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Data di pubblicazione: 22/11/2024
La disciplina del completamento di orario per le supplenze attribuite dalle graduatorie di istituto, alcuni chiarimenti
Gentile utente, l'O.M. 88/2024 all'art. 13 commi 20 e 21 disciplina il completamento di orario per le supplenze attribuite dalle graduatorie di istituto, prevedendo che: "L’aspirante cui è conferita, in caso di assenza di posti interi, una supplenza a orario non intero, anche nei casi di attribuzione di supplenze con orario ridotto in conseguenza della costituzione di posti di lavoro a tempo parziale per il personale di ruolo, conserva titolo, in relazione alle utili posizioni occupate nelle varie graduatorie di supplenza, a conseguire il completamento d’orario, esclusivamente nell’ambito di una sola provincia, fino al raggiungimento dell’orario obbligatorio di insegnamento previsto per il corrispondente personale di ruolo. Nel predetto limite orario, il completamento è conseguibile con più rapporti di lavoro a tempo determinato da svolgere in contemporaneità esclusivamente per insegnamenti per i quali risulti omogenea la prestazione dell’orario obbligatorio di insegnamento prevista per il corrispondente personale di ruolo. Per il personale docente della scuola secondaria il completamento dell’orario di cattedra può realizzarsi per tutte le classi di concorso, sia di primo che di secondo grado, sia cumulando ore appartenenti alla medesima classe di concorso sia con ore appartenenti a diverse classi di concorso, ma con il limite rispettivo di massimo tre sedi scolastiche e massimo due comuni, tenendo presente il criterio della facile raggiungibilità. Il predetto limite vale anche per la scuola dell’infanzia e primaria. Il completamento d’orario può realizzarsi, alle condizioni predette, anche tra scuole statali e non statali, con rispettiva ripartizione dei relativi oneri. In base alle suddette disposizioni, il completamento di orario può essere attribuito per tutte le tipologie di supplenza, anche temporanea, fatte salve le condizioni espresse nell'art. 13 . Tuttavia tale completamento non può essere attribuito frazionando una cattedra intera ma solo altri spezzoni orario. Pertanto nel caso sottoposto il docente che aveva diritto al completamento non poteva avere l'assegnazione delle 8 ore frazionando al cattedra intera di lettere ma poteva completare con altro spezzone orario". Quanto sopra è ribadito nelle premesse all'ordinanza n. 88/2024 in cui si precisa: "RITENUTO di non accogliere la richiesta del CSPI di prevedere, all’articolo 12, comma 12, e all’articolo 13, comma 20, che il completamento possa attuarsi anche mediante il frazionamento orario delle relative disponibilità, al fine di salvaguardare l’unicità dell’insegnamento nella classe e nelle attività di sostegno ed evitare la creazione di ulteriori frazionamenti orari." Nel caso sottoposto quindi, fatte salve le riserve sulla legittimità dell'assegnazione delle 8 ore di lettere derivanti dal frazionamento di una cattedra intera, allo stato attuale, visto che i contratti sono stati già stipulati e perfezionati, il docente che ha 10 ore di supplenza può completare l'orario con le 8 ore di sostituzione dell'insegnante in malattia.
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Data di pubblicazione: 22/11/2024
Come si calcola il compenso lordo per i docenti di sostegno dei corsi attivati con finanziamenti Pon estate?
Si premette che l’Avviso Piano Estate intende ampliare e sostenere l’offerta formativa con azioni specifiche volte a promuovere iniziative per gli apprendimenti, l’aggregazione, l’inclusione e la socialità, soprattutto nel periodo di sospensione estiva delle lezioni negli anni scolastici 2023-2024 e 2024-2025. L’avviso si inserisce nel quadro delle azioni previste dall’Obiettivo specifico ESO4.6 del Programma nazionale “Scuola e competenze” 2021-2027 e degli interventi di cui al decreto n. 72 dell’11aprile 2024 del Ministro dell’Istruzione e del Merito. L’iniziativa è finanziata dal Fondo sociale europeo plus (FSE+) nell’ambito del PN Scuola 21-27. Questa premessa è doverosa al fine di definire la cornice giuridica del progetto, il quale, per quanto sopra premesso, si inserisce nel quadro generale dei progetti di natura europea (PON) e come tale ne segue le istruzioni operative generali. Come si evince dall’avviso pubblico, l’importo del rimborso per l’attività formativa si calcola moltiplicando le ore di durata del modulo per il costo indicato per ciascuna delle figure professionali previste per lo svolgimento dell’attività formativa. Il massimale del costo orario omnicomprensivo è di € 70 per l’esperto e € 30 per il tutor. L’importo del rimborso per la voce opzionale della Figura aggiuntiva si calcola moltiplicando il costo orario standard di € 30,00 per il numero di alunni inseriti in candidatura. Ciascun alunno potrà usufruire di 1 ora, oltre il monte ore del modulo, con la figura professionale individuata dall’istituto scolastico. L’attività di gestione, invece, comprende tutte le spese legate alla gestione delle attività formative previste dal progetto (materiali didattici, di consumo, noleggio di piccole attrezzature, rimborso brevi spostamenti, compensi per DS, DSGA, referente per la valutazione, docente di sostegno, Ata e collaboratori scolastici, pubblicità, certificazioni, ecc.). L’importo del rimborso, per l’attività di gestione, si calcola moltiplicando le ore di durata del modulo per il numero degli alunni partecipanti per l’importo standard di € 5,10. Il calcolo viene effettuato in coerenza con il numero massimo di partecipanti inseriti nella candidatura. Per queste figure, per le quali non è previsto un costo standard unitario, si applicano i compensi orari declinati dalle tabelle E1.6 e E1.7 allegate al C.C.N.L. del 18 gennaio 2024; nel caso specifico € 19,25.
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Data di pubblicazione: 22/11/2024
La ripetizione del periodo di prova comporta la necessità di acquisire nuovamente i CFU?
Alla fattispecie illustrata nel quesito si applicano gli artt. 18 e 19 del D.M. n. 108/2022, secondo cui: “Articolo 18 (Percorso di formazione e prova conclusiva) 1. Il presente articolo individua le attività formative, le procedure, le modalità e i criteri di verifica del percorso di formazione a cui partecipano, con oneri a proprio carico, i candidati vincitori collocati in posizione utile nelle graduatorie di cui all’articolo 9. 2. Il percorso di formazione assolve alle finalità di svolgere un confronto tra le competenze dell’aspirante e quelle del profilo professionale proprio del docente. 3. Il profilo assunto come riferimento attiene a cinque dimensioni o aree della professionalità: culturale-disciplinare, metodologico-didattica, organizzativa, istituzionale-sociale, formativo-professionale. 4. Il percorso, attivato dalle università, prevede quaranta ore di attività formative equivalenti a cinque crediti formativi universitari (CFU) e si conclude entro il 15 giugno 2023. 5. Le attività formative previste per il percorso di formazione di cui all’art. 59, comma 9-bis del decreto-legge sono organizzate in tre aree tematiche di seguito riportate: • Formazione sulle dimensioni culturale-disciplinare, metodologico-didattica, e formativo-professionale (3 CFU – MPED/03 DIDATTICA E PEDAGOGIA SPECIALE) • Formazione sulle dimensioni organizzativa e istituzionale-sociale – (1 CFU - SPS/07 - SOCIOLOGIA GENERALE) • Elaborazione di un bilancio delle competenze e di un conseguente progetto di sviluppo individuale (1 CFU – MPED/04 PEDAGOGIA SPERIMENTALE) 6. Le competenze acquisite sono verificate mediante un esame orale sui contenuti del corso. 7. La valutazione finale afferisce alla padronanza dei contenuti, all’utilizzo di appropriate definizioni e riferimenti teorici, alla chiarezza dell’esposizione, al dominio del linguaggio specialistico e si intende superata dai candidati che conseguono una valutazione positiva. 8. A seguito del superamento dell’esame è rilasciato un certificato di frequenza che riporta i crediti formativi universitari (CFU) conseguiti e i relativi settori scientifico disciplinari (SSD). 9. Il mancato superamento della prova conclusiva comporta la decadenza dalla procedura ed è preclusa la trasformazione a tempo indeterminato del contratto. Il servizio prestato viene valutato quale incarico a tempo determinato. 10. Mediante comunicazione sul proprio sito istituzionale, ogni USR responsabile della procedura concorsuale rende nota la data entro la quale gli aspiranti dichiarano, secondo le modalità di cui al DPR 28 dicembre 2000, n. 445, il positivo superamento del percorso formativo. Articolo 19 (Trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato) 1. Nel corso della durata del contratto a tempo determinato di cui all’articolo 17, i candidati svolgono il percorso annuale di formazione iniziale e prova di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59. 2. La negativa valutazione del percorso di formazione e prova comporta la reiterazione dell’anno di prova ai sensi dell’articolo 1, comma 119, della legge 13 luglio 2015, n. 107. Il rinvio del percorso di formazione e prova per giustificati motivi normativamente previsti comporta la reiterazione dell’anno di prova come regolamentato dall’articolo 438 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e dall’articolo 1, comma 116, della legge 13 luglio 2015, n. 107. 3. A seguito del superamento della prova che conclude il percorso di formazione di cui all’articolo 18 nonché del superamento del percorso annuale di formazione iniziale e prova, il docente è assunto a tempo indeterminato e confermato in ruolo, con decorrenza giuridica ed economica dal 1° settembre 2023, o, se successiva, dalla data di inizio del servizio, nella medesima istituzione scolastica presso cui ha prestato servizio a tempo determinato. Si applica quanto disposto all'articolo 399, commi 3 e 3 bis, del Testo Unico. 4. All’atto della conferma in ruolo i docenti assunti conseguono l’abilitazione per la relativa classe di concorso, qualora ne siano privi. 5. La rinuncia al ruolo comporta la decadenza dalla graduatoria regionale. 6. Le graduatorie regionali decadono con l'immissione in ruolo dei vincitori.” Alla luce di queste disposizioni, i candidati vincitori della procedura concorsuale straordinaria sono tenuti a: - l’acquisizione dei 5 CFU. Essa fa parte del loro “percorso di formazione” e consegue alla valutazione positiva della prova conclusiva; il mancato superamento della stessa non dà luogo alla sua ripetizione, bensì alla decadenza dei candidati dall’intera procedura; - lo svolgimento del “percorso annuale di formazione iniziale e prova di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59” la cui disciplina di dettaglio è contenuta nel D.M. n. 226/2022. L’esito sfavorevole di detto percorso dà luogo alla sua ripetizione secondo le disposizioni generalmente applicabili e contenute nell’art. 13 D.Lgs. n. 59/2017. In altri termini, nel caso di specie, il “percorso annuale di formazione iniziale e prova di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59” si aggiunge all’acquisizione dei 5 CFU, mantenendo tuttavia inalterata la propria regolamentazione. Il primo e la seconda sono indipendenti: necessari entrambi alla trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, non seguono tuttavia la stessa sorte. Se non si acquisiscono i 5 CFU, a nulla rileva l’esito positivo del periodo di prova posto che si determina decadenza dall’intera procedura; se invece si conseguono ma il periodo di prova ha esito sfavorevole, esso deve essere ripetuto secondo le regole generalmente applicabili. Il che comporta l’applicazione dell’art. 13 del D.Lgs. n. 59/2017 e, attraverso il rinvio contenuto nel comma 1 della disposizione citata, del D.M. n. 226/2022: ovvero, assegnazione del tutor, stesura del bilancio di competenze e sottoscrizione del patto di sviluppo professionale, frequenza delle attività formative per un monte orario pari a 50 ore, predisposizione del portfolio professionale, verifica del dirigente tecnico, osservazioni del dirigente scolastico, colloquio e test dinanzi al comitato di valutazione, oltre alle specifiche (ulteriori) forme di supporto formativo e di verifica del conseguimento degli standard richiesti per la conferma in ruolo indicate nel provvedimento motivato di ripetizione del periodo di prova (art. 14, c. 3 del D.M. n. 226/2022). In conclusione, la ripetizione del periodo di prova non comporta la necessità di acquisire nuovamente i 5 CFU secondo le modalità indicate dall’art. 18 del D.M. n. 108/2022.
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Data di pubblicazione: 22/11/2024
Docenti in part-time: attività funzionali e colloqui con le famiglie...
