della valutazione complessiva dello studente.
3. Le iniziative integrative sono finalizzate ad offrire ai giovani occasioni extracurricolari per la crescita umana e civile e opportunità per un proficuo utilizzo del tempo libero e sono attivate tenendo conto delle esigenze rappresentate dagli studenti e dalle famiglie, delle loro proposte, delle opportunità esistenti sul territorio, della concreta capacità organizzativa espressa dalle associazioni studentesche, nonché, per la scuola dell'obbligo, dalle associazioni dei genitori.
4. A richiesta degli studenti la scuola può destinare, sulla base della disponibilità dei docenti, un determinato numero di ore, oltre l'orario curricolare, per l'approfondimento di argomenti anche di attualità che rivestono particolare interesse.
5. È compito del Ministro avvalersi dei suoi poteri programmatici e direttivi per individuare, di tempo in tempo e sulla base delle esperienze maturate, le specifiche finalità e tipologie delle iniziative da assumere nell'ambito del presente regolamento.
2. Spazi e tempi per la realizzazione delle iniziative.
1. Gli istituti di istruzione secondaria di primo e secondo grado predispongono almeno un locale attrezzato quale luogo di ritrovo per i giovani dopo la frequenza delle lezioni.
2. I servizi di mensa o di caffetteria o snack a prezzi controllati, eventualmente esistenti, possono funzionare nel periodo di apertura del locale attrezzato, senza oneri aggiuntivi a carico dell'istituzione scolastica.
3. Le iniziative di cui al presente regolamento si svolgono in orari non coincidenti con quelli delle lezioni e, ove possibile, nei giorni festivi e nel periodo di interruzione estiva.
4. Per la realizzazione delle iniziative previste dal presente regolamento gli edifici e le attrezzature scolastiche sono utilizzati, anche in orari non coincidenti con quelli delle lezioni, nel pomeriggio e nei giorni festivi, secondo le modalità previste dal consiglio di circolo o di istituto, in conformità ai criteri generali assunti dal consiglio scolastico locale, nonché a quelli stabiliti nelle convenzioni con gli enti proprietari dei beni.
2-bis. Assistenza medica.
1. Al fine di assicurare l'assistenza medica nello svolgimento delle attività sportive e ludiche della scuola, anche per quanto riguarda le certificazioni di idoneità alle attività motorie, le istituzioni scolastiche autonome possono stipulare convenzioni con le aziende sanitarie locali. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro della sanità, sono individuate le necessità sulla presenza e l'intervento degli operatori sanitari.
3. Raccordi con la realtà sociale e con il territorio.
1. Le istituzioni scolastiche favoriscono tutte le iniziative che realizzano la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile del territorio, coordinandosi con le altre iniziative presenti nel territorio anche per favorire rientri scolastici e creare occasioni di formazione permanente e ricorrente. A tal fine collaborano con gli enti locali, con le associazioni degli studenti e degli ex studenti, con quelle dei genitori, con le associazioni culturali e di volontariato, anche stipulando con esse apposite convenzioni.
2. La collaborazione con le associazioni culturali e di volontariato, che può comportare oneri solo nei limiti del rimborso delle spese vive, può riguardare attività educative, culturali, ricreative, sportive, anche nei confronti di studenti di altre scuole e di giovani in età scolare.
3. Le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici, gli enti o soggetti privati possono offrire alle scuole progetti finalizzati per la realizzazione di iniziative rientranti nelle finalità di cui al presente regolamento, con relativi contributi. Per la realizzazione di tali progetti nell'ambito delle istituzioni scolastiche si applicano le disposizioni di cui all'art. 4.
4. Le amministrazioni statali nei limiti delle disponibilità di bilancio, le regioni, gli enti locali, istituzioni pubbliche e private possono assegnare somme alle scuole per la realizzazione di tutte le iniziative previste dal presente regolamento. L'accettazione di somme provenienti da privati, che concernono la realizzazione delle medesime iniziative, deliberata dal consiglio d'istituto, è subordinata al parere favorevole del comitato studentesco.
4. Organizzazione e gestione.
1. Le iniziative di cui al presente regolamento sono deliberate dal consiglio di circolo o di istituto che ne valuta la compatibilità finanziaria e, sentito il collegio dei docenti, la coerenza con le finalità formative dell'istituzione scolastica.
2. Le iniziative complementari dell'iter formativo, che negli istituti o scuole di istruzione secondaria superiore possono essere proposte anche da gruppi di almeno 20 studenti e da associazioni studentesche, sono sottoposte al previo esame del collegio dei docenti per il necessario coordinamento con le attività curricolari e per l'eventuale adattamento della programmazione didattico-educativa, con conseguente inserimento nel piano dell'offerta formativa di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275. Qualora ciò non fosse deliberato, le proposte sono soggette alle valutazioni di fattibilità del consiglio di circolo o di istituto ai sensi del precedente comma 1.
3. Tutte le proposte, complementari o integrative, debbono indicare le risorse finanziarie e il personale eventualmente necessario per la loro realizzazione. Alle iniziative possono essere destinate risorse disponibili nel bilancio delle istituzioni scolastiche, anche provenienti da contributi volontari e finalizzati delle famiglie. Questi ultimi sono iscritti nel bilancio dell'istituto, con vincolo di destinazione.
4. Negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore il comitato studentesco di cui all'art. 13, comma 4, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, integrato con i rappresentanti degli studenti nel consiglio di istituto e nella consulta provinciale, formula proposte ed esprime pareri per tutte le attività disciplinate dal presente regolamento. Il comitato altresì designa i rappresentanti degli studenti nell'organo di garanzia interno previsto dall'articolo 5, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249.
5. Il comitato di cui al comma 4 adotta un regolamento interno di organizzazione dei propri lavori, anche per commissioni e gruppi, ed esprime un gruppo di gestione, coordinato da uno studente maggiorenne, che può assumere la responsabilità della realizzazione e del regolare svolgimento di talune iniziative.
6. Le iniziative di cui al presente regolamento, da realizzare o direttamente dalla scuola o mediante convenzioni con associazioni di studenti, devono favorire la familiarizzazione operativa dei giovani nei procedimenti relativi alla gestione e al controllo delle attività.
7. Nelle iniziative gestite direttamente dalla scuola il comitato studentesco elabora un piano di realizzazione e gestione delle attività, con preventivo di spesa da determinare nei limiti delle disponibilità indicate dal consiglio di istituto e delle somme eventualmente raccolte con destinazione e con indicazione degli interventi necessari per l'attuazione del piano.
8. Per la realizzazione delle iniziative il comitato studentesco può anche realizzare, previa autorizzazione del consiglio di istituto, attività di autofinanziamento, consistenti nella promozione di iniziative che non contrastino con le finalità formative della scuola e non determinino inopportune forme di commercializzazione. Le somme ricavate da tali attività sono iscritte nel bilancio dell'istituto, con vincolo di destinazione.
9. Alla eventuale partecipazione dei docenti e del personale A.T.A. alle iniziative di cui al presente regolamento si applicano rispettivamente le disposizioni di cui agli articoli 43 e 54 del CCNL del comparto scuola, secondo quanto previsto dal progetto dell'iniziativa, ovvero dalla convenzione.
9-bis. Nei limiti consentiti dalla disponibilità di personale in esubero e secondo i criteri e le modalità concordate nei contratti collettivi decentrati, potranno essere disposte utilizzazioni di docenti delle scuole di ogni ordine e grado, senza oneri per lo Stato, per finalità di sostegno delle iniziative previste dal presente regolamento e delle iniziative ad esse collegate di orientamento, educazione motoria, fisica e sportiva, incremento del successo scolastico, nonché per il recupero delle scolarità.
10. Le iniziative di cui al presente regolamento possono sempre essere sospese, in caso di urgenza, dal dirigente scolastico, salva tempestiva ratifica del consiglio di circolo o d'istituto.
5. Convenzioni.
1. Per le iniziative non gestite direttamente dalla scuola, la convenzione che ne costituisce strumento formale di attuazione prevede esplicitamente la durata massima della concessione in uso dei locali; le principali modalità d'uso; i vincoli nell'uso dei locali e delle attrezzature da destinare esclusivamente alle finalità dell'iniziativa; le misure da adottare in ordine alla vigilanza, alla sicurezza, all'igiene, nonché alla salvaguardia dei beni patrimoniali e strumentali; il regime delle spese di pulizia dei locali e di altre spese connesse all'uso e al prolungamento dell'orario di apertura della scuola; il regime delle responsabilità per danni correlati all'uso dei locali e allo svolgimento delle attività; la eventuale sospensione delle iniziative da parte del capo d'istituto ai sensi del comma 10 dell'art. 4.
1-bis. Alle associazioni studentesche si applicano le norme del codice civile sulle associazioni non riconosciute. L'associazione studentesca può costituirsi mediante deposito gratuito agli atti dell'Istituto del testo originale degli accordi di cui all'articolo 36 del codice civile. La rappresentanza dell'associazione è conferita ad uno studente maggiorenne.
2. Nelle iniziative in convenzione con associazioni studentesche la gestione delle attività è svolta secondo le norme del diritto vigente che regolano le attività delle associazioni di diritto privato e le disposizioni contenute nelle convenzioni. La responsabilità dell'ordinata gestione delle attività e della relativa vigilanza ricade sugli organi dell'associazione nominativamente individuati nella convenzione stessa, senza pregiudizio dei poteri di vigilanza ed intervento dell'autorità scolastica e del personale della scuola. Analogamente sono disciplinate le iniziative in convenzione con associazioni dei genitori nella scuola dell'obbligo.
3. L'amministrazione scolastica centrale e periferica può stipulare accordi quadro per lo svolgimento delle iniziative previste dal presente regolamento, ferma restando la libertà delle singole istituzioni scolastiche di aderirvi o meno.
5-bis. Forum nazionale delle associazioni studentesche.
1. Il Forum nazionale delle associazioni studentesche maggiormente rappresentative, istituito con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 11 luglio 2002, n. 79, ha il fine di valorizzare la partecipazione e l'attività associativa degli studenti come forma di espressione e di rappresentanza autonoma e complementare a quella istituzionale, nonché di assicurare stabilità al dialogo e al confronto con il mondo studentesco.
2. Il Forum è composto dai rappresentanti di associazioni o di confederazioni di associazioni di alunni frequentanti nell'anno in corso un istituto di istruzione secondaria superiore statale o paritario, non legate statutariamente ad alcun partito politico, in possesso di uno statuto o documento costitutivo che espliciti la volontà di operare per l'interesse della scuola attraverso un programma generale, nonché gli obiettivi della loro attività nel rispetto delle regole di democrazia interna e dei princìpi della Costituzione.
3. In prima applicazione sono riconosciute quali maggiormente rappresentative a livello nazionale e ammesse al Forum le associazioni studentesche individuate con il citato decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 11 luglio 2002, n. 79, di seguito denominate: Alternativa studentesca, Azione studentesca, Confederazione degli studenti, Gioventù studentesca, Liste per la libertà della scuola, Movimento studenti di Azione cattolica, Movimento studenti cattolici, Studenti.net, Unione degli studenti.
4. Possono essere altresì accreditate al Forum, con le procedure di cui al comma 5, le associazioni o le confederazioni di associazioni di studenti in possesso delle caratteristiche di maggiore rappresentatività a livello nazionale, da accertare in base ad entrambi i seguenti criteri:
a) numero di associati non inferiore a 3000 unità, o di rappresentanti nei consigli di istituto non inferiore a 200 unità, o di rappresentanti nelle consulte provinciali di cui all'articolo 6 non inferiore a 100 unità, o anche numero di progetti realizzati a norma dell'articolo 4 non inferiore a 100 unità. Sono anche considerate maggiormente rappresentative le associazioni o le confederazioni di associazioni di studenti le quali, pur non conseguendo i valori minimi sopra indicati, in due dei predetti requisiti presentano percentuali che, sommate tra di loro, diano il risultato di 100 per cento sui medesimi valori numerici;
b) presenza nel territorio nazionale in non meno di quattro regioni.
5. Le associazioni o le confederazioni di associazioni presentano la domanda di accreditamento, completa della documentazione, al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Dipartimento per l'istruzione - Direzione generale per lo studente. I requisiti di rappresentatività descritti nel comma 4 possono essere comprovati ai sensi degli articoli 19, 19-bis, 38, 45, 46, 47 e 48 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni, anche con dichiarazione sostitutiva resa da un responsabile nazionale dell'associazione o della confederazione di associazioni, in possesso di maggiore età; in tale caso, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si riserva di procedere ad idonei controlli, anche a campione, sulla veridicità delle dichiarazioni rese, a norma dell'articolo 71 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000. La Direzione generale per lo studente, esperite le istruttorie del caso sulle istanze e sulle documentazioni prodotte, accredita le associazioni o le confederazioni di associazioni al Forum. È demandata alla stessa Direzione generale per lo studente la verifica, con periodicità annuale, della persistenza dei requisiti previsti per la permanenza nel Forum, anche in contraddittorio con l'associazione o la confederazione di associazioni interessata, secondo le modalità stabilite dal Forum medesimo.
6. Le attività del Forum, così come risultanti dai verbali, sono adeguatamente pubblicizzate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a mezzo stampa e sul proprio sito internet.
7. Con provvedimenti dei dirigenti generali degli Uffici scolastici regionali possono essere costituiti forum delle rappresentanze associative presso i detti uffici, cui partecipano le associazioni degli studenti aderenti al Forum nazionale, nonché, previe intese fra le regioni e gli Uffici scolastici regionali, le associazioni di studenti maggiormente rappresentative a livello regionale, individuate in base a criteri analoghi a quelli previsti nel comma 4, in relazione alle dimensioni territoriali delle medesime regioni. Si applicano i commi 5 e 6 per quanto concerne le procedure di accreditamento e di verifica a cura dell'Ufficio scolastico regionale, d'intesa con la regione dove ha sede il Forum regionale, e la pubblicizzazione dei verbali del Forum medesimo.
5-ter. Forum nazionale delle associazioni dei genitori.
1. Il Forum nazionale delle associazioni dei genitori maggiormente rappresentative, istituito con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 18 febbraio 2002, n. 14, ha il fine di valorizzare la partecipazione e l'attività associativa dei genitori nella scuola come forma di espressione e di rappresentanza autonoma e complementare a quella istituzionale, nonché di assicurare una sede stabile di consultazione delle famiglie sulle problematiche studentesche e scolastiche.
2. Il Forum è composto dai rappresentanti di associazioni o di confederazioni di associazioni di genitori di alunni di istituto statale o paritario, non legate statutariamente ad alcun partito politico od organizzazione sindacale, in possesso di uno statuto o documento costitutivo che espliciti la volontà di operare per l'interesse della scuola attraverso un programma generale, nonché gli obiettivi della loro attività nel rispetto delle regole di democrazia interna e dei princìpi della Costituzione.
3. In prima applicazione sono riconosciute quali maggiormente rappresentative a livello nazionale e ammesse al Forum le associazioni dei genitori, individuate con il citato decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 18 febbraio 2002, n. 14, di seguito denominate: Associazione italiana genitori, Associazione genitori scuole cattoliche, Coordinamento genitori democratici.
4. Possono essere altresì accreditate al Forum, con le procedure di cui al comma 5, le associazioni o le confederazioni di associazioni di genitori di alunni in possesso delle caratteristiche di maggiore rappresentatività a livello nazionale, da accertare in base ad almeno tre dei seguenti criteri:
a) presenza nel territorio nazionale in non meno di quattro regioni, con una media di cinquecento associati per regione;
b) costituzione da almeno due anni alla data della domanda di ammissione;
c) numero di associati non inferiore a cinquemila genitori;
d) adesione all'Associazione europea dei genitori (EPA).
5. Le associazioni o le confederazioni di associazioni presentano la domanda di accreditamento, completa della documentazione, al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Dipartimento per l'istruzione - Direzione generale per lo studente. I requisiti di rappresentatività descritti nel comma 4 possono essere comprovati ai sensi degli articoli 19, 19-bis, 38, 45, 46, 47 e 48 del citato decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni, anche con dichiarazione sostitutiva resa da un responsabile nazionale dell'associazione o della confederazione di associazioni; in tale caso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si riserva di procedere ad idonei controlli, anche a campione, sulla veridicità delle dichiarazioni emesse, a norma dell'articolo 71 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000. La Direzione generale per lo studente, esperite le istruttorie del caso sulle istanze e sulle documentazioni prodotte, accredita le associazioni o le confederazioni di associazioni al Forum. E demandata alla stessa Direzione generale per lo studente, la verifica con periodicità triennale della persistenza dei requisiti previsti per la permanenza nel Forum, anche in contraddittorio con l'associazione o la confederazione di associazioni interessata, secondo le modalità stabilite dal Forum medesimo.
6. Le attività del Forum, così come risultanti dai verbali, sono adeguatamente pubblicizzate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a mezzo stampa e sul proprio sito internet.
7. Con provvedimenti dei dirigenti generali degli Uffici scolastici regionali, possono essere costituiti Forum delle rappresentanze associative presso i detti Uffici, cui partecipano le associazioni dei genitori aderenti al Forum nazionale, nonché, previe intese tra le regioni e gli Uffici scolastici regionali, le associazioni di genitori maggiormente rappresentative a livello regionale, individuate in base a criteri analoghi a quelli previsti nel comma 4, in relazione alle dimensioni territoriali delle regioni medesime. Si applicano i commi 5 e 6 per quanto concerne le procedure di accreditamento e di verifica a cura dell'Ufficio scolastico regionale, d'intesa con la regione ove ha sede il Forum regionale, e la pubblicizzazione dei verbali del Forum medesimo.
6. Consulta provinciale.
1. Due rappresentanti degli studenti per ciascun istituto o scuola di istruzione secondaria superiore si riuniscono in consulta provinciale in una sede appositamente attrezzata e messa a disposizione dall'ufficio scolastico locale a livello provinciale che assicura alla consulta il supporto organizzativo e la consulenza tecnico-scientifica. La durata in carica dei predetti rappresentanti è di due anni. L'elezione di tali rappresentanti avviene entro il 31 ottobre dell'anno di scadenza dell'organismo con le stesse modalità della elezione dei rappresentanti degli studenti nel consiglio di istituto. Per la sostituzione degli eletti venuti a cessare per qualsiasi causa, o che abbiano perso i requisiti di eleggibilità, anche per aver conseguito il diploma, si procede alla nomina di coloro che, in possesso dei detti requisiti, risultino i primi fra i non eletti delle rispettive liste. In caso di esaurimento delle liste si procede ad elezioni suppletive. La prima riunione della consulta è convocata dal dirigente dell'ufficio scolastico locale a livello provinciale entro quindici giorni dal completamento delle operazioni elettorali.
2. La consulta provinciale degli studenti ha il compito di:
a) assicurare il più ampio confronto fra gli studenti di tutte le istituzioni di istruzione secondaria superiore della provincia, anche al fine di ottimizzare ed integrare in rete le iniziative di cui al presente regolamento e di formulare proposte di intervento che superino la dimensione del singolo istituto, anche sulla base di accordi di rete previsti dall'articolo 7, del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, nonché di accordi quadro da stipularsi tra la competente autorità scolastica periferica, gli enti locali, la regione, le associazioni degli studenti e degli ex studenti, dell'utenza e del volontariato, le organizzazioni del mondo del lavoro e della produzione;
b) formulare proposte ed esprimere pareri agli uffici scolastici, agli enti locali competenti e agli organi collegiali territoriali;
b-bis) collaborare con gli organi dell'amministrazione scolastica e con i centri di informazione e consulenza di cui all'articolo 326, commi 17 e 18, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, per la realizzazione di progetti di attività informativa e di consulenza intesi alla prevenzione e cura delle tossicodipendenze, nonché alla lotta contro l'abuso di farmaci e di sostanze per l'incremento artificiale delle prestazioni sportive. Le relative iniziative previste dai commi 19, 20 e 21 del citato articolo 326, sono disciplinate dal presente regolamento;
c) istituire, in collaborazione con l'ufficio scolastico locale, uno sportello informativo per gli studenti con particolare riferimento all'attuazione del presente regolamento e dello statuto delle studentesse e degli studenti e alle attività di orientamento;
d) promuovere iniziative di carattere trasnazionale;
d-bis)designare i rappresentanti degli studenti nei consigli scolastici locali;
e) designare i rappresentanti degli studenti nell'organo di garanzia previsto dall'articolo 5, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249.
3. La consulta si dota di un proprio regolamento, a norma del quale elegge un presidente ed un consiglio di presidenza e può articolarsi in commissioni di lavoro, territoriali e/o tematiche.
4. Al fine di assicurare continuità di indirizzo nella gestione e favorire il pieno inserimento dei neo eletti, i componenti del consiglio di presidenza della consulta che hanno terminato il curriculo scolastico o non sono stati rieletti dal proprio istituto, possono, a richiesta e a titolo gratuito, essere nominati dalla consulta consulenti per non più di un anno scolastico. Per quel periodo transitorio ad essi si applica il trattamento previsto per i membri della consulta.
5. Le consulte appartenenti ad una stessa regione danno vita ad un coordinamento regionale rappresentativo, il quale viene insediato dal dirigente del competente ufficio scolastico regionale. Detto ufficio assicura al coordinamento il supporto tecnico-organizzativo. Il coordinamento regionale adotta un proprio regolamento interno con il quale sono disciplinate la composizione e le modalità organizzative.
6. Con decreto del Ministro della pubblica istruzione è individuata una sede di coordinamento e di rappresentanza delle consulte a livello nazionale.
6-bis. Consiglio nazionale dei presidenti delle consulte provinciali degli studenti.
1. La Conferenza nazionale di cui all'articolo 1, comma 1, lettera g) del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2007, n. 75, assume la denominazione di Consiglio nazionale dei presidenti delle consulte provinciali degli studenti; esso è organo consultivo del Ministero ed assicura una sede permanente di confronto e di rappresentanza degli studenti a livello nazionale.
2. È composto da tutti i presidenti eletti in ciascuna consulta.
3. Il Consiglio svolge le seguenti funzioni:
a) coordina e cura lo scambio di informazioni relativamente alle attività delle consulte provinciali degli studenti;
b) promuove 1'ideazione e realizzazione di attività progettuali di rilevanza nazionale, comunitaria ed internazionale;
c) esprime, su richiesta del Ministro o di propria iniziativa, pareri su azioni attinenti la partecipazione degli studenti e la progettualità delle consulte;
d) promuove indagini conoscitive sulla condizione studentesca i cui risultati formano oggetto di relazioni al Ministro;
e) elabora proposte ed indicazioni progettuali con particolare attenzione al funzionamento del sistema di partecipazione e rappresentanza degli studenti.
4. Il Consiglio nazionale dei presidenti si dota di un regolamento interno che ne fissa le modalità organizzativo-gestionali, nonchè la pianificazione delle adunanze, che, comunque, possono essere convocate anche dal Ministro.
5. I componenti del Consiglio rimangono in carica fino al subentro dei rispettivi successori.
6. Il Consiglio si articola in commissioni di lavoro, territoriali e/o tematiche.
7. Il Ministero assicura il supporto organizzativo e la consulenza tecnico-scientifica riguardo all'istituzione ed al funzionamento delle consulte provinciali degli studenti, dei coordinamenti regionali rappresentativi e del Consiglio nazionale dei presidenti delle consulte provinciali degli studenti.
6-ter. Disposizioni finanziarie.
1. Con le risorse finanziarie destinate alle attività previste dal presente regolamento sono, altresì, coperti gli oneri derivanti dalla completa realizzazione di iniziative attuate all'esterno degli istituti, come deliberate dai competenti organi, nonché il rimborso delle spese di viaggio e soggiorno, nella misura prevista per i dipendenti della VIII qualifica funzionale del comparto Ministeri, in favore dei componenti delle consulte e degli studenti individuati per la partecipazione alle predette iniziative ed in favore degli studenti e dei genitori partecipanti ai Forum istituiti ai sensi degli articoli 5-bis e 5-ter.
2. Sui fondi di cui sopra, in ciascuna provincia, è accantonata una quota non inferiore al 7 per cento, utilizzabile dalla consulta provinciale per esigenze connesse alla propria organizzazione e al proprio funzionamento e per l'attuazione delle iniziative deliberate. Ai membri delle consulte provinciali, nei limiti delle disponibilità sopra indicate, sono rimborsate le spese di viaggio e di soggiorno connesse all'esercizio delle loro funzioni. Tali rimborsi possono essere corrisposti, in alternativa, dai consigli di istituto nei limiti delle disponibilità finanziarie degli istituti destinati alle omologhe finalità.
7. Giornata nazionale della scuola.
1. È istituita la giornata nazionale della scuola. Il Ministro della pubblica istruzione, annualmente, d'intesa con la Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, ne individua la data.
2. Durante la manifestazione le istituzioni scolastiche sono aperte al pubblico e svolgono manifestazioni e iniziative atte a sottolineare il valore dell'attività educativa e formativa. Sono organizzati incontri di carattere nazionale e locale per l'approfondimento di tematiche di interesse formativo.
3. Il Ministro della pubblica istruzione, su richiesta di associazioni o rappresentanti degli studenti della scuola secondaria superiore può promuovere appuntamenti nazionali a sostegno delle attività integrative svolte nell'ambito del presente regolamento, fatto salvo il numero di giornate di lezione previsto dalla legge.
1. Il personale direttivo assolve alla funzione di promozione e di coordinamento delle attività di circolo o di istituto; a tal fine presiede alla gestione unitaria di dette istituzioni, assicura l'esecuzione delle deliberazioni degli organi collegiali ed esercita le specifiche funzioni di ordine amministrativo, escluse le competenze di carattere contabile, di ragioneria e di economato, che non implichino assunzione di responsabilità proprie delle funzioni di ordine amministrativo.
2. In particolare, al personale direttivo spetta:
a) la rappresentanza del circolo o dell'istituto;
b) presiedere il collegio dei docenti, il comitato per la valutazione del servizio dei docenti, i consigli di intersezione, interclasse, o di classe, la giunta esecutiva del consiglio di circolo o di istituto;
c) curare l'esecuzione delle deliberazioni prese dai predetti organi collegiali e dal consiglio di circolo o di istituto;
d) procedere alla formazione delle classi, all'assegnazione ad esse dei singoli docenti, alla formulazione dell'orario, sulla base dei criteri generali stabiliti dal consiglio di circolo o d'istituto e delle proposte del collegio dei docenti;
e) promuovere e coordinare, nel rispetto della libertà di insegnamento, insieme con il collegio dei docenti, le attività didattiche, di sperimentazione e di aggiornamento nell'ambito del circolo o dell'istituto;
f) adottare o proporre, nell'ambito della propria competenza, i provvedimenti resi necessari da inadempienze o carenze del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario;
g) coordinare il calendario delle assemblee di circolo o nell'istituto;
h) tenere i rapporti con l'amministrazione scolastica nelle sue articolazioni centrali e periferiche, con gli enti locali che hanno competenze relative al circolo e all'istituto e con gli organi del distretto scolastico;
i) curare i rapporti con gli specialisti che operano sul piano medico e socio-psico-pedagogico;
l) curare l'attività di esecuzione delle normative giuridiche e amministrative riguardanti gli alunni e i docenti, ivi compresi la vigilanza sull'adempimento dell'obbligo scolastico, l'ammissione degli alunni, il rilascio dei certificati, il rispetto dell'orario e del calendario, la disciplina delle assenze, la concessione dei congedi e delle aspettative, l'assunzione dei provvedimenti di emergenza e di quelli richiesti per garantire la sicurezza della scuola.
3. Il direttore didattico, sulla base di quanto stabilito dalla programmazione dell'azione educativa, dispone l'assegnazione dei docenti alle classi di ciascuno dei moduli organizzativi di cui all'art. 121 del presente testo unico e l'assegnazione degli ambiti disciplinari ai docenti, avendo cura di garantire le condizioni per la continuità didattica, nonché la migliore utilizzazione delle competenze e delle esperienze professionali, assicurando, ove possibile, una opportuna rotazione nel tempo.
4. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano anche ai rettori e vice rettori dei convitti nazionali ed alle direttrici e vicedirettrici degli educandati femminili dello Stato, con gli adattamenti resi necessari dall'organizzazione e dalle finalità proprie di dette istituzioni.
5. In caso di assenza o di impedimento del titolare, la funzione direttiva è esercitata dal docente scelto dal direttore didattico o dal preside tra i docenti eletti ai sensi dell'art. 7 del presente testo unico.
1. A favore dei minori indicati nell'art. 1 della legge 19 luglio 1991, n. 216, sono attuati, nell'ambito delle strutture scolastiche e con le modalità ivi previste, interventi finalizzati ad eliminare le condizioni di disagio. Ai sensi degli articoli 104, 105 e 106 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, concernenti interventi in materia di educazione alla salute, di informazione sui danni derivanti dall'alcolismo, dal tabagismo, dall'uso delle sostanze stupefacenti o psicotrope, nonché dalle patologie correlate, si applicano, nel settore scolastico, le disposizioni di cui ai commi seguenti.
2. Il Ministero della pubblica istruzione promuove e coordina le attività di educazione alla salute e di informazione sui danni derivanti dall'alcoolismo, dal tabagismo, dall'uso delle sostanze stupefacenti o psicotrope, nonché dalle patologie correlate.
3. Le attività di cui al comma 2 si inquadrano nello svolgimento ordinario dell'attività educativa e didattica, attraverso l'approfondimento di specifiche tematiche nell'ambito delle discipline curricolari.
4. Il Ministro della pubblica istruzione approva programmi annuali differenziati per tipologie di iniziative e relative metodologie di applicazione, per la promozione di attività da realizzarsi nelle scuole, sulla base delle proposte formulate da un apposito comitato tecnico-scientifico da lui costituito con decreto, composto da venticinque membri, di cui diciotto esperti nel campo della prevenzione, compreso almeno un esperto di mezzi di comunicazione sociale, rappresentanti delle amministrazioni statali che si occupano di prevenzione, repressione e recupero nelle materie di cui al comma 2 e sette esponenti di associazioni giovanili e dei genitori.
5. Il comitato, che funziona sia unitariamente sia attraverso gruppi di lavoro individuati nel decreto istitutivo, deve approfondire, nella formulazione dei programmi, le tematiche:
a) della pedagogia preventiva;
b) nell'impiego degli strumenti didattici, con particolare riferimento ai libri di testo, ai sussidi audiovisivi, ai mezzi di comunicazione di massa;
c) dell'incentivazione di attività culturali, ricreative e sportive, da svolgersi eventualmente anche all'esterno della scuola;
d) del coordinamento con le iniziative promosse o attuate da altre amministrazioni pubbliche con particolare riguardo alla prevenzione primaria.
6. Alle riunioni del comitato, quando vengono trattati argomenti di loro interesse, possono essere invitati rappresentanti delle regioni, delle province autonome e dei comuni.
7. In sede di formazione di piani di aggiornamento e formazione del personale della scuola è data priorità alle iniziative in materia di educazione alla salute e di prevenzione delle tossicodipendenze.
8. Il provveditore agli studi promuove e coordina, nell'ambito provinciale, la realizzazione delle iniziative previste nei programmi annuali e di quelle che possono essere deliberate dalle istituzioni scolastiche nell'esercizio della loro autonomia.
9. Nell'esercizio di tali compiti il provveditore si avvale di un comitato tecnico provinciale o, in relazione alle esigenze emergenti nell'ambito distrettuale o interdistrettuale, di comitati distrettuali o interdistrettuali, costituiti con suo decreto, i cui membri sono scelti tra esperti nei campi dell'educazione alla salute e della prevenzione e recupero dalle tossicodipendenze nonché tra rappresentanti di associazioni di familiari. Detti comitati sono composti da sette membri.
10. Alle riunioni dei comitati possono essere invitati a partecipare rappresentanti delle autorità di pubblica sicurezza, degli enti locali territoriali e delle unità sanitarie locali, nonché esponenti di associazioni giovanili.
11. All'attuazione delle iniziative concorrono gli organi collegiali della scuola, nel rispetto dell'autonomia ad essi riconosciuta. Le istituzioni scolastiche interessate possono avvalersi anche dell'assistenza del servizio ispettivo tecnico.
12. Il provveditore agli studi d'intesa con il consiglio scolastico provinciale, e sentito il comitato tecnico provinciale, organizza corsi di studio per i docenti delle scuole di ogni ordine e grado sulla educazione sanitaria e sui danni derivanti ai giovani dall'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, nonché sul fenomeno criminoso nel suo insieme, con il supporto di mezzi audiovisivi ed opuscoli. A tal fine può stipulare, con i fondi a sua disposizione, apposite convenzioni con enti locali, università, istituti di ricerca ed enti, cooperative di solidarietà sociale e associazioni iscritti all'albo regionale o provinciale da istituirsi a norma dell'art. 116 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Ai fini delle assegnazioni di cui all'articolo 105, comma 7, del medesimo testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ai predetti corsi di studio sono equiparate le altre iniziative di formazione sulla stessa materia promosse dall'amministrazione scolastica a livello nazionale e periferico o da enti e associazioni professionali, previa autorizzazione dell'amministrazione medesima.
13. I corsi statali sperimentali di scuola media per lavoratori possono essere istituiti anche presso gli enti, le cooperative di solidarietà sociale e le associazioni iscritti nell'albo di cui all'art. 116 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, entro i limiti numerici e con le modalità di svolgimento di cui alle vigenti disposizioni. I corsi saranno finalizzati anche all'inserimento o al reinserimento nell'attività lavorativa.
14. Le utilizzazioni del personale docente di ruolo di cui all'art. 456, possono essere disposte nel limite massimo di cento unità, ai fini del recupero scolastico e dell'acquisizione di esperienze educative, anche presso gli enti e le associazioni iscritti nell'albo di cui all'art. 116 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, a condizione che tale personale abbia documentatamente frequentato i corsi di cui al comma 12.
15. Il Ministero della pubblica istruzione assegna annualmente ai provveditorati agli studi, in proporzione alla popolazione scolastica di ciascuno, fondi per le attività di educazione alla salute e di prevenzione delle tossicodipendenze da ripartire tra le singole scuole sulla base dei criteri elaborati dai comitati provinciali, con particolare riguardo alle iniziative di cui al comma 17.
16. L'onere derivante dal funzionamento del comitato tecnico-scientifico di cui al comma 4 e dei comitati di cui al comma 9 è valutato in complessive lire 4 miliardi in ragione d'anno a decorrere dall'anno 1990. Il Ministro della pubblica istruzione con proprio decreto disciplina l'istituzione e il funzionamento del comitato tecnico-scientifico e dei comitati provinciali, distrettuali e interdistrettuali e l'attribuzione dei compensi ai componenti dei comitati stessi.
17. I provveditori agli studi, di intesa con i consigli di istituto e con i servizi pubblici per l'assistenza socio-sanitaria ai tossicodipendenti, istituiscono centri di informazione e consulenza rivolti agli studenti all'interno delle scuole secondarie superiori.
18. I centri possono realizzare progetti di attività informativa e di consulenza concordati dagli organi collegiali della scuola con i servizi pubblici e con gli enti ausiliari presenti sul territorio. Le informazioni e le consulenze sono erogate nell'assoluto rispetto dell'anonimato di chi si rivolge al servizio.
19. Gruppi di almeno venti studenti anche di classi e di corsi diversi, allo scopo di far fronte alle esigenze di formazione, approfondimento ed orientamento sulle tematiche relative all'educazione alla salute ed alla prevenzione delle tossicodipendenze, possono proporre iniziative da realizzare nell'ambito dell'istituto con la collaborazione del personale docente, che abbia dichiarato la propria disponibilità. Nel formulare le proposte i gruppi possono esprimere loro preferenze in ordine ai docenti chiamati a collaborare alle iniziative.
20. Le iniziative di cui al comma 19 rientrano tra quelle previste dall'art. 10, comma 2, lettera e), del presente testo unico, e sono deliberate dal consiglio d'istituto, sentito, per gli aspetti didattici, il collegio dei docenti.
21. La partecipazione degli studenti alle iniziative, che si svolgono in orario aggiuntivo a quello delle materie curricolari, è volontaria.
22. Ai fini dell'accesso ai finanziamenti da valere sul fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari sociali, il Ministero della pubblica istruzione propone all'approvazione del Ministro per gli affari sociali progetti mirati alla prevenzione e al recupero dalle tossicodipendenze, previa predisposizione di studi di fattibilità, indicanti i tempi, le modalità e gli obiettivi che si intendono conseguire.
1. La specializzazione per le attività di sostegno didattico alle bambine e ai bambini, alle alunne e agli alunni con disabilità certificata nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria si consegue attraverso il corso di specializzazione di cui al comma 2.
2. Il corso di specializzazione in pedagogia e didattica speciale per le attività di sostegno didattico e l'inclusione scolastica:
a) è annuale e prevede l'acquisizione di 60 crediti formativi universitari, comprensivi di almeno 300 ore di tirocinio, pari a 12 crediti formativi universitari;
b) è attivato presso le università autorizzate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nelle quali sono attivi i corsi di laurea a ciclo unico in Scienze della Formazione Primaria;
c) è programmato a livello nazionale dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in ragione delle esigenze e del fabbisogno del sistema nazionale di istruzione e formazione;
d) ai fini dell'accesso richiede il superamento di una prova predisposta dalle università.
3. Accedono al corso esclusivamente gli aspiranti in possesso della laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della Formazione Primaria che abbiano conseguito ulteriori 60 crediti formativi universitari relativi alle didattiche dell'inclusione oltre a quelli già previsti nel corso di laurea. Ai fini del conseguimento dei predetti 60 CFU, possono essere riconosciuti i crediti formativi universitari eventualmente conseguiti dai predetti laureati magistrali in relazione ad insegnamenti nonché a crediti formativi universitari ottenuti in sede di svolgimento del tirocinio e di discussione di tesi attinenti al sostegno e all'inclusione.
4. La positiva conclusione del corso di cui al comma 2 è titolo per l'insegnamento sui posti di sostegno della scuola dell'infanzia e della scuola primaria.
5. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, sono definiti i piani di studio, le modalità attuative e quelle organizzative del corso di specializzazione in pedagogia e didattica speciale per le attività di sostegno didattico e l'inclusione scolastica, nonché i crediti formativi necessari per l'accesso al medesimo corso di specializzazione.
MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione
Aggiornamento
LINEE DI ORIENTAMENTO
per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo
Ottobre 2017
Indice
Premessa
1. Interventi per la prevenzione e il contrasto del fenomeno
1.1 L’iniziativa Generazioni connesse e altri strumenti utili per un uso corretto e consapevole delle tecnologie digitali
2. Modalità di segnalazione di situazioni e/o comportamenti a rischio
3. Governance: una nuova organizzazione
3.1 Azioni mirate delle scuole rivolte agli studenti e alle loro famiglie: il ruolo del Dirigente scolastico e del docente referente
4. Nuovi strumenti introdotti dalla L. 71/2017: l’ammonimento
Premessa
Il presente testo ha lo scopo di dare continuità alle Linee di orientamento emanate nell’aprile del 2015, apportando le integrazioni e le modifiche necessarie in linea con i recenti interventi normativi1, con particolare riferimento alle innovazioni introdotte con l’emanazione della L. 71/2017: “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”. Lo stesso è, quindi, da intendersi quale strumento flessibile e suscettibile di periodici aggiornamenti2, tale da rispondere alle sfide educative e pedagogiche derivanti dall’evolversi costante e veloce delle nuove tecnologie.
La Legge 71/2017 si presenta con un approccio inclusivo e invita diversi soggetti a sviluppare una progettualità volta alla prevenzione e al contrasto del cyberbullismo, secondo una prospettiva di intervento educativo e mai punitivo, prevedendo all’art.3 l’istituzione di un Tavolo di lavoro, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, coordinato dal MIUR, con il compito di redigere un piano di azione integrato e realizzare un sistema di raccolta di dati per il monitoraggio, avvalendosi anche della collaborazione della Polizia Postale e delle Comunicazioni e delle altre Forze di polizia.
Tale piano sarà integrato con un codice di co-regolamentazione per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo a cui dovranno attenersi gli operatori che forniscono servizi di social networking e tutti gli altri operatori della rete Internet; con il predetto codice sarà istituito un comitato di monitoraggio con il compito di definire gli standard per l'istanza di oscuramento di cui all'articolo 2, comma 1, della Legge 71/2017.
Il Piano dovrà stabilire, altresì, le iniziative di informazione e di prevenzione del cyberbullismo con il coinvolgimento dei servizi socio-educativi territoriali, in sinergia con le scuole, anche attraverso periodiche campagne informative, di prevenzione e di sensibilizzazione avvalendosi dei media, degli organi di comunicazione, di stampa e di enti privati.
Il dettato normativo attribuisce, quindi, a una pluralità di soggetti compiti e responsabilità ben precisi, ribadendo il ruolo centrale della Scuola che è chiamata a realizzare azioni in un’ottica di governance diretta dal MIUR che includano “la formazione del personale, la partecipazione di un proprio referente per ogni autonomia scolastica, la promozione di un ruolo attivo degli studenti, nonché di ex studenti che abbiano già operato all’interno dell’istituto scolastico in attività di peer education, la previsione di misure di sostegno e di rieducazione dei minori coinvolti”.3 Sentito il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità (DGMC), il MIUR adotta le presenti linee di orientamento per la prevenzione ed il contrasto del cyberbullismo nelle scuole.
Centrale risulta la figura del docente referente che la scuola individua preferibilmente tra i docenti che posseggano competenze specifiche ed abbiano manifestato l’interesse ad avviare un percorso di formazione specifico.
Il referente diventa, così, l’interfaccia con le forze di Polizia, con i servizi minorili dell’amministrazione della Giustizia, le associazioni e i centri di aggregazione giovanile sul territorio, per il coordinamento delle iniziative di prevenzione e contrasto del cyberbullismo.
Nelle more, quindi, della costituzione e dell’operatività del Tavolo inter-istituzionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, le presenti linee di orientamento rappresentano un primo strumento che potrà essere utile a orientare le azioni che le scuole vorranno autonomamente intraprendere, e che saranno successivamente integrate in un complessivo Piano di Azione nazionale.
1. Interventi per la prevenzione e contrasto del fenomeno del cyberbullismo.
La Legge 107 del 20154 ha introdotto, tra gli obiettivi formativi prioritari, lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, finalizzato anche a un utilizzo critico e consapevole dei social network e dei media, e declinato dal Piano Nazionale Scuola Digitale.5
Le studentesse e gli studenti devono essere sensibilizzati ad un uso responsabile della Rete e resi capaci di gestire le relazioni digitali in agorà non protette. Ed è per questo che diventa indispensabile la maturazione della consapevolezza che Internet può diventare, se non usata in maniera opportuna, una pericolosa forma di dipendenza. Compito della Scuola è anche quello di favorire l’acquisizione delle competenze necessarie all’esercizio di una cittadinanza digitale consapevole. Responsabilizzare le alunne e gli alunni significa, quindi, mettere in atto interventi formativi, informativi e partecipativi. Tale principio è alla base dello Statuto delle studentesse e degli studenti6 che sottolinea la finalità educativa anche quando si rendano necessari provvedimenti disciplinari, comunque tesi a rispristinare comportamenti corretti all’interno dell’istituto “attraverso attività di natura sociale e culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica”.
Nel corso degli ultimi anni, inoltre, il MIUR ha siglato Protocolli di Intesa e avviato collaborazioni con le più importanti Istituzioni e Associazioni che, a vario titolo, si occupano di prevenzione e contrasto del bullismo e cyberbullismo al fine di creare un’alleanza e una convergenza di strumenti e risorse atti a rispondere alla crescente richiesta di aiuto da parte delle istituzioni scolastiche e delle famiglie7.
1.1. L’iniziativa Generazioni connesse e altri strumenti utili per un uso corretto e consapevole delle tecnologie digitali.
Per promuovere strategie finalizzate a rendere Internet un luogo più sicuro per gli utenti più giovani, favorendone un uso positivo e consapevole, il MIUR ha avviato l’iniziativa “Generazioni Connesse”, sostenuta dalla Commissione Europea8, con lo scopo di fornire alle istituzioni scolastiche una serie di strumenti didattici, di immediato utilizzo, tra cui:
- attività di formazione (online e in presenza) rivolte in maniera specifica alle comunità scolastiche (insegnanti, bambini/e, ragazzi/e, genitori, educatori) che intraprenderanno un percorso dedicato;
- attività di informazione e sensibilizzazione realizzate in collaborazione con la Polizia di Stato per approfondire i temi della navigazione sicura in Rete.
Le scuole che intendano partecipare all’iniziativa possono collegarsi all’indirizzo www.generazioniconnesse.it e seguire le istruzioni riportate per effettuare l’iscrizione al progetto.
Attraverso un iter guidato e materiali specifici di lavoro, le scuole iscritte a Generazioni connesse, intraprendono un percorso per far emergere i punti di forza e di debolezza dell’istituto stesso, sulle tematiche connesse al Progetto, mediante la compilazione di un questionario di autovalutazione disponibile sul sito www.generazioniconnesse.it. Il questionario è uno strumento che consente all’istituto di identificare i propri bisogni, le aree di miglioramento e le azioni da intraprendere per giungere all’elaborazione di un progetto personalizzato denominato “Piano d’azione”.
Tale Piano9 consentirà alle istituzioni scolastiche di focalizzare il proprio Piano Triennale dell’Offerta Formativa al fine di definire:
- il proprio approccio alle tematiche legate alle competenze digitali, alla sicurezza online e ad un uso positivo delle tecnologie digitali nella didattica;
- le norme comportamentali e le procedure per l’utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) in ambiente scolastico;
- le misure per la prevenzione;
- le misure per la rilevazione e gestione delle problematiche connesse a un uso non consapevole delle tecnologie digitali;
Il percorso è rivolto alle classi quarta e quinta della scuola primaria e a tutte le classi della scuola secondaria di primo grado.
Per la realizzazione del “Piano d’azione”, l’istituto scolastico è affiancato da un servizio di “supporto scuole” (supportoscuole@generazioniconnesse.it) e da personale qualificato del Safer Internet Centre italiano.
Un ulteriore strumento per contrastare comportamenti dannosi online e allo stesso tempo accrescere la conoscenza del fenomeno è “iGloss@ 1.110, l’Abc dei comportamenti devianti online”, elaborato dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità.
Il glossario, nella ricognizione dei termini specialistici sui comportamenti online a rischio, offre una sintetica spiegazione delle principali caratteristiche delle condotte devianti e dei risvolti socio-giuridici.
L’obiettivo non è esclusivamente descrivere e inquadrare i nuovi fenomeni della devianza online, ma favorire, altresì, l’acquisizione di consapevolezza sulle conseguenze sociali e giudiziarie di queste specifiche trasgressioni.
Il glossario, disponibile online in lingua italiana e inglese sul sito del Ministero della Giustizia (www.giustizia.it), è rivolto a operatori dei servizi sociali, sanitari, giudiziari, giovani e loro genitori.
2. Modalità di segnalazione di situazioni e/o comportamenti a rischio
La Legge 71/2017 indica per la prima volta tempi e modalità per richiedere la rimozione di contenuti ritenuti dannosi per i minori. L’art.2, infatti, prevede che il minore di quattordici anni, ovvero il genitore o altro soggetto esercente la responsabilità sul minore che abbia subito un atto di cyberbullismo, può inoltrare un'istanza per l'oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi dato personale del minore, diffuso nella rete:
✓ al titolare del trattamento ✓ al gestore del sito internet ✓ al gestore del social media
Infatti, se entro ventiquattro ore dal ricevimento dell'istanza i soggetti responsabili non abbiano comunicato di avere preso in carico la segnalazione, e entro quarantotto ore provveduto, l'interessato può rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al Garante11 per la protezione dei dati personali, il quale provvede entro quarantotto ore dal ricevimento della richiesta.
Le scuole possono, altresì. segnalare episodi di cyberbullismo e la presenza di materiale pedopornografico on line al servizio Helpline di Telefono Azzurro 1.96.96, una piattaforma integrata che si avvale di telefono, chat, sms, whatsapp e skype -strumenti per aiutare i ragazzi e le ragazze a comunicare il proprio disagio-e alla Hotline “Stop-It" di Save the Children, all’indirizzo www.stop-it.it, che consente agli utenti della Rete di segnalare la presenza di materiale pedopornografico12 online. Attraverso procedure concordate, le segnalazioni sono successivamente trasmesse al Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia su Internet, istituito presso la Polizia Postale e delle Comunicazioni, per consentire le attività di investigazione necessarie.
3 Governance: una nuova organizzazione.
In linea con quanto previsto dalla Legge 71/2017, il MIUR ha intrapreso una riorganizzazione della struttura amministrativa centrale e periferica che opera per la prevenzione del cyberbullismo, nella convinzione che la migliore modalità di intervento passi attraverso l’istituzione di un efficace sistema di governance che coinvolga le istituzioni, la società civile, gli adulti e gli stessi minori.
È stato introdotto un nuovo sistema di governance che parte dalla costituzione di un Tavolo tecnico centrale, previsto dall’art. 3 della L. 71/2017 e di prossima costituzione, di cui faranno parte istituzioni, associazioni, operatori di social networking e della rete internet, fino a giungere alla richiesta dell’individuazione, nel rispetto dell’autonomia, di un docente referente per ogni istituzione scolastica.
Nelle more della costituzione di detto Tavolo di coordinamento nazionale, rimane e rimarrà fondamentale l’importante azione di coordinamento territoriale esercitata degli Uffici Scolastici Regionali, per il tramite degli Osservatori Regionali all’uopo istituiti e al supporto della rete locale dei Centri Territoriali. La Legge richiama, infine, ad un’ulteriore azione di raccordo con ulteriori figure professionali, altri Enti e istituzioni deputati alla prevenzione e al contrasto del cyberbullismo quali assistenti sociali, educatori, operatori della Giustizia minorile.
3.1 Azioni mirate delle scuole e rivolte agli studenti e alle loro famiglie: il ruolo del dirigente scolastico e del docente referente
La L. 71/2017 all’art. 5 prevede che, nell’ambito della promozione degli interventi finalizzati ad assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali del territorio, il dirigente scolastico, definisca le linee di indirizzo del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) e del Patto di Corresponsabilità (D.P.R. 235/07) affinché contemplino misure specificatamente dedicate alla prevenzione del cyberbullismo13.
Le misure di intervento immediato che i dirigenti scolastici sono chiamati a effettuare, qualora vengano a conoscenza di episodi di cyberbullismo, dovranno essere integrate e previste nei Regolamenti di Istituto e nei Patti di Corresponsabilità, al fine di meglio regolamentare l’insieme dei provvedimenti sia di natura disciplinare che di natura educativa e di prevenzione.
Sarà cura del dirigente assicurare la massima informazione alle famiglie di tutte le attività e iniziative intraprese, anche attraverso una sezione dedicata sul sito web della scuola, che potrà rimandare al sito del MIUR www.generazioniconnesse.it per tutte le altre informazioni di carattere generale.
Parimenti è auspicabile che il dirigente scolastico attivi specifiche intese con i servizi territoriali (servizi della salute, servizi sociali, forze dell’ordine, servizi minorili dell’amministrazione della Giustizia) in grado di fornire supporto specializzato e continuativo ai minori coinvolti ove la scuola non disponga di adeguate risorse.
Secondo la stessa logica, la L. 71/2017 prevede che presso ciascuna istituzione scolastica venga individuato un docente referente con il compito di coordinare le iniziative di prevenzione e di contrasto del cyberbullismo, anche avvalendosi della collaborazione delle Forze di polizia nonché delle associazioni e dei centri di aggregazione giovanile presenti sul territorio.14
Nell’ambito dell’istituzione scolastica il docente referente potrà, quindi, svolgere un importante compito di supporto al dirigente scolastico per la revisione/stesura di Regolamenti (Regolamento d'istituto), atti e documenti (PTOF, PdM, Rav).
Ai docenti referenti, così come ai dirigenti scolastici, non sono quindi attribuite nuove responsabilità o ulteriori compiti, se non quelli di raccogliere e diffondere le buone pratiche educative, organizzative e azioni di monitoraggio, favorendo così l'elaborazione di un modello di e- policy d’istituto.
Tuttavia, al fine assicurare a tutti i soggetti coinvolti in azioni di prevenzione del cyberbullismo strumenti utili per conoscere e attivare azioni di contrasto al fenomeno, il MIUR elaborerà una piattaforma per la formazione dei docenti referenti. Tale azione sarà rafforzata dalle iniziative che saranno previste dal Piano Integrato di cui all’art. 3 della L. 71/2017 nonché dalle iniziative intraprese sia dagli Uffici Scolastici Regionali che dalle istituzioni medesime.
5. Nuovi strumenti introdotti dalla L. 71/2017: l’ammonimento
Nell’ottica di favorire l’anticipo della soglia di sensibilità al rischio e promuovere forme conciliative che possano evitare il coinvolgimento dei minori, sia quali autori del reato sia quali vittime in procedimenti penali, l’art. 7 della Legge 71/2017 prevede uno strumento d’intervento preventivo, già sperimentato in materia di atti persecutori (stalking), ovvero l’ammonimento del Questore.
Tale previsione risulta pienamente coerente con la scelta legislativa di contrastare il fenomeno del cyberbullismo con azioni di tipo educativo, stimolando nel minore ultraquattordicenne una riflessione sul disvalore sociale del proprio atto nonché una generale presa di coscienza sul medesimo.
Nello specifico, nel caso in cui non si ravvisino reati perseguibili d’ufficio o non sia stata formalizzata querela o presentata denuncia per le condotte di ingiuria (reato recentemente depenalizzato), diffamazione, minaccia o trattamento illecito dei dati personali commessi mediante la rete Internet nei confronti di altro minorenne, è possibile rivolgere al Questore, autorità provinciale di Pubblica Sicurezza, un’istanza di ammonimento nei confronti del minore ultraquattordicenne autore della condotta molesta. La richiesta potrà essere presentata presso qualsiasi ufficio di Polizia e dovrà contenere una dettagliata descrizione dei fatti, delle persone a qualunque titolo coinvolte ed eventuali allegati comprovanti quanto esposto.
E’ bene sottolineare che l’ammonimento, in quanto provvedimento amministrativo, non richiede una prova certa e inconfutabile dei fatti, essendo sufficiente la sussistenza di un quadro indiziario che garantisca la verosimiglianza di quanto dichiarato.
Qualora l’istanza sia considerata fondata, anche a seguito degli approfondimenti investigativi ritenuti più opportuni, il Questore convocherà il minore responsabile insieme ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la potestà genitoriale, ammonendolo oralmente e invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge con specifiche prescrizioni che, ovviamente, varieranno in base ai casi.
La legge non prevede un termine di durata massima dell'ammonimento ma specifica che i relativi effetti cesseranno al compimento della maggiore età.
Pur non prevedendo un’aggravante specifica per i reati che il minore potrà compiere successivamente al provvedimento di ammonimento, senza dubbio tale strumento rappresenta un significativo deterrente per incidere in via preventiva sui minori ed evitare che comportamenti, frequentemente assunti con leggerezza, possano avere conseguenze gravi per vittime e autori.
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1 Art.1, commi 7, 57,58 della Legge n.107del 15 luglio 2015 “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”; Legge n. 71 del 29 maggio 2017 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”. 2 L’ articolo 4, comma 1 della Legge 71 del 29 maggio 2017 prevede che l’aggiornamento delle Linee di orientamento avvenga con cadenza biennale.