Circa il monte orario annuo delle attività funzionali del personale docente con contratto part time, la Cassazione, con ordinanza n. 7320 del 14 marzo 2019, ha stabilito: “9. la disciplina del tempo parziale, dettata dall'art. 46 del CCNL 4.8.1995, poi ripreso dall'art. 36 del CCNL 24.7.2003 e dall'art. 39 del CCNL 29.11.2007, risente delle peculiarità proprie della funzione docente, perché le parti collettive, dopo avere rimesso al Ministero la determinazione dei criteri e delle modalità per la costituzione dei rapporti part time nonché «della durata minima della prestazione lavorativa», da verificare con le organizzazioni sindacali in apposito incontro, ribadita la distinzione fra tempo parziale orizzontale, tempo parziale verticale e tempo parziale misto, quanto alle attività diverse dall'insegnamento in senso stretto hanno stabilito che «il personale con rapporto di lavoro a tempo parziale è escluso dalle attività aggiuntive di insegnamento aventi carattere continuativo» ed hanno significativamente aggiunto che «nell'applicazione degli altri istituti normativi previsti dal presente contratto, tenendo conto della ridotta durata della prestazione e della peculiarità del suo svolgimento, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di legge e contrattuali dettate per il rapporto a tempo pieno»; 10. a sua volta l'ordinanza ministeriale del 23 luglio 1997, da ritenersi parte integrante della disciplina contrattuale che alla stessa rinvia, all'art. 7, dopo avere dettato numerose prescrizioni, tutte finalizzate a rendere il lavoro a tempo parziale compatibile con le esigenze didattiche, prevede al comma 7 che «le ore relative alle attività funzionali all'insegnamento sono determinate, di norma, in misura proporzionale all'orario di insegnamento stabilito per il rapporto a tempo parziale. Restano, comunque, fermi gli obblighi di lavoro di cui agli artt. 40 e 42, 2° e 3° comma del CCNL. Per quanto attiene alle attività di cui all'art. 42 comma 3, lett. b) [art. 44, c. 3, lettera b) del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021, n.d.r.] il tetto delle quaranta ore annue andrà determinato in misura proporzionale all'orario di insegnamento stabilito»; 11. il provvedimento ministeriale, intervenuto a pieno titolo a disciplinare la materia perché allo stesso le parti collettive hanno rinviato per la determinazione dei criteri e delle modalità di costituzione del rapporto nonché della durata minima della prestazione, è assolutamente chiaro nel prevedere che il docente part time è tenuto ad assicurare le attività funzionali all'insegnamento e che, quanto alle attività collegiali, solo quella prevista dall'art. 42, comma 3, lett. b) [art. 44, c. 3, lettera b) del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021, n.d.r.], ossia la partecipazione ai consigli di classe, è soggetta a riduzione proporzionale commisurata all'orario di insegnamento stabilito; 12. la ratio della disciplina si coglie agevolmente considerando che la riduzione dell'attività di insegnamento si può riflettere sulle attività funzionali individuali e su quelle collegiali di cui alla lettera b) del richiamato comma 3, ma non su quelle di cui alla lettera a), in quanto l'apporto che il docente a tempo parziale è chiamato a dare in seno al collegio dei docenti, per la natura dei compiti a quest'ultimo assegnati, è del tutto sovrapponibile a quello richiesto al docente a tempo pieno, e non può subire una riduzione proporzionata al minor orario di lavoro assegnato; […]”. In altri termini, per tutte le attività funzionali all’insegnamento, eccettuati i consigli di intersezione/interclasse/classe e i GLO, la condizione del docente con contratto a tempo parziale non differisce da quella del docente con contratto di lavoro a tempo pieno, con conseguente obbligo di partecipare a tutte le attività funzionali individuate dalla lettera a) del c. 3 dell’art. 44 CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021, anche se sono calendarizzate in giorni in cui non è tenuto a svolgere l’attività d’insegnamento. Per i consigli di intersezione/interclasse/classe e i GLO, invece, i docenti a tempo parziale fruiscono di una riduzione del monte annuo delle quaranta ore stabilite per gli insegnanti a tempo pieno, in proporzione all’orario settimanale svolto. Fatta questa premessa, si ritiene che anche l’obbligo formativo tracciato dal c. 4 dell’art. 44 del CCNL citato sia circoscritto al monte annuo dato dalla somma delle 40 ore di cui alla lettera a) del comma 3 dell’art. 44 del CCNL 2019-2021 e dal riproporzionamento delle 40 ore di cui alla lettera b) della medesima disposizione. Infatti, detto obbligo “ripete” il monte orario annuo dalle lettere a) e b) del c. 3 dell’art. 44 del CCNL citato: se detto monte orario annuo subisce un riproporzionamento – nei termini anzidetti – non può non subirlo il monte orario annuo destinato alla formazione. In questa direzione va inoltre un’ulteriore considerazione, ovvero quella secondo cui il riproporzionamento – in caso di part time – è regola generale: in mancanza di indicazioni specifiche, esso è applicato agli istituti fruiti dai dipendenti che godono di tale regime contrattuale (cfr. ad esempio gli orientamenti ARAN sul periodo di comporto). Venendo invece alla questione delle ore destinate ai colloqui con le famiglie, si ritiene che esse non subiscano, in principio, alcun riproporzionamento a meno che – nel dettare le regole per garantire l’accessibilità del servizio alle famiglie – il consiglio di istituto non indichi modalità e criteri differenziati in ragione del prevedibile (minore o maggiore) afflusso ai colloqui stessi. Risulta evidente infatti che a un minore numero di classi – per effetto del part time – consegua anche un minore afflusso di genitori. L’art. 44 CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 – come il precedente art. 29 CCNL comparto scuola 2006-2009 – distingue tra “i rapporti individuali con le famiglie”, rientranti tra gli adempimenti dovuti senza alcun limite temporale (c. 2, lettera c)) e “l'informazione alle famiglie sui risultati degli scrutini trimestrali, quadrimestrali e finali”, rientrante tra le attività funzionali collegiali di cui al c. 3, lettera a) e, perciostesso, dovuta fino a concorrenza del monte annuo di 40 ore ivi stabilito. In altri termini, per espressa previsione di quest’ultima disposizione, l’informazione alle famiglie che concorre alle 40 ore annue, destinate alle attività collegiali di cui alla lettera a) del comma 3 dell’art. 44 CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021, è (soltanto) quella relativa ai risultati degli scrutini, periodici e finali, solitamente demandata al docente coordinatore e attuata all’esito delle valutazioni periodiche e finali. Non a caso una simile attività viene ricondotta a quelle collegiali: come lo è la valutazione, periodica e finale, così lo è – o dovrebbe esserlo – anche l’attività susseguente. Essa dovrebbe, infatti, costituire un momento di “restituzione” da parte dell’intero consiglio di classe della valutazione operata. I colloqui “generali”, per contro, a meno che non si collochino a ridosso di quei momenti e non abbiano quella stessa finalità, non rientrano in detta fattispecie: sono soltanto una modalità con cui la quasi totalità delle scuole rende concretamente più fluido ed efficace il flusso comunicativo tra scuola e famiglia, secondo quanto previsto dall’attuale c. 5 dell’art. 44 citato. Esso dispone: “Per assicurare un rapporto efficace con le famiglie e gli studenti, in relazione alle diverse modalità organizzative del servizio, il consiglio d’istituto sulla base delle proposte del collegio dei docenti definisce le modalità e i criteri per lo svolgimento dei rapporti con le famiglie e gli studenti, assicurando la concreta accessibilità al servizio, pur compatibilmente con le esigenze di funzionamento dell'istituto e prevedendo idonei strumenti di comunicazione tra istituto e famiglie.” Il fatto che i docenti siano disponibili contemporaneamente al colloquio con le famiglie non priva l’attività – meglio, l’adempimento, come lo denomina l’art. 44, c. 2, lettera b) del CCNL di comparto – del carattere individuale e, dunque, non la sottrae alla disciplina del medesimo c. 2 dell’art. 44 citato: la contemporaneità di tempo e di luogo di detti colloqui è strumentale alla maggiore accessibilità del servizio da parte dei genitori, secondo il disposto del già citato comma 5, ma non rende questa una attività collegiale. Del resto, la stessa si sostanzia in una comunicazione dell’attività “individuale” di valutazione che il singolo docente sta operando e non già nella restituzione di una valutazione “collegiale”, quale quella operata in sede di scrutinio, periodico o finale. In altri termini, i colloqui individuali con le famiglie – sia in orario antimeridiano che pomeridiano, all’interno dei cosiddetti colloqui “generali” – costituiscono adempimento dovuto per il docente, anche in part time, e non già attività funzionale (collegiale), riconducibile all’art. 44, c. 3, lettera a) del CCNL di comparto, con sottrazione al limite del monte orario annuo delle 40 ore.
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Data di pubblicazione: 22/11/2024
Facciamo il punto sull'inserimento in Anagrafe delle prestazioni degli incarichi a esperti interni ed esterni...
Tutti i contratti di lavoro autonomo con esperti esterni vanno inseriti in Anagrafe. L'art. 53, comma 12, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti comunicano in via telematica, nel termine di quindici giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l’indicazione dell’oggetto dell’incarico e del compenso lordo, ove previsto. Pertanto, dal punto di vista di una mera interpretazione letterale della norma ogni incarico conferito a personale interno andrebbe inserito in Anagrafe. La nostra posizione ribadita nel corso degli anni, e che ha trovato conferma nelle prassi riscontrate durante i nostri corsi di formazione, è che per quanto concerne il personale interno non devono essere inseriti in Anagrafe (e quindi, per completezza, non vanno pubblicati in Amministrazione trasparente) tutti i compensi provenienti dal FIS liquidati al personale per attività di insegnamento, per attività funzionali o per attività aggiuntive, assegnati dal dirigente scolastico e rientranti nella specifica previsione dell’art. 88 del CCNL 2007. In senso analogico soccorre, anche l'interpretazione fornita in tema di pubblicazione dei dati sul sito dall'A.N.A.C. - Autorità Nazionale Anti Corruzione che con le FAQ (domande frequenti con relativa risposta) in merito agli obblighi di pubblicazione sui siti delle Amministrazioni Pubbliche alla luce del D.Lgs. n. 33 del 2013 c.d. "Decreto Trasparenza", pubblicate sul proprio sito istituzionale, ha precisato che non sono soggetti agli obblighi di pubblicazione di cui all'art. 18 del D.Lgs. n. 33/2013 gli incarichi conferiti a dipendenti finanziati con le risorse a carico dei fondi della contrattazione integrativa. Dovranno, invece, essere rilevati tutti gli incarichi per i quali sono stati corrisposti compensi con fondi extra FIS di provenienza esterna. Quindi, stante l’assenza di recenti indicazioni specifiche sul punto da parte del MIM, in merito al quesito posto si ribadisce che, a nostro avviso, vanno comunicati all’Anagrafe delle Prestazioni e conseguentemente pubblicati gli incarichi affidati dall’Istituzione Scolastica ai propri dipendenti allorché questi siano assegnati al di fuori degli istituti contrattuali del MOF e, pertanto, solo nei casi di incarichi retribuiti con fondi extra FIS (come per esempio in caso di progetti finanziati dalla famiglie o da fondi regionali). Conclusivamente, sulla base quindi di quanto previsto dalla normativa interpretata letteralmente, ogni incarico non compreso nei compiti e doveri d’ufficio, conferito ai dipendenti interni andrebbe inserito in Anagrafe delle Prestazioni. Un'eccezione alla norma generale è costituita dagli incarichi connessi e finanziati con la contrattazione integrativa. Come detto sopra, il combinato disposto tra l’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001 e l’art. 18 del D.Lgs. 33/2013, esplicitato dall’ANAC, con la FAQ n. 8.2 contenuta nel documento “FAQ in materia di trasparenza sull’applicazione del Decreto Legislativo 33/2013” esclude dall’ambito di applicazione gli incarichi ai dipendenti della scuola finanziati con fondi MOF. Dal punto di vista operativo, le funzionalità disponibili agli utenti registrati consentono: - la comunicazione dei dati relativi agli incarichi - la cancellazione e la gestione degli incarichi aperti. Per accedere: cliccare su Accedi al Servizio ed entri nella pagina PUA (Punto unico di accesso del Dipartimento della Funzione Pubblica) dove si potrà entrare con le credenziali PUA o, in alternativa, entrare con i sistemi SPID, CIE o CNS I termini per l'inserimento sono i seguenti: gli incarichi relativi ai consulenti (ossia, a soggetti esterni alla pubblica amministrazione) vanno inseriti entro tre mesi dal conferimento dell'incarico, gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti vanno inseriti entro 15 giorni dal conferimento o autorizzazione dell’incarico, da parte dell'amministrazione che ha autorizzato l'incarico (D.Lgs 165/2001 art.53 c.12).
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Data di pubblicazione: 22/11/2024
Alcune questione legate alla richiesta di permessi e ferie durante il periodo di prova...
L'art. 62 del CCNL 2024 commi 3,4 e 5 prevede quanto segue. Ai fini del compimento del suddetto periodo di prova si tiene conto del solo servizio effettivamente prestato. Il periodo di prova è sospeso in caso di assenza per malattia e negli altri casi previsti dalla legge o dal CCNL. In caso di malattia il dipendente ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di sei mesi, decorso il quale il rapporto può essere risolto. In caso di infortunio sul lavoro o malattia derivante da causa di servizio si applica l'art. 20 (Infortuni sul lavoro e malattie dovute a causa di servizio) del CCNL del 29/11/2007. ( comma 4) Le assenze riconosciute come causa di sospensione ai sensi del comma 4, sono soggette allo stesso trattamento economico previsto per i dipendenti non in prova. Pertanto le cause di sospensione di cui al comma 4 sono, oltre la malattia ( per la quale è previsto uno specifico regime) anche l'infortunio, le aspettative, i congedi etc. In giurisprudenza (cfr. Cassazione 24 ottobre 1996, n. 9304; 25 settembre 2015, n.19043) è stato affermato che in difetto di diversa previsione contrattuale, il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso, stante la finalità del patto di prova, in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro, e, in particolare, il godimento delle ferie annuali, il quale, data la funzione delle stesse di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova. I periodi utili alla prova sono, oltre i giorni di presenza del dipendente, anche le domeniche, le feste, i giorni di chiusura forzata della scuola. Non sono, invece, utili i giorni di assenza a qualsiasi titolo: assenze per malattia, ferie, congedi, aspettative, ecc. Circa le festività soppresse di cui alla Legge 23/12/1977, n. 937, art. 1, occorre distinguere le due giornate in aggiunta alle ferie dalle quattro considerate giornate di riposo. Le prime, a causa dell'assimilazione per legge alle ferie, non sono utili alla prova, mentre le seconde, a causa della loro sostanziale natura di festività, sono invece utili alla prova. Per quanto concerne i permessi per studio, allorchè si tratti di mera riduzione oraria e non giornaliera, si ritiene che detti riposi non sospendano il periodo di prova.
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Data di pubblicazione: 22/11/2024
Un dipendente dopo aver superato il periodo di comporto invia certificato di prolungamento della malattia...
L’art. 17, comma 1, del CCNL 2007, non modificato dai successivi CCNL, prevede che il dipendente assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione del predetto periodo, si sommano, alle assenze dovute all'ultimo episodio morboso, le assenze per malattia verificatesi nel triennio precedente. Il secondo comma del citato articolo prevede che, superato il periodo previsto dal comma 1, al lavoratore che ne faccia richiesta è concesso di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi, senza diritto ad alcun trattamento retributivo. Il terzo comma prevede che, prima di concedere su richiesta del dipendente l'ulteriore periodo di assenza di cui al comma secondo l'amministrazione procede all'accertamento delle sue condizioni di salute, per il tramite del competente organo sanitario ai sensi delle vigenti disposizioni, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali cause di assoluta e permanente inidoneità fisica a svolgere qualsiasi proficuo lavoro. Superati i periodi di conservazione del posto previsti dai commi 1 e 2, oppure nel caso che, a seguito dell'accertamento disposto ai sensi del comma 3, il dipendente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l'amministrazione può procedere, salvo quanto previsto dal successivo comma 5, alla risoluzione del rapporto corrispondendo al dipendente l'indennità sostitutiva del preavviso. In materia è successivamente intervenuto il DPR 27 luglio 2011, n. 171 con il quale, in ottemperanza alla previsione di cui all'articolo 55-octies del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è stato introdotto il “Regolamento di attuazione in materia di risoluzione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche dello Stato e degli enti pubblici nazionali in caso di permanente inidoneità psicofisica”. Il citato regolamento disciplina la procedura, gli effetti ed il trattamento giuridico ed economico relativi all'accertamento della permanente inidoneità psicofisica dei dipendenti, anche con qualifica dirigenziale, delle amministrazioni dello Stato. Le disposizioni del citato DPR si applicano in via automatica, ai sensi dell’art. 2 comma 3 bis, del D.Lgs. n. 165/2001 e, pertanto, abrogano le precedenti disposizioni anche di natura contrattuale. Nel citato Regolamento viene previsto che la pubblica amministrazione avvia la procedura per l'accertamento dell'inidoneità psicofisica del dipendente, in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova, in caso assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento. In detta ipotesi la scuola, prima di concedere l'eventuale ulteriore periodo di assenza per malattia, dandone preventiva comunicazione all'interessato, procede all'accertamento delle condizioni di salute dello stesso, per il tramite dell'organo medico competente, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali cause di permanente inidoneità psicofisica assoluta o relativa. Ferma restando la possibilità di risoluzione del rapporto di lavoro in caso di superamento del periodo di comporto previsto dal CCNL vigente, la scuola procede alla risoluzione del rapporto di lavoro se a seguito all'accertamento medico emerge un'inidoneità permanente psicofisica assoluta. Quindi, come rilevato anche in nostre precedenti risposte, la richiesta di visita va effettuata superato il primo periodo di comporto anche se non vi è stata richiesta di proroga. Per quanto concerne gli adempimenti in caso di superamento del primo periodo di 18 mesi già forniva utili precisazioni la C.M. 13 marzo 2000, n. 69 la quale prevedeva che “…i Provveditorati agli Studi, allo stato attuale, e le Istituzioni Scolastiche, per effetto del D.P.R. dell'8 marzo 1999, n. 275, dal 1° settembre 2000, nel caso in cui il dipendente non si sia avvalso della facoltà disciplinata dal succitato secondo comma (richiesta della proroga eccezionale dell’assenza per malattia dopo il superamento dei 18 mesi), devono attivare la procedura per l'accertamento tecnico della sussistenza dell'eventuale inidoneità allo svolgimento del servizio…". Quindi, a nostro avviso, anche se non vi è stata la richiesta del dipendente, la scuola deve sottoporre il dipendente a visita medica collegiale allo scopo di accertare se il medesimo, allo scadere dei 18 mesi, sia in grado o meno di riassumere servizio; questo adempimento è indispensabile per stabilire che la conseguenza risoluzione del rapporto di impiego non è attribuibile alla volontà dell'interessata ma a causa di forza maggiore (il che potrebbe comportare delle conseguenze anche dal punto di vista pensionistico). L’ulteriore periodo di comporto può essere concesso in casi particolarmente gravi, intendendosi per tali le situazioni di malattia che non consentono il rientro in servizio ma che comunque escludono una inidoneità assoluta e permanente. L'ARAN con gli Orientamenti Applicativi del 30 settembre 2020 CIRU27 e CIRU29 ha precisato che: - il lavoratore che intenda fruire degli ulteriori 18 mesi di assenza non retribuita (cfr. art. 17, comma 2, CCNL 2007), alla relativa istanza, deve allegare idonea certificazione medica attestante la gravità della patologia che non consente la ripresa dell’attività lavorativa ( cosa che il dipendente non ha fatto nel caso di specie); - per quanto riguarda le modalità di fruizione del secondo periodo di comporto (ulteriori 18 mesi), la formulazione adottata nel CCNL non consente un utilizzo dello stesso in misura frazionata. Al lavoratore è, comunque, consentita la ripresa del servizio nel caso sopraggiunga la completa guarigione prima che scadano i diciotto mesi. In definitiva, dal momento che il primo periodo di comporto è stato superato, la scuola deve comunque attivare la visita collegiale come per l'appunto è stato fatto. Ciò premesso, a nostro avviso, dopo il superamento del periodo di comporto e nelle more dell'accertamento medico, il dipendente - che tra l'altro non ha documentato la richiesta del secondo periodo a zero - non può rientrare in servizio attivo nè può chiedere di assentarsi ad altro titolo ( ferie, permessi etc). Superato il primo periodo di comporto, ferma restando la necessità della visita collegiale, o il dipendente chiedeva il secondo periodo a zero ai sensi dell'art. 17, comma 2, CCNL 2007 oppure, in mancanza, nelle more delle risultanze della visita il dipendente deve comunque essere assente senza retribuzione in attesa all'esito della visita ( non erano necessarie, a nostro avviso, le visite fiscali) e non può rientrare in servizio. L'USR Piemonte, con la Nota n. 17320 del 25 novembre 2022, ha ricordato che la giurisprudenza si è espressa ritenendo che "l'interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale vada contemperato con un ragionevole spatium deliberandi da riconoscersi al datore di lavoro affinché possa valutare convenientemente la compatibilità di una rinnovata presenza del lavoratore in rapporto agli interessi aziendali". In altri termini il datore di lavoro ha il diritto di attendere il rientro in servizio del dipendente malato per poterne valutare un possibile riutilizzo nell’assetto organizzativo dell’impresa senza che tale attesa valga quale rinuncia all’esercizio del recesso. (In tal senso Cass. n. 24899 del 25/11/2011 ha ritenuto tempestivo il licenziamento intimato dopo 7 mesi dal superamento del periodo di comporto e 19 giorni dalla ripresa del lavoro. Si v. anche l'ordinanza del 18/03/2013 resa dal Trib. di Torino e, più recentemente, l'ordinanza n. 18960 dell’11 settembre 2020 emessa dalla Corte di Cassazione secondo cui è il lavoratore, in sede di impugnazione dell'atto datoriale, a dover provare che l'intervallo temporale tra il superamento del periodo di comporto e la comunicazione di recesso ha superato i limiti di adeguatezza e ragionevolezza ingenerando nel dipendente un affidamento legittimo circa la volontà tacita del dirigente di rinunciare alla facoltà del recesso). La Corte di Cassazione, con la Sentenza 14 ottobre 2015 n. 20722, ha precisato che per effettuare un licenziamento per superamento del periodo di comporto è indispensabile la tempestività della comunicazione. Per contro la riammissione in servizio del lavoratore, dopo che quest’ultimo ha superato il periodo massimo di tutela del posto di lavoro, è da considerare come una implicita manifestazione di volontà del non volersi avvalere del potere recessivo. La Cassazione ha, infatti, affermato che: - una volta superato il periodo di comporto, il lasciar passare del tempo tra la riammissione in servizio del lavoratore e il licenziamento fa perdere a quest’ultimo la motivazione legata al superamento del periodo di comporto; - se la risoluzione non è tempestiva viene meno il nesso causalità tra superamento del periodo di tutela e il licenziamento; - l'intervallo di tempo tra il superamento del periodo di comporto per malattia e la comunicazione del recesso da parte del datore di lavoro non deve superare limiti di adeguatezza e ragionevolezza. Mentre nel licenziamento disciplinare vi è l'esigenza della immediatezza del recesso, volta a garantire la pienezza del diritto di difesa all'incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative. Pertanto, pur non essendo possibile, in caso di superamento del comporto, che il rapporto rimanga in uno stato di risolubilità, in contrasto con il regime di stabilità previsto dalla legge, costituisce però onere del lavoratore provare che l'intervallo di tempo tra il superamento del periodo di comporto per malattia e la comunicazione del recesso da parte del datore di lavoro abbia superato i limiti di adeguatezza e ragionevolezza, sì da far ritenere - eventualmente in concorso con altre circostanze di fatto significative - la volontà tacita del datore di lavoro di rinunciare alla facoltà di recedere dal rapporto. La Cassazione ha altresì precisato che la valutazione del tempo decorso tra il superamento del periodo di comporto e l'intimazione del licenziamento, al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto, non può risolversi nella mera individuazione del dato cronologico e va condotta con criteri che tengano conto di tutte le circostanze all'uopo significative, così da contemperare da un lato l'esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall'altro, quella del datore di lavoro circa l'opportunità della prosecuzione del rapporto (Cass. 7 febbraio 2014 n. 2835). Anche l'ARAN ha ricordato che le decisioni dell'Amministrazione, relativamente alla conservazione o meno del rapporto di lavoro (anche attraverso la concessione dell'ulteriore periodo di assenza non retribuito) siano adottate nel più breve tempo possibile, ove sia stato già superato il periodo massimo di conservazione del posto (si tratta dei 18 mesi previsti dall'art. 17, comma 1, del CCNL 2017) perché il ritardo può valere come rinuncia tacita al diritto di risolvere il rapporto di lavoro. La rinuncia espressa o tacita del datore di lavoro alla facoltà di recedere dal rapporto per avvenuto superamento del periodo massimo di conservazione del posto comporta rilevanti conseguenze. Infatti, secondo la Corte di Cassazione (Cass. 4.12.1986, n. 7201): "…..chiuso un periodo caratterizzato dal superamento del comporto, non seguito da licenziamento, se ne apre un altro di uguale entità, nel quale rientrano gli eventi morbosi verificatisi dopo la chiusura, senza effetti rescissori, del precedente periodo...". Richiamato il quadro normativo e giurisprudenziale in materia, in riferimento ai quesiti posti, si ritiene che, se il dipendente non si presenterà a visita collegiale, non avendo tra l'altro proceduto a richiedere il secondo periodo di comporto, la scuola potrà procedere con la risoluzione per superamento del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro. La scuola eventualmente potrà richiedere un anticipo della visita rappresentando che ora è inerente alla fattispecie di superamento del comporto e non per l'accertamento dell'inidoneità psicofisica.