3 Art. 4, comma. 2 della Legge n. 71 del 29 maggio 2017.
4 Art. 1, commi 57, 58.
5.http://www.miur.gov.it/web/guest/scuola-digitale 6 Art. 4, comma 2,. D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249.
7 Nell’ottica della collaborazione inter-istituzionale che deve caratterizzare le attività dell’amministrazione centrale e periferica e delle stesse istituzioni scolastiche, si auspica un’azione sinergica con le strutture centrali e territoriali del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità che ha previsto, nella propria riorganizzazione, uno specifico ufficio per la prevenzione della devianza e per la giustizia riparativa.
8 L’iniziativa è coordinata dal MIUR e realizzata in partenariato con: Ministero dell’Interno-Polizia Postale e delle Comunicazioni, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Save the Children Italia Onlus, Sos Il Telefono Azzurro, l’Università degli Studi di Firenze, l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Skuola.net, la Cooperativa E.D.I., Movimento Difesa del Cittadino e l’Agenzia Dire.
9 http://www.generazioniconnesse.it/site/it/area-scuole/ /
10 Le informazioni sono reperibili al sito: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_5_12.page
11 Il Garante ha predisposto il modello per la segnalazione di casi di cyberbullismo che si trova sul sito http://www.garanteprivacy.it/cyberbullismo. 12 Per la legislazione corrente, anche il materiale prodotto attraverso la pratica del sexting, che abbiamo visto essere molto diffusa tra i giovani, è da considerarsi pedopornografico.
13 Il comma 1 dell’art. 5 prevede che il dirigente scolastico, “salvo che il fatto costituisca reato, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni di cui al comma 2, il dirigente scolastico che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo ne informa tempestivamente i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale ovvero i tutori dei minori coinvolti e attiva adeguate azioni di carattere educativo”.
14 Art. 4 , comma 3 della Legge n. 71 del 29 maggio 2017.
Firmato digitalmente da VALERIA FEDELI
Numero 00564/2018 e data 07/03/2018 Spedizione
NUMERO AFFARE 00192/2018
OGGETTO: Ministero dell'istruzione dell’università e della ricerca - Ufficio legislativo. decreto recante disciplina dei percorsi di istruzione professionale, a norma dell'art. 3, comma 3 del d.lgs. n. 61/2017;
LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione della relazione prot. n. in data 02/02/2018 con la quale il Ministero dell'istruzione dell’università e della ricerca - Ufficio legislativo ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Daniele Ravenna;
Premesso.
Lo schema di regolamento sottoposto al parere della Sezione viene adottato ai sensi dell’articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, e trova fondamento normativo nell’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 61, recante “Revisione dei percorsi dell'istruzione professionale, nel rispetto dell’articolo 117 della costituzione, nonché raccordo con i percorsi dell'istruzione e formazione professionale, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera d), della legge 13 luglio 2015, n. 107”.
L’articolo 3, comma 3, citato così dispone: “Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, adottato ai sensi dell'articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono determinati i profili di uscita degli indirizzi di studio di cui al comma 1, i relativi risultati di apprendimento, declinati in termini di competenze, abilità e conoscenze. Con il medesimo decreto è indicato il riferimento degli indirizzi di studio alle attività economiche referenziate ai codici ATECO adottati dall'Istituto nazionale di statistica per le rilevazioni statistiche nazionali di carattere economico ed esplicitati almeno sino a livello di sezione e di correlate divisioni. Il decreto contiene altresì le indicazioni per il passaggio al nuovo ordinamento, di cui al successivo articolo 11, e le indicazioni per la correlazione tra le qualifiche e i diplomi professionali conseguiti nell'ambito dei percorsi di istruzione e formazione professionale e gli indirizzi dei percorsi quinquennali dell'istruzione professionale anche al fine di facilitare il sistema dei passaggi di cui all'articolo 8”.
I successivi commi 4 e 5 del citato articolo 3 completano il quadro normativo che si pone alla base dello schema di regolamento. Il comma 4 infatti prevede che: “Il decreto di cui al comma 3 individua i profili di uscita e i risultati di apprendimento secondo criteri che ne rendono trasparente la distinzione rispetto ai profili e ai criteri degli indirizzi dei settori tecnologico ed economico degli istituti tecnici di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.
88. Il medesimo decreto correla i profili in uscita degli indirizzi di studio anche ai settori economico-professionali di cui al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, del 30 giugno 2015, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 20 luglio 2015, n. 166” e il comma 5 che: “Le istituzioni scolastiche che offrono percorsi di istruzione professionale possono declinare gli indirizzi di studio di cui al comma 1 in percorsi formativi richiesti dal territorio coerenti con le priorità indicate dalle Regioni nella propria programmazione, nei limiti degli spazi di flessibilità di cui al successivo articolo 6, comma 1, lettera b). Tale declinazione può riferirsi solo alle attività economiche previste nella sezione e nella divisione cui si riferisce il codice ATECO attribuito all'indirizzo con il decreto di cui al comma 3. La declinazione è altresì riferita alla nomenclatura e classificazione delle unità professionali (NUP) adottate dall’ISTAT. L’utilizzo della flessibilità avviene nei limiti delle dotazioni organiche assegnate senza determinare esuberi di personale”.
Lo schema di decreto consta di 9 articoli e 4 corposi allegati, di seguito sinteticamente descritti.
Articolo 1 (Oggetto)
Il comma 1 descrive l’oggetto del regolamento con rinvio ai profili definiti dettagliatamente negli allegati. In particolare:
- l’Allegato 1 indica i risultati di apprendimento delle attività e degli insegnamenti di istruzione generale nell’ambito degli assi culturali che caratterizzano i percorsi di istruzione professionale nel biennio e nel triennio;
- l’Allegato 2 indica i profili di uscita degli undici indirizzi di studio dei percorsi di istruzione professionale e i relativi risultati di apprendimento nonché, per ciascun profilo di indirizzo, il riferimento alle attività economiche referenziate ai codici ATECO adottati dall’ISTAT e la correlazione ai settori economico-professionali indicati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
- l’Allegato 3 reca la specifica articolazione dei quadri orari degli indirizzi di cui all’Allegato B) del decreto legislativo n.61 del 2017, distinti per biennio e triennio;
- l’Allegato 4 reca una tabella di correlazione fra ciascuno degli indirizzi dei percorsi quinquennali dell’istruzione professionale e le qualifiche e i diplomi professionali conseguiti nell’ambito dei percorsi di istruzione e formazione professionale.
Il comma 2 richiama le indicazioni per il passaggio al nuovo ordinamento.
Articolo 2 (Definizioni)
L’articolo contiene un elenco di definizioni relative a termini ricorrenti nello schema di regolamento, solo alcune delle quali costituiscono nuove definizioni normative, mentre altre hanno un valore meramente ricognitivo di termini già presenti nell’ordinamento.
Articolo 3 (Profili di uscita degli indirizzi e risultati di apprendimento)
L’articolo, al comma 1, riprende l’inquadramento, già previsto normativamente, dei percorsi dell’istruzione professionale nell’istruzione secondaria superiore, quale articolazione del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione. Precisa, tuttavia, che essi hanno una specifica identità culturale, metodologica e organizzativa, riassumibile nel Profilo educativo, culturale e professionale (P.E.C.U.P) del diplomato dell’istruzione professionale.
Il comma 2 riporta l’individuazione degli undici indirizzi di studio dei predetti percorsi, come peraltro già prevista all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 61 del 2017.
Il comma 3 prevede che i profili di uscita collegati ai suddetti indirizzi di studio, associati agli specifici risultati di apprendimento, integrano il P.E.C.U.P. e realizzano il raccordo dei percorsi dell’istruzione professionale con il mondo del lavoro e delle professioni.
Il comma 4 mira a rendere spendibile in ambito sanitario il titolo di studio conseguito in esito al percorso di studi dell’indirizzo denominato “Servizi per la sanità e l’assistenza sociale”.
Il comma 5 prevede la strutturazione degli indirizzi di studio nelle attività e negli insegnamenti di istruzione generale e nelle attività ed insegnamenti di indirizzo, come definiti, rispettivamente, agli Allegati 1 e 2.
Il comma 5 rimanda all’Allegato 3, il quale prevede l’articolazione dei quadri orari, basata, nel biennio, sull’aggregazione delle discipline all’interno degli assi culturali caratterizzanti l’obbligo di istruzione e, nel triennio, delle attività e degli insegnamenti di istruzione generale. Stabilisce, inoltre, che i quadri orari sono articolati in una parte comune, che riguarda tutti gli indirizzi e comprende le attività e gli insegnamenti di istruzione generale, e in una parte specifica per ciascun indirizzo. Nell’ambito della cornice dei quadri orari così fissata, si ribadisce che le istituzioni scolastiche di istruzione professionale possono costruire i percorsi formativi utilizzando gli strumenti dell’autonomia, nei limiti di quanto stabilito all’articolo 5.
Articolo 4 (Passaggio al nuovo ordinamento)
I commi 1 e 2 riprendono quanto stabilito all’articolo 11 del decreto legislativo n. 61 del 2017 in merito al passaggio al nuovo ordinamento. Si prevede, infatti, che esso inizierà ad essere attuato a partire dalle classi prime funzionanti nell’anno scolastico 2018/2019 e che gli indirizzi, le articolazioni e le opzioni, previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 87, confluiscano nei nuovi indirizzi, secondo quanto stabilito nella “Tabella di confluenza” (Allegato C al decreto legislativo n. 61), a partire dalle classi prime funzionanti nello stesso anno scolastico 2018/2019.
Il comma 3 disciplina l’attivazione dell’indirizzo relativo alla “Gestione delle acque e risanamento ambientale”.
Il comma 4 rimanda a Linee guida, da adottare con decreto ministeriale, la fissazione di criteri e indicazioni per favorire e sostenere l’adozione del nuovo assetto didattico e organizzativo dei percorsi di istruzione professionale.
Il comma 5 stabilisce che le istituzioni scolastiche di istruzione professionale si dovranno dotare di un ufficio tecnico, oppure potranno riorganizzare quello già esistente e ne indica i compiti.
Il comma 6 stabilisce che la valutazione intermedia e finale dei risultati di apprendimento resti regolata dalle disposizioni normative vigenti in tema di valutazione degli studenti. Tale valutazione, nonché la certificazione e il riconoscimento dei crediti posseduti dallo studente, anche ai fini del passaggio ad altri percorsi di istruzione e formazione, saranno parametrati sulle unità di apprendimento (UDA) nelle quali è strutturato il Progetto formativo individuale (P.F.I.).
Il comma 7 prevede che le istituzioni scolastiche di istruzione professionale effettuino, al termine del primo anno, la valutazione intermedia concernente i risultati delle unità di apprendimento inseriti nel P.F.I. In presenza di carenze eventualmente riscontrate, possono essere stabilite misure di recupero, sostegno ed eventuale riorientamento.
I commi 8 e 10 prevedono:
- che il diploma finale, rilasciato all’esito dello svolgimento dell’esame di Stato, attesti, oltre all’indirizzo, alla durata del corso e al punteggio complessivo ottenuto, anche l’indicazione del codice ATECO attribuito all’indirizzo in base all’Allegato 2;
- che il diploma finale, oltre ad aver il valore di titolo legale produttivo degli effetti previsti dall’ordinamento giuridico, costituisca anche titolo valido ai fini dell’accesso all’università ed agli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica, agli istituti tecnici superiori e ai percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore.
Il comma 9 prevede che al diploma finale sia allegato il curriculum della studentessa e dello studente e che, ricorrendone le condizioni, il curriculum indichi il riferimento alla nomenclatura e classificazione delle unità professionali (NUP) adottate dall'ISTAT, nonché i crediti maturati per l’acquisizione del certificato di specializzazione tecnica superiore (IFTS).
Il comma 11 prevede che, con decreto ministeriale sia definito l’adattamento dei quadri orari ai percorsi di istruzione di secondo livello per adulti.
Articolo 5 (Indicazioni per la definizione dei piani triennali dell’offerta formativa)
L’articolo contiene le indicazioni per la definizione del piani triennali dell’offerta formativa
da parte delle istituzioni scolastiche di istruzione professionale, nel rispetto dei principi e delle finalità fissati dalla legge n. 107 del 2017 e dal decreto legislativo n. 61 del 2017.
In tale ottica, i commi da 2 a 4 prevedono che le istituzioni scolastiche di istruzione professionale possano utilizzare, per la progettazione e gestione dei Piani triennali dell’offerta formativa, la quota di autonomia del 20 per cento dell’orario complessivo del biennio e dell’orario complessivo del triennio, nonché gli spazi di flessibilità, entro il 40 per cento dell’orario complessivo previsto per il terzo, quarto e quinto anno. Le istituzioni scolastiche di istruzione professionale, nell’utilizzo delle suddette quote di autonomia, dovranno garantire il perseguimento degli obiettivi comuni di apprendimento. A tal fine, si prevede che, con riguardo agli insegnamenti e alle attività dell’area generale, le istituzioni scolastiche di istruzione professionale possano diminuire le ore, per il biennio e per ciascuna classe del triennio, non oltre il 20 per cento rispetto al monte ore previsto per ciascuno di essi all’Allegato 3. Con riguardo agli insegnamenti e alle attività dell’area di indirizzo, si stabilisce che le suddette istituzioni scolastiche debbano assicurare l’inserimento, nel percorso formativo, del monte ore minimo previsto, per ciascuno di essi, nello stesso Allegato 3.
Inoltre, si prevede che le istituzioni scolastiche di istruzione professionale possano utilizzare gli spazi di flessibilità del 40 per cento dell’orario complessivo previsto per il terzo, quarto e quinto anno, nei limiti delle dotazioni organiche assegnate, senza determinare esuberi di personale a norma dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 61 del 2017, e garantendo comunque l’inserimento nel percorso formativo del monte ore minimo previsto, per ciascun insegnamento e attività, nel suddetto Allegato 3.
Il comma 5 prevede che le Regioni indichino, nell’ambito delle linee guida per la programmazione regionale dell’offerta formativa, le priorità di cui le istituzioni scolastiche di istruzione professionale debbono tener conto per la declinazione degli indirizzi di studio in percorsi formativi richiesti dal territorio.
Il comma 6 prevede che le istituzioni scolastiche di istruzione professionale, nell’esercizio della propria autonomia, possano strutturare il quinto anno dei percorsi in modo da consentire, oltre al conseguimento del diploma di istruzione professionale, anche l’acquisizione di crediti per il conseguimento del certificato di specializzazione tecnica superiore (IFTS). Tale strutturazione, sempreché prevista dalla programmazione dell’offerta formativa delle singole Regioni, deve essere coerente con l’indirizzo di studio seguito dallo studentessa e dallo studente.
Il comma 7 prevede che i piani triennali dell’offerta formativa possano comprendere attività e progetti di orientamento scolastico. A tal fine, le istituzioni scolastiche di istruzione professionale possono attivare, tra gli altri strumenti, anche partenariati territoriali e ricevere finanziamenti da soggetti pubblici e privati.
Il comma 8 impone un obbligo di trasparenza, prevedendo che nei piani triennali dell’offerta formativa sia resa trasparente e leggibile la declinazione degli indirizzi di studio nei percorsi richiesti dal territorio con l’indicazione delle attività economiche di riferimento.
Il comma 9 prevede che le istituzioni scolastiche di istruzione professionale, nell’esercizio della propria autonomia, nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente e nel rispetto dei vincoli di bilancio, possano:
a) stipulare contratti di prestazioni d’opera con esperti del mondo del lavoro e delle professioni in possesso di competenze specialistiche non presenti nell’istituto;
b) dotarsi di dipartimenti quali articolazioni funzionali del collegio dei docenti, per il sostegno alla didattica e alla progettazione formativa e di un comitato tecnico-scientifico, composto da docenti e da esperti del mondo del lavoro e delle professioni e della ricerca scientifica e tecnologica.
Il comma 10 disciplina la possibilità di prevedere nei piani triennali dell’offerta formativa, l’attivazione (in via sussidiaria) di percorsi di istruzione e formazione professionale per il rilascio di qualifiche triennali e diplomi professionali quadriennali, di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 (si tratta del d. lgs che detta le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione), previo accreditamento regionale secondo modalità da definire con appositi accordi tra la Regione e l’Ufficio scolastico regionale.
Si precisa, inoltre, in linea con il riparto delle competenze legislative fissate costituzionalmente, che tali percorsi devono essere realizzati nel rispetto degli standard formativi definiti da ciascuna Regione e secondo i criteri generali e le modalità che verranno definiti con decreto ministeriale, previa intesa in sede di Conferenza permanente, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo n. 61.
Il comma 11 fornisce indicazioni alle istituzioni scolastiche per l’utilizzo delle dotazioni organiche, al fine di progettare e realizzare i piani triennali dell’offerta formativa.
Il comma 12 prevede che il dirigente dell’istituzione scolastica di istruzione professionale, nei limiti della consistenza complessiva dell’organico dell’autonomia del personale docente, determini l’articolazione delle cattedre.
Articolo 6 (Indicazioni per l’attivazione dei percorsi)
L’articolo contiene indicazioni per l’attivazione dei percorsi di istruzione professionale. A tal fine, il comma 2 prevede che ciascun consiglio di classe rediga, entro il 31 gennaio del primo anno di frequenza, il progetto formativo individuale (P.F.I), aggiornandolo durante l’intero percorso scolastico, e ne indica le finalità.
Il comma 3 si occupa del figura dei tutor, già prevista nel decreto legislativo n. 61 del 2017, che il
Dirigente scolastico individua, sentito il consiglio di classe, all’interno di quest’ultimo.
La funzione del tutor è quella sostenere gli studenti nell’attuazione e nello sviluppo del P.F.I. e consiste nell’accompagnamento di ciascuno studente nel processo di apprendimento personalizzato, finalizzato alla progressiva maturazione delle competenze.
Il comma 4 fornisce indicazioni su caratteri e articolazione dei percorsi didattici.
Articolo 7 (Indicazioni sulle misure nazionali di sistema)
Il comma 1 prevede che il passaggio al nuovo ordinamento dei percorsi di istruzione professionale sia accompagnato da misure nazionali di sistema per l’aggiornamento dei dirigenti, dei docenti e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, delle istituzioni scolastiche di istruzione professionale sul nuovo assetto organizzativo e didattico.
Il comma 2 prevede che il suddetto passaggio al nuovo ordinamento sia accompagnato da un programma nazionale per l’informazione e l’orientamento dei giovani e delle loro famiglie sulle opportunità offerte dallo stesso anche in relazione alle scelte degli indirizzi di studio.
Articolo 8 (Indicazioni per la correlazione tra i titoli e i percorsi)
L’ articolo, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 61 del 2017, contiene le indicazioni per la correlazione tra le qualifiche e i diplomi professionali conseguiti nell’ambito dei percorsi di istruzione e formazione professionale e gli indirizzi dei percorsi quinquennali di istruzione professionale.
In tal senso, al comma 1, prevede che tale correlazione sia effettuata in relazione:
a) ai profili degli indirizzi di studio, di cui all’articolo 3 del regolamento;
b) alle figure di riferimento previste dal “Repertorio nazionale dell’offerta di istruzione e formazione professionale”, di cui ai decreti ministeriali 11 novembre 2011 e 23 aprile 2012. La descritta correlazione costituisce il riferimento essenziale per realizzare i passaggi tra i due diversi sistemi formativi.
Al comma 2 specifica le modalità attraverso le quali è effettuata la correlazione di cui al comma 1. Stabilisce, inoltre, che la correlazione tiene conto dei riferimenti alle attività economiche referenziate ai codici ATECO e ai settori economico professionali di cui al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, del 30 giugno 2015.
Il comma 3 prevede la modifica e l’integrazione dell’Allegato 4 (da effettuare con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previo accordo in sede Conferenza permanente per rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano), al fine di adeguarlo all’aggiornamento del “Repertorio nazionale dell’offerta di istruzione e formazione professionale” sopra ricordato.
Il comma 4, in coerenza con l’articolo 8, comma 8, del decreto legislativo n. 61 del 2017, stabilisce che i diplomi rilasciati in esito agli esami di Stato conclusivi dei percorsi quinquennali di istruzione professionale, insieme alle qualifiche e ai diplomi professionali rilasciati in esito agli esami conclusivi dei percorsi di istruzione e formazione professionale, sono titoli di studio tra loro correlati nel “Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali” di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13.
Articolo 9 (Disposizioni finali)
La norma disciplina l’applicabilità del regolamento alle Regioni a statuto speciale e
alle Province autonome di Trento e di Bolzano, nell’ambito delle competenze riconosciute a tali soggetti dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, nonché in coerenza con i relativi ordinamenti e con le norme di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 14 del d. lgs. n.
61del 2017. Si stabilisce, inoltre, che le disposizioni del regolamento si applicano anche alle scuole con lingua di insegnamento slovena, fatte salve le modifiche e integrazioni per gli opportuni adattamenti agli specifici ordinamenti di tali scuole.
Lo schema di regolamento è corredato da:
1) relazione illustrativa;
2) relazione tecnica;
3) analisi di impatto della regolamentazione;
4) analisi tecnico-normativa;
5) concerto del Ministero della salute;
6) concerto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
7) intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
8) parere del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.
Rispetto al percorso procedurale disegnato dal d. lgs. 61 per l’adozione del regolamento, sono presenti tutti gli adempimenti prescritti, cui si è aggiunto il parere del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, organo di alta consulenza tecnico-scientifica del Ministero.
Considerato.
Come ricordato anche nella relazione illustrativa, la materia dell’istruzione professionale trova esplicito richiamo nella Costituzione, fin dalla formulazione originaria dell’art. 117 (che attribuiva alla competenza legislativa concorrente delle Regioni la materia “istruzione artigiana e professionale”), mentre il fondamento costituzionale della odierna disciplina viene rinvenuta nel testo vigente del suddetto articolo, che al secondo comma riserva alla legislazione esclusiva dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (lettera m) e le “norme generali sull'istruzione” (lettera n), mentre al terzo comma rimette alle legislazione concorrente la materia “istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”. Né può prescindersi – nel valutare i termini in cui le indicazioni costituzionali sono state declinate dall’ordinamento - dalla considerazione che l’istruzione professionale di ambito statale rappresenta una corposa e radicata realtà che storicamente preesiste alla stessa Costituzione repubblicana.
Lo schema di regolamento in esame rappresenta un elemento fondamentale nella riforma dell’istruzione professionale, avviata dalla legge 13 luglio 2015, n. 107 “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti” (cd. “Buona scuola”), che all’art. 1, comma 180, ha conferito ampie deleghe al Governo per “provvedere al riordino, alla semplificazione e alla codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione”. Per quanto qui specificamente rileva, il comma 181, lettera d), di tale legge ha delegato il Governo a provvedere alla “revisione dei percorsi dell'istruzione professionale, nel rispetto dell'articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi dell'istruzione e formazione professionale, attraverso: 1) la ridefinizione degli indirizzi, delle articolazioni e delle opzioni dell'istruzione professionale; 2) il potenziamento delle attività didattiche laboratoriali anche attraverso una rimodulazione, a parità di tempo scolastico, dei quadri orari degli indirizzi, con particolare riferimento al primo biennio”.
Tale delega è stata esercitata con il già ricordato decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 61, che ha disegnato le grandi linee dell’intervento riformatore e, come sopra illustrato, demandato a un regolamento (lo schema ora in esame) le ulteriori indicazioni necessarie ad avviare concretamente la riforma. Lo stesso legislatore delegato ha dettato, all’art. 11, l’ambizioso obiettivo di avviare l’attuazione della riforma a partire dalle classi prime funzionanti nell’anno scolastico 2018/2019, e ha conseguentemente disposto, a decorrere dall’anno scolastico 2022/2023, l’abrogazione del regolamento attualmente vigente sugli istituti professionali (d.P.R. 15 marzo 2010, n. 87). In tale prospettiva, il legislatore delegato ha assegnato un termine particolarmente stringente (ancorché da intendersi come ordinatorio) per l’emanazione del regolamento (90 giorni dall’entrata in vigore del d. lgs. stesso, che è stato pubblicato nel S.O. alla GU 16 maggio 2017, n. 112), il che peraltro contrasta da un lato con la complessità dell’iter formativo dettato dalla stessa fonte primaria per il regolamento, e dall’altro con l’ampiezza, la delicatezza e la complessità tecnica dei contenuti che esso è chiamato a disciplinare, sì da legittimare più che qualche dubbio sulla congruità della tempistica dettata dalla fonte primaria.
Dunque, il fatto che l’Amministrazione abbia predisposto lo schema di regolamento in esame in forte ritardo rispetto al termine formalmente assegnatole, se può apparire comprensibile per le ragioni ora dette, dall’altro le impone un oneroso tour de force al fine di effettuare sollecitamente gli ulteriori adempimenti e di assicurare che, per l’inizio dell’anno scolastico 2018/19, ormai incombente, siano compiutamente assicurate tutte le condizioni – normative, organizzative, di risorse, di aggiornamento del personale docente e non docente, di informazione delle famiglie, eccetera – necessarie al concreto avvio della riforma.
Non a caso, del resto, il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione ha affermato, nel parere reso sullo schema in esame, che “appare oggettivamente difficile realizzare in tempo utile le necessarie attività di formazione del personale connesse all’attuazione del riordino” e sottolineato l’esigenza di un forte investimento in: - organici; formazione e valorizzazione professionale del personale; risorse e investimento in laboratori e strutture di contesto; implementazione delle risorse. Di conseguenza ha dichiarato di ritenere opportuno un rinvio dell’attuazione del provvedimento, rinvio che peraltro – come fa notare l’Amministrazione nella sua relazione – richiederebbe di modificare una norma di rango primario.
Per ciò che attiene ai contenuti, lo schema reca una nuova e organica disciplina della materia trattata, destinata a sostituire progressivamente, anno scolastico dopo anno scolastico, quella attualmente vigente e di cui, come detto sopra, il d. lgs. n. 61 ha disposto l’abrogazione esplicita a decorrere dall’anno scolastico 2022/2023 (l’anno cioè in cui le classi prime dell’a.s. 2018/2019, primo della riforma, giungeranno al quinto anno del ciclo).
Lo schema in esame appare nel suo complesso rispettoso delle indicazioni della fonte primaria, cui dà coerente e puntuale sviluppo, con particolare riferimento ai due cruciali nodi del passaggio progressivo dal vecchio al nuovo ordinamento della istruzione professionale e dei meccanismi di raccordo fra percorsi di istruzione e di formazione professionale, laddove si devono coniugare i rispettivi ruoli e competenze dello Stato e delle Regioni.
Per ciò che attiene alla tecnica redazionale, lo schema appare correttamente redatto in conformità alle regole dettate dalla Circolare congiunta “Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi”, adottata dalla Presidenza di Camera e Senato e dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (aprile del 2001) e ulteriormente dettagliate nella circolare della Presidenza del Consiglio 2 maggio 2001, “Guida alla redazione dei testi normativi” (S. O. alla “Gazzetta Ufficiale” n. 101 del 3 maggio 2001).
La relazione di AIR, della quale merita apprezzamento la schietta enunciazione dei problemi da risolvere e delle criticità presenti nell’attuale sistema che la riforma intende affrontare, appare ancora non sufficientemente adeguata sul piano della offerta degli elementi quantitativi che consentano, secondo la logica propria del “ciclo della regolamentazione” che dall’AIR conduce alla VIR, di valutare – a muovere da una situazione di partenza nota – gli effetti prodotti dalla nuova disciplina introdotta, rapportarli agli obiettivi perseguiti e valutare eventuali aggiustamenti da apportare alla disciplina stessa. Sia consentito ricordare che: “Il Consiglio di Stato ha ribadito in molti pareri che, nella predisposizione degli schemi di provvedimenti legislativi e regolamentari, si deve tener conto soprattutto di ciò che accadrà dopo la loro entrata in vigore; si deve cioè compiere lo sforzo di analizzare la prevedibile (ex ante) e la reale (ex post) attuazione delle regole come percepita dai destinatari di esse e come “rilevata” sulla base di verifiche quantitative nell’ambito di periodici, programmati monitoraggi” (parere n. 1458 del 19 giugno 2017).