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Data di pubblicazione: 22/11/2024
Lavoro agile: è possibile effettuare la prestazione lavorativa dall'estero?
Essendo il lavoro agile una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro...
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Data di pubblicazione: 22/11/2024
Una docente, in congedo parentale, chiede di essere autorizzata a svolgere collaborazione plurima come esperta esterna per progetti PNRR...
L'incarico a docente di altra scuola va configurato quale collaborazione plurima. Il Quaderno n. 3 del Ministero sugli incarichi individuali ha, infatti, ribadito che qualora la ricerca di personale interno dia esito negativo, le Istituzioni scolastiche potrebbero ricorrere all’istituto delle collaborazioni plurime con personale delle altre Istituzioni, nel rispetto degli art. 35 e 57 del CCNL Comparto Scuola del 29 novembre 2007, per l’individuazione, rispettivamente, di personale docente e di personale ATA. L'art. 35 del CCNL 2007, non modificato dal CCNL 2024, prevede che i docenti possono prestare la propria collaborazione ad altre scuole statali che, per la realizzazione di specifici progetti deliberati dai competenti organi, abbiano necessità di disporre di particolari competenze professionali non presenti o non disponibili nel corpo docente della istituzione scolastica. Tale collaborazione non comporta esoneri anche parziali dall’insegnamento nelle scuole di titolarità o di servizio ed è autorizzata dal dirigente scolastico della scuola di appartenenza, a condizione che non interferisca con gli obblighi ordinari di servizio. Il Quaderno 3 del Ministero precisa che "i docenti possono prestare la propria collaborazione ad altre scuole statali che, per la realizzazione di specifici progetti deliberati dai competenti organi, abbiano necessità di disporre di particolari competenze professionali non presenti o non disponibili nel corpo docente della istituzione scolastica. Tale collaborazione, ai sensi dell’art. 35 del CCNL Comparto Scuola del 29 novembre 2007: (i) deve essere autorizzata dal Dirigente Scolastico della scuola di appartenenza; (ii) non comporta esoneri, neanche parziali, dall’insegnamento nelle scuole di titolarità o di servizio; (iii) non deve interferire con gli obblighi ordinari di servizio". Pertanto, la domanda deve essere inviata ad ogni scuola con la quale la docente intrattiene servizio e che sarebbe interessata dalla richiesta di prestazione extraistituzionale ( cioè se la collaborazione plurima va ad incidere nelle giornate in cui la docente avrebbe servizio a scuola), e soprattutto deve maggiormente dettagliare l'impegno e la tipologia di attività anche in considerazione che, allo stato attuale, la suddetta docente è in congedo parentale. Sulla questione attività incompatibili durante il congedo parentale si registra la Circolare INPS n. 62 del 2010. Nella Circolare viene precisato quanto segue: "...A tale riguardo è stato interpellato il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali che, nel rendere il proprio parere, ha sottolineato che il congedo parentale risponde alla precipua funzione di assicurare al genitore lavoratore un periodo di assenza dal lavoro finalizzato alla cura del bambino e non può, quindi, essere utilizzato dal lavoratore stesso per intraprendere una nuova attività lavorativa che, ove consentita, finirebbe col sottrarre il lavoratore dalla specifica responsabilità familiare verso la quale il beneficio in esame è orientato. In applicazione delle indicazioni ministeriali sopra richiamate, si forniscono, quindi, le seguenti precisazioni. Il lavoratore dipendente che, durante l’assenza dal lavoro per congedo parentale, intraprenda un’altra attività lavorativa (dipendente, parasubordinata o autonoma) non ha diritto all’indennità a titolo di congedo parentale ed, eventualmente, è tenuto a rimborsare all’Inps l’indennità indebitamente percepita (art. 22 del d.p.r. 1026/1976). Pertanto, le Sedi dovranno respingere la relativa domanda e, nel caso in cui sia in corso la fruizione del beneficio e del correlativo trattamento economico, dovrà essere attivato il relativo recupero secondo le modalità ordinariamente previste. L’incompatibilità appena evidenziata si configura anche nei casi in cui il lavoratore dipendente intraprenda una nuova attività lavorativa durante periodi di congedo parentale non indennizzabili per superamento dei limiti temporali e reddituali previsti dalla legge (artt. 32 e 34 del D.Lgs. 151/2001); in tale ipotesi, infatti, al lavoratore non può essere riconosciuta la copertura figurativa per i periodi di congedo impropriamente utilizzati. Ovviamente, la reiezione della domanda di indennità, con eventuale recupero di quanto già corrisposto, dovrà limitarsi a quei periodi di congedo parentale relativamente ai quali risulti verificato il contemporaneo svolgimento della nuova attività lavorativa intrapresa." Tuttavia, più recentemente si va verso una interpretazione più rigida in termini di incompatibilità durante il congedo parentale. A tal proposito l’Aran nell’orientamento SCU042 relativo proprio al comparto scuola ha fornito la seguente precisazione: “Ai sensi dell’art. 12, comma 4, del CCNL 29 novembre 2007 ( cfr ora art. 34 CCNL 2024 ndr) nell’ambito del periodo di astensione dal lavoro previsto dall’art. 32, comma 1, lett. a) e b) del Dlgs 151/2001 ciascun genitore ha diritto di beneficiare del congedo parentale per un periodo continuativo o frazionato. La possibilità che viene data al lavoratore di poter usufruire del congedo parentale anche in modo frazionato apre la strada ad una possibilità di interruzione del periodo di congedo; durante tale sospensione il lavoratore sarebbe libero di partecipare ad iniziative di formazione.” Infine, come detto in precedenti risposte, a nostro avviso, possono invece rientrare tra le attività aggiuntive di insegnamento non aventi carattere continuativo - che i docenti in part-time possono svolgere - le ore eccedenti di sostituzioni dei colleghi assenti che, per loro natura, hanno carattere occasionale, oppure i corsi di recupero e/o le attività di insegnamento in progetti (PTOF, PON, PNRR) che si realizzano con un limitato numero di ore e in un periodo di tempo circoscritto. In conclusione, i docenti con contratto part-time possono partecipare agli avvisi per i progetti PNRR, ma solo per l’eventuale assegnazione di un ridotto numero di ore da svolgersi in un arco temporale circoscritto, condizione necessaria affinché l’incarico di insegnamento non rivesta carattere di continuità, in osservanza all’esplicita previsione di cui al citato art. 39 del CCNL. Conclusivamente, a nostro avviso, la richiesta deve essere maggiormente dettagliata per essere valutata con contezza da parte della scuola. Inoltre, a nostro avviso, l'attività non può essere autorizzata durante il periodo di congedo parentale a meno che non sia occasionale e temporanea.
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Data di pubblicazione: 22/11/2024
Alcuni docenti si assentano nei giorni in cui avrebbero dovuto prestare ore eccedenti l’orario d’obbligo continuando a percepire la retribuzione aggiuntiva...
Chi è titolare di ore eccedenti l’orario d’obbligo per lo svolgimento di attività alternative all’IRC e chi di contratto di supplenza temporanea legata alla fruizione dei riposi per allattamento soggiace alle disposizioni sulle assenze generalmente applicabili. Se dunque le assenze di quei docenti sono legittimamente fruite (per malattia, permesso regolarmente autorizzato ecc.), non si produce alcun danno erariale, così come non lo si produce allorché delle medesime assenze fruiscano gli altri docenti. Infatti, lo si ribadisce, ai casi indicati nel quesito non risulta applicabile alcuna disposizione speciale, ovvero differente da quelle generalmente applicabili. Ovviamente, quando l’autorizzazione è necessaria, se le assenze non sono state previamente autorizzate, occorrerà che il dirigente azioni la leva disciplinare; là dove invece – pur regolarmente autorizzate o comunque legittime (come, ad esempio, in caso di malattia debitamente giustificata attraverso certificato telematico) – esse risultino “sospette”, spetterà al dirigente segnalare la situazione al Nucleo di polizia economica affinché svolga le indagini ritenute necessarie. In nessun caso dovrà segnalare alla Procura regionale presso la Corte dei conti (e non già alla RTS) un eventuale danno all’erario, a meno che – all’esito di indagini compiute dalle autorità preposte – non emerga che le assenze non sono state legittimamente fruite (ad esempio perché non godute per espletare l’attività previamente indicata, sia essa di aggiornamento o ex lege n. 104/1992 o perché la malattia è stata falsamente attestata). Nel frattempo, tuttavia, il dirigente non potrà che provvedere alla sostituzione del personale assente utilizzando degli strumenti della flessibilità organizzativa e dell’organico dell’autonomia oppure ancora della supplenza temporanea (cfr. art. 13, c. 9 dell’O.M. n. 88/2024). Piuttosto, dal quesito pare emergere un diverso profilo di criticità: dalla sua lettura sembra evincersi che il/i docente/i assente/i per la fruizione di riposi per allattamento sia/siano stato/i sostituito/i con il medesimo meccanismo previsto per l’assegnazione delle ore eccedenti l’orario d’obbligo ex art. 2, c. 4 dell’O.M. n. 88/2024. Si accenna, infatti, a un avviso interno rivolto ai docenti della scuola secondaria di primo grado. Orbene, se le ore di attività alternativa all’IRC devono essere previamente “offerte” al personale interno, secondo quanto stabilito in diverse note MEF, tra cui la nota 7 marzo 2011 prot. n. 26482, la nota 7 giugno 2012 prot. n. 87 e la nota 7 maggio 2014 prot. n. 7181, le ore scoperte per effetto della fruizione di riposi per allattamento devono essere assegnate seguendo la procedura di attribuzione delle supplenze tracciata dall’O.M. n. 88/2024. Infatti, anche se dette ore costituiscono spezzoni pari o inferiori a sei ore settimanali, non sono soggette alla disciplina tracciata dall’art. 2, c. 4 della O.M. citata, dal momento che essa si applica alle ore “che non concorrono a costituire cattedra” (c. 4 dell’art. 2) e che sono disponibili a qualsiasi titolo per l’intero anno scolastico (c. 2 del medesimo art. 2). Orbene, anche nel caso in cui i riposi per allattamento fossero fruiti per l’intero anno scolastico o quantomeno fino al 30 giugno prossimo, è sicuramente sempre da escludere che essi ricadano in ore “che non concorrono a costituire cattedra”. Si consiglia pertanto di rivedere le assegnazioni effettuate alla luce delle considerazioni che precedono e di provvedere, se del caso, a ritirarle, corrispondendo ai docenti gli emolumenti per le ore “aggiuntive” fin qui effettuate per poi procedere alla loro riassegnazione mediante scorrimento delle graduatorie di istituto (art. 2, c. 5, lettera c) e art. 13 dell’O.M. n. 88/2024).
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Data di pubblicazione: 22/11/2024
Vigilanza degli alunni della scuola dell'infanzia durante la permanenza nel dormitorio: si possono obbligare i c.s. a collaborare con i docenti?
Si premette che la scuola dell’infanzia deve conseguire i traguardi per lo sviluppo delle competenze tracciati nelle Indicazioni nazionali del 2012 in relazione a ciascuno dei cinque campi di esperienza (“Il sé e l’altro”, “Il corpo e il movimento”, “Immagini, suoni, colori”, “I discorsi e le parole”, “La conoscenza del mondo”). In nessuna parte di dette Indicazioni si allude al fatto che i bambini – anche quelli più piccoli – debbano dormire a scuola; si allude solo al “riposo” che è, ovviamente, espressione dal significato ben diverso: si intende riferirsi al fatto che i bambini devono alternare attività più impegnative con fasi di rilassamento e riposo, concepiti comunque all’interno di e quali attività didattiche. Significativo risulta infatti quel passaggio delle Indicazioni nazionali dove si legge – sotto il titolo “L’ambiente di apprendimento” – “Il curricolo della scuola dell’infanzia non coincide con la sola organizzazione delle attività didattiche che si realizzano nella sezione e nelle intersezioni, negli spazi esterni, nei laboratori, negli ambienti di vita comune, ma si esplica in un’equilibrata integrazione di momenti di cura, di relazione, di apprendimento, dove le stesse routine (l’ingresso, il pasto, la cura del corpo, il riposo, ecc.) svolgono una funzione di regolazione dei ritmi della giornata e si offrono come «base sicura» per nuove esperienze e nuove sollecitazioni.” Del resto, con riferimento agli insegnanti di tutti gli ordini e gradi del sistema di istruzione e formazione, il CCNL comparto “Istruzione e ricerca” 2019-2021 dispone che: “Gli obblighi di lavoro del personale docente sono articolati in attività di insegnamento ed in attività funzionali alla prestazione di insegnamento.” La (mera) vigilanza è obbligo consustanziale alla funzione del docente ma pur sempre funzionale all’obbligazione principale che è quella di svolgere l’attività di insegnamento. La consuetudine del “sonnellino” alla scuola dell’infanzia, benché ancora molto diffusa, deve dunque essere superata anche in vista della essenziale e imprescindibile garanzia della incolumità dei bambini: si pensi alle difficoltà (pressoché insormontabili) che potrebbe presentare una evacuazione nel caso in cui un’emergenza si manifestasse proprio durante quel momento. Quanto fin qui detto spiega anche perché il CCNL di comparto citato – come i precedenti – non contenga nessuna indicazione utile a gestire una simile evenienza, né quando disciplina il profilo professionale dei docenti né quando disciplina quello dei collaboratori scolastici. Ovviamente, il superamento del “sonnellino” deve essere attuato con una strategia di medio termine che abbraccia l’intero anno scolastico: occorre partire dalla sensibilizzazione dei docenti, anche con l’ausilio dell’RSPP e dell’RLS, per arrivare a una modifica del Regolamento di Istituto (che consenta, ad esempio, l’uscita anticipata dei bambini di tre anni per i primi mesi dell’anno scolastico) e alla corretta informazione alle famiglie in sede di Open day. Ciò consentirebbe di portare “a regime” l’esclusione del “sonnellino” a partire dal prossimo anno scolastico. Allo stato attuale, non potendo il dirigente modificare, unilateralmente e senza previa condivisione con i docenti e con le famiglie, la prassi che si è instaurata, occorre cercare di minimizzare i rischi che potrebbero derivarne. A tal fine, si suggerisce di intervenire sugli orari dei docenti della scuola dell’infanzia, quantomeno di quelli delle sezioni coinvolte, utilizzando lo strumento della flessibilità organizzativa in modo da garantire la compresenza degli stessi nel momento del “sonnellino”. L’art. 5, cc. 3 e 4, D.P.R. n. 275/1999 stabilisce infatti: “3. L'orario complessivo del curricolo e quello destinato alle singole discipline e attività sono organizzati in modo flessibile, anche sulla base di una programmazione plurisettimanale, fermi restando l'articolazione delle lezioni in non meno di cinque giorni settimanali e il rispetto del monte ore annuale, pluriennale o di ciclo previsto per le singole discipline e attività obbligatorie. 4. In ciascuna istituzione scolastica le modalità di impiego dei docenti possono essere diversificate nelle varie classi e sezioni in funzione delle eventuali differenziazioni nelle scelte metodologiche ed organizzative adottate nel piano dell'offerta formativa.” Orbene, detta disposizione consente, dunque, da un lato di modulare gli orari dei docenti su base non solo settimanale, come prevede il CCNL di comparto (art. 43, c. 5), ma anche plurisettimanale; così come consente di differenziare le modalità di impiego dei docenti nelle diverse sezioni in funzione delle scelte metodologiche e organizzative. Solitamente, il tempo scuola all’infanzia è organizzato su due turni (per esempio 8.30-13-30; 11.30-16.30) con concentrazione della compresenza durante la mensa, là dove invece potrebbe essere utilmente impiegato, in supporto dei docenti, proprio il personale collaboratore scolastico il cui profilo professionale comprende “l’ordinaria vigilanza e l’assistenza necessaria durante il pasto nelle mense scolastiche”. Facendo deliberare in collegio docenti di settore la flessibilità organizzativa nelle due accezioni sopra evidenziale sarebbe possibile distribuire a scacchiera gli orari dei docenti delle sezioni interessate in modo da garantire la compresenza quantomeno nella fase di addormentamento. In altri termini, i docenti delle sezioni coinvolte – a quanto si evince, quella dei bambini di tre anni e quella dei bambini di quattro anni – potrebbero effettuare un orario su base plurisettimanale con turnazione sfalsata in modo da assicurare che nella fascia oraria 13-14 vi siano sempre almeno tre docenti delle due sezioni. Due di loro potrebbero così farsi carico della vigilanza durante il sonnellino, o la sua prima parte, mentre il terzo svolgerebbe le attività didattiche con il gruppo residuo. Pensando di articolare l’orario su base plurisettimanale, infatti si potrebbe, per esempio, organizzare l’orario come segue: Sezione tre anni Prima settimana Per tre giorni/settimana Turno A (8.30-12.30) Turno B (11.30-16.30) Per due giorni/settimana Turno A (8.30-14.30) Turno B (11.30-16.30) Seconda settimana Per due giorni/settimana Turno A (8.30-12.30) Turno B (11.30-16.30) Per tre giorni/settimana Turno A (8.30-14.30) Turno B (11.30-16.30) La sezione dei quattro anni dovrebbe, per contro invertire la turnazione sopra riportata. Ciò assicurerebbe sempre, come anticipato, la presenza di due docenti quantomeno nella fase di addormentamento. Quanto descritto è, ovviamente, solo un esempio che dovrebbe essere poi calibrato in modo che ciascun docente compia – nel modello descritto – una media di 25 ore settimanali ogni due settimane. In questo modo, i collaboratori scolastici potrebbero intervenire solo a prestare eventuale collaborazione al personale docente, in caso ve ne sia bisogno (ad esempio, accompagnando un bambino che si è risvegliato prima degli altri in sezione oppure in caso di evacuazione), così come previsto dal loro profilo professionale e al contempo si garantirebbe la dovuta vigilanza ai bambini che effettuano il “sonnellino”. In conclusione, si sconsiglia sia di imporre ai collaboratori scolastici di collaborare con i docenti all’addormentamento dei bambini sia di intestare a un solo docente l’obbligo di vigilanza di circa quaranta bambini per i motivi fin qui evidenziati e di percorrere la strada indicata.
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Data di pubblicazione: 21/11/2024
Elezioni per il rinnovo del CdI: in un seggio i genitori hanno votato due volte (1 voto per ogni figlio)...
L'OM 215/1991, all’art. 45, prevede: “ 1. Ultimate le operazioni di attribuzione dei posti, il seggio elettorale n. 1 di cui al precedente art. 44 procede alla proclamazione degli eletti entro 48 ore dalla conclusione delle operazioni di voto. 2. Degli eletti proclamati va data comunicazione mediante affissione del relativo elenco nell'albo della scuola.” Se la commissione ha proclamato gli eletti, pur con l’errore procedurale di cui al quesito, e non sono o saranno presentati ricorsi, non ci sarà alcun problema. D’altronde ricorsi non dovrebbero essercene in quanto tutti i candidati della lista sono risultati eletti. Se poi, la commissione, proprio per il disguido segnalato, non ha ancora proclamato gli eletti e affissa la comunicazione all’albo, è bene lo faccia al più presto senza togliere i voti conseguiti da ogni candidato: si ricadrà così nell’ipotesi di cui sopra. Proprio in ragione della non incidenza dell’errore procedurale sull’esito delle votazioni (tutti i candidati sono stati eletti), eventuali ricorsi potrebbero essere risolti con la loro reiezione data l’ininfluenza sull’esito elettorale. Si applicherebbe nella situazione (in cui nessuno riporta danno attuale o potenziale) il principio della conservazione di atti proceduralmente imperfetti.
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Data di pubblicazione: 21/11/2024
Contrattazione: alcuni chiarimenti in merito alla gestione della risorse residue del MOF degli anni precedenti...
Il Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa è stato recentemente regolamentato in forma aggiornata dall’art. 78 del CCNL di comparto per il triennio 2019/21. Lo stanziamento annuale ha lo scopo precipuo di garantire un adeguato compenso al personale che svolge una serie di attività, decise e programmate autonomamente, che hanno la finalità di migliorare l’offerta formativa di un istituto. Attraverso il Fondo MOF è possibile sviluppare una progettualità d’istituto che rappresenta uno spazio di autonomia reale. Ne consegue che per prima cosa bisognerebbe impegnarsi affinché le risorse vengano investite nella maniera più efficace possibile. Ciò premesso è possibile rispondere al quesito specifico. Al comma 9 dell’art. 78 sopra citato si dichiara quanto segue: “Il contratto collettivo di cui al comma 8 è stipulato, di norma, con cadenza triennale e individua criteri di riparto che assicurino l’utilizzo integrale delle risorse disponibili in ciascun anno scolastico, ivi incluse quelle eventualmente non assegnate negli anni scolastici precedenti. Queste risorse possono essere destinate anche a finalità diverse da quelle originarie”. È pertanto evidente che le eventuali economie degli anni scolastici precedenti non conservano il vincolo iniziale di destinazione e quindi possono essere destinate ad altre voci del Fondo che richiedano una maggiore disponibilità di risorse, non escluso il FIS.
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Data di pubblicazione: 21/11/2024
Ricostruzione di carriera: il servizio prestato come DSGA è riconoscibile dopo la nomina in ruolo come docente?
Il servizio prestato come DSGA (e, comunque, tutto il servizio prestato come personale ATA) non è riconoscibile ai fini della carriera all’interessata dopo la nomina in ruolo come docente. La normativa vigente (art. 485 del D.L.vo 297/1994) prevede che al personale docente sia valutabile ai fini della carriera esclusivamente il servizio d’insegnamento. Tanto premesso nel caso prospettato nel decreto elaborato manualmente si deve procedere con la sola temporizzazione del valore economico maturato nel ruolo di DSGA.
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Data di pubblicazione: 21/11/2024
Chiusura scuola per emergenza meteo: come gestire le richieste di assenze programmate per quella giornata?