In tale prospettiva, anche nello spirito del disegno delineato dal recentissimo d.P.C.M. 15 settembre 2017, n. 169, “Regolamento recante disciplina sull'analisi dell'impatto della regolamentazione, la verifica dell'impatto della regolamentazione e la consultazione” (la cui entrata in vigore è peraltro subordinata all’emanazione di una direttiva volta a dettagliarne il contenuto), la relazione AIR e lo stesso schema di regolamento appaiono – pur nella consapevolezza della particolare complessità della materia trattata e della parzialità di un approccio meramente quantitativo ai temi dell’istruzione e della formazione - non pienamente appaganti sul piano della indicazione degli indicatori quantitativi e delle procedure volte al monitoraggio degli effetti prodotti e alla “manutenzione” della nuova disciplina. E’ ben vero che il tema generale del monitoraggio sulla efficacia e l’efficienza del sistema nazionale di istruzione è non da ora centrale nell’azione del Ministero e che il d. P.R. 28 marzo 2013, n. 80, “Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione”, ha strutturato il “Sistema nazionale di valutazione del sistema educativo” e riordinato gli Istituti che concorrono a formarlo. Tuttavia l’importanza strategica della riforma del sistema di istruzione e formazione, affermata dallo stesso Ministero, la sua specificità nel quadro del sistema dell’istruzione statale e la centralità, in tale ambito, dello schema in esame, inducono la Sezione a prospettare l’opportunità che l’Amministrazione lo integri con specifiche previsioni in ordine ai processi di valutazione degli effetti prodotti, in funzione della “manutenzione” della normativa stessa e dell’aggiornamento degli obiettivi da essa perseguiti.
Con riferimento ai singoli articoli, appare particolarmente opportuno l’articolo 2, recante le definizioni utilizzate nel testo, stante il tecnicismo della materia. Eventualmente i singoli lemmi potrebbero essere disposti in ordine alfabetico.
All’art. 4 suscitano perplessità le previsioni di cui ai commi 4 e 11, che paiono demandare una integrazione della disciplina regolamentare a strumenti sottordinati quali due decreti ministeriali, con formulazioni che appaiono di problematica legittimità. In ogni caso, valuti l’Amministrazione se i termini temporali indicati per l’adozione dei suddetti atti (120 giorni) non siano eccessivi, alla luce della sopra illustrata problematica sui tempi di attuazione della riforma.
Valuti l’Amministrazione se conservare l’art. 7 nella attuale formulazione, che appare priva di sostanziale contenuto normativo, dal momento che prospetta una vasta e indeterminata gamma di azioni, certamente in astratto opportune e anzi necessarie e urgenti per dare attuazione alla riforma (“misure nazionali di sistema”, “programma nazionale per l’informazione e l’orientamento dei giovani e delle loro famiglie”), ma delle quali non sono indicati contenuti, forme, procedure di adozione e soprattutto risorse (tema che ricorre con toni preoccupati nel parere del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione). In ogni caso, preso atto che l’Amministrazione ritiene di adeguarsi a recenti tendenze evolutive della lingua italiana in ordine ai generi (art. 2, comma 1: “ciascuna studentessa e ciascuno studente”; cfr. anche art. 4, commi 7, 9, ecc.), anche l’art. 7 dovrebbe conformarvisi (non “dei dirigenti”, ma “delle dirigenti e dei dirigenti”, ecc.).
P.Q.M.
Nei termini esposti è il parere favorevole, con le riportate osservazioni, della Sezione.
Direzione generale
Direzione centrale rapporto assicurativo
Direzione centrale prevenzione
Circolare n. 44
Roma, 21 novembre 2016
Al Dirigente Generale Vicario
Ai Responsabili di tutte le Strutture Centrali e Territoriali
e p.c. a:
Organi istituzionali
Magistrato della Corte dei conti delegato all'esercizio del controllo
Organismo indipendente di valutazione della performance
Comitati consultivi provinciali
Oggetto Studenti impegnati in attività di alternanza scuola lavoro. Legge 13 luglio 2015, n.107, commi 33-43.Criteri per la trattazione dei casi di infortunio. Aspetti contributivi.
Quadro Normativo
- Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124: “Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, articoli 1 e 4;
- Legge 28 marzo 2003, n. 53: “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”, articolo 4;
- Circolare Inail 28 aprile 2003, n.28: “Insegnanti e alunni di scuole pubbliche e private. Criteri per la trattazione dei casi di infortunio. Aspetti contributivi”;
- Circolare Inail 17 novembre 2004, n.79: “Alunni di scuole pubbliche e private. Criteri per la trattazione dei casi di infortunio nell’ambito delle lezioni di alfabetizzazione informatica e lingua straniera. Aspetti contributivi”;
- Decreto legislativo 15 aprile 2005, n.77: “Definizione delle norme generali relative all'alternanza scuola-lavoro, a norma dell'articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53”;
- Decreto legislativo 17 ottobre 2005, n.226: “Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell'articolo 2 della legge 28 marzo 2003, n. 53”, art. 1;
- Circolare Inail 4 aprile 2006, n.19: “Alunni di scuole pubbliche e private. Criteri per la trattazione dei casi di infortunio nell’ambito delle lezioni di scienze motorie e sportive. Aspetti contributivi”;
- Legge 13 luglio 2015, n.107: “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”.
Premessa
Per alternanza scuola-lavoro, si intende una metodologia didattica che consente agli studenti che frequentano gli istituti di istruzione superiore di svolgere una parte del proprio percorso formativo presso un’impresa o un ente.
Essa consiste nella realizzazione di percorsi progettati, attuati, verificati e valutati, sotto la responsabilità dell'istituzione scolastica o formativa, sulla base di apposite convenzioni con le imprese, o con le rispettive associazioni di rappresentanza, o con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con enti pubblici e privati, ivi inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti, di età compresa tra i 15 e i 18 anni, per periodi di apprendimento in situazione lavorativa, che non costituiscono rapporto individuale di lavoro (1).
L’alternanza scuola lavoro si basa su una concezione integrata del processo educativo in cui il momento formativo, attuato mediante lo studio teorico d’aula, e il momento applicativo, attuato mediante esperienze assistite sul posto di lavoro, si fondono. Con legge 13 luglio 2015, n.107 (2), l’alternanza scuola lavoro è stata organicamente inserita nell’offerta formativa di tutti gli indirizzi di studio della scuola secondaria di secondo grado, quale parte integrante dei percorsi di istruzione (3), al fine di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti (4).
Ciò premesso, stante l’evoluzione normativa che ha coinvolto il mondo della scuola, si rende necessario, anche all’esito delle interlocuzioni intercorse sul tema con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, fornire istruzioni in merito al regime assicurativo e alla trattazione degli eventi lesivi occorsi agli studenti impegnati in attività di alternanza scuola-lavoro.
Obbligo assicurativo per gli studenti. Aspetti generali Si ribadisce che, in linea generale, in presenza dei requisiti oggettivo e soggettivo previsti dall’art. 1, n. 28 e dall’art. 4, n. 5 del Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (T.U.), gli studenti delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, anche privati, comprese le Università, sono assicurati obbligatoriamente presso l’Inail contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
In particolare, gli studenti sono assicurati soltanto se svolgono (5):
• esperienze tecnico – scientifiche, esercitazioni pratiche e di lavoro;
• attività di educazione fisica nella scuola secondaria;
• attività di scienze motorie e sportive, nonché attività di alfabetizzazione informatica e di apprendimento di lingue straniere con l’ausilio di laboratori nella scuola primaria e secondaria;
• viaggi di integrazione della preparazione di indirizzo.
Resta, in particolare, escluso dalla tutela l’infortunio in itinere occorso nel normale tragitto di andata e ritorno dal luogo di abitazione alla sede della scuola presso cui lo studente è iscritto (6).
Nel caso degli studenti delle Scuole e delle Università Statali la copertura assicurativa avviene mediante il sistema della gestione per conto dello Stato di cui agli artt. 127 e 190 del T.U., mentre gli studenti delle scuole o degli istituti di istruzione di ogni ordine e grado, non statali, sono assicurati mediante il versamento di un premio speciale unitario (7), ai sensi dell’art.42 del T.U..
Regime assicurativo per gli studenti impegnati in progetti di alternanza scuola -lavoro Gli studenti della scuola secondaria impegnati in ambito scolastico nei percorsi di alternanza scuola-lavoro ricevono la copertura assicurativa anche per i rischi legati a tale attività che è ricompresa nell’ambito delle esercitazioni di lavoro di cui al citato articolo 4, n.5 del T.U..
La copertura antinfortunistica viene attuata mediante la gestione per conto dello Stato (8), per gli studenti delle scuole statali, mentre per gli studenti delle scuole non statali mediante il versamento di un premio speciale unitario, previa comunicazione, tramite l’apposito servizio online “Regolazione Alunni” del numero degli alunni e studenti che partecipano a esperienze tecnico scientifiche od esercitazioni pratiche o di lavoro o a progetti di alternanza scuola lavoro. Per questi ultimi studenti, sono in corso le verifiche per un aggiornamento del premio, anche in relazione all’andamento infortunistico.
Indennizzabilità degli eventi occorsi agli studenti impegnati in attività di alternanza scuola-lavoro Con riferimento all’indennizzabilità degli eventi occorsi agli studenti impegnati in attività di alternanza scuola-lavoro, occorre distinguere tra eventi verificatisi nell’ambito scolastico vero e proprio ed eventi occorsi durante i periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro nel corso dello svolgimento delle specifiche attività previste dal progetto di alternanza scuola-lavoro.
Per quanto riguarda i primi, si conferma (9) che gli studenti sono assicurati soltanto se gli eventi sono occorsi in occasione delle seguenti attività previste dall’art. 4, n.5 del d.p.r. 1124/1965:
• esperienze tecnico – scientifiche, esercitazioni pratiche e di lavoro;
• attività di educazione fisica nella scuola secondaria;
• attività di scienze motorie e sportive, nonché attività di alfabetizzazione informatica e di apprendimento di lingue straniere con l’ausilio di laboratori nella scuola primaria e secondaria;
• viaggi di integrazione della preparazione di indirizzo.
Anche in tale ambito resta, quindi, escluso dalla tutela l’infortunio in itinere occorso nel normale tragitto di andata e ritorno dal luogo di abitazione alla sede della scuola presso cui lo studente è iscritto (10).
Per quanto riguarda gli eventi occorsi durante i periodi di apprendimento svolti nell’ambito del progetto di alternanza scuola lavoro mediante esperienze di lavoro, premesso che, ai sensi dell’art.1 del decreto legislativo 15 aprile 2005, n.77, i suddetti progetti non danno luogo alla costituzione di rapporti di lavoro, l’attività svolta dagli studenti, in tale ambito, è sostanzialmente assimilata a quella dei lavoratori presenti in azienda, in quanto sono esposti ai medesimi rischi lavorativi che incombono su tutti i soggetti presenti in quest’ultima.
Ne consegue che tutti gli infortuni occorsi in “ambiente di lavoro”, sono indennizzabili. Al riguardo, si precisa che per “ambiente di lavoro” si intende non solo lo stabilimento aziendale, bensì anche un eventuale cantiere all'aperto o un luogo pubblico, purché in essi si svolga un progetto di alternanza scuola-lavoro e l’attività ivi svolta presenti le caratteristiche oggettive elencate dall'art.1, n. 28 del d.p.r. 1124/65.
Sono, inoltre, da ammettere a tutela anche gli infortuni occorsi durante il tragitto tra la scuola presso cui è iscritto lo studente e il luogo in cui si svolge l’esperienza di lavoro, in quanto tale percorso è organizzativamente e teleologicamente, quale prolungamento dell’esercitazione pratica, scientifica o di lavoro, riconducibile all’attività protetta svolta durante l’esperienza di alternanza scuola-lavoro, così come previsto nell’ambito del progetto educativo.
Non è, invece, tutelabile l’infortunio in itinere che accada nel percorso dal luogo di abitazione a quello in cui si svolge l’esperienza di lavoro e viceversa.
Agli studenti si applicano le disposizioni normative in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in quanto equiparati - ai sensi dell’art.2, comma 1, lett. a) del d.lgs. 81/2008 e successive modificazioni - ai lavoratori; pertanto, agli stessi deve essere erogata la formazione prevista ai sensi dell’art. 37 del citato decreto.
In particolare, per gli studenti in regime di alternanza scuola-lavoro tale formazione dovrà tenere conto degli specifici contesti produttivi presso i quali saranno assegnati.
Al riguardo, l’Istituto ha declinato un modello di riferimento finalizzato alla progettazione e alla realizzazione di percorsi formativi destinati agli studenti in regime di alternanza scuola-lavoro, di carattere generale e specifico, con particolare riguardo ai rischi correlati alle mansioni cui gli studenti stessi saranno adibiti.
I percorsi verranno resi disponibili nella tradizionale modalità “in presenza” o in modalità e-learning in attuazione, in particolare, dell’accordo di partenariato sottoscritto con il Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca.
Tali percorsi potranno poi essere erogati attraverso una formazione “a cascata”, con il coinvolgimento dei dirigenti scolastici, del corpo docente e degli stessi studenti.
Prestazioni L’Inail eroga agli studenti impegnati nei percorsi di alternanza scuola lavoro le prestazioni previste dalla legge di cui di seguito si indicano le principali:
• prestazioni economiche: indennizzo del danno biologico in capitale per menomazioni integrità psicofisica pari o superiori al 6% e rendita per menomazioni di grado superiore al 16%; assegno per l’assistenza personale continuativa; integrazione della rendita; rimborso spese per farmaci e rimborso viaggio e soggiorno per cure termali e soggiorni climatici;
• prestazioni sanitarie: prime cure ambulatoriali e accertamenti medico-legali;
• prestazioni protesiche con fornitura di protesi, ortesi e ausili;
• prestazioni riabilitative.
Gli studenti non hanno diritto all’indennità per inabilità temporanea assoluta (11), a meno che non siano studenti lavoratori.
La rendita si calcola su retribuzioni convenzionali fissate con decreto ministeriale (12).
Denuncia dell’evento L’obbligo di effettuare le denunce di infortunio sul lavoro e di malattia professionale degli studenti impegnati in progetti di alternanza scuola-lavoro ricade sul dirigente scolastico, salvo che sia diversamente stabilito in ambito convenzionale.
Conseguentemente, l’assicurato è tenuto a comunicare l’infortunio occorsogli – o a denunciare la malattia professionale – al suddetto soggetto.
Nel caso in cui l’assicurato dia notizia dell’infortunio o della malattia professionale esclusivamente al soggetto ospitante, quest’ultimo dovrà notificare al dirigente scolastico l’evento occorso allo studente al fine di assicurare la dovuta immediatezza alla comunicazione delle assenze per infortunio o per malattia professionale, consentendo al soggetto obbligato di effettuare le relative denunce entro i termini di legge (13).
Il Direttore generale
f.to Giuseppe Lucibello
_____________
1 Cfr art.1 d.lgs. 15 aprile 2005, n.77.
2 Cfr art.3, commi da 33 a 43 legge 13 luglio 2015, n.107.
3 L’articolo di cui alla precedente nota stabilisce un monte ore obbligatorio da attivare in alternanza scuola lavoro che, dall’anno scolastico 2015/2016, coinvolge a partire dalle classi terze, tutti gli studenti del secondo ciclo di istruzione, prevedendo almeno 200 ore nei licei e almeno 400 ore negli Istituti tecnici e professionali. L’alternanza può essere svolta sia all’interno del monte ore annuale delle lezioni, sia durante la sospensione delle attività didattiche e si può realizzare anche all’estero, secondo le modalità organizzative affidate all’autonomia delle istituzioni scolastiche.
4 Cfr art. 3, comma 33, legge 13 luglio 2015, n.107.
5 Gli studenti sono assicurati esclusivamente per gli infortuni che accadono nel corso delle suddette attività, in quanto la loro assicurazione, a differenza di quella propria dei lavoratori dipendenti e retribuiti, è limitata allo specifico rischio per il quale sono assicurati.
6 Cfr circolare Inail 28/2003.
7 Il premio speciale annuale a persona varia proporzionalmente a norma dell’articolo 116 del T.U., ovvero secondo la rivalutazione delle rendite erogate dall’Istituto.
8 Cfr artt.127 e 190 T.U. e decreto ministeriale del 10 ottobre 1985. Per le scuole e gli istituti statali inseriti nella Gestione per conto dello Stato la tutela non comporta l’obbligo di versare il premio, ma solo di rimborsare all’Inail gli importi delle prestazioni erogate dall’Istituto alle persone infortunate e tecnopatiche, le spese dovute per accertamenti medico-legali e per prestazioni integrative, nonché un’aliquota per le spese generali di amministrazione.
9 Cfr circolari Inail nn. 28/2003, 79/2004, 19/2006.
10 Cfr circolare Inail 28/2003.
11 Cfr art.30, ultimo comma, d.p.r 1124/1965
12 Cfr circolare Inail 38/2015
13 Cfr circolare Inail 10/2016 “Decreto legislativo 14 settembre 2015, n.151. Articolo 21, commi 1, lettere b), c), d), e), f), 2 e 3. Modifiche agli articoli 53, 54, 56, 139, 238, 251 d.p.r. 1124/1965.”
Prot n. 3602/P0
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per l’Istruzione
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione
Roma, 4 luglio 2008
Oggetto: D.P.R. n. 235 del 21 novembre 2007 - Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria
Nella Gazzetta n. 293 del 18.12.2007 è stato pubblicato il D.P.R n. 235 del 21 novembre 2007 - Regolamento che apporta modifiche ed integrazioni al D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria.
PREMESSA
I fatti di cronaca che hanno interessato la scuola, negli ultimi anni, dalla trasgressione delle comuni regole di convivenza sociale agli episodi più gravi di violenza e bullismo hanno determinato l’opportunità di integrare e migliorare lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti, approvato con DPR n. 249/1998. La scuola, infatti, quale luogo di crescita civile e culturale della persona, rappresenta, insieme alla famiglia, la risorsa più idonea ad arginare il rischio del dilagare di un fenomeno di caduta progressiva sia della cultura dell’osservanza delle regole sia della consapevolezza che la libertà personale si realizza nel rispetto degli altrui diritti e nell’adempimento dei propri doveri.
Il compito della scuola, pertanto, è quello di far acquisire non solo competenze, ma anche valori da trasmettere per formare cittadini che abbiano senso di identità, appartenenza e responsabilità .
Al raggiungimento di tale obiettivo è chiamata l’autonomia scolastica, che consente alle singole istituzioni scolastiche di programmare e condividere con gli studenti, con le famiglie, con le altre componenti scolastiche e le istituzioni del territorio, il percorso educativo da seguire per la crescita umana e civile dei giovani.
Ed infatti obiettivo delle norme introdotte con il regolamento in oggetto, non è solo la previsione di sanzioni più rigide e più adeguate a rispondere a fatti di gravità eccezionale quanto, piuttosto la realizzazione di un’alleanza educativa tra famiglie, studenti ed operatori scolastici, dove le parti assumano impegni e responsabilità e possano condividere regole e percorsi di crescita degli studenti.
Con le recenti modifiche non si è voluto quindi stravolgere l’impianto culturale e normativo che sta alla base dello Statuto delle studentesse e degli studenti e che rappresenta, ancora oggi, uno strumento fondamentale per l’affermazione di una cultura dei diritti e dei doveri tra le giovani generazioni di studenti. Tuttavia, a distanza di quasi dieci anni dalla sua emanazione, dopo aver sentito le osservazioni e le proposte delle rappresentanze degli studenti e dei genitori, si è ritenuto necessario apportare delle modifiche alle norme che riguardano le sanzioni disciplinari (art. 4) e le relative impugnazioni (art. 5).
In particolare, anche di fronte al diffondersi nelle comunità scolastiche di fenomeni, talvolta gravissimi, di violenza, di bullismo o comunque di offesa alla dignità ed al rispetto della persona umana, si è inteso introdurre un apparato normativo che consenta alla comunità educante di rispondere ai fatti sopra citati con maggiore severità sanzionatoria.
Si è infatti voluto offrire alle scuole la possibilità di sanzionare con la dovuta severità, secondo un criterio di gradualità e di proporzionalità, quegli episodi disciplinari che, pur rappresentando un’esigua minoranza rispetto alla totalità dei comportamenti aventi rilevanza disciplinare, risultano particolarmente odiosi ed intollerabili, soprattutto se consumati all’interno dell’istituzione pubblica preposta all’educazione dei giovani. La scuola deve poter avere gli strumenti concreti di carattere sia educativo che sanzionatorio per far comprendere ai giovani la gravità ed il profondo disvalore sociale di atti o comportamenti di violenza, di sopraffazione nei confronti di coetanei disabili, portatori di handicap o, comunque, che si trovino in una situazione di difficoltà. Comportamenti che, come afferma chiaramente la norma, configurino delle fattispecie di reati che violano la dignità ed il rispetto della persona umana o che mettano in pericolo l’incolumità delle persone e che, al contempo, nei casi più gravi, siano caratterizzati dalla circostanza di essere stati ripetuti dalla stessa persona, nonostante per fatti analoghi fosse già stato sanzionato, e che quindi siano connotati da una particolare gravità tale da ingenerare un elevato allarme sociale nell’ambito della comunità scolastica. Di fronte a tali situazioni, che la norma descrive in via generale, la scuola deve poter rispondere con fermezza ed autorevolezza al fine di svolgere pienamente il suo ruolo educativo e, al tempo stesso, di prevenire il verificarsi dei predetti fatti.
I comportamenti riprovevoli, e connotati da un altissimo grado di disvalore sociale, non possono essere trattati al pari delle comuni infrazioni disciplinari, ma devono poter essere sanzionati con maggiore rigore e severità, secondo un principio di proporzionalità tra la sanzione irrogabile e l’infrazione disciplinare commessa.
L’inasprimento delle sanzioni, per i gravi o gravissimi episodi sopra citati, si inserisce infatti in un quadro più generale di educazione alla cultura della legalità intesa come rispetto della persona umana e delle regole poste a fondamento della convivenza sociale.
CONTENUTO DEI REGOLAMENTI D’ISTITUTO
Occorre innanzitutto premettere che destinatari delle norme contenute nello Statuto delle Studentesse e degli Studenti sono gli alunni delle scuole secondarie di 1° e 2° grado. Per gli alunni della scuola elementare risulta ancora vigente il Regio Decreto 26 aprile 1928, n. 1297, salvo che con riferimento alle disposizioni da ritenersi abrogate per incompatibilità con la disciplina successivamente intervenuta. Le disposizioni così sopravvissute devono poi essere comunque “attualizzate” tramite la contestuale applicazione delle regole generali sull’azione amministrativa derivanti dalla L. n 241/1990, come più avanti si ricorderanno.
La legge n. 241/1990, che detta norme sul procedimento amministrativo, costituisce comunque il quadro di riferimento di carattere generale per gli aspetti procedimentali dell’azione disciplinare nei confronti degli studenti.
Il D.P.R. in oggetto apporta sostanziali novità in materia di disciplina, con specifico riferimento alle infrazioni disciplinari, alle sanzioni applicabili e all’impugnazione di quest’ultime.
Le modifiche introdotte impongono alle singole istituzioni scolastiche di adeguare ad esse i regolamenti interni.
Appare necessario, a seguito delle modifiche introdotte dal D.P.R. in oggetto, ricapitolare i contenuti dei regolamenti d’istituto in tema di disciplina, come risultanti unitariamente dalle vecchie e dalle nuove norme.
Detti regolamenti dovranno individuare:
* * *
La sanzione disciplinare, inoltre, deve specificare in maniera chiara le motivazioni che hanno reso necessaria l’irrogazione della stessa (art. 3 L. 241/1990) . Più la sanzione è grave e più sarà necessario il rigore motivazionale, anche al fine di dar conto del rispetto del principio di proporzionalità e di gradualità della sanzione medesima.IL MINISTRO
F.to Maria Stella Gelmini
Alle Pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001
1. Premessa. La rilevanza della formazione universitaria nelle pubbliche amministrazioni
Recentemente sono pervenute al Dipartimento della funzione pubblica numerose richieste di chiarimento in materia di permessi e congedi per diritto allo studio, soprattutto a seguito della sempre più ampia diffusione di corsi organizzati dalle università telematiche. Si ritiene pertanto opportuno fornire alcuni chiarimenti sull'argomento.
Nel delicato momento sociale ed economico che il Paese sta attraversando, che pretende l'intervento di incisive riforme, è richiesto anche alle pubbliche amministrazioni di porre in essere iniziative che agevolino un rapido ed efficace adattamento dell'organizzazione alle nuove condizioni. I vertici amministrativi, i dirigenti ed i funzionari sono chiamati ad un pronto e paziente lavoro di adeguamento dell'organizzazione e delle linee di attività rispetto all'assetto normativo ed alla realtà economica sempre in movimento. In questo quadro generale assume un grande rilievo l'acquisizione, attraverso la formazione e l'aggiornamento continuo, di strumenti culturali e professionali atti ad aumentare la capacità dell'organizzazione di fornire risposte tempestive e flessibili rispetto al cambiamento.
In tale prospettiva, un indubbio strumento da valorizzare per coloro che lavorano nell'amministrazione è costituito dalla formazione universitaria. L'importanza di questa formazione è accresciuta oggi dalla considerazione che le progressioni economiche e professionali attuate nel corso degli ultimi anni, se da un lato hanno contribuito a dare un riconoscimento alla professionalità maturata dai dipendenti nel corso della vita lavorativa all'interno delle amministrazioni, hanno però anche prodotto degli squilibri, portando personale spesso privo di formazione universitaria a ricoprire posizioni professionali elevate, l'accesso dall'esterno alle quali è invece riservato a soggetti in possesso di titolo di studio universitario. Inoltre, come noto, il possesso di titoli accademici è rilevante sia per l'accesso dall'esterno nella pubblica amministrazione (ad es. per l'accesso alla qualifica di dirigente e alla posizione di funzionario, per il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti estranei all'amministrazione o non muniti della qualifica di dirigente, per la partecipazione al concorso per le carriere prefettizia e diplomatica) sia per lo sviluppo professionale al suo interno (nell'ambito delle procedure di progressione economica o per il conferimento di incarichi a funzionari apicali). Quindi, soprattutto in un momento caratterizzato dal contenimento dei costi e dall'imposizione di rigidi tetti anche all'ammontare della spesa per formazione (art. 6, comma 13, D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), è importante che - nei limiti del buon andamento e dell'efficienza dell'organizzazione - i dipendenti interessati siano messi nelle condizioni di seguire i corsi e di fruire delle agevolazioni che l'ordinamento prevede allo scopo. Peraltro, anche nell'ottica dell'efficienza dell'amministrazione, sono ormai disponibili e diffusi i sistemi di apprendimento a distanza e, soprattutto in relazione alle possibilità di accesso alle risorse di apprendimento per le persone disabili ed i lavoratori, l'Unione europea, nell'ultimo decennio, ha incoraggiato gli Stati membri a sperimentare nuovi metodi e approcci di apprendimento, che favorissero l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni nei sistemi di istruzione e formazione. In particolare, gli sforzi, anche di finanziamento, dell'UE sono stati rivolti a supportare, nell'ambito delle iniziative di formazione a distanza, il settore universitario. In questo contesto, già da tempo le "università telematiche" sono state regolamentate anche nell'ordinamento italiano, accordando alle istituzioni che rispondono a determinati requisiti l'abilitazione a rilasciare titoli accademici (D.M. 17 aprile 2003 del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze).