Qualora le competenti autorità decretino la chiusura della scuola per causa di forza maggiore, i lavoratori, in ragione del sinallagma del rapporto di lavoro (retribuzione vs prestazione) e della – nella circostanza – impossibilità del lavoratore di adempiere alla sua obbligazione lavorativa per atto della PA, tutto il personale è esonerato dalla propria prestazione: conserva pertanto legittimamente il diritto alla retribuzione giornaliera, pur in mancanza della corrispondente prestazione lavorativa. In questa situazione è l’amministrazione che, per la totalità dei dipendenti, viene a sospendere, per esigenze proprie, l’obbligo degli stessi alla prestazione contrattualmente dovuta. Per questa ragione, considerato che per quel giorno è l’amministrazione a sospendere unilateralmente il servizio, e quindi rinunciare senza contropartita alla prestazione lavorativa dei dipendenti, qualora qualcuno di questi abbia richiesto di fruire per tale giorno di istituti legislativi o contrattuali di esonero dalla prestazione, tali istanze vengono di fatto a cadere per la accennata sospensione autoritativa della obbligazione del lavoratore. Ne consegue che dette istanze (ad esempio ferie, permessi) vanno considerate annullate. D'altra parte, su una diversa questione, abbiamo sempre ritenuto che non sia possibile fruire dei permessi ai sensi della legge 104/1992 (o altri analoghi permessi) nei giorni di chiusura prefestiva della scuola. La funzione dei permessi previsti dalle varie normative vigenti (ivi compresi quelli disciplinati dalla legge 104 del 1992) è quella di consentire l’assenza dal servizio ai dipendenti al verificarsi di determinati presupposti e condizioni. Pertanto, a nostro avviso, è del tutto abnorme dal punto di vista giuridico la richiesta di un permesso per assentarsi dal servizio in un giorno in cui il dipendente non deve prestare alcuna attività lavorativa. Diverso, a nostro avviso, è il caso delle assenze continuative ( es. malattia, congedo parentale, congedo biennale) stante che in questi casi c'è una presunzione di continuità che comprende anche i giorni non lavorativi e festivi compresi all'interno del periodo di assenza richiesto.
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Data di pubblicazione: 21/11/2024
Facciamo il punto sul periodo massimo di congedo biennale fruibile in caso di assistenza a più familiari...
L’assenza dal servizio per il “cosiddetto” congedo straordinario previsto dall’art. 42 comma 5 del D.lgs. 151/2001, è una misura che può essere richiesta dai lavoratori dipendenti per assistere familiari con disabilità in stato di gravità (ovvero con riconoscimento della Legge 104, articolo 3 comma 3). Per quanto riguarda la durata, il novellato comma 5 bis dell'art. 42 del D.lgs. n. 151 del 2001 precisa che “il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa”. Dalla disposizione si evince un duplice principio: da un lato, la norma stabilisce che ciascuna persona in situazione di handicap grave ha diritto a due anni di assistenza a titolo di congedo straordinario da parte dei famigliari individuati dalla legge, dall'altro, il famigliare lavoratore che provvede all'assistenza può fruire di un periodo massimo di due anni di congedo per assistere i famigliari disabili. Quindi, per legge nel caso in cui, ci sia più di un familiare disabile e si può beneficiare del congedo per ciascuno di essi, per legge non è comunque possibile superare i due anni. La legge, invero, non ha previsto il cosiddetto “raddoppio”. Su questo punto in ordine di tempo, con l’ordinanza del 10 gennaio 2024, si è pronunciata la Sezione Lavoro del Tribunale di Treviso che ha accolto il ricorso di una lavoratrice riconoscendole il diritto al congedo straordinario retribuito per assistere il padre disabile, nonostante ne avesse già fruito in precedenza per assistere la madre bisognosa di cure ed assistenza. L'ordinanza cautelare in commento al momento è riferita al singolo caso e, solo una eventuale modifica per legge o per interpretazione della stessa Corte Costituzionale può estendere per tutti glia avente diritto questo duplice beneficio. Quindi, in merito alla prima domanda al momento, si conferma che per legge il limite complessivo massimo di durata del congedo è di due anni nell’arco della vita lavorativa del dipendente, indipendentemente dal numero di familiari assistiti. In merito poi alla seconda domanda, quale procedura l'ufficio scrivente deve adottare per il recupero delle assenze per avere l’interessato superato i due anni, la situazione è complicata, di seguito il nostro parere. Innanzitutto è necessario precisare che la presentazione della domanda non può coincidere con la contestuale assenza dal servizio, poiché è necessario aspettare che l’amministrazione, il datore di lavoro che come noto nella scuola è il Dirigente Scolastico, confermi questo diritto, ovvero quanto dichiarato nella dichiarazione sostitutiva allegata al decreto e, in particolare, quanti giorni e/o mesi di congedo è già stato fruito. Al riguardo, infatti, lo stesso art. 42 comma 5 del D.lgs. 151/2001 proprio per una specifica tutela con le modifiche di cui al D.lgs. 105 del 30 giugno 2022 a far data dal 13 agosto, art. 2 comma 1 lettera n), ha ridotto i termini per il diritto a fruire del congedo che passano da 60 giorni a 30 giorni dalla richiesta. Questi sono i termini massimi assegnati per legge per il controllo e la contestuale assenza dal servizio. Termine, che dovrebbe essere preso in considerazione anche dallo stesso lavoratore, e a nostro avviso, è irrealistico come succede in diverse occasioni, ritenere di presentare oggi la domanda e essere assenti dal giorno successivo, specie se non esiste già un fascicolo personale che attesti in modo inequivocabile il diritto. Si aggiunge che, per questo congedo, come noto, è necessario emettere un decreto, che diversamente dalle altre assenze, è soggetto ai sensi del D.lgs. 123/2011 al controllo preventivo della competente RTS e, al successivo pagamento della relativa indennità. Al riguardo, è fondamentale precisare che gli atti allegati al decreto stesso, devono essere controllati in ogni sua parte dalla stessa scuola di titolarità prima di essere inviati alla RTS. Per il caso specifico, quindi, prima di attivare qualsiasi procedura per il recupero del presunto debito a carico dell’interessato per indennità non dovute, si consiglia di verificare se è stato eseguito il corretto iter e l’eventuale posizione della stessa RTS di competenza. Se venisse confermata la fruizione di periodi ulteriori rispetto a quelli spettanti per legge, la scuola dovrà procedere al recupero delle somme indebitamente percepite ed il dipendente dovrà imputare ad altro titolo i giorni di congedo fruiti senza titolo.
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Data di pubblicazione: 21/11/2024
Il personale che ha acquisito il diritto alla 35 ora, se si assenta per malattia o altra causa, ha diritto all’accantonamento dei 12 minuti?
Il personale ATA non ha “diritto alla 35 ora”, ha diritto invece, qualora ne sussistano le condizioni, alla riduzione del turno settimanale di servizio da 36 a 35 ore. Questo significa che il turno di lavoro diventa di 7 ore e 12 minuti per l’intera settimana se l’attività didattica è articolata su cinque giorni e il sabato è libero per tutti. Qualora invece il modello orario scolastico fosse articolato su sei giorni normalmente il servizio del personale ATA è articolato per sei ore per cinque giorni e per cinque ore il sesto giorno, secondo turnazioni decise dalla singola scuola all’interno del Piano annuale delle attività del personale ATA. Deve essere comunque chiaro che il personale, che già beneficia della riduzione oraria, è tenuto a svolgere per intero l’orario di servizio e che il CCNL di comparto non prevede accantonamenti, che corrispondono ad orario di lavoro dovuto e non prestato e che quindi vanno recuperati in forma programmata, altrimenti può configurarsi un danno erariale. Se i 12 minuti non sono lavorati non possono formare ore da utilizzare per coprire la chiusura nei giorni prefestivi, è esattamente il contrario. I 12 minuti, se non lavorati, vanno recuperati così come vanno recuperate le ore dei giorni di chiusura prefestivi. Quindi, per essere in regola, vanno obbligatoriamente recuperati sia i 12 minuti quotidiani (ma sarebbe meglio svolgere l’intero turno e basta), sia le ore corrispondenti al turno di lavoro non prestato per la chiusura prefestiva, che non sarà il sabato visto che il personale lavora cinque giorni alla settimana. Per quanto riguarda i riferimenti normativi occorre applicare alla lettera quanto è previsto dal CCNL di comparto per il triennio 2019/21 agli articoli 63, 64, 65 e 66. La riduzione oraria settimanale è invece trattata nel CCNL di comparto 2007, all’art. 55 ancora vigente, all’interno del quale sono chiaramente illustrati i requisiti che costituiscono la conditio sine qua non per la concessione del beneficio orario al personale ATA.
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Data di pubblicazione: 21/11/2024
Congedo biennale richiesto per la nonna beneficiaria dell'art. 33, comma 3, della legge 104/92: alcuni chiarimenti...
In merito alla richiesta di questo congedo, in premessa una breve sintesi. Per legge, il congedo in oggetto disciplinato nell'art. 42, comma 5, del D.lgs. n. 151 del 2001 e, considerate le successive modifiche, ultima in ordine di tempo la legge 105/2022, articolo 3, comma 1, lettera b), n. 2 stabilisce un preciso e inderogabile ordine di priorità. 1. il coniuge convivente, la parte dell’unione civile e i conviventi di fatto della persona disabile in situazione di gravità; 2. il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, della persona disabile in situazione di gravità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente; 3. uno dei figli conviventi della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti; 4. uno dei fratelli o sorelle conviventi della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori ed i figli conviventi del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti; 5. un parente o affine entro il terzo grado convivente della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli o sorelle conviventi siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti. Nel caso specifico la richiesta del congedo è riferita alla nonna che, nel grado di parentela in linea retta ai sensi dell’art. 75 del c.c è di secondo grado e, nella scala dei familiari avente diritto è al quinto posto. La richiesta del congedo è subordinata alle seguenti e inderogabili condizioni soggettive e oggettive: a) Il familiare, è soggetto disabile con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3 della legge 104/92. b) Assenza di ricovero a tempo pieno presso strutture pubbliche o private fatte salve alcune eccezioni c) Essere conviventi. Unica eccezione i genitori per i figli e, non viceversa. Al riguardo, la nuova formulazione dell'art. 42 prevede che il diritto al congedo spetta anche nel caso in cui la convivenza sia stata instaurata successivamente alla richiesta di congedo. La Funzione Pubblica già nella circolare n. 1 del 1 febbraio 2012, alla quale si fa riferimento, ha fornito per il comparto del pubblico impiego le indicazioni operative comuni per tutte le amministrazioni, scuola compresa. Di questa circolare, in calce, sono evidenziati sinteticamente alcuni punti fondamentali e, in particolare, le relative eccezioni a scalare per gli altri soggetti individuati dalla norma: mancanza, decesso, patologie invalidanti. Per quello che concerne il concetto della convivenza la citata circolare precisa che:” Questo requisito è provato mediante la produzione di dichiarazioni sostitutive, rese ai sensi degli artt. 46 e 47 d.P.R. n. 445 del 2000, dalle quali risulti la concomitanza della residenza anagrafica e della convivenza, ossia della coabitazione (art. 4 del D.P.R. n. 223 del 1989). In linea con l'orientamento già espresso in precedenza, al fine di venire incontro all'esigenza di tutela delle persone disabili, il requisito della convivenza previsto nella norma si intende soddisfatto anche nel caso in cui la dimora abituale del dipendente e della persona in situazione di handicap grave siano nello stesso stabile (appartamenti distinti nell'ambito dello stesso numero civico) ma non nello stesso interno. Sempre al fine di agevolare l'assistenza della persona disabile, il requisito della convivenza potrà ritenersi soddisfatto anche nei casi in cui sia attestata, mediante la dovuta dichiarazione sostitutiva, la dimora temporanea, ossia l'iscrizione nello schedario della popolazione temporanea di cui all'art. 32 del d.P.R. n. 223 del 1989, pur risultando diversa la dimora abituale (residenza) del dipendente o del disabile. Le amministrazioni disporranno per gli usuali controlli al fine di verificare la veridicità delle dichiarazioni (art. 71 del citato d.P.R. n. 445 del 2000). REQUISITI OGGETTIVI Per quanto concerne la “mancanza”, deve essere intesa non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono. Ai fini dell’individuazione delle “patologie invalidanti”, in assenza di un’esplicita definizione di legge, sentito il Ministero della Salute, si ritiene corretto prendere a riferimento soltanto quelle, a carattere permanente, indicate dall’art. 