2. Le agevolazioni per i pubblici dipendenti in relazione al diritto allo studio
La legge, i contratti collettivi e gli accordi negoziali prevedono una serie di agevolazioni per il diritto allo studio, che si aggiungono agli altri ordinari permessi e congedi pure utilizzabili allo scopo. Considerato che le esigenze di crescita culturale e professionale dei dipendenti debbono essere contemperate con la necessità attuale di buon andamento, è chiaro che anche la disciplina dei permessi per il diritto allo studio deve prevedere limiti e condizioni di fruizione in funzione delle esigenze amministrative. Tra gli istituti utilizzabili allo scopo si rammentano:
- i congedi per la formazione, previsti dall'art. 5 della L. n. 53 del 2000 e nei CCNL, utilizzabili anche per il conseguimento di titoli universitari o per la partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro, che possono essere accordati secondo le condizioni stabilite nei CCNL e negli accordi collettivi ai lavoratori con anzianità di servizio di almeno 5 anni per un massimo di undici mesi nell'arco della vita lavorativa; durante il periodo di congedo il dipendente conserva il posto di lavoro e non ha diritto alla retribuzione;
- 150 ore di permessi retribuiti all'anno riconosciuti secondo le previsioni dei CCNL - nel limite del 3% del personale in servizio ciascun anno nell'amministrazione - per la partecipazione ai corsi anche universitari e postuniversitari che si svolgono durante l'orario di lavoro;
- agevolazioni relative all'orario di lavoro, secondo la disciplina contenuta nei CCNL, in quanto il personale interessato ai corsi ha diritto all'assegnazione a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi stessi e la preparazione agli esami e non può essere obbligato a prestazioni di lavoro straordinario né al lavoro nei giorni festivi o di riposo settimanale;
- 8 giorni l'anno di permesso retribuito per la partecipazione agli esami, previsti dai CCNL di comparto;
- l'aspettativa per il conseguimento del dottorato di ricerca, accordata secondo la disciplina contenuta nell'art. 2 della L. n. 476 del 1984, come modificata dalla L. n. 240 del 2010 e dal D.Lgs. n. 119 del 2011.
Per quanto riguarda quest'ultimo congedo, si segnala che la disciplina è stata modificata ad opera di due recenti provvedimenti normativi. In particolare, con la L. n. 240 del 2010 (c.d. legge Gelmini) è stato previsto in maniera innovativa che il collocamento in aspettativa del dipendente avviene "compatibilmente con le esigenze dell'amministrazione", accordando così all'interessato una posizione giuridica soggettiva condizionata, la cui realizzazione è subordinata alle esigenze di buon andamento. Inoltre, sempre al fine di non pregiudicare l'organizzazione e l'azione dell'amministrazione (soprattutto nell'attuale momento storico, caratterizzato da forti limitazioni all'acquisizione di nuove risorse umane) evitando anche di limitare la fruizione dell'aspettativa ad una ristretta cerchia di interessati, il diritto al congedo non è riconosciuto a coloro che hanno già conseguito il titolo di dottore di ricerca e a coloro che sono stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico beneficiando del congedo senza aver poi conseguito il titolo. Con l'art. 5 del D.Lgs. n. 119 del 2011 (attuativo della delega conferita al Governo con l'art. 23 della L. n. 183 del 2010 per il riordino della normativa in materia di congedi aspettative e permessi), è stato poi chiarito che la ripetizione degli importi corrisposti al dipendente in aspettativa retribuita (nel caso in cui vi sia stata questa opzione da parte dell'interessato) è dovuta solo se il dipendente cessa da qualsiasi rapporto di lavoro o di impiego con l'amministrazione pubblica, mentre nessuna ripetizione è prevista nel caso di passaggio per mobilità o vincita di concorso presso altra amministrazione. La motivazione di questa esplicita disciplina risiede nella consapevolezza del valore dell'accrescimento culturale e professionale che di regola consegue al dottorato, valore che non è e non può essere limitato alla singola istituzione di appartenenza, ma è riferito all'intero apparato pubblico che si arricchisce nel suo complesso di professionalità. Lo stesso D.Lgs. n. 119 del 2011 ha poi chiarito esplicitamente che il nuovo regime dell'aspettativa per dottorato di ricerca riguarda anche il personale soggetto all'ambito applicativo del D.Lgs. n. 165 del 2001, per il quale era intervenuta la disciplina da parte dei CCNL di comparto.
Per quanto riguarda la disciplina dei permessi retribuiti di 150 ore, il relativo regime è contenuto nei CCNL e negli accordi collettivi (es.: art. 13, CCNL 16 maggio 2001 comparto ministeri, art. 9, CCNL 14 febbraio 2001 comparto enti pubblici non economici, art. 15, CCNL 14 settembre 2000 comparto regioni ed autonomie locali, art. 78, D.P.R. n. 782 del 1985 per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e ad ordinamento militare), che stabiliscono la tipologia di corsi per i quali i permessi possono essere fruiti, le condizioni per la concessione e il contingente massimo di personale che può fruirne, con l'individuazione dei criteri di priorità per il caso di domande eccedenti rispetto alla disponibilità del contingente. In proposito, per rispondere ad alcuni quesiti in materia, con riferimento al personale c.d. di prestito, considerato che il limite percentuale è individuato in base al personale in servizio a tempo indeterminato presso ciascun ente all'inizio di ciascun anno e che la fruizione del permesso e l'esercizio dei diritti connessi produce effetti sull'organizzazione dell'attività di ufficio, la gestione dell'istituto spetta all'amministrazione presso cui il personale è in comando. Giova inoltre rammentare che in base alle clausole negoziali, le ore di permesso possono essere utilizzate per la partecipazione alle attività didattiche o per sostenere gli esami che si svolgano durante l'orario di lavoro, mentre non spettano per l'attività di studio. Questo orientamento applicativo, oltre che dal tenore delle clausole, è confermato dall'orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. lav. n. 10344/2008) e dell'ARAN. Un aspetto particolarmente discusso è quello relativo alla possibilità di fruizione del permesso da parte dei dipendenti iscritti alle università telematiche. In proposito, anche alla luce di quanto precisato dall'ARAN in più di un'occasione, è bene sottolineare che le clausole nel disciplinare le agevolazioni non contengono specifiche previsioni sui corsi tenuti dalle università telematiche e, pertanto, la relativa disciplina deve intendersi di carattere generale, non rinvenendosi in astratto preclusioni alla fruizione del permesso da parte dei dipendenti iscritti alle università telematiche. È chiaro in ogni caso che tale fruizione deve avvenire nel rispetto delle condizioni fissate dalle clausole medesime, per cui essa risulta subordinata alla presentazione della documentazione relativa all'iscrizione e agli esami sostenuti, nonché all'attestazione della partecipazione personale del dipendente alle lezioni. In quest'ultimo caso i dipendenti iscritti alle università telematiche dovranno certificare l'avvenuto collegamento all'università telematica durante l'orario di lavoro.
Il Ministro
Brunetta
1. L'autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel processo di realizzazione della autonomia e della riorganizzazione dell'intero sistema formativo. Ai fini della realizzazione della autonomia delle istituzioni scolastiche le funzioni dell'Amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione in materia di gestione del servizio di istruzione, fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio nonché gli elementi comuni all'intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione e programmazione definiti dallo Stato, sono progressivamente attribuite alle istituzioni scolastiche, attuando a tal fine anche l'estensione ai circoli didattici, alle scuole medie, alle scuole e agli istituti di istruzione secondaria, della personalità giuridica degli istituti tecnici e professionali e degli istituti d'arte ed ampliando l'autonomia per tutte le tipologie degli istituti di istruzione, anche in deroga alle norme vigenti in materia di contabilità dello Stato. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli istituti educativi, tenuto conto delle loro specificità ordinamentali.
2. Ai fini di quanto previsto nel comma 1, si provvede con uno o più regolamenti da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 , nel termine di nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei criteri generali e princìpi direttivi contenuti nei commi 3, 4, 5, 7, 8, 9, 10 e 11 del presente articolo. Sugli schemi di regolamento è acquisito, anche contemporaneamente al parere del Consiglio di Stato, il parere delle competenti Commissioni parlamentari. Decorsi sessanta giorni dalla richiesta di parere alle Commissioni, i regolamenti possono essere comunque emanati. Con i regolamenti predetti sono dettate disposizioni per armonizzare le norme di cui all'articolo 355 del testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 , con quelle della presente legge.
3. I requisiti dimensionali ottimali per l'attribuzione della personalità giuridica e dell'autonomia alle istituzioni scolastiche di cui al comma 1, anche tra loro unificate nell'ottica di garantire agli utenti una più agevole fruizione del servizio di istruzione, e le deroghe dimensionali in relazione a particolari situazioni territoriali o ambientali sono individuati in rapporto alle esigenze e alla varietà delle situazioni locali e alla tipologia dei settori di istruzione compresi nell'istituzione scolastica. Le deroghe dimensionali saranno automaticamente concesse nelle province il cui territorio è per almeno un terzo montano, in cui le condizioni di viabilità statale e provinciale siano disagevoli e in cui vi sia una dispersione e rarefazione di insediamenti abitativi.
4. La personalità giuridica e l'autonomia sono attribuite alle istituzioni scolastiche di cui al comma 1 a mano a mano che raggiungono i requisiti dimensionali di cui al comma 3 attraverso piani di dimensionamento della rete scolastica, e comunque non oltre il 31 dicembre 2000 contestualmente alla gestione di tutte le funzioni amministrative che per loro natura possono essere esercitate dalle istituzioni autonome. In ogni caso il passaggio al nuovo regime di autonomia sarà accompagnato da apposite iniziative di formazione del personale, da una analisi delle realtà territoriali, sociali ed economiche delle singole istituzioni scolastiche per l'adozione dei conseguenti interventi perequativi e sarà realizzato secondo criteri di gradualità che valorizzino le capacità di iniziativa delle istituzioni stesse.
5. La dotazione finanziaria essenziale delle istituzioni scolastiche già in possesso di personalità giuridica e di quelle che l'acquistano ai sensi del comma 4 è costituita dall'assegnazione dello Stato per il funzionamento amministrativo e didattico, che si suddivide in assegnazione ordinaria e assegnazione perequativa. Tale dotazione finanziaria è attribuita senza altro vincolo di destinazione che quello dell'utilizzazione prioritaria per lo svolgimento delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento proprie di ciascuna tipologia e di ciascun indirizzo di scuola. L'attribuzione senza vincoli di destinazione comporta l'utilizzabilità della dotazione finanziaria, indifferentemente, per spese in conto capitale e di parte corrente, con possibilità di variare le destinazioni in corso d'anno. Con decreto del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentito il parere delle commissioni parlamentari competenti, sono individuati i parametri per la definizione della dotazione finanziaria ordinaria delle scuole. Detta dotazione ordinaria è stabilita in misura tale da consentire l'acquisizione da parte delle istituzioni scolastiche dei beni di consumo e strumentali necessari a garantire l'efficacia del processo di insegnamento-apprendimento nei vari gradi e tipologie dell'istruzione. La stessa dotazione ordinaria, nella quale possono confluire anche i finanziamenti attualmente allocati in capitoli diversi da quelli intitolati al funzionamento amministrativo e didattico, è spesa obbligatoria ed è rivalutata annualmente sulla base del tasso di inflazione programmata. In sede di prima determinazione, la dotazione perequativa è costituita dalle disponibilità finanziarie residue sui capitoli di bilancio riferiti alle istituzioni scolastiche non assorbite dalla dotazione ordinaria. La dotazione perequativa è rideterminata annualmente sulla base del tasso di inflazione programmata e di parametri socio-economici e ambientali individuati di concerto dai Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentito il parere delle commissioni parlamentari competenti.
6. Sono abrogate le disposizioni che prevedono autorizzazioni preventive per l'accettazione di donazioni, eredità e legati da parte delle istituzioni scolastiche, ivi compresi gli istituti superiori di istruzione artistica, delle fondazioni o altre istituzioni aventi finalità di educazione o di assistenza scolastica. Sono fatte salve le vigenti disposizioni di legge o di regolamento in materia di avviso ai successibili. Sui cespiti ereditari e su quelli ricevuti per donazione non sono dovute le imposte in vigore per le successioni e le donazioni.
7. Le istituzioni scolastiche che abbiano conseguito personalità giuridica e autonomia ai sensi del comma 1 e le istituzioni scolastiche già dotate di personalità e autonomia, previa realizzazione anche per queste ultime delle operazioni di dimensionamento di cui al comma 4, hanno autonomia organizzativa e didattica, nel rispetto degli obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale.
8. L'autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell'efficienza e dell'efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all'introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale. Essa si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell'unitarietà del gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali, fermi restando i giorni di attività didattica annuale previsti a livello nazionale, la distribuzione dell'attività didattica in non meno di cinque giorni settimanali, il rispetto dei complessivi obblighi annuali di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi che possono essere assolti invece che in cinque giorni settimanali anche sulla base di un'apposita programmazione plurisettimanale.
9. L'autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del diritto ad apprendere. Essa si sostanzia nella scelta libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento, da adottare nel rispetto della possibile pluralità di opzioni metodologiche, e in ogni iniziativa che sia espressione di libertà progettuale, compresa l'eventuale offerta di insegnamenti opzionali, facoltativi o aggiuntivi e nel rispetto delle esigenze formative degli studenti. A tal fine, sulla base di quanto disposto dall'articolo 1, comma 71, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 , sono definiti criteri per la determinazione degli organici funzionali di istituto, fermi restando il monte annuale orario complessivo previsto per ciascun curriculum e quello previsto per ciascuna delle discipline ed attività indicate come fondamentali di ciascun tipo o indirizzo di studi e l'obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi.
10. Nell'esercizio dell'autonomia organizzativa e didattica le istituzioni scolastiche realizzano, sia singolarmente che in forme consorziate, ampliamenti dell'offerta formativa che prevedano anche percorsi formativi per gli adulti, iniziative di prevenzione dell'abbandono e della dispersione scolastica, iniziative di utilizzazione delle strutture e delle tecnologie anche in orari extrascolastici e a fini di raccordo con il mondo del lavoro, iniziative di partecipazione a programmi nazionali, regionali o comunitari e, nell'ambito di accordi tra le regioni e l'amministrazione scolastica, percorsi integrati tra diversi sistemi formativi. Le istituzioni scolastiche autonome hanno anche autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo nei limiti del proficuo esercizio dell'autonomia didattica e organizzativa. Gli istituti regionali di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi, il Centro europeo dell'educazione, la Biblioteca di documentazione pedagogica e le scuole ed istituti a carattere atipico di cui alla parte I, titolo II, capo III, del testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sono riformati come enti finalizzati al supporto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche autonome.
11. Con regolamento adottato ai sensi del comma 2 sono altresì attribuite la personalità giuridica e l'autonomia alle Accademie di belle arti, agli Istituti superiori per le industrie artistiche, ai Conservatori di musica, alle Accademie nazionali di arte drammatica e di danza, secondo i princìpi contenuti nei commi 8, 9 e 10 e con gli adattamenti resi necessari dalle specificità proprie di tali istituzioni.
12. Le università e le istituzioni scolastiche possono stipulare convenzioni allo scopo di favorire attività di aggiornamento, di ricerca e di orientamento scolastico e universitario.
13. Con effetto dalla data di entrata in vigore delle norme regolamentari di cui ai commi 2 e 11 sono abrogate le disposizioni vigenti con esse incompatibili, la cui ricognizione è affidata ai regolamenti stessi. [(1)].
14. Con decreto del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro del tesoro, sono emanate le istruzioni generali per l'autonoma allocazione delle risorse, per la formazione dei bilanci, per la gestione delle risorse ivi iscritte e per la scelta dell'affidamento dei servizi di tesoreria o di cassa, nonché per le modalità del riscontro delle gestioni delle istituzioni scolastiche, anche in attuazione dei princìpi contenuti nei regolamenti di cui al comma 2. È abrogato il comma 9 dell'articolo 4 della legge 24 dicembre 1993, n. 537.
15. Entro il 30 giugno 1999 il Governo è delegato ad emanare un decreto legislativo di riforma degli organi collegiali della pubblica istruzione di livello nazionale e periferico che tenga conto della specificità del settore scolastico, valorizzando l'autonomo apporto delle diverse componenti e delle minoranze linguistiche riconosciute, nonché delle specifiche professionalità e competenze, nel rispetto dei seguenti criteri:
a) armonizzazione della composizione, dell'organizzazione e delle funzioni dei nuovi organi con le competenze dell'amministrazione centrale e periferica come ridefinita a norma degli articoli 12 e 13 nonché con quelle delle istituzioni scolastiche autonome;
b) razionalizzazione degli organi a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera p);
c) eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali, secondo quanto previsto dall'articolo 12, comma 1, lettera g);
d) valorizzazione del collegamento con le comunità locali a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera i);
e) attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 59 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 , e successive modificazioni, nella salvaguardia del principio della libertà di insegnamento.
16. Nel rispetto del principio della libertà di insegnamento e in connessione con l'individuazione di nuove figure professionali del personale docente, ferma restando l'unicità della funzione, ai capi d'istituto è conferita la qualifica dirigenziale contestualmente all'acquisto della personalità giuridica e dell'autonomia da parte delle singole istituzioni scolastiche. I contenuti e le specificità della qualifica dirigenziale sono individuati con decreto legislativo integrativo delle disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 , e successive modificazioni, da emanare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei seguenti criteri:
a) l'affidamento, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, di autonomi compiti di direzione, di coordinamento e valorizzazione delle risorse umane, di gestione di risorse finanziarie e strumentali, con connesse responsabilità in ordine ai risultati;
b) il raccordo tra i compiti previsti dalla lettera a) e l'organizzazione e le attribuzioni dell'amministrazione scolastica periferica, come ridefinite ai sensi dell'articolo 13, comma 1;
c) la revisione del sistema di reclutamento, riservato al personale docente con adeguata anzianità di servizio, in armonia con le modalità previste dall'articolo 28 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 ;
d) l'attribuzione della dirigenza ai capi d'istituto attualmente in servizio, assegnati ad una istituzione scolastica autonoma, che frequentino un apposito corso di formazione.
17. Il rapporto di lavoro dei dirigenti scolastici sarà disciplinato in sede di contrattazione collettiva del comparto scuola, articolato in autonome aree.
18. Nell'emanazione del regolamento di cui all'articolo 13 la riforma degli uffici periferici del Ministero della pubblica istruzione è realizzata armonizzando e coordinando i compiti e le funzioni amministrative attribuiti alle regioni ed agli enti locali anche in materia di programmazione e riorganizzazione della rete scolastica.
19. Il Ministro della pubblica istruzione presenta ogni quattro anni al Parlamento, a decorrere dall'inizio dell'attuazione dell'autonomia prevista nel presente articolo, una relazione sui risultati conseguiti, anche al fine di apportare eventuali modifiche normative che si rendano necessarie.
20. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con propria legge la materia di cui al presente articolo nel rispetto e nei limiti dei propri statuti e delle relative norme di attuazione.
20-bis. Con la stessa legge regionale di cui al comma 20 la regione Valle d'Aosta stabilisce tipologia, modalità di svolgimento e di certificazione di una quarta prova scritta di lingua francese, in aggiunta alle altre prove scritte previste dalla legge 10 dicembre 1997, n. 425. Le modalità e i criteri di valutazione delle prove d'esame sono definiti nell'ambito dell'apposito regolamento attuativo, d'intesa con la regione Valle d'Aosta. È abrogato il comma 5 dell'articolo 3 della legge 10 dicembre 1997, n. 425.
(1) Periodo soppresso dall'art. 1, L. 24 novembre 2000, n. 340 con effetto a decorrere dal 9 dicembre 2000.
Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169.
(G.U. 19 agosto 2009, n. 191)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 33,87 e 117 della Costituzione;
Visto l'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni;
Visto il decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, che agli articoli 1, 2 e 3 ha dettato norme in materia di acquisizione delle conoscenze e delle competenze relative a «Cittadinanza e Costituzione», di valutazione del comportamento e degli apprendimenti degli alunni;
Visto in particolare l'articolo 3, comma 5, del predetto decreto, che ha previsto l'emanazione di un regolamento per il coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli studenti, prevedendo eventuali ulteriori modalità applicative delle norme stesse, tenendo conto anche dei disturbi specifici di apprendimento e della disabilità degli alunni;
Visto il testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni;
Vista la legge 10 dicembre 1997, n. 425, recante disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado, come modificata dalla legge 11 gennaio 2007, n. 1;
Visto il decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, concernente la definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo di istruzione, e successive modificazioni, ed in particolare gli articoli 4, 8 e 11;
Visto il decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, relativo alle norme generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione;
Visto il decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, ed in particolare gli articoli 3, comma 3, e 6, concernenti la certificazione dei crediti nei percorsi di alternanza scuola-lavoro;
Visto il decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, concernente norme generali e livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, ed in particolare gli articoli 1 e 13;
Vista la legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, ed in particolare l'articolo 1, comma 622, che detta norme in materia di obbligo d'istruzione;
Visto il decreto-legge 7 settembre 2007, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2007, n. 176, e in particolare l'articolo 1, comma 4, concernente il giudizio di ammissione e la prova nazionale per l'esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione;
Visto il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ed in particolare l'articolo 64, concernente le disposizioni in materia di organizzazione scolastica;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 21 novembre 2007, n. 235, concernente lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, n. 323, concernente regolamento recante disciplina degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, concernente regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ed in particolare gli articoli 4, 6, 8 e 10;
Visto il decreto del Ministro della pubblica istruzione 22 agosto 2007, n. 139, concernente regolamento recante norme in materia di adempimento dell'obbligo di istruzione;
Visto il decreto del Ministro della pubblica istruzione in data 3 ottobre 2007, concernente attività finalizzate al recupero dei debiti formativi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 30 novembre 2007;
Visto il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 16 gennaio 2009, n. 5, concernente criteri e modalità applicative della valutazione del comportamento degli alunni delle scuole secondarie di primo e di secondo grado;
Considerata la raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio 18 dicembre 2006 relativa alle competenze chiave per l'apprendimento permanente (2006/962/CE);
Considerata la raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente (EQF);
Considerata la decisione n. 2241/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, relativa ad un quadro comunitario unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze (Europass);
Considerato l'articolo 24 della Convenzione universale sui diritti delle persone con disabilità;
Sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione nella adunanza plenaria del 17 dicembre 2008;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 13 marzo 2009;
Udito il parere del Consiglio di Stato espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 6 aprile 2009;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 maggio 2009;
Sulla proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
E m a n a
il seguente regolamento:
Art. 1. Oggetto del regolamento - finalità e caratteri della valutazione
1. Il presente regolamento provvede al coordinamento delle disposizioni concernenti la valutazione degli alunni, tenendo conto anche dei disturbi specifici di apprendimento e della disabilità degli alunni, ed enuclea le modalità applicative della disciplina regolante la materia secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 5, del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, di seguito indicato: «decreto-legge».
2. La valutazione è espressione dell'autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché dell'autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Ogni alunno ha diritto ad una valutazione trasparente e tempestiva, secondo quanto previsto dall'articolo 2, comma 4, terzo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni.
3. La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni. La valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l'individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo, anche in coerenza con l'obiettivo dell'apprendimento permanente di cui alla «Strategia di Lisbona nel settore dell'istruzione e della formazione», adottata dal Consiglio europeo con raccomandazione del 23 e 24 marzo 2000.
4. Le verifiche intermedie e le valutazioni periodiche e finali sul rendimento scolastico devono essere coerenti con gli obiettivi di apprendimento previsti dal piano dell'offerta formativa, definito dalle istituzioni scolastiche ai sensi degli articoli 3 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275.
5. Il collegio dei docenti definisce modalità e criteri per assicurare omogeneità, equità e trasparenza della valutazione, nel rispetto del principio della libertà di insegnamento. Detti criteri e modalità fanno parte integrante del piano dell'offerta formativa.
6. Al termine dell'anno conclusivo della scuola primaria, della scuola secondaria di primo grado, dell'adempimento dell'obbligo di istruzione ai sensi dell'articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, nonché al termine del secondo ciclo dell'istruzione, la scuola certifica i livelli di apprendimento raggiunti da ciascun alunno, al fine di sostenere i processi di apprendimento, di favorire l'orientamento per la prosecuzione degli studi, di consentire gli eventuali passaggi tra i diversi percorsi e sistemi formativi e l'inserimento nel mondo del lavoro.
7. Le istituzioni scolastiche assicurano alle famiglie una informazione tempestiva circa il processo di apprendimento e la valutazione degli alunni effettuata nei diversi momenti del percorso scolastico, avvalendosi, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di riservatezza, anche degli strumenti offerti dalle moderne tecnologie.
8. La valutazione nel primo ciclo dell'istruzione è effettuata secondo quanto previsto dagli articoli 8 e 11 del decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, e successive modificazioni, dagli articoli 2 e 3 del decreto-legge, nonché dalle disposizioni del presente regolamento.
9. I minori con cittadinanza non italiana presenti sul territorio nazionale, in quanto soggetti all'obbligo d'istruzione ai sensi dell'articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, sono valutati nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani.
Art. 2. Valutazione degli alunni nel primo ciclo di istruzione
1. La valutazione, periodica e finale, degli apprendimenti è effettuata nella scuola primaria dal docente ovvero collegialmente dai docenti contitolari della classe e, nella scuola secondaria di primo grado, dal consiglio di classe, presieduto dal dirigente scolastico o da suo delegato, con deliberazione assunta, ove necessario, a maggioranza.
2. I voti numerici attribuiti, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge, nella valutazione periodica e finale, sono riportati anche in lettere nei documenti di valutazione degli alunni, adottati dalle istituzioni scolastiche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 14, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275.
3. Nella scuola secondaria di primo grado la valutazione con voto numerico espresso in decimi riguarda anche l'insegnamento dello strumento musicale nei corsi ricondotti ad ordinamento ai sensi dell'articolo 11, comma 9, della legge 3 marzo 1999, n. 124.
4. La valutazione dell'insegnamento della religione cattolica resta disciplinata dall'articolo 309 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, ed è comunque espressa senza attribuzione di voto numerico, fatte salve eventuali modifiche all'intesa di cui al punto 5 del Protocollo addizionale alla legge 25 marzo 1985, n. 121.
5. I docenti di sostegno, contitolari della classe, partecipano alla valutazione di tutti gli alunni, avendo come oggetto del proprio giudizio, relativamente agli alunni disabili, i criteri a norma dell'articolo 314, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Qualora un alunno con disabilità sia affidato a più docenti del sostegno, essi si esprimono con un unico voto. Il personale docente esterno e gli esperti di cui si avvale la scuola, che svolgono attività o insegnamenti per l'ampliamento e il potenziamento dell'offerta formativa, ivi compresi i docenti incaricati delle attività alternative all'insegnamento della religione cattolica, forniscono preventivamente ai docenti della classe elementi conoscitivi sull'interesse manifestato e il profitto raggiunto da ciascun alunno.
6. L'ammissione o la non ammissione alla classe successiva, in sede di scrutinio conclusivo dell'anno scolastico, presieduto dal dirigente scolastico o da un suo delegato, è deliberata secondo le disposizioni di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge.
7. Nel caso in cui l'ammissione alla classe successiva sia comunque deliberata in presenza di carenze relativamente al raggiungimento degli obiettivi di apprendimento, la scuola provvede ad inserire una specifica nota al riguardo nel documento individuale di valutazione di cui al comma 2 ed a trasmettere quest'ultimo alla famiglia dell'alunno.