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del Decreto Interministeriale n. 278 del 21 luglio 2000 (Regolamento recante disposizioni di attuazione dell'articolo 4 della L. 8 marzo 2000, n. 53, concernente congedi per eventi e cause particolari), che individua le ipotesi in cui è possibile accordare il congedo per gravi motivi di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 53 del 2000. Non è considerato come eccezione avere superato i 65 anni di età. La stessa circolare, per quello che concerne l'inderogabilità dei soggetti avente diritto, a fronte di alcune richieste di parere sul punto, evidenzia che, poiché l'ordine dei soggetti possibili beneficiari è stato indicato direttamente ed espressamente dalla legge, la quale ha pure stabilito le condizioni in cui si può “scorrere” in favore del legittimato di ordine successivo, tale ordine non si ritiene derogabile e, fra questi requisiti, come precisato, uno dei requisiti essenziali è essere conviventi. L’INPS, con il messaggio n. 4143 del 22 novembre 2023, ha fornito indicazioni relative alla gestione sia del congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, che dei permessi di cui all’articolo 33 della Legge n. 104/1992, in favore di più richiedenti per assistere, nello stesso periodo, il medesimo soggetto con disabilità in situazione di gravità ( abrogazione del (Referente Unico). L’Ente rileva che il D.Lgs n. 105/2022 non ha modificato il comma 5-bis dell’articolo 42 del D.Lgs n. 151/2001 in base al quale, a eccezione dei genitori, il congedo straordinario di cui al comma 5 e i permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della Legge n. 104/1992, non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona con disabilità grave. Tale disposizione, tuttavia, deve essere letta congiuntamente alla modifica apportata dal citato decreto n. 105/2022 all’articolo 33, comma 3, della Legge n. 104/1992, che, per i relativi permessi, ha eliminato il principio del “referente unico dell’assistenza. Pertanto, fermo restando che il congedo straordinario non può essere riconosciuto a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona con disabilità grave, ed è stato chiarito che è invece possibile autorizzare sia la fruizione del predetto congedo che la fruizione dei permessi di cui all’articolo 33 della Legge n. 104/1992 a più lavoratori per l’assistenza allo stesso soggetto con disabilità grave, alternativamente e purché non negli stessi giorni. In merito alla domanda: a quali condizioni un nipote può usufruire del congedo biennale per assistere la nonna beneficiaria dell'art.33, comma 3, della legge 104/92 si precisa quanto segue. Per legge, insieme alla domanda deve essere allegata la relativa documentazione probatoria: a) accertamento della condizione di disabile grave della nonna art. 3, comma 3 della legge 104/92; b) una dichiarazione sostitutiva di certificazione presentata ai sensi del DPR 445/2000 omnicomprensiva dei requisiti soggettivi e oggettivi in sintesi elencati prima. c) La presentazione della domanda non può coincidere con la contestuale assenza dal servizio, poiché è necessario aspettare la verifica del diritto/la conferma di quanto dichiarato, ovvero, l’approvazione da parte del proprio datore di lavoro che, come noto, nella scuola è il Dirigente Scolastico. Al riguardo, infatti, l’art. 42 comma 5 del D.lgs. 151/2001 proprio per una specifica tutela con le modifiche di cui al D.lgs. 105 del 30 giugno 2022 a far data dal 13 agosto, art. 2 comma 1 lettera n), ha ridotto i termini per il diritto a fruire del congedo che passano da 60 giorni a 30 giorni dalla richiesta. Questi sono i termini massimi assegnati per legge, all’amministrazione o all’INPS per il settore privato, per la verifica del diritto. Questo termine, dovrebbe essere preso in considerazione anche dallo stesso lavoratore, e a nostro avviso, è irrealistico ritenere di presentare oggi la domanda e essere assenti dal giorno successivo, specie se non esiste già un fascicolo personale che attesti in modo inequivocabile il diritto. In sintesi, è necessario verificare la convivenza ovvero, che nello stato di famiglia rilasciato dal competente Ufficio Anagrafe del comune di residenza, l’interessato è l’unico convivente, l’eventuale dichiarazione di rinunciare al congedo per altri familiari elencati in ordine di priorità, esempio i figli se non conviventi è ininfluente. d) In ultimo si aggiunge che per questo congedo, come noto, è necessario emettere un decreto, che diversamente dalle altre assenze, è soggetto ai sensi del D.lgs. 123/2011 al controllo preventivo della competente RTS e, al successivo pagamento della relativa indennità. Quindi, è fondamentale e propedeutico che gli atti a corredo siano completi e verificati dalla scuola prima del relativo invio, proprio per evitare eventuali osservazioni. In sostanza, dovrà essere verificato che il nipote è il primo soggetto convivente nell'ordine degli avente diritto.
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Data di pubblicazione: 21/11/2024
Facciamo il punto sulla fruizione del congedo parentale retribuito e non in caso di parto gemellare...
L'articolo 32 del D.lgs. 151/2001 oggi vigente dopo le varie modifiche stabilisce: 1. Per ogni bambino, nei primi suoi dodici anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete: a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; b) al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso di cui al comma 2; c) per un periodo continuativo o frazionato non superiore a undici mesi, qualora vi sia un solo genitore ovvero un genitore nei confronti del quale sia stato disposto, ai sensi dell'articolo 337- quater del Codice civile, l'affidamento esclusivo del figlio. In quest'ultimo caso, l'altro genitore perde il diritto al congedo non ancora utilizzato. Quindi, in sintesi e singolarmente: - per la madre 6 mesi - per il padre 6 mesi elevabile a 7 nel caso di cui al punto b); - complessivamente nel caso in cui siano presenti entrambi i genitori ,10 mesi che possono essere aumentati a 11 mesi sempre per le condizioni di cui al punto b); - mentre, in merito alla possibilità di fruire il congedo parentale in presenza di un “solo genitore”, la durata complessiva dell’astensione non può essere superiore a 11 mesi. Per quanto concerne il trattamento economico congedo parentale per legge, il D.lgs. 105/2022 a far data dal 13.08.2022 aumenta il limite massimo dei periodi di congedo parentale indennizzati dei lavoratori dipendenti, portandolo da sei mesi a nove mesi totali anche in caso di parto gemellare, quindi per ciascun figlio. Il decreto legislativo in questione ha altresì aumentato l’arco temporale in cui è possibile fruire del congedo parentale indennizzato, portandolo dai 6 anni di vita del figlio (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) agli attuali 12 anni. Anche gli ulteriori periodi di congedo parentale del genitore con un reddito individuale inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria sono a oggi fruibili entro i 12 anni di vita del figlio (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) e non più solo entro gli 8 anni. La modifica ha interessato l’art. 34 del DLgs 151/2001 cosi ripartito: - alla madre, fino al dodicesimo anno di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; - al padre, fino al dodicesimo anno di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; - entrambi i genitori hanno diritto, in alternativa tra loro, anche a un ulteriore periodo indennizzabile della durata complessiva di 3 mesi, per un periodo massimo complessivo indennizzabile tra i genitori di 9 mesi totali. Inoltre, l’attuale novella normativa riconosce a ogni genitore il diritto a tre mesi di congedo indennizzato che non possono essere trasferiti all’altro genitore, a differenza della precedente normativa che prevedeva un limite di coppia di massimo 6 mesi di congedo indennizzabile, con la conseguenza che, se un genitore avesse fruito di tutto il congedo indennizzato, all’altro genitore sarebbe residuata la sola fruizione di periodi di congedo non indennizzato. I genitori hanno altresì diritto, in alternativa tra loro, a un ulteriore periodo di congedo della durata complessiva di tre mesi. Pertanto: a) Per ogni figlio entro i primi 12 anni, ogni genitore ha diritto a 6 mesi di congedo (per il padre sette mesi in caso di astensione dal lavoro per un periodo di almeno tre mesi). b) Di questi mesi, in relazione al relativo trattamento economico, solo tre mesi sono per entrambi non trasferibili ovvero non possono essere fruibili dall’altro genitore. c) Entrambi i genitori madre e/o padre, sempre in riferimento al trattamento economico, invece, possono fruire in alternativa tra loro di ulteriori tre mesi limite massimo. Ad esempio: può fruire di tutto il periodo la madre oppure il padre; può fruire di un mese la madre e di 2 mesi il padre etc…. Diversa invece è la considerazione di come sono considerati i primi 30 giorni interamente retribuiti previsti nell’art. 34 co. 3 del vigente CCNL comparto scuola che, comunque, ha integralmente ripreso l’ex art. 12, comma 5 del precedente CCNL. Al riguardo come redazione abbiamo in passato condiviso l’orientamento ARAN proprio per il comparto scuola " CIRS45 del 24/02/2021, che si riporta in calce. In caso di parto plurimo i primi 30 giorni del congedo parentale retribuiti al 100% si riferiscono a ciascun figlio? L’art. 12, comma 4, del CCNL 29.11.2007 comparto Scuola, nel disciplinare i congedi parentali rinvia all’art. 32, comma 1, lett. a) del d. lgs. n. 151/2001 - Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità - con la sola specificazione del trattamento economico di maggior favore per le lavoratrici madri, o in alternativa per i lavoratori padri, relativo ai primi trenta giorni del periodo di astensione dal lavoro. Nulla stabilisce la norma contrattuale per il caso particolare di parto gemellare o plurigemellare. Su questo punto si rileva che la disciplina legislativa su citata espressamente sancisce che ciascun genitore ha diritto al congedo parentale per ogni bambino nei suoi primi dodici anni di vita. La portata della norma legislativa è stata chiarita sia dalla circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 2000 n. 43, sia dalla circolare Inps n. 8/2003, la quale afferma che in caso di parto gemellare o plurigemellare ciascun genitore ha diritto a fruire per ogni nato del numero di mesi di congedo parentale previsti dallo stesso art. 32 (in sintesi, per ciascun figlio fino a 6 mesi per la madre, fino a 7 mesi per il padre, nel limite complessivo di 10 o 11 mesi fra entrambi i genitori). Per quanto concerne, invece, il trattamento economico di miglior favore (cioè il mantenimento del 100% della retribuzione per i primi trenta giorni), si rileva che esso mantiene l’interdipendenza con l’evento naturale, unico, del parto e pertanto anche in presenza di parti gemellari o plurigemellari compete una sola volta, cumulativamente per entrambi i genitori. Questa del resto è l’unica tesi compatibile e coerente con la logica previsionale dei costi contrattuali dello specifico comparto Scuola, così come approvati dal Governo e positivamente certificati dalla Corte dei Conti". Tuttavia, recentemente, come appreso anche durante i nostri corsi di formazione, l'ARAN con pareri forniti alle scuole ( che però ancora non risultano nella Sezione degli Orientamenti Applicativi pubblicati) ha affermato che "Con la sottoscrizione del nuovo CCNL il trattamento economico di miglior favore in presenza di parti gemellari o plurigemellari competerà per ciascun figlio, per cui non più una sola volta cumulativamente per entrambi i genitori" e quindi riteniamo ora di applicare detta nuova interpretazione. Nell’ambito, poi, delle disposizioni in materia di sostegno alle famiglie, l’articolo 1, comma 179, della legge di Bilancio 2024, ha introdotto un’importante novità in materia di congedo parentale. Il citato comma, infatti, novellando l’articolo 34 del D.lgs 26 marzo 2001, n. 151, recante “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”, dispone per i genitori che fruiscono del congedo parentale, il riconoscimento di un’indennità in misura pari al 60% della retribuzione per un mese ulteriore al primo, da fruire entro il sesto anno di vita del bambino. Per il solo anno 2024, la misura dell’indennità di cui trattasi, è pari all’80% della retribuzione. La nuova misura di sostegno, che si aggiunge alla disposizione che prevede un’indennità pari all’80% della retribuzione per un mese entro il sesto anno di vita del bambino trova applicazione con riferimento ai lavoratori dipendenti che terminano il periodo di congedo di maternità o, in alternativa, di paternità, successivamente al 31 dicembre 2023. L’INPS con la circolare n, 57 del 18 aprile 2024 ha affermato che l’ulteriore mese indennizzato al 60% della retribuzione (80% per il solo anno 2024) è uno solo per entrambi i genitori e può essere fruito in modalità ripartita tra gli stessi o da uno soltanto di essi e, interessa esclusivamente i genitori che terminano (anche per un solo giorno) il congedo di maternità o, in alternativa, di paternità successivamente al 31 dicembre 2023. Per quello che concerne tutto il comparto del pubblico impiego scuola compresa, la stessa Funzione Pubblica ha divulgato il parere 13398 del 20/02/2024 che si riporta. “ Con tale intervento normativo, che incide, quindi, sul Testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, il trattamento economico per il secondo mese di congedo parentale viene elevato dal 30% all’80% a favore di coloro che, alla data del 31 dicembre 2023, risultino ancora in congedo di maternità o paternità ovvero ne fruiscano successivamente. Ne restano, invece, esclusi coloro che, al 31 dicembre 2023, abbiano già fruito interamente del periodo di astensione obbligatoria di cui ai capi III e IV del citato Testo unico, per i quali, quindi, il trattamento economico rimane invariato come da normativa previgente. Al riguardo, è utile rammentare che, in base all’articolo 45, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai pubblici dipendenti possono essere erogati solo i trattamenti economici espressamente previsti dalla contrattazione collettiva, in combinazione con quanto stabilito dalla fonte legale. In conclusione, nel caso di specie, - trattandosi di una misura di nuova introduzione a sostegno della tutela della genitorialità, avente, altresì, una diversa modalità di calcolo per l’anno in corso -, si ritiene che la stessa possa essere immediatamente applicabile a tutti i lavoratori dipendenti, nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa di riferimento.”