8. La valutazione del comportamento degli alunni, ai sensi degli articoli 8, comma 1, e 11, comma 2, del decreto legislativo n. 59 del 2004, e successive modificazioni, e dell'articolo 2 del decreto-legge, è espressa:
a) nella scuola primaria dal docente, ovvero collegialmente dai docenti contitolari della classe, attraverso un giudizio, formulato secondo le modalità deliberate dal collegio dei docenti, riportato nel documento di valutazione;
b) nella scuola secondaria di primo grado, con voto numerico espresso collegialmente in decimi ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge; il voto numerico è illustrato con specifica nota e riportato anche in lettere nel documento di valutazione.
9. La valutazione finale degli apprendimenti e del comportamento dell'alunno è riferita a ciascun anno scolastico.
10. Nella scuola secondaria di primo grado, ferma restando la frequenza richiesta dall'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo n. 59 del 2004, e successive modificazioni, ai fini della validità dell'anno scolastico e per la valutazione degli alunni, le motivate deroghe in casi eccezionali, previsti dal medesimo comma 1, sono deliberate dal collegio dei docenti a condizione che le assenze complessive non pregiudichino la possibilità di procedere alla valutazione stessa. L'impossibilità di accedere alla valutazione comporta la non ammissione alla classe successiva o all'esame finale del ciclo. Tali circostanze sono oggetto di preliminare accertamento da parte del consiglio di classe e debitamente verbalizzate.
Art. 3. Esame di Stato conclusivo del primo ciclo dell'istruzione
1. L'ammissione all'esame di Stato conclusivo del primo ciclo e l'esame medesimo restano disciplinati dall'articolo 11, commi 4-bis e 4-ter, del decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, come integrato dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 7 settembre 2007, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2007, n. 176.
2. L'ammissione all'esame di Stato, ai sensi dell'articolo 11, comma 4-bis, del decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, e successive modificazioni, è disposta, previo accertamento della prescritta frequenza ai fini della validità dell'anno scolastico, nei confronti dell'alunno che ha conseguito una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline valutate con l'attribuzione di un unico voto secondo l'ordinamento vigente e un voto di comportamento non inferiore a sei decimi. Il giudizio di idoneità di cui all'articolo 11, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 59 del 2004, e successive modificazioni, è espresso dal consiglio di classe in decimi, considerando il percorso scolastico compiuto dall'allievo nella scuola secondaria di primo grado.
3. L'ammissione dei candidati privatisti è disciplinata dall'articolo 11, comma 6, del decreto legislativo n. 59 del 2004, e successive modificazioni.
4. Alla valutazione conclusiva dell'esame concorre l'esito della prova scritta nazionale di cui all'articolo 11, comma 4-ter, del decreto legislativo n. 59 del 2004, e successive modificazioni. I testi della prova sono scelti dal Ministro tra quelli predisposti annualmente dall'Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione (INVALSI), ai sensi del predetto comma 4-ter.
5. L'esito dell'esame di Stato conclusivo del primo ciclo è espresso secondo le modalità previste dall'articolo 185, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come sostituito dall'articolo 3, comma 3-bis, del decreto-legge.
6. All'esito dell'esame di Stato concorrono gli esiti delle prove scritte e orali, ivi compresa la prova di cui al comma 4, e il giudizio di idoneità di cui al comma 2. Il voto finale è costituito dalla media dei voti in decimi ottenuti nelle singole prove e nel giudizio di idoneità arrotondata all'unità superiore per frazione pari o superiore a 0,5.
7. Per i candidati di cui al comma 3, all'esito dell'esame di Stato e all'attribuzione del voto finale concorrono solo gli esiti delle prove scritte e orali, ivi compresa la prova di cui al comma 4.
8. Ai candidati che conseguono il punteggio di dieci decimi può essere assegnata la lode da parte della commissione esaminatrice con decisione assunta all'unanimità.
9. Gli esiti finali degli esami sono resi pubblici mediante affissione all'albo della scuola, ai sensi dell'articolo 96, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
Art. 4. Valutazione degli alunni nella scuola secondaria di secondo grado
1. La valutazione, periodica e finale, degli apprendimenti è effettuata dal consiglio di classe, formato ai sensi dell'articolo 5 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, e presieduto dal dirigente scolastico o da suo delegato, con deliberazione assunta, ove necessario, a maggioranza. I docenti di sostegno, contitolari della classe, partecipano alla valutazione di tutti gli alunni, avendo come oggetto del proprio giudizio, relativamente agli alunni disabili, i criteri a norma dell'articolo 314, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Qualora un alunno con disabilità sia affidato a più docenti del sostegno, essi si esprimono con un unico voto. Il personale docente esterno e gli esperti di cui si avvale la scuola, che svolgono attività o insegnamenti per l'ampliamento e il potenziamento dell'offerta formativa, ivi compresi i docenti incaricati delle attività alternative all'insegnamento della religione cattolica, forniscono preventivamente ai docenti della classe elementi conoscitivi sull'interesse manifestato e il profitto raggiunto da ciascun alunno.
2. La valutazione periodica e finale del comportamento degli alunni è espressa in decimi ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge. Il voto numerico è riportato anche in lettere nel documento di valutazione. La valutazione del comportamento concorre alla determinazione dei crediti scolastici e dei punteggi utili per beneficiare delle provvidenze in materia di diritto allo studio.
3. La valutazione dell'insegnamento della religione cattolica resta disciplinata dall'articolo 309 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, ed è comunque espressa senza attribuzione di voto numerico, fatte salve eventuali modifiche all'intesa di cui al punto 5 del Protocollo addizionale alla legge 25 marzo 1985, n. 121.
4. I periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro fanno parte integrante dei percorsi formativi personalizzati ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77. La valutazione, la certificazione e il riconoscimento dei crediti relativamente ai percorsi di alternanza scuola-lavoro, ai sensi del predetto decreto legislativo, avvengono secondo le disposizioni di cui all'articolo 6 del medesimo decreto legislativo.
5. Sono ammessi alla classe successiva gli alunni che in sede di scrutinio finale conseguono un voto di comportamento non inferiore a sei decimi e, ai sensi dell'articolo 193, comma 1, secondo periodo, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994, una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline valutate con l'attribuzione di un unico voto secondo l'ordinamento vigente. La valutazione finale degli apprendimenti e del comportamento dell'alunno è riferita a ciascun anno scolastico.
6. Nello scrutinio finale il consiglio di classe sospende il giudizio degli alunni che non hanno conseguito la sufficienza in una o più discipline, senza riportare immediatamente un giudizio di non promozione. A conclusione dello scrutinio, l'esito relativo a tutte le discipline è comunicato alle famiglie. A conclusione degli interventi didattici programmati per il recupero delle carenze rilevate, il consiglio di classe, in sede di integrazione dello scrutinio finale, previo accertamento del recupero delle carenze formative da effettuarsi entro la fine del medesimo anno scolastico e comunque non oltre la data di inizio delle lezioni dell'anno scolastico successivo, procede alla verifica dei risultati conseguiti dall'alunno e alla formulazione del giudizio finale che, in caso di esito positivo, comporta l'ammissione alla frequenza della classe successiva e l'attribuzione del credito scolastico.
Art. 5. Assolvimento dell'obbligo di istruzione
1. L'obbligo di istruzione è assolto secondo quanto previsto dal regolamento adottato con decreto del Ministro della pubblica istruzione 22 agosto 2007, n. 139, nel quadro del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, e al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226.
Art. 6. Ammissione all'esame conclusivo del secondo ciclo dell'istruzione
1. Gli alunni che, nello scrutinio finale, conseguono una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline valutate con l'attribuzione di un unico voto secondo l'ordinamento vigente e un voto di comportamento non inferiore a sei decimi sono ammessi all'esame di Stato.
2. Sono ammessi, a domanda, direttamente agli esami di Stato conclusivi del ciclo gli alunni che hanno riportato, nello scrutinio finale della penultima classe, non meno di otto decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline e non meno di otto decimi nel comportamento, che hanno seguito un regolare corso di studi di istruzione secondaria di secondo grado e che hanno riportato una votazione non inferiore a sette decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline e non inferiore a otto decimi nel comportamento negli scrutini finali dei due anni antecedenti il penultimo, senza essere incorsi in ripetenze nei due anni predetti. Le votazioni suddette non si riferiscono all'insegnamento della religione cattolica.
3. In sede di scrutinio finale il consiglio di classe, cui partecipano tutti i docenti della classe, compresi gli insegnanti di educazione fisica, gli insegnanti tecnico-pratici nelle modalità previste dall'articolo 5, commi 1-bis e 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, i docenti di sostegno, nonché gli insegnanti di religione cattolica limitatamente agli alunni che si avvalgono di quest'ultimo insegnamento, attribuisce il punteggio per il credito scolastico di cui all'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, n. 323, e successive modificazioni.
4. Gli esiti finali degli esami sono resi pubblici mediante affissione all'albo della scuola, ai sensi dell'articolo 96, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
Art. 7. Valutazione del comportamento
1. La valutazione del comportamento degli alunni nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, di cui all'articolo 2 del decreto-legge, si propone di favorire l'acquisizione di una coscienza civile basata sulla consapevolezza che la libertà personale si realizza nell'adempimento dei propri doveri, nella conoscenza e nell'esercizio dei propri diritti, nel rispetto dei diritti altrui e delle regole che governano la convivenza civile in generale e la vita scolastica in particolare. Dette regole si ispirano ai principi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni.
2. La valutazione del comportamento con voto inferiore a sei decimi in sede di scrutinio intermedio o finale è decisa dal consiglio di classe nei confronti dell'alunno cui sia stata precedentemente irrogata una sanzione disciplinare ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni, e al quale si possa attribuire la responsabilità nei contesti di cui al comma 1 dell'articolo 2 del decreto-legge, dei comportamenti:
a) previsti dai commi 9 e 9-bis dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni;
b) che violino i doveri di cui ai commi 1, 2 e 5 dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni.
3. La valutazione del comportamento con voto inferiore a sei decimi deve essere motivata con riferimento ai casi individuati nel comma 2 e deve essere verbalizzata in sede di scrutinio intermedio e finale.
4. Ciascuna istituzione scolastica può autonomamente determinare, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, anche in sede di elaborazione del piano dell'offerta formativa, iniziative finalizzate alla promozione e alla valorizzazione dei comportamenti positivi, alla prevenzione di atteggiamenti negativi, al coinvolgimento attivo dei genitori e degli alunni, tenendo conto di quanto previsto dal regolamento di istituto, dal patto educativo di corresponsabilità di cui all'articolo 5-bis del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni, e dalle specifiche esigenze della comunità scolastica e del territorio. In nessun modo le sanzioni sulla condotta possono essere applicate agli alunni che manifestino la propria opinione come previsto dall'articolo 21 della Costituzione della Repubblica italiana.
Art. 8. Certificazione delle competenze
1. Nel primo ciclo dell'istruzione, le competenze acquisite dagli alunni sono descritte e certificate al termine della scuola primaria e, relativamente al termine della scuola secondaria di primo grado, accompagnate anche da valutazione in decimi, ai sensi dell'articolo 3, commi 1 e 2, del decreto-legge.
2. Per quanto riguarda il secondo ciclo di istruzione vengono utilizzate come parametro di riferimento, ai fini del rilascio della certificazione di cui all'articolo 4 del decreto del Ministro della pubblica istruzione 22 agosto 2007, n. 139, le conoscenze, le abilità e le competenze di cui all'allegato del medesimo decreto.
3. La certificazione finale ed intermedia, già individuata dall'accordo del 28 ottobre 2004 sancito in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, per il riconoscimento dei crediti formativi e delle competenze in esito ai percorsi di istruzione e formazione professionale, è definita dall'articolo 20 del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226.
4. La certificazione relativa agli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado è disciplinata dall'articolo 6 della legge 10 dicembre 1997, n. 425, e successive modificazioni.
5. Le certificazioni delle competenze concernenti i diversi gradi e ordini dell'istruzione sono determinate anche sulla base delle indicazioni espresse dall'Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione (INVALSI) e delle principali rilevazioni internazionali.
6. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e ricerca, ai sensi dell'articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, sono adottati i modelli per le certificazioni relative alle competenze acquisite dagli alunni dei diversi gradi e ordini dell'istruzione e si provvede ad armonizzare i modelli stessi alle disposizioni di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge ed a quelle del presente regolamento.
Art. 9. Valutazione degli alunni con disabilità
1. La valutazione degli alunni con disabilità certificata nelle forme e con le modalità previste dalle disposizioni in vigore è riferita al comportamento, alle discipline e alle attività svolte sulla base del piano educativo individualizzato previsto dall'articolo 314, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994, ed è espressa con voto in decimi secondo le modalità e condizioni indicate nei precedenti articoli.
2. Per l'esame conclusivo del primo ciclo sono predisposte, utilizzando le risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, prove di esame differenziate, comprensive della prova a carattere nazionale di cui all'articolo 11, comma 4-ter, del decreto legislativo n. 59 del 2004 e successive modificazioni, corrispondenti agli insegnamenti impartiti, idonee a valutare il progresso dell'alunno in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali. Le prove sono adattate, ove necessario in relazione al piano educativo individualizzato, a cura dei docenti componenti la commissione. Le prove differenziate hanno valore equivalente a quelle ordinarie ai fini del superamento dell'esame e del conseguimento del diploma di licenza.
3. Le prove dell'esame conclusivo del primo ciclo sono sostenute anche con l'uso di attrezzature tecniche e sussidi didattici, nonché di ogni altra forma di ausilio tecnico loro necessario, previsti dall'articolo 315, comma 1, lettera b), del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994. Sui diplomi di licenza è riportato il voto finale in decimi, senza menzione delle modalità di svolgimento e di differenziazione delle prove.
4. Agli alunni con disabilità che non conseguono la licenza è rilasciato un attestato di credito formativo. Tale attestato è titolo per l'iscrizione e per la frequenza delle classi successive, ai soli fini del riconoscimento di crediti formativi validi anche per l'accesso ai percorsi integrati di istruzione e formazione.
5. Gli alunni con disabilità sostengono le prove dell'esame di Stato conclusivo del secondo ciclo dell'istruzione secondo le modalità previste dall'articolo 318 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994.
6. All'alunno con disabilità che ha svolto un percorso didattico differenziato e non ha conseguito il diploma attestante il superamento dell'esame di Stato conclusivo del secondo ciclo, è rilasciato un attestato recante gli elementi informativi relativi all'indirizzo e alla durata del corso di studi seguito, alle materie di insegnamento comprese nel piano di studi, con l'indicazione della durata oraria complessiva destinata a ciascuna, alle competenze, conoscenze e capacità anche professionali, acquisite e dei crediti formativi documentati in sede di esame.
Art. 10. Valutazione degli alunni con difficoltà specifica di apprendimento (DSA)
1. Per gli alunni con difficoltà specifiche di apprendimento (DSA) adeguatamente certificate, la valutazione e la verifica degli apprendimenti, comprese quelle effettuate in sede di esame conclusivo dei cicli, devono tenere conto delle specifiche situazioni soggettive di tali alunni; a tali fini, nello svolgimento dell'attività didattica e delle prove di esame, sono adottati, nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, gli strumenti metodologico-didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idonei.
2. Nel diploma finale rilasciato al termine degli esami non viene fatta menzione delle modalità di svolgimento e della differenziazione delle prove.
Art. 11. Valutazione degli alunni in ospedale
1. Per gli alunni che frequentano per periodi temporalmente rilevanti corsi di istruzione funzionanti in ospedali o in luoghi di cura, i docenti che impartiscono i relativi insegnamenti trasmettono alla scuola di appartenenza elementi di conoscenza in ordine al percorso formativo individualizzato attuato dai predetti alunni, ai fini della valutazione periodica e finale.
2. Nel caso in cui la frequenza dei corsi di cui al comma 1 abbia una durata prevalente rispetto a quella nella classe di appartenenza, i docenti che hanno impartito gli insegnamenti nei corsi stessi effettuano lo scrutinio previa intesa con la scuola di riferimento, la quale fornisce gli elementi di valutazione eventualmente elaborati dai docenti della classe; analogamente si procede quando l'alunno, ricoverato nel periodo di svolgimento degli esami conclusivi, deve sostenere in ospedale tutte le prove o alcune di esse.
Art. 12. Province di Trento e di Bolzano
1. Sono fatte salve le competenze attribuite in materia alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.
Art. 13. Scuole italiane all'estero
1. Per gli alunni delle scuole italiane all'estero le norme del presente regolamento, ivi comprese quelle relative alla prova scritta nazionale per l'esame di Stato del primo ciclo, sono applicate a decorrere dall'anno scolastico 2009/2010.
Art. 14. Norme transitorie, finali e abrogazioni
1. Per l'anno scolastico 2008/2009 sono confermate, per l'esame di Stato conclusivo del primo ciclo, le materie e le prove previste dalle disposizioni ministeriali vigenti.
2. Per l'anno scolastico 2008/2009 lo scrutinio finale per l'ammissione all'esame di Stato conclusivo del secondo ciclo è effettuato secondo le modalità indicate nell'ordinanza ministeriale n. 40 dell'8 aprile 2009.
3. Per gli alunni di cui all'articolo 6, comma 2, le disposizioni relative al concorso della valutazione del comportamento alla valutazione complessiva si applicano, a regime, dall'anno scolastico 2010/2011. Per l'anno scolastico 2008/2009 il voto di comportamento viene valutato con riferimento esclusivo al penultimo anno di corso; per l'anno scolastico 2009/2010 tale voto viene considerato anche con riferimento alla classe precedente il penultimo anno di corso.
4. I riferimenti alla valutazione del comportamento contenuti nel decreto del Ministro della pubblica istruzione 22 maggio 2007, n. 42, sono abrogati.
5. E' abrogato l'articolo 304 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, relativo alla valutazione dell'educazione fisica. Il voto di educazione fisica concorre, al pari delle altre discipline, alla valutazione complessiva dell'alunno.
6. E' abrogato il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 16 gennaio 2009, n. 5.
7. A decorrere dall'anno scolastico di entrata in vigore della riforma della scuola secondaria di secondo grado, ai fini della validità dell'anno scolastico, compreso quello relativo all'ultimo anno di corso, per procedere alla valutazione finale di ciascuno studente, è richiesta la frequenza di almeno tre quarti dell'orario annuale personalizzato. Le istituzioni scolastiche possono stabilire, per casi eccezionali, analogamente a quanto previsto per il primo ciclo, motivate e straordinarie deroghe al suddetto limite. Tale deroga è prevista per assenze documentate e continuative, a condizione, comunque, che tali assenze non pregiudichino, a giudizio del consiglio di classe, la possibilità di procedere alla valutazione degli alunni interessati. Il mancato conseguimento del limite minimo di frequenza, comprensivo delle deroghe riconosciute, comporta l'esclusione dallo scrutinio finale e la non ammissione alla classe successiva o all'esame finale di ciclo.
8. Modifiche e integrazioni al presente regolamento possono essere adottate in relazione alla ridefinizione degli assetti ordinamentali, organizzativi e didattici del sistema di istruzione derivanti dalla completa attuazione dell'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
Art. 15. Clausola di invarianza della spesa
1. Dall'attuazione del presente regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Art. 16. Entrata in vigore
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
1. La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell'identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze.
2. La valutazione è coerente con l'offerta formativa delle istituzioni scolastiche, con la personalizzazione dei percorsi e con le Indicazioni Nazionali per il curricolo e le Linee guida di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 87, n. 88 e n. 89; è effettuata dai docenti nell'esercizio della propria autonomia professionale, in conformità con i criteri e le modalità definiti dal collegio dei docenti e inseriti nel piano triennale dell'offerta formativa.
3. La valutazione del comportamento si riferisce allo sviluppo delle competenze di cittadinanza. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti, il Patto educativo di corresponsabilità e i regolamenti approvati dalle istituzioni scolastiche ne costituiscono i riferimenti essenziali.
4. Ciascuna istituzione scolastica può autonomamente determinare, anche in sede di elaborazione del piano triennale dell'offerta formativa, iniziative finalizzate alla promozione e alla valorizzazione dei comportamenti positivi delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti, al coinvolgimento attivo dei genitori e degli studenti, in coerenza con quanto previsto dal regolamento di istituto, dal Patto educativo di corresponsabilità e dalle specifiche esigenze della comunità scolastica e del territorio.
5. Per favorire i rapporti scuola-famiglia, le istituzioni scolastiche adottano modalità di comunicazione efficaci e trasparenti in merito alla valutazione del percorso scolastico delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti.
6. L'istituzione scolastica certifica l'acquisizione delle competenze progressivamente acquisite anche al fine di favorire l'orientamento per la prosecuzione degli studi.
7. Le istituzioni scolastiche partecipano alle rilevazioni internazionali e nazionali dei livelli di apprendimento ai fini della valutazione del sistema nazionale di istruzione e della qualità del proprio servizio.
8. I minori con cittadinanza non italiana presenti sul territorio nazionale hanno diritto all'istruzione, come previsto dall'articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e sono valutati nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani.
CONSIGLIO DI STATO - SEZ. II - PARERE 26/07/2000 N. 1021
Adunanza di Sezione del 26 luglio 2000
N. Sezione 1021/2000
Oggetto: MINISTERO PUBBLICA ISTRUZIONE
Richiesta di parere sulla permanenza, nel contesto dell'autonomia scolastica e dell'assetto della dirigenza scolastica delle norme di cui all'art. 7, comma 2, lettera h, art. 396, comma 5 e art.459, comma 1 del decreto legislativo n. 297 del 16/4/94
Vista la relazione in data 21/7/2000 pervenuta il 21/7/2000 con cui il Ministero Pubblica Istruzione ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul quesito in oggetto .
Esaminati gli atti ed udito il relatore ed estensore Consigliere Armando Pozzi;
PREMESSO:
riferisce l'amministrazione che dal 1 settembre 2000 verrà concretamente avviata la riforma del sistema scolastico, con il riconoscimento alle istituzioni scolastiche dell'autonomia e della personalità giuridica e il contestuale inquadramento dei capi di istituto nel ruolo dirigenziale previsto dall'art.25 bis del dlgs 3 febbraio 1993 n. 29 e successive modificazioni e integrazioni.
Nel nuovo assetto dell'autonomia scolastica secondo l'amministrazione i dirigenti scolastici assumono un ruolo di risorsa strategica, secondo la previsione dell'art.25 bis, comma 2, del dlgs 29/93.
L'esercizio delle nuove competenze dirigenziali dal 1° settembre 2000 si colloca tuttavia in un contesto normativo che non è stato completamente adeguato al nuovo profilo professionale e alle connesse responsabilità con particolare riferimento al funzionamento e alle competenze degli organi collegiali a livello di istituto, il cui riordino, previsto da apposito disegno di legge è tuttora all'esame del Parlamento.
La non completa definizione degli assetti organizzativi delle istituzioni scolastiche fa sorgere la questione della compatibilità di alcune norme preesistenti e quindi della loro sopravvivenza rispetto al nuovo quadro normativo che scaturisce dall'art.21 della legge 15 marzo 1997 n. 59 e degli articoli 25 bis, 25 ter e 28 bis del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29.
Le questioni che l'amministrazione sottopone al parere di codesto alto Consesso riguardano la sopravvivenza delle seguenti norme del dlgs 16 aprile 1994, n.297:
- articoli 7, comma 2, lettera h e 396, comma 5, che attribuiscono al collegio dei docenti la competenza ad eleggere i docenti incaricati di collaborare con il capo d'istituto sceglie il collaboratore vicario;
- articolo 459 che consente, ricorrendone determinate condizioni, di disporre il semiesonero o l'esonero dall'insegnamento del collaboratore investito delle funzioni vicarie.
La collocazione del dirigente scolastico nel sistema dell'autonomia definito dall'art. 21 della legge n. 59/97 e l'assetto della dirigenza scolastica che scaturisce dalla specifica normativa contenuta nel decreto legislativo n.29/93 e successive modificazioni e integrazioni, pongono la questione delle compatibilità delle citate norme del Testo Unico con il nuovo quadro normativo e, quindi, se esse sopravvivano nel nuovo sistema , oppure se debbano ritenersi implicitamente abrogate: ciò soprattutto in relazione alla disposizione contenuta nell'art. 25 bis, comma 5 del più volte citato d.lgs. n. 29/93 che recita: “nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti”.
Nel porre a confronto le varie disposizioni normative, l'amministrazione rileva che nell'assetto definito dal Testo Unico n. 297/94 le scuole dispongono di una limitata autonomia didattica, che riguarda esclusivamente le innovazioni di tipo metodologico, mentre ogni innovazione degli ordinamenti e delle strutture è soggetta alla preventiva autorizzazione ministeriale (art.278).
In tale quadro normativo, il capo di istituto si pone essenzialmente come il soggetto che promuove e “coordina” le attività dell'istituzione scolastica, quasi “primus inter pares”, come risulta dallo stesso articolo 396 che definisce la funzione direttiva.
La legge 15 marzo 1997 n. 59 all'art. 21 definisce un nuovo e diverso assetto delle istituzioni scolastiche dettando norme in materia di autonomia amministrativa, didattica organizzativa di ricerca e sviluppo delle stesse.
Il comma 16 del citato art.21 prevede in particolare il conferimento ai capi di istituto della qualifica dirigenziale contestualmente all'acquisto dell'autonomia e della personalità giuridica da parte delle istituzioni scolastiche, ponendo la qualifica dirigenziale in funzione dell'effettivo esercizio dell'autonomia.
L'art.25 bis del d.lgs. n. 29/93, così come integrato dal dlgs 6 marzo 1998 n. 59, affida al dirigente scolastico la gestione unitaria dell'istituzione, la gestione delle risorse finanziarie e strumentali, nonché poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. Il dirigente scolastico ha il compito di organizzare l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formativa e risponde in ordine ai risultati.
Coerentemente con tale nuovo contesto, il comma 5 dell'art. 25 bis attribuisce al dirigente la facoltà di avvalersi della collaborazione di docenti, da lui individuati, ai quali può “delegare” compiti specifici.
Tale ultima disposizione appare tuttavia incompatibile con quella dell'art.7, comma 2, lettera h del d.lgs. n. 297/94 che, come si è detto, attribuisce al collegio dei docenti la competenza ad eleggere i collaboratori del capo d'istituto. Poiché le due disposizioni disciplinano la stessa materia in modo differente, l'amministrazione ritiene prevalente la disposizione successiva nel tempo.
Peraltro tale conclusione appare anche l'unica possibile sul piano logico e sistematico poiché il comma 5 dell'art. 25 bis, non può che presupporre l'esistenza di un rapporto fiduciario tra delegante e delegato, presupposto che sarebbe frustrato dalla scelta del soggetto delegato compiuta da organo diverso dal dirigente scolastico delegante.
Relativamente alla figura del collaboratore vicario,poi, prevista per il capo di istituto dall'art. 396 d.lgs. n. 297/94, essa non sembra trovare spazio nel sistema della dirigenza scolastica, non essendo prevista espressamente: le considerazioni da ultimo espresse, infatti, fanno sembrare, a fortiori, tenuto conto delle funzioni spettanti al vicario, ancor meno ipotizzabile la figura di un vicario del dirigente che sia eletto da un organo collegiale.
La soluzione al problema della sostituzione del dirigente scolastico in caso di assenza o impedimento sembra debba piuttosto essere ricercata nella normativa generale e, quindi, nell'affidamento temporaneo di funzioni da parte del dirigente ad uno dei suoi collaboratori, ove si tratti di impedimenti di breve durata, o attraverso l'affidamento della reggenza da parte del competente dirigente generale per assenze protratte nel tempo.
Sulla base delle suesposte considerazioni l'Amministrazione ritiene che sul piano interpretativo la normativa introdotta con il comma 5 del più volte citato art.25 bis d.lgs. 29/93 debba ritenersi prevalente su quella di cui al comma 2 dell'art. 7 del Testo Unico.
La seconda questione sottoposta a questo Consiglio riguarda la sopravvivenza, nel sistema dell'autonomia delle istituzioni scolastiche e della dirigenza scolastica, della norma contenuta nell'art. 459 del d.lgs. n.297/94 secondo cui il docente incaricato di sostituire il capo di istituto in caso di assenza o impedimento può essere esonerato totalmente o parzialmente dall'insegnamento con provvedimento del Provveditore agli Studi, al verificarsi di determinate condizioni (numero delle classi, esistenza di sezioni staccate o succursali).
Ferme restando le considerazioni svolte in ordine alla permanenza della figura del collaboratore vicario, si ritiene tuttavia che la norma in esame non sia in contraddizione con il nuovo quadro normativo: al contrario, l'eliminazione di una risorsa già prevista nel sistema precedente sarebbe in contrasto con gli accresciuti e più impegnativi compiti delle istituzioni scolastiche.
A parere di questo Ministero, la norma deve essere interpretata in modo coerente con il nuovo sistema nel quale va a inserirsi, per cui:
- occorre prescindere dalle modalità di individuazione del beneficiario (non “eletto” dal collegio dei docenti, ma individuato dal dirigente scolastico);
- la prevista autorizzazione del Provveditore agli Studi (art. 459,comma 1, d.lgs. n. 297/94) peraltro non discrezionale, ma legata al solo accertamento dell'esistenza delle condizioni richieste,è abolita per effetto dell'art. 14 del DPR n. 275/99.
Si ritiene, pertanto, che il dirigente, nell'individuare i docenti di cui intende avvalersi nello svolgimento delle funzioni organizzative e amministrative, possa indicare quello incaricato di sostituirlo in caso di assenza o di impedimento di breve durata e che per questo docente, ricorrendone le condizioni di fatto, previste dal citato art.459 T.U. n. 297/94, lo stesso dirigente possa disporre l'esonero o il semiesonero, dandone comunicazione all'ufficio scolastico periferico per gli adempimenti relativi alla copertura del posto di insegnamento.
CONSIDERATO
L'art. 7, comma 2, del T. U. in materia di istruzione scolastica emanato con il d. l.vo 16.4.1994 n. 297, nell'individuare le competenze del collegio dei docenti, stabilisce che esso, tra gli altri compiti, assolve a quello di (lett. h) eleggere, in numero di uno nelle scuole fino a 200 alunni, di due nelle scuole fino a 500 alunni, di tre nelle scuole fino a 900 alunni, e di quattro nelle scuole con più di 900 alunni, i docenti incaricati di collaborare col direttore didattico o col preside, prevedendo, altresì, che uno degli eletti sostituisce il direttore didattico o preside in caso di assenza o impedimento.
L'articolo 459 dello stesso T. U., nel disciplinare la materia degli esoneri e semiesoneri per i docenti con funzioni vicarie, stabilisce, al comma 1, che i docenti che, eletti ai sensi dell'articolo 7, innanzi citato, siano incaricati di sostituire il direttore didattico o il preside in caso di assenza o impedimento, possono ottenere, da parte del provveditore agli studi, l'autorizzazione all'esonero o al semiesonero dall'insegnamento secondo i criteri e le modalità indicati nei successivi commi.
Con il quesito in oggetto l'amministrazione si chiede e chiede a questo Consiglio se le due riportate disposizioni siano tuttora compatibili con il nuovo assetto della dirigenza scolastica e con i connessi principi di autonomia delle istituzioni scolastiche.
In particolare il Ministero dubita della compatibilità della permanenza, in capo al collegio docenti, dei poteri di elezione dei docenti collaboratori del preside, una volta che questi è stato investito della qualifica dirigenziale ed è divenuto attributario di tutti i poteri di gestione unitaria della scuola, contestualmente all'acquisto dell'autonomia e della personalità giuridica dell'istituzione scolastica.
I dubbi sollevati dall'amministrazione appaiono pienamente legittimi.
Invero, vale ricordare che l'art. 25-bis del d. l.vo n. 29/1993, aggiunto dall'art. 1 del d.l. vo. 6 marzo 1998, n. 59, ha creato la nuova figura del dirigente delle istituzioni scolastiche, trasformando e modificando le “funzioni direttive” di cui all'art. 396 del T. U. del 1994 in funzioni dirigenziali e disponendo, al comma 1, che nell'ambito dell'amministrazione scolastica periferica è istituita la qualifica dirigenziale per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali è stata attribuita personalità giuridica ed autonomia a norma dell'articolo 21 della legge n. 59/1997, i quali sono inquadrati in ruoli di dimensione regionale e rispondono, agli effetti dell'articolo 20 dello stesso decreto 29, in ordine ai risultati, che sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l'amministrazione scolastica regionale.
Il comma 2 dello stesso articolo stabilisce, poi, che il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. In particolare, aggiunge la norma che nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al capo di istituto autonomi poteri di direzione, di coordinamento di valorizzazione delle risorse umane, con specifici poteri di organizzazione dell'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali.
I commi 4 e 5 prevedono, ancora, che nell'ambito delle funzioni attribuite alle istituzioni scolastiche, spetta al dirigente l'adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale e che nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti, ed è coadiuvato dal responsabile amministrativo, che sovrintende, con autonomia operativa, nell'ambito delle direttive di massima impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi generali dell'istituzione scolastica, coordinando il relativo personale.
Il comma 6 conclude stabilendo che il dirigente presenta periodicamente al consiglio di circolo o al consiglio di istituto motivata relazione sulla direzione e il coordinamento dell'attività formativa, organizzativa e amministrativa al fine di garantire la più ampia informazione e un efficace raccordo per l'esercizio delle competenze degli organi della istituzione scolastica.
Come si vede il nuovo assetto della dirigenza scolastica vale a rendere operativo il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche individuando un referente tendenzialmente unico per la realizzazione dei fini di gestione di tutte le funzioni amministrative che per loro natura possono essere esercitate dalle istituzioni scolastiche e di realizzazione della flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia del servizio scolastico, individuati dall'art. 21, commi 4 ed 8, come elementi qualificanti del predetto principio.
Di qui la necessità di evitare, per quanto possibile, duplicazioni, dispersioni o frammentazioni di competenze fra i vari organi della scuola, che vanificherebbero, attraverso un assetto fluttuante ed incerto delle funzioni, le finalità di autonomia, efficienza ed efficacia dell'azione delle istituzioni scolastiche correlate alla tendenziale concentrazione di compiti nella figura del dirigente scolastico.
Tale necessità traspare, d'altronde, con specifico riferimento al settore scolastico, dall'art. 21 comma 15 della legge n. 59/1997, che, nel fissare i principi e criteri direttivi delle norme delegate per la riforma degli organi collegiali della pubblica istruzione a qualsiasi livello, individua specificamente quello della eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali, secondo il precetto generale dell'art. 12, comma 1, lett. g) della stessa legge.
Tale scelta appare coerente con il principio di tendenziale concentrazione delle funzioni amministrative in capo ai dirigenti, principio che trova formalizzazione nell'art. 45 comma 1 del d. l.vo n. 80/1998, secondo cui “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le disposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo l'adozione di ati di gestione e di atti e provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti”. Disposizione, questa, che trova espressa applicazione anche la personale della scuola per effetto dell'esplicita previsione del comma 7 dello stesso art. 45.
Sul piano sistematico, poi, la soluzione di affidare al capo di istituto la competenza a nominare i propri collaboratori nell'ambito del corpo docente, che trova preciso riscontro letterale nel ricordato art. 25 bis comma 5 del decreto n. 29 (“il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati”), appare conseguenza del nuovo ruolo della dirigenza anche sul piano funzionale e della connessa nuova disciplina della responsabilità dirigenziale (cfr. artt. 19 comma 7 e 21 del d. l.vo 29/1993; art. 5 del d. l.vo 30.7.1999 n. 286), la quale ricollega le speciali misure sanzionatorie nei confronti dei dirigenti alle valutazioni negative non solo delle complessive prestazioni a loro richieste, ma anche dei comportamenti relativi alla gestione ed allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate (competenze organizzative), tenendo conto particolarmente dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione e del mancato raggiungimento degli obiettivi.
In tale contesto, gestione del personale assegnato all'ufficio dirigenziale e responsabilità del suo titolare per cattiva gestione di tutte le risorse assegnate rappresentano aspetti connessi di un unico ruolo dinamico affidato al dirigente, il quale in tanto può ritenersi responsabile dei risultati negativi e del mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati in quanto abbia la facoltà di scelta dei propri collaboratori.
Non a caso l'art. 19, comma 5, del più volte citato decreto 29 assegna al dirigente preposto alla struttura di livello più complesso la competenza a conferire gli incarichi di direzione degli altri uffici dirigenziali in cui si articola la struttura medesima.
La soluzione sin qui prospettata sembrerebbe tuttavia trovare un ostacolo nella dizione, peraltro non perspicua, contenuta negli artt. 25 bis comma 2 secondo periodo del decreto 29 e 16 comma 2 del DPR n. 275/1999 (Regolamento attuativo delle norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'art. 21 della L. 15 marzo 1997, n. 59) secondo cui, rispettivamente, gli autonomi poteri di direzione, coordinamento e organizzazione del dirigente scolastico spettano “nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici” e “il dirigente scolastico esercita le funzioni di cui al decreto legislativo n. 59/1998 nel rispetto delle competenze degli organi collegiali”.
Le predette norme, nella loro portata apparentemente conservativa delle precedenti competenze degli organi collegiali vanno lette ed interpretate secondo il principio di non contraddizione, di utilità semantica e di coerenza sistematica. Principi che sarebbero violati secondo una lettura pedissequa e frammentata, che non tenga conto del chiaro disposto del più volte citato art. 25 bis comma 5 del decreto 29 (potestà di avvalersi della collaborazione di “docenti individuati” dal dirigente scolastico) e dei nuovi principi in materia di attribuzioni e responsabilità dirigenziali.
La clausola di “rispetto” per le attribuzioni degli organismi collegiali, contenuta in quelle norme, va dunque letta alla luce dei criteri di compatibilità e sussidiarietà, nel senso che le vecchie attribuzioni vanno verificate e limitate con le nuove, le quali sono recessive solo in presenza di competenze che non impingano nelle specifiche funzioni e responsabilità di gestione ed organizzazione spettanti in via esclusiva al dirigente scolastico, il quale, altrimenti, sarebbe chiamato a pagare anche per l'operato di collaboratori scelti da altri soggetti irresponsabili per i cattivi risultati dell'attività gestoria ed amministrativa.
In conclusione, l'esame complessivo della normativa di settore non porta ad individuare nelle previgenti competenze degli organi collegiali un limite alle nuove attribuzioni della dirigenza, in via di principio onnicomprensive [cfr., sul punto, Ad. Gen., par. 10.6.1999 n. 9/99, sub punto 1 delle considerazioni di diritto].
D'altra parte, le conclusioni cui si è innanzi pervenuti trovano uno specifico referente nel parere di questa stessa Sezione n. 1603/99 del 27.10.1999, emesso su analogo quesito dello stesso Ministero P.I. in merito alla permanenza delle competenze che l'art. 10 del ricordato T. U. n. 297 del 1994 affida al consiglio di circolo o di istituto, nonché alla giunta esecutiva in materia di provvedimenti contabili e di gestione (lett. b): acquisto, rinnovo e conservazione delle attrezzature tecnico-scientifiche e dei sussidi didattici, compresi quelli audio-televisivi e le dotazioni librarie, e acquisto dei materiali di consumo occorrenti per le esercitazioni; comma 10: la giunta esecutiva predispone il bilancio preventivo e il conto consuntivo; etc.)
In quel parere si è stabilito, in coerenza con le esposte considerazioni, che “il problema del coordinamento tra l'art. 10 citato e l'art. 25 bis del decreto 29 è risolto sul piano interpretativo considerando prevalente la nuova normativa ex art. 15 disp. Prel. cod. civ.”, con la conseguenza che “risultano superate ex lege le competenze” di quegli organi collegiali, che invadano le nuove attribuzioni della dirigenza, ferme restando dunque solo quelle inerenti agli altri aspetti dell'organizzazione e gestione dell'attività didattica.
In base alle esposte considerazioni deve ritenersi, con riferimento al secondo quesito posto dall'amministrazione, che la disposizione di cui all'articolo 459 dello stesso T. U., che affidava al provveditore agli studi l'autorizzazione all'esonero o al semiesonero dall'insegnamento del collaboratore vicario del capo di istituto vada oggi letta in connessione con le nuove disposizioni in tema di competenze dirigenziali e, in particolare, con l'art. 14 del citato regolamento n. 275 del 1999, in materia di attribuzione di funzioni alle istituzioni scolastiche. La norma, infatti, dispone che a decorrere dal 1° settembre 2000 alle istituzioni scolastiche sono attribuite le funzioni già di competenza dell'amministrazione centrale e periferica relative alla carriera scolastica e al rapporto con gli alunni, all'amministrazione e alla gestione del patrimonio e delle risorse e allo stato giuridico ed economico del personale non riservate, in base all'articolo 15 o ad altre specifiche disposizioni, all'amministrazione centrale e periferica.
Ora, poiché tra le funzioni riservate non c'è (né vi sarebbe potuta essere) quella relativa alla posizione giuridica del docente vicario e poiché la designazione di quest'ultimo spetta al capo di istituto, come aspetto specifico della gestione del personale, ne deriva come corollario che allo stesso dirigente spetti la determinazione della posizione giuridica del suo principale collaboratore.
Nel concludere l'espressione del parere, la Sezione non può che ribadire quanto già segnalato nel precedente parere n. 1603/99 in merito alla necessità di iniziative legislative che mettano ordine nella materia in esame. Infatti, il recente d. l.vo n. 233 del 30.6.1999 ha provveduto soltanto alla riforma degli organi collegiali della scuola a livello territoriale centrale, regionale e locale, individuandoli, peraltro con compiti prevalentemente consultivi e propositivi, nel consiglio superiore della pubblica istruzione; nei consigli regionali dell'istruzione e nei consigli scolastici locali, mentre risulta ancora pendente il disegno di riforma degli organi scolastici.
P.Q.M.
Nelle esposte considerazioni viene reso il richiesto parere.
------
I riferimenti all'art. 25 bis D.Lgs n. 29 del 1993, dopo l'emanazione del D.Lgs n. 165 del 2001 vanno letti come riferiti all'art. 25 di tale D.Lgs.
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Linee Guida Nazionali
(art. 1 comma 16 L. 107/2015)
Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di
genere e di tutte le forme di discriminazione(1)
Premessa
Le presenti Linee Guida sono indirizzate alle Istituzioni scolastiche autonome per l’attuazione
del comma 16 dell’art.1 della L.107 del 2015 che recita: “Il piano triennale dell'offerta formativa
assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e
grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le
discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle
tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119”. Il suddetto comma dà attuazione ai princìpi
fondamentali di pari dignità e non discriminazione di cui all'articolo 3 della Costituzione Italiana:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Ècompito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
” Questi principi trovano espressione e completamento in altri precetti costituzionali (quali,
ad esempio, gli articoli 2, 4, 6, 21, 30, 34, 37, 51) e nei valori costitutivi del diritto internazionale ed
europeo che proibisce ogni tipo di discriminazione. Tali valori sono solennemente ribaditi
dall’articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (2000/C 364/01), così
come dall’articolo 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Inoltre, il comma
richiamato dà attuazione agli impegni assunti dall’Italia con la ratifica (legge 27 giugno 2013, n. 77)
della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le
donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), che in particolare all’articolo 14
definisce il ruolo della scuola nella prevenzione della violenza contro le donne.(2)
In questo quadro di riferimento normativo e valoriale si collocano le presenti Linee guida, che
rispondono alla necessità di fornire alle scuole indicazioni utili a coniugare l’informazione con la
formazione, intervenendo - per la propria funzione educativa, in continua sinergia con le famiglie -
attraverso un’azione che non si limiti a fornire conoscenze, ma agisca sull’esperienza e sulla
dimensione emotiva e relazionale.
L’educazione contro ogni tipo di discriminazione e per promuovere il rispetto delle differenze è
fondamentale nell’ambito delle competenze che alunne e alunni devono acquisire come parte
essenziale dell’educazione alla cittadinanza.
Tale educazione non ha uno spazio e un tempo definiti, ma è connessa ai contenuti di tutte le
discipline, con la conseguenza che ogni docente concorre alla crescita relazionale e affettiva delle
alunne e degli alunni, attraverso il loro coinvolgimento attivo, e valorizzando il loro protagonismo,
in tutte le tappe del processo educativo.
Le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di
istruzione (DM del 16 novembre 2012, n. 254) costituiscono a questo proposito un punto di riferimento ineludibile.
Già a partire dal I capitolo “Cultura, scuola, persona”, nel paragrafo “La
scuola nel nuovo scenario” si riporta: “…alla scuola spetta il compito di fornire i supporti adeguati
affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta. La piena attuazione del
riconoscimento e della garanzia della libertà e dell’uguaglianza, nel rispetto delle differenze di tutti
e dell’identità di ciascuno…” e ancor più specificamente nel paragrafo “Per una nuova
cittadinanza”: “…non basta riconoscere e conservare le diversità preesistenti nella loro pura e
semplice autonomia. Bisogna, invece, sostenere attivamente la loro interazione e la loro
integrazione attraverso la conoscenza della nostra e delle altre culture in un confronto che non
eluda questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari, le differenze di genere. La
promozione e lo sviluppo di ogni persona stimola, in maniera vicendevole, la promozione e lo
sviluppo delle altre persone: ognuno impara meglio nella relazione con gli altri”.
Anche il Documento di indirizzo su Cittadinanza e Costituzione (nota prot. AOODGOS n.
2079 del 4 marzo 2009) costituisce una base di riflessione per la costruzione di percorsi educativi e
didattici trasversali alle discipline. Tra le Situazioni di compito per la certificazione delle
competenze personali, si individuano:
“accettare e accogliere le diversità, comprendendone le ragioni e soprattutto
impiegandole come risorsa per la risoluzione di problemi, l’esecuzione di compiti e la
messa a punto di progetti; curare il proprio linguaggio, evitando espressioni improprie
e offensive” (scuola primaria);
“individuare gli elementi che contribuiscono a definire la propria identità e le strategie
per armonizzare eventuali contrasti che le caratterizzano” (scuola secondaria di I
grado);
“identificare stereotipi e pregiudizi etnici, sociali e culturali presenti nei propri e negli
altrui atteggiamenti e comportamenti, nei mass media e in testi di studio e ricerca”
(scuola secondaria di II grado).
Come già espresso nella circolare del 15 settembre 2015, prot. AOODGSIP n. 1972, la finalità
delle Linee guida “non è, dunque, quella di promuovere pensieri o azioni ispirati ad ideologie di
qualsivoglia natura, bensì quella di trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo i diritti
e i doveri della persona costituzionalmente garantiti, anche per raggiungere e maturare le
competenze di cittadinanza, nazionale, europea e internazionale, entro le quali rientrano la promozione dell’autodeterminazione consapevole e del rispetto della persona, così come stabilito
dalla Strategia di Lisbona 2000. Nell’ambito delle competenze che gli alunni devono acquisire,
fondamentale aspetto riveste l’educazione alla lotta ad ogni tipo di discriminazione, e la
promozione ad ogni livello del rispetto della persona e delle differenze senza alcuna
discriminazione. Si ribadisce, quindi, che tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere
non rientrano in nessun modo né le “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al
mondo educativo. Inoltre, è opportuno sottolineare che le due leggi citate come riferimento nel
comma 16 della legge 107 non fanno altro che recepire in sede nazionale quanto si è deciso
nell’arco di anni, con il consenso di tutti i Paesi, in sede Europea, attraverso le Dichiarazioni, e in
sede Internazionale con le Carte”. In questi termini, dunque, la circolare fornisce chiarimenti
“riguardo a una presunta possibilità di inserimento all’interno dei Piani dell’Offerta Formativa
delle scuole la cosiddetta “Teoria del Gender”, che troverebbe attuazione in pratiche e
insegnamenti non riconducibili ai programmi previsti dagli attuali ordinamenti scolastici”.
Le Linee guida, quindi, inquadrate nella cornice dell’educazione al rispetto delle differenze e ai
principi di uguaglianza sanciti dall’art. 3 della Costituzione, si offrono come strumento a sostegno
delle scuole per orientare, nel pieno rispetto dell’autonomia, l'azione educativa per prevenire la
violenza di genere e tutte le forme di discriminazione.
1. Educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze
Nascere uomini o donne crea appartenenze forti, è la pietra angolare dell’identità, informa di sé
l’intero orizzonte esistenziale: è la prima condizione con cui ogni individuo si pone, e ne riceve
opportunità e risorse ma anche limiti. Tutti gli aspetti della vita quotidiana ne sono connotati.
Nell’esperienza soggettiva delle persone l’incontro con l’alterità si colloca all’inizio del tempo di
vita: dall’esperienza dell’essere tutt’uno con la madre si esce nella lenta necessaria costituzione di
una soggettività separata. Questo è molto importante da sottolineare, perché dice che noi siamo relazione prima che individui. È un modello antropologico relazionale che ha implicazioni molto
diverse sul piano culturale, educativo, politico, rispetto ad un modello individualista. (3)
Questo modello, tuttavia, non ha trovato adeguata rappresentazione simbolica nella storia della
cultura occidentale.
Secoli di patriarcato hanno rappresentato le donne come naturalmente subordinate agli uomini,
avvalendosi di dicotomie come quelle di mente/corpo, soggetto/oggetto, logica/istinto,
ragione/sentimento, attività/passività, pubblico/privato e assegnando agli uomini le prime
caratteristiche, alle donne le seconde.
Secondo questa millenaria tradizione le donne sarebbero soggetti deboli, incapaci di pensiero
astratto, dominate da una realtà corporea invadente, emotive piuttosto che razionali. Questa
ideologia ha caratterizzato i rapporti tra i sessi e l’organizzazione familiare, ma anche la struttura
sociale del mondo occidentale, dove fino alla fine dell’Ottocento le donne sono state escluse dai
luoghi dove si è trasmesso e creato sapere, dove si sono elaborate le leggi, dove si è amministrata la
giustizia. Se non mancano le eccezioni significative, esse sono sempre il risultato di personalità di
spicco, singoli casi emergenti in un contesto poco incline a valorizzarle.
Simbolicamente ciò ha comportato nel tempo la riduzione delle donne a corpo, dominato
dall’uomo e destinato alla cura esclusiva della vita. Alle donne è stata sottratta una dimensione
pienamente umana, con conseguente esclusione dallo spazio pubblico, dall’esercizio della
cittadinanza, dall’autodeterminazione e dalla libera scelta. Per tutti questi motivi la prima differenza
che sperimentiamo nella nostra vita è stata di solito trasmessa come gerarchica e tale diventa il
modello che profondamente interiorizziamo, differenza come disuguaglianza: se c’è una differenza, allora qualcuno è migliore e qualcuno è peggiore e, soprattutto, c’è una dimensione di potere
dell’uno sull’altro. Dalla differenza come disuguaglianza gerarchica discende la relazione nella
forma del dominio, che produce discriminazioni e che in italiano (e in altre lingue) risulta
simboleggiata e insieme costruita anche dalla pratica linguistica.
Se invece rileggiamo la nostra esperienza con occhi più aperti e critici scopriamo che non c’è
alcuna ragione per cui nell’incontro tra differenze, che dà origine alla vita, ci debba essere una
gerarchia: non esiste alcun motivo per rinunciare alla ricchezza garantita dalla piena espressione di
donne e uomini nella totalità della loro umanità, già nell’accudimento della vita ai suoi inizi. Oggi
finalmente sono sempre di più i giovani uomini che comprendono e coltivano l’esperienza
irripetibile e unica di contribuire ai primi momenti di vita dei propri figli e figlie, di partecipare alla
loro crescita, abbandonando la separazione tra i domini del ‘maschile’ e del ‘femminile’; mentre già
da un paio di generazioni le donne sono sempre più protagoniste nello spazio pubblico.
Bambini e bambine, uomini e donne sono tra loro diversi e ciò rende l’esperienza umana molto
ricca. Tuttavia molto spesso dalle bambine e dalle ragazze si aspettano comportamenti e
inclinazioni che corrispondono a idee e immagini molto normative: devono essere gentili e
sensibili, amare i giochi tranquilli, le faccende sentimentali, ed essere ossessionate dalla apparenza
fisica e dallo sguardo degli altri. Secondo uno stereotipo diffuso non amerebbero le scienze e la
matematica, lo sport e la competizione. Altrettanto rigide e opprimenti le aspettative sui bambini e
sui ragazzi: non devono avere timori né sensibilità o dolcezza, è indispensabile che amino il calcio e
ogni tipo di gara, devono accettare giochi violenti e sapersi difendere. L’imperativo “sii uomo”
spesso non ha lasciato alcuno spazio ai gesti, alle parole e alle responsabilità della cura: maschio
che non solo “non deve chiedere mai”, ma neppure ascoltare e rispondere alla domanda di
Il modo proprio e improprio di comportarsi, la percezione di ciò che è giusto o sbagliato, le
convinzioni circa i ruoli sono trasmessi dal gruppo dei pari, dalla televisione, dal cinema, dalla
Rete, dai libri, dai giochi, dalle canzoni. Anche l’ambiente scolastico rappresenta un contesto in cui
i modelli culturali stereotipati e presentati come naturali possono essere strutturati e amplificati, in
un gioco continuo di rinforzi reciproci con gli altri ambiti educativi e di socializzazione.
In questo senso è opportuno ribadire che “maschio” e “femmina”, che connotano l’identità
(l’essere) della persona, non sono etichette che denotano comportamenti predefiniti. Ci sono molti
modi di essere donna e altrettanti di essere uomo. Si può essere uomini e donne in modo libero e
rispettoso di sé e degli altri senza costringere nessuno dentro un modello rigido di comportamenti e
di atteggiamenti. Lungo il percorso del processo educativo e formativo si deve favorire tale libertà,
promuovendo conoscenze e attitudini legate quanto più possibile al pieno sviluppo della personalità
di studenti e studentesse, che un domani entreranno nel mondo del lavoro e della vita pubblica
apportando competenze differenti e di pari valore e contribuiranno al pieno benessere della
comunità civica e sociale e al successo di quella professionale.
2. Il femminile e il maschile nel linguaggio
Un’altra forma di violenza simbolica è cancellare la differenza in nome di una presunta
uguaglianza che è in realtà un adeguamento al modello maschile.
Un caso significativo è rappresentato dalla resistenza da parte del linguaggio quotidiano, dei
media, delle istituzioni e perfino dei libri di testo, ad adeguare l’uso della lingua al nuovo status
assunto dalle donne in campo professionale e istituzionale: si sostiene l’uso della sola forma
maschile dei titoli che indicano ruoli istituzionali o professioni ritenute prestigiose anche se sono
riferiti a donne, accampando giustificazioni inconsistenti sul piano linguistico (“sono forme brutte,
suonano male”) e sostenendo che si tratta di un uso “neutro” del linguaggio, che fungerebbe
addirittura da baluardo contro la discriminazione: quindi sindaco/avvocato sì, ma sindaca/avvocata
no. Invece le forme femminili che indicano professioni ritenute meno prestigiose sono
tranquillamente accettate (es. infermiera, parrucchiera, cameriera). Ma è doveroso sottolineare che
un atteggiamento omologante non produce un linguaggio “neutro”, bensì lo “maschilizza”
ulteriormente attraverso l’estensione (impropria, come vedremo) alle donne dell’uso del genere
grammaticale maschile e favorisce, così, quei comportamenti discriminatori che si riscontrano in
molte esperienze sociali e di lavoro.
Come è noto, infatti, la lingua italiana possiede solo il genere grammaticale maschile e quello
femminile e non ha il genere neutro. Qualsiasi buona grammatica italiana ne chiarisce l’uso, la
funzione e la distribuzione, e ad essa rimandiamo. Qui ci limitiamo brevemente a ricordarne i punti
principali: un termine di genere grammaticale maschile indica una persona (‘referente’) di sesso
maschile, uno di genere grammaticale femminile indica una persona di sesso femminile. Il genere
grammaticale si riconosce dalla forma della parola, es. alunno (m.) e alunna (f.), istruttore (m.) e
istruttrice (f.), o dall’articolo che lo precede, es. il docente (m.) e la docente (f.). Il genere di
aggettivi, pronomi, nomi, ecc. concorda con quello della persona a cui si riferisce. Es. Paolo è un
alunno attento / Anna è un’alunna attenta. Se l'assegnazione del genere grammaticale e il
conseguente accordo di aggettivi, pronomi, ecc. non rispettano queste regole si ottengono
espressioni non grammaticali: es. *Paolo è una alunna attenta, *Anna è un alunno attento. Più un
testo è lungo e articolato più il mancato rispetto di queste regole può renderlo confuso e incoerente.
Il genere grammaticale, quindi, non si può scegliere in base a gusti o convinzioni personali: il suo
uso si basa su regole che appartengono al sistema della lingua italiana, e contravvenirvi può
impedire che la comunicazione si realizzi in modo chiaro, trasparente e corretto.
È opportuno ricordare, inoltre, che definire una donna con un termine maschile in settori
rilevanti della società come le istituzioni e i livelli professionali apicali, ne opacizza la presenza fino
a farla scomparire (termini come “direttore”, “prefetto”, “sindaco” evocano infatti un’immagine
maschile, non femminile). E se le esitazioni e addirittura le resistenze all'introduzione di questi
nuovi termini femminili possono essere comprensibili dal momento che in passato solo gli uomini
rivestivano ruoli istituzionali o svolgevano professioni di prestigio, e che la tradizione ci ha
consegnato solo la versione maschile dei relativi titoli, è necessario essere consapevoli che oggi la
situazione è cambiata. Adeguare il linguaggio al nuovo status sociale, culturale e professionale
raggiunto dalle donne, e quindi al mutamento dell'intera società, si pone oggi come un'azione
urgente e necessaria: fornire una rappresentazione inadeguata del genere femminile si configura
infatti come una vera e propria violenza simbolica.
Un uso della lingua che rifletta la differenza attraverso l’uso del genere grammaticale e permetta
così di identificare la presenza delle donne e attribuire loro i nuovi ruoli che esse detengono nella
società sul piano professionale e istituzionale, contribuisce a contrastare la discriminazione, a favorire la parità, e anche a trasmettere modelli socioculturali utili alle giovani generazioni per la
scelta della loro futura professione.
Nella pratica didattica si suggerisce quindi di verificare l’adeguatezza del linguaggio usato nei
libri di testo di tutte le discipline non solo per quanto riguarda la presenza di eventuali stereotipi del
maschile e del femminile, ma anche per quanto concerne l’uso del genere grammaticale, che
costituisce uno strumento fondamentale per la rappresentazione della donna nel linguaggio.
Particolare attenzione dovrà essere posta alle indicazioni relative all’uso del genere grammaticale
contenute nei testi dedicati all’educazione linguistica. A questo proposito si ricorda l’importanza di:
(a) spiegare il funzionamento delle regole di assegnazione e accordo di genere;
(b) mostrare come il genere grammaticale costituisca un potente strumento di coesione testuale e
quindi la conoscenza del suo funzionamento aiuti la codifica e decodifica di qualsiasi testo;
(c) illustrare il significato e l’uso dei nuovi termini femminili che indicano ruoli istituzionali e
professioni di prestigio, come architetta, assessora, avvocata, cancelliera, chirurga,
conferenziera, consigliera, critica, deputata, difensora, direttrice (generale), funzionaria,
ingegnera, ispettrice, medica, ministra, notaia, prefetta, primaria, procuratrice, rettrice,
revisora dei conti, segretaria (generale), senatrice, sindaca, tesoriera, ecc.;
(d) sottolineare la regolarità grammaticale di queste forme e spiegarne la formazione, fornendo
qualche nozione di morfologia che permetta, ad esempio, di distinguere tra nomi semplici (figlio,
figli-a) e nomi composti con un suffisso (consigl-ier-e, consigl-ier-a), così da incrementare
anche la conoscenza del lessico dell’italiano.(4)
I rischi di un uso discriminatorio del linguaggio, finora descritti in relazione a quello verbale,
valgono anche per quelli visivi, seppur con codifiche grammaticali meno definite: fotografie,
immagini e video che invadono media tradizionali e Rete possono avere effetti negativi quanto e più
delle parole. Essi richiedono un’attenzione educativa - alla lettura, alla decodifica, all’interpretazione - che assume una rilevanza sempre maggiore con la diffusione delle tecnologie e
dei media digitali.
3. Prevenzione della violenza contro le donne
Un’autentica educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze si può realizzare
declinando insieme uguaglianza e differenza, prendendo le distanze da una neutralità dove maschile
e femminile perdono consistenza e ricchezza, ma anche respingendone i modelli stereotipati. La
scuola, in sintonia con la famiglia, grazie al patto di corresponsabilità e agli altri strumenti atti ad
assicurare il giusto rapporto scuola-famiglia, è chiamata a proporre e ad avviare le studentesse e gli
studenti, in modo adeguato all’età, a una riflessione sulla qualità dei rapporti uomo/donna e sul
rispetto delle differenze.
Anche la stessa questione della violenza sulle donne in quanto donne, la cosiddetta violenza di
genere, legata in molti modi a una storia oscura e arcaica, è connessa a un rapporto socialmente
connotato, quello gerarchico uomo-donna, nelle forme specifiche in cui è presente nelle diverse
società e culture.
La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei
confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia con la legge 27 giugno 2013, n.
77, riconoscendo che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza
storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla
discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione, e
che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto è un elemento chiave per
prevenire la violenza contro le donne, impegna le Parti a “intraprendere le azioni necessarie per
includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la
parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta
dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto
all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi” (art. 14).
Risulta dunque evidente come l'educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze sia
essa stessa, a sua volta, uno strumento fondamentale per la prevenzione della violenza sulle donne
basata sul genere: incoraggiando da un lato il superamento di ruoli e stereotipi e, dall'altro, una
visione delle differenze come ricchezza e non come fondamento di una presunta gerarchia e quindi
di discriminazioni, essa disinnesca ab origine la cultura di cui si nutre la violenza.
La violenza sulle donne è un fenomeno unico che va messo a fuoco e compreso nella sua
assoluta specificità e nella sua dimensione strutturale.
Certo esistono tradizioni culturali particolarmente dannose, come le mutilazioni genitali
permanenti sulle bambine che le privano di una sessualità propria, oppure tradizioni e leggi
comunque oppressive per cui le donne non possono studiare, girare da sole, guidare la macchina,
decidere una professione, scegliere lo sposo, vestirsi come credono. Tuttavia in Europa e in Italia la
violenza sulle donne è fenomeno molto diffuso e non legato a particolari condizioni di vita o a
disturbi della personalità di chi la esercita: fa parte di una insospettabile normalità per cui è ancora
difficile confrontarsi con il fantasma inatteso della libertà femminile.
I dati parlano chiaro: la violenza di genere è presente in tutti i ceti sociali, in tutte le età, livelli
di istruzione e benessere economico.(5) Può essere violenza fisica ripetuta e costante oppure violenza
psicologica tesa a annientare la persona. Il fatto più grave, determinante, è che non sempre viene
identificata dalle donne stesse come violenza e viene spesso nascosta come qualcosa di cui ci si
vergogna, si è colpevoli, viene subita come fatto “naturale”, parte del rapporto, o per apparente
mancanza di alternative o “per amore dei figli” che spesso assistono agli abusi e possono diventare
poi a loro volta attori o vittime di violenza. È la violenza più terribile perché ha luogo nella
maggioranza dei casi negli spazi più noti e cari, laddove ci si aspetterebbe la prima sicurezza: per
questo è difficile e importante vederla, riconoscerla e cercare aiuto. Sul territorio nazionale sono presenti molti punti di ascolto a cui ci si può rivolgere anche solo per un consiglio, dai Pronto
Soccorso, fino ai Centri Antiviolenza. Ma ancor di più a scuola, gli insegnanti stessi e, laddove
presenti, gli psicologi che offrono assistenza nei centri di ascolto scolastico possono essere un
importante primo punto di riferimento.
Ma è chiaro che a esercitare la violenza contro le donne sono uomini. La scuola può allora
aiutare la società tutta a cambiare punto di vista, a non guardare solo alle vittime, ma agli autori
delle violenze. Per capire cosa le determina, quali stereotipi e modelli relazionali le fanno apparire
giustificate, quali insicurezze nascondono. E per attivare il protagonismo degli uomini e dei ragazzi,
come da tre anni chiede la campagna dell’ONU HeForShe(6), lanciata a settembre del 2014 con
l’obiettivo di creare un’alleanza tra donne e uomini per sconfiggere la violenza e ogni forma di
Chi lavora stabilmente sui casi di violenza ritiene indiscutibile che gli uomini che condividono la
cultura della superiorità maschile siano più inclini a diventare partner abusanti, così come è
dimostrato dai fatti che le donne portate a concepire per sé un ruolo subalterno nella coppia sono
più inclini a subire e a non denunciare.
Nella cultura occidentale è in corso da tempo, grazie in primo luogo alle lotte delle donne, una
forte campagna di delegittimazione e denuncia della violenza sulle donne. Lo Stato italiano ha
promulgato nuove leggi in cui la riconosce e la punisce, i corpi di sicurezza e il sistema sanitario si
addestrano ad affrontarla. Soprattutto è indispensabile farla emergere poiché è in gran parte ancora
sommersa e nascosta. Se ne è indicata la specificità con il termine femminicidio, per definirne
l’esito più estremo, ed è ormai raro che si dichiari pubblicamente che una donna ha subito violenza
perché “se l’è cercata”. Ma si tratta di una consapevolezza ancora fresca che va consolidata ed
estesa a tutte le fasce della popolazione, in modo trasversale alle appartenenze e alle culture; sono attenzioni e comportamenti che vanno richiesti a tutte e tutti. In questa crescita di consapevolezza è
centrale il ruolo della scuola. Far riflettere studentesse e studenti su questo fenomeno diventa parte
del lavoro quotidiano svolto nelle classi che mira a trasmettere il senso grande del rispetto per la
persona e per le differenze.
4. Prevenzione di tutte le forme di discriminazione
La parità, così come l’uguaglianza di diritti e doveri, non si oppone alla differenza e alle
differenze, ma alla diseguaglianza, alla disparità e alle discriminazioni.
Se la discriminazione di genere appare quale elemento strutturale e trasversale ad ogni realtà
sociale, occorre tuttavia considerare gli altri fattori di discriminazione quali la disabilità, l’etnia, la
religione, le convinzioni personali, l’orientamento sessuale, che possono anche presentarsi in
combinazione dando origine alle cosiddette “discriminazioni multiple”.
Il principio di non discriminazione, sancito innanzitutto dall'articolo 3 della Costituzione italiana
e poi dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, è principio generale dell’ordinamento europeo
quale diritto fondamentale della persona. L’approccio alla discriminazione deve quindi essere
globale in quanto riconducibile alla cornice della tutela dei diritti umani e del rispetto della dignità
della persona. Proprio in questa ottica, occorre sottolineare come, nelle società complesse, si assista
ad un progressivo ampliamento dei diritti da tutelare; pertanto gli interventi di informazione e
sensibilizzazione sul tema delle discriminazioni concorrono, insieme al fondamentale strumento
dell'educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze, a prevenire e contrastare i
pregiudizi e gli stereotipi su cui esse si fondano.
La scuola deve impegnarsi nel realizzare una reale inclusione per valorizzare le singole
individualità ed educare le nuove generazioni al valore positivo delle differenze e alla cultura del
rispetto. La nascita di una dialettica tra identità e diversità consente la più compiuta affermazione
dell’individuo.
Con la conoscenza si acquisisce consapevolezza di pregiudizi e stereotipi ancora ben radicati
nella nostra società; in quest’ottica la scuola, nell’esercizio della propria funzione educativa, deve
fornire gli strumenti e le metodologie per il loro superamento e deve attivare tutte le necessarie
pratiche per interventi di prevenzione, informazione e sensibilizzazione.
5. Il contrasto alle discriminazioni nel mondo digitale
Gli interventi in questo ambito non possono non considerare la necessità di acquisire e
padroneggiare le competenze di cittadinanza digitale che oggi, più che mai, sono imprescindibili se
si considera che le nuove generazioni vivono “immerse” negli spazi di virtualità offerti dalla Rete,
da intendersi come un territorio di esperienza a tutti gli effetti, una dimensione che non è uno spazio
contrapposto al reale, benché segnato dalle proprie specificità.
Occorre per questo dare alle studentesse e agli studenti gli strumenti per una piena
consapevolezza delle implicazioni delle proprie interazioni in Rete e nei diversi media, per
comprendere i meccanismi di produzione e circolazione delle informazioni e per analizzare
analogie e differenze rispetto alla comunicazione in presenza e/o offline. L’educazione ad un uso
positivo e consapevole dei media deve, ad esempio, prestare particolare attenzione al rapporto tra
sfera pubblica e sfera privata, ai temi dell’identità e della privacy, della reputazione e della
rappresentazione, alle caratteristiche della socialità in Rete e alla promozione della Rete come bene
comune digitale.
Obiettivo è, tra gli altri, fornire strumenti di educazione civica digitale per prevenire situazioni di
disagio online, ed evitare meccanismi di bullismo, forme di incitamento all’odio e di osservazione
passiva ai vari comportamenti discriminatori. In questo quadro, l’obiettivo è di migliorare la
comprensione e la consapevolezza di diritti e responsabilità in Rete.
Occorre, infatti, rendere consapevoli le studentesse gli studenti che l’idea della presunta “libertà
della Rete” si può prestare a comportamenti discriminatori; al contrario va affermato il concetto di libertà positiva, una “libertà di” esprimere le proprie idee, aperte all’incontro e al confronto con
l’altro, in relazione con le opportunità che offre la società circostante, compresa quella del Web.
Da un lato, infatti, Internet in tutte le sue manifestazioni e, in particolare, i social network
possono ospitare manifestazioni “banalizzate” di “pensiero prevenuto”. D’altro, possono essere il
luogo in cui sviluppare gli “anticorpi” per promuovere i principi di pari opportunità e di
prevenzione delle discriminazioni (campagne che invitano alla condivisione di elementi come
forma di adesione e partecipazione, strumenti che facilitano l’empatia e l’assunzione di altri punti di
vista, aggregazioni nei social network per contrastare forme di discriminazione, prese di posizione
di personaggi noti, applicazioni per la segnalazione dei comportamenti scorretti).
Il mondo della scuola deve acquisire consapevolezza e condannare ogni fenomeno di violenza
nei confronti del diverso e educare affinché si evitino pericolose derive in atti di violenza fisica,
verbale o psicologica, anche tramite l’uso di Internet. A questo proposito, pare opportuno
richiamare il cosiddetto “Hate Speech”, il linguaggio d’odio(7) che sempre più spesso si riscontra
online, recentemente portato all’attenzione dell’opinione pubblica attraverso un documento
diramato dal Consiglio d’Europa, successivamente trasmesso anche alle istituzioni scolastiche dal
MIUR(8).
Con gli stessi obiettivi si stanno intensificando le esperienze e i progetti didattici nelle scuole,
anche grazie a protocolli con il Miur come quello sottoscritto per la condivisione del manifesto
Parole Ostili, finalizzato alla diffusione di una cultura della Rete non ostile.
Con questo approccio, improntato alla responsabilità, l'educazione al rispetto, in tutte le sue
articolazioni, passa anche dall’educazione alla cittadinanza digitale. A questo proposito vale la pena
richiamare tutte le azioni del Piano Nazionale Scuola Digitale, le Linee di orientamento per azioni
di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo del Miur9 e la Dichiarazione dei diritti
in Internet elaborata dalla Commissione per i diritti e i doveri in Internet costituita dalla Presidenza
della Camera dei deputati che offrono importanti spunti di riflessione.
Guardando ad un contesto internazionale, si richiama infine la Dichiarazione di Roma, emersa
dal congresso mondiale “Child dignity in the digital world” dell’ottobre 2017, documento prezioso
che rilancia quella larga alleanza globale, istituzionale e civile, fondamentale per prevenire ogni
forma di abuso online, attraverso percorsi di educazione al digitale a tutto campo, per tutelare
l’inviolabilità di ogni bambina e ogni bambino, e per reprimere ogni violenza perpetuata nei loro
6. L'educazione al rispetto a scuola
Il principio di pari opportunità, la cui attuazione – ai sensi del comma 16 dell’art. 1 della L. 107
del 2015 – deve essere assicurata dalle istituzioni scolastiche mediante il Piano Triennale
dell’Offerta formativa (PTOF), costituisce quindi un principio trasversale che investe l’intera
progettazione didattica e organizzativa. Pertanto, l’educazione al rispetto, intesa in tutte le sue
accezioni, non ha uno spazio e un tempo definiti, ma è interconnessa ai contenuti di tutte le
discipline e al lavoro delle docenti e dei docenti che dovrà essere orientato a un approccio sensibile
alle differenze (per esempio valorizzando la presenza delle donne nei grandi processi storici e
sociali, e il loro contributo al progresso delle scienze e delle arti, soprattutto nella seconda metà del ‘900), anche mediante la scelta di libri di testo che, nel rispetto della propria libertà di
insegnamento, tengano conto delle presenti linee guida.
Il PTOF deve ispirarsi a tale principio declinandolo nelle diverse aree di intervento, mediante la
promozione dell’educazione alla parità tra i sessi, della prevenzione della violenza di genere, della
prevenzione di ogni forma di discriminazione. Il comma 16 della l.107/2015 trova, quindi, nel
PTOF il principale strumento di pianificazione strategica per la sua attuazione: non soltanto
enunciazioni di principio, ma anche previsione di azioni concrete da realizzarsi nel corso del
triennio sia sul piano dell’informazione, sia su quello della sensibilizzazione, coinvolgendo i diversi
attori della comunità scolastica e con il consenso informato dei genitori secondo quanto previsto dal
patto di corresponsabilità educativa scuola-famiglia.
Il principio di pari opportunità deve trovare la giusta collocazione nel PTOF quale linea
strategica delle attività della scuola, sia come principio ispiratore della sua identità, sia mediante
attività progettuali, valorizzando l’apporto del territorio e della comunità educante (famiglie, mondo
associativo, istituzioni). A tal fine, è importante valorizzare le esperienze positive già avviate; il sito
istituzionale del Miur www.noisiamopari.it può essere utilizzato da parte delle scuole sia per far
conoscere e promuovere le proprie iniziative, sia per apprendere e trasferire buone pratiche
realizzate da altri istituti.
La declinazione dei principi di pari opportunità, così come le linee di intervento, dovranno tenere
conto del diverso grado di istruzione, dell’età degli alunni e delle alunne, del curricolo della scuola,
delle diverse aree disciplinari coinvolte, e delle linee progettuali.
Le istituzioni scolastiche potranno realizzare, in accordo con le presenti linee guida, appositi
percorsi anche in orario extra-curricolare, sfruttando, tra l’altro, le opportunità offerte dalle risorse
umane dell’organico dell’autonomia, privilegiando la didattica laboratoriale e l’apprendimento
cooperativo. La partecipazione delle studentesse e degli studenti a questi percorsi potrà essere
eventualmente riconosciuta dalle istituzioni scolastiche anche come credito formativo. Allo stesso
tempo le istituzioni scolastiche potranno aderire, nel rispetto della propria autonomia, a iniziative di
carattere nazionale proposte dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, o da
questo in coordinamento con altri Ministeri, con enti pubblici e/o privati, con Fondazioni.
In coerenza con la pianificazione delle attività previste dal PTOF, la formazione e
l’aggiornamento sui temi legati all'educazione al rispetto dovranno essere indirizzati a tutto il
personale scolastico (dirigenti, docenti e personale ATA), coinvolto a vario titolo nella gestione della scuola. La formazione del personale docente su dette tematiche, in particolare, può essere
attuata sia nell’ambito della formazione iniziale obbligatoria che negli spazi previsti per la
formazione individuale in servizio.
Una scuola realmente inclusiva può favorire la costruzione dell’identità sociale e personale da
parte delle studentesse e degli studenti, e il suo ruolo educativo risulta ancor più rilevante
nell’accompagnare e sostenere anche le fasi più delicate della loro crescita, interagendo
positivamente con le famiglie nel pieno rispetto del “patto di corresponsabilità educativa scuolafamiglia”,
sancito dal DPR 235/2007. A questo proposito si rimanda alle indicazioni fornite con la
nota prot. n. 1972 del 15 settembre 2015 nella quale si ribadisce “…il compito fondamentale
affidato ai genitori di partecipare e contribuire, insieme alla scuola, al percorso educativo e
formativo dei propri figli esercitando il diritto/dovere che l’art. 30 della nostra Costituzione
riconosce loro: « È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati
fuori del matrimonio»”. La nota continua chiarendo che “le famiglie hanno il diritto, ma anche il
dovere, di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano Triennale
dell’Offerta Formativa e, per la scuola secondaria, sottoscrivere formalmente il Patto educativo di
corresponsabilità per condividere in maniera dettagliata diritti e doveri nel rapporto tra istituzione
scolastica autonoma, studenti e famiglie. Questa opportunità offerta ai genitori consentirà di
scegliere la scuola dei propri figli dopo aver attentamente analizzato e valutato le attività
didattiche, i progetti e le tematiche che i docenti affronteranno durante l’anno che, in ogni caso,
dovranno risultare coerenti con i programmi previsti dall’attuale ordinamento scolastico e con le
linee di indirizzo emanate dal MIUR”.
Tutto questo in piena coerenza con quanto stabilito anche dalla Dichiarazione universale dei
diritti umani, che all’art. 26 recita: “Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve
essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L'istruzione
elementare deve essere obbligatoria. L'istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla
portata di tutti e l'istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del
merito. L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al
rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la
comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve
favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace. I genitori hanno diritto di
priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.”
Le istituzioni scolastiche sono pertanto chiamate a prevedere specifici spazi, tempi e strumenti
per l’informazione e il coinvolgimento dei genitori nel corso dell’attuazione delle diverse iniziative
previste nell’ambito del PTOF.
Le istituzioni scolastiche sono invitate ad avvalersi del supporto degli altri soggetti presenti sul
territorio, anche promuovendo reti, sviluppando protocolli di intesa e accordi di collaborazione con
gli Enti locali e con le associazioni attive sul territorio, o anche avvalendosi dell’apporto delle Forze
dell’Ordine e delle strutture socio-sanitarie per affrontare situazioni più critiche.
È necessario individuare percorsi comuni e condivisi, creare sinergie e aprire la scuola al
territorio. Fondamentale potrà essere per lo sviluppo e l’attuazione delle presenti linee guida la
collaborazione con le associazioni del terzo settore attive sulle tematiche dei diritti umani, della
violenza contro le donne e di genere, della promozione delle pari opportunità e non
discriminazione, sia per quanto riguarda attività progettuali per le studentesse e gli studenti, sia per
le attività di formazione per il personale scolastico.
(1) Le Linee guida sono il frutto di un tavolo tecnico istituito con DD prot. AOODPIT n. 1140 del 30/10/2015. Fanno
parte del tavolo presieduto dal Direttore generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione o suo delegato:
Giuseppe Pierro, Agnese Canevari, Anna Paola Sabatini, Mario De Caro, Alberto Maria Gambino, Chiara Giaccardi,
Alberto Melloni, Stefano Pasta, Graziella Priulla, Cecilia Robustelli, Maria Teresa Russo, Maria Serena Sapegno,
Andrea Simoncini.
(2) Per promuovere e attuare la Convenzione di Istanbul, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha dato vita
al network “Donne libere dalla violenza” e alla campagna “Al sicuro dalla paura, al sicuro dalla violenza”, che
possono fornire modelli di riferimento e di buone pratiche.
(3) Una antropologia relazionale riconosce come dato originario la pluralità e l’interdipendenza; non svaluta come
umiliante il bisogno degli altri, ma ne riconosce la realtà ineliminabile e ne fa motivo di gratitudine, e di disponibilità ad
aiutare essendo stati aiutati; educa al senso del limite poiché l’orizzonte non si restringe all’io, ma tiene conto della
sensibilità degli altri in un rapporto di empatia che si riverbera positivamente su chi lo prova e favorisce la
comunicazione e la capacità di pensiero; è condizione dell’idea di bene comune e della possibilità di far prevalere la
cooperazione e la contribuzione sulla competizione; favorisce una valorizzazione delle differenze, senza trasformarle in
disuguaglianze che generano dominio o disprezzo, ma costituisce la cornice per educare a prendersi cura di chi è più
fragile e immaginare forme di inclusione e valorizzazione piuttosto che esclusione e stigmatizzazione.
(4) Ulteriori informazioni sono disponibili nell'articolo di Cecilia Robustelli, “Genere, grammatica e grammatiche”, in La
differenza insegna, a cura di Maria Serena Sapegno, Roma, Carocci, 2014, pp. 61-74.
(5) A riguardo, si rende noto il recente progetto “Spotlight Initiative” lanciato il 20 settembre 2017 dall'Unione Europea e
dalle Nazioni Unite e teso a contrastare ogni forma di violenza e di discriminazione contro le donne. L'iniziativa è così
definita perché intende puntare l'attenzione della società sul tema incentivando la realizzazione di programmi globali
volti ad eliminare ogni forma di violenza contro donne e ragazze, anche in vista degli obiettivi dell'agenda 2030. Per
maggiori informazioni è possibile consultare il sito internet: www.un.org/en/spotlight-initiative/ .
(6) HeForShe è una campagna di solidarietà in favore dell'uguaglianza creata da l’Entità delle Nazioni Unite per
l'uguaglianza di genere e l'empowerment delle donne (United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment
of Women o UN Women), ente delle Nazioni Unite che lavora per favorire il processo di crescita e sviluppo della
condizione delle donne e della loro partecipazione pubblica. Sul sito internet www.heforshe.org è presente tutto il
materiale di approfondimento.
(7) L’”Hate Speech”, linguaggio d’odio, così come definita dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, è
“espressione di tutte le forme miranti a diffondere, fomentare, promuovere o giustificare l’odio razziale, la xenofobia,
l’antisemitismo o altre forme di odio fondate sull’intolleranza, tra cui l’intolleranza espressa sotto forma di
nazionalismo aggressivo e di etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità nei confronti delle minoranze, dei migranti,
e delle persone di origine immigrata”.
(8) Nota MIUR prot. AOODGSIP n. 2501 del 25.3.2016 con la quale il Miur, al fine di promuovere nelle scuole
azioni di sensibilizzazione e informazione sul tema dell'istigazione all'odio on line e dei rischi che esso rappresenta, ha
inviato alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado “un estratto del manuale elaborato dal Consiglio d'Europa per
comprendere meglio le caratteristiche del fenomeno e le modalità operative attraverso le quali aiutare i nostri ragazzi
a crescere in una società più rispettosa della diversità, che tuteli il rispetto dei diritti umani e contrasti il discorso dell'
odio. Il testo può essere, altresì, scaricato dal sito della Direzione generale dedicata al fenomeno del cyberbullismo
raggiungibile all'indirizzo www.generazioniconnesse.it”.
(9) Nota prot. 2519 del 15-04-2015.
Firmato digitalmente da FEDELI VALERIA
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