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Data di pubblicazione: 21/11/2024
Docente chiede permessi ex L. 104/92 per assistere un parente di terzo grado, alcuni chiarimenti normativi
In premessa si rileva che lo zio è parente di terzo grado. Secondo la norma, art. 33, comma 3 della legge 104/92, in linea generale, la legittimazione alla fruizione dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave spetta al coniuge, alla parte dell’unione civile, al convivente e ai parenti ed affini entro il secondo grado. La stessa legge ha altresì previsto un'eccezione per i casi in cui i genitori o il coniuge della persona da assistere abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, siano affetti da patologie invalidanti, deceduti o mancanti. L’art. 33, comma 3, della legge 104/92 riferito all’assistenza a familiare disabile con connotazione di gravità precisa quanto segue: “Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un'unione civile, convivente di fatto, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un'unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l'assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro". In queste ipotesi, la legge prevede la possibilità di estendere la legittimazione alla titolarità dei permessi anche ai parenti e agli affini entro il terzo grado. Il nipote (zio) ai sensi dell’art. 75 del C.C. in linea collaterale è di terzo grado quindi, il diritto ai tre giorni di permesso rientra nelle eccezioni. La Funzione Pubblica nella circolare 13/2010 (stesse indicazioni da parte dell’INPS per il settore privato) a prescindere dall’età anagrafica over sessantacinque, ha definito come devono essere dimostrate le relative condizioni. L’espressione “mancanti”, è intesa non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono, risultanti da documentazione dell’autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità. Mentre, nel merito della definizione di “patologie invalidanti”, nella documentazione sanitaria che deve essere allegata alla domanda, invece, devono essere prese in considerazione le sole patologie a carattere permanente indicate dall’articolo 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del Decreto Interministeriale n. 278 del 21 luglio 2000 . L' interpello Ministero del Lavoro n. 19 del 26 giugno 2014 ha chiarito che il parente o affine entro il terzo grado può fruire dei permessi anche qualora le condizioni sopra descritte si riferiscano ad uno solo dei soggetti menzionati dalla norma (genitori o il coniuge della persona da assistere) in quanto, il legislatore utilizza la congiunzione disgiunta. Per poter assistere lo zio è necessario, quindi, verificare quanto sopra e cioè che "i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità ( lo zio) abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti". Al riguardo, si precisa che in merito alla eventuale documentazione probatoria che deve essere allegata alla domanda, gli interessati sono tenuti a presentare il verbale dal quale risulti l'accertamento della situazione di disabilità grave, riconoscimento del comma 3 dell’art. 3 della stessa legge 104/92. Inoltre, sono tenuti a certificare, attraverso apposita dichiarazione sostitutiva, resa ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, la sussistenza delle condizioni soggettive e oggettive che legittimano la fruizione delle agevolazioni. In proposito, si rammenta che, secondo quanto previsto nell'art. 76 del predetto D.P.R. “Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso (…) nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia”. Per quanto concerne il ricovero a tempo pieno l’art. 33 comma 3 della legge precisa, quale condizione specifica, che il familiare disabile con connotazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno. La Funzione Pubblica già nella circolare 13/2010 al punto 5 (stesse indicazioni INPS per il settore privato ) precisa quanto segue. "Per ricovero a tempo pieno si intende il ricovero per le intere 24 ore. Si chiarisce inoltre che il ricovero rilevante ai fini della norma è quello che avviene presso le strutture ospedaliere o comunque le strutture pubbliche o private che assicurano assistenza sanitaria. In linea con orientamenti applicativi già emersi anche per il lavoro nel settore privato, si precisa che fanno eccezione a tale presupposto le seguenti circostanze: - interruzione del ricovero a tempo pieno per necessità del disabile in situazione di gravità di recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie appositamente certificate; -ricovero a tempo pieno di un disabile in situazione di gravità in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine; - ricovero a tempo pieno di un soggetto disabile in situazione di gravità per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare, ipotesi precedentemente prevista per i soli minori Il novellato articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992 dopo le modifiche di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), n. 2), del decreto legislativo n. 105/2022 con decorrenza dal 13 agosto 2022, stabilisce che, fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli aventi diritto, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Di fatto è stata abrogata la condizione di Referente Unico, infatti, tale previsione normativa comporta che, a fare data dal 13 agosto 2022, a differenza del passato, più soggetti aventi diritto possano richiedere l’autorizzazione a fruire dei permessi in argomento alternativamente tra loro, per l’assistenza alla stessa persona disabile grave. Si ricorda altresì che al comma 3 dell’art. 33 della legge è stato aggiunto il comma 3 bis che cosi specifica” Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell'assistito”. La circolare della Funzione Pubblica 1/2012 per tutto il comparto del pubblico impiego, scuola compresa, al riguardo ha fornito specifiche indicazioni in merito alle indicazione per una corretta gestione di questi permessi. Indicazioni comuni anche per il settore privato da parte dell’INPS, circolare n. 32 del 6/03/2012 e n. 100 del 24/07/2012. Entrambi queste circolari, hanno preso in considerazione la documentazione circa il raggiungimento del luogo di residenza della persona in situazione di handicap grave per l’utilizzo dei giorni di permesso precisando, in particolare, la Funzione Pubblica quanto segue. La disposizione fa riferimento al luogo di residenza del dipendente e della persona in situazione di handicap grave. Il presupposto per l'applicazione della norma è pertanto quello del luogo in cui è fissata la residenza anagrafica per entrambi i soggetti interessati. Considerato che la finalità della norma è quella di assicurare l'assistenza alle persone disabili, in base alla legge occorre far riferimento alla residenza, che è la dimora abituale della persona, mentre non è possibile considerare il domicilio, che, secondo la definizione del c.c., è “nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi”. Anche in questo caso, l'amministrazione potrà dare rilievo alla dimora temporanea (ossia, come visto, l'iscrizione nello schedario della popolazione temporanea di cui all'art. 32 del d.P.R. n. 223 del 1989) attestata mediante la relativa dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del d.P.R. n. 445 del 2000. In base alla nuova previsione, il lavoratore che fruisce dei permessi dovrà provare di essersi effettivamente recato, nei giorni di fruizione degli stessi, presso la residenza del famigliare da assistere, mediante l'esibizione del titolo di viaggio o altra documentazione idonea (a mero titolo di esempio, ricevuta del pedaggio autostradale, dichiarazione del medico o della struttura sanitaria presso cui la persona disabile è stata accompagnata, biglietto del mezzo pubblico utilizzato per lo spostamento in loco), la cui adeguatezza verrà valutata dall'amministrazione di riferimento, fermo restando che l'assenza non potrà essere giustificata a titolo di permesso ex lege n. 104 del 1992 nell'ipotesi in cui il lavoratore non riesca a produrre al datore l'idonea documentazione. Il ricovero dello zio in una struttura che non fornisce assistenza sanitaria continuativa e che si trova fuori regione rispetto al luogo di lavoro deve essere confermato dalla struttura che lo ospita.
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Data di pubblicazione: 21/11/2024
Un docente, con contratto di 3 ore settimanali su unico giorno, presta servizio elettorale: come procedere per il riconoscimento del riposo compensativo?
Il lavoratore di una struttura, in cui si applica la settimana corta, che presta servizio per le operazioni di seggio elettorale nella giornata di sabato e di domenica ha diritto a due giornate di riposo compensativo. La sentenza della Corte Costituzionale n. 452/1991 riconosce il diritto al riposo compensativo anche del lavoratore con sabato libero (questo era il punto della questione) precisando: “Il diritto del lavoratore al recupero immediato del riposo festivo è dunque indubitabile. Esso scaturisce ora dalla voluta parificazione legislativa tra attività al seggio e prestazione lavorativa, rispetto alla quale la garanzia del riposo è precetto costituzionale, componente non scindibile di quella "posizione di lavoro" cui si è fatto riferimento e che, prima ancora di trovare la propria formalizzazione nel terzo comma dell'art. 36 della Costituzione, era già stata riconosciuta dall'art. 1 della legge 22 febbraio 1934, n. 370)” L’immediatezza del recupero è chiaramente funzionale alla garanzia del riposo settimanale ed è principio generale: si veda anche , nella scuola, il diritto al riposo del giorno successivo per il docente che è stato impegnato la domenica, ad esempio, in viaggio di istruzione, Tuttavia, ove il/i giorno/i immediatamente successivo/i all’impegno in seggio elettorale, il docente non abbia impegni lavorativi, fruirà del riposo il/i primo/i giorno/i utile. Inoltre il lavoratore ha diritto a due giorni lavorativi di riposo compensativo indipendentemente dal numero di ore previste nelle giornate immediatamente successive all’impegno nel seggio e a nulla rileva il fatto che le giornate di recupero, per il particolare orario ridotto del dipendente, siano collocate in settimane diverse,
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Data di pubblicazione: 20/11/2024
Calcolo dei giorni di congedo parentale del personale in regime part-time verticale...
Gentile Utente In merito al calcolo del congedo parentale in caso di part-time verticale, come per analoghe risposte, di seguito le nostre osservazioni. In particolare, sono presi in considerazione diversi orientamenti ARAN anche di altri Comparti (cfr. M24 -M19 del 24/05/2011 comparto Ministeri), ma per analogia di legge e CCNL applicabili anche al comparto scuola. L’Agenzia precisa che "il permesso per matrimonio, il congedo parentale, i permessi per maternità e i permessi per lutto, spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi (vedi art. 23, comma 11, del CCNL integrativo del 16 maggio 2001 del Comparto Ministeri)." Elemento comune a tutti questi istituti è la modalità con cui essi vengono conteggiati, ossia facendo riferimento ai giorni di calendario e non ai giorni lavorativi rientranti nel periodo richiesto. Di conseguenza, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e i permessi sono computati con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. Da ultimo l’ARAN, proprio per il comparto scuola, con l’O.A. del 13 aprile 2021 CIRS79, per quanto concerne l’esatto computo del periodo di congedo parentale chiesto da un dipendente a tempo determinato in regime di part time verticale, ha ribadito che il calcolo di tale periodo di assenza deve effettuarsi tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nel periodo di congedo richiesto. Premesso che non ci sono precise regole contrattuali per il personale del comparto scuola, alla luce di questi orientamenti, si ritiene che, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e il congedo parentale è computato con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno, tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nell’intero periodo richiesto. In caso di fruizione frazionata, il periodo di congedo verrà calcolato partendo dal primo giorno lavorativo e concludendo con l’ultimo giorno lavorativo precedente l’effettivo rientro in servizio. Sempre l’ARAN proprio per il comparto scuola, invece, con l’orientamento CIRS92 del 8.02.2022 seppur riferito al congedo straordinario art. 42, comma 5, del D.lgs. 151/2001, ma stesse regole per il congedo parentale, conclude precisando che:” Nel caso di part time verticale, il conteggio delle giornate dovrà essere effettuato sottraendo i periodi in cui non è prevista l’attività lavorativa, considerato che in tale ipotesi la prestazione e la retribuzione del dipendente sono entrambe proporzionate alla percentuale di part time”. In conclusione, come da precedenti risposte sull’argomento, dal momento che non viene previsto il riproporzionamento, teoricamente il dipendente dovrebbe essere considerato in congedo per tutta la durata del periodo richiesto e ciò vale per tutti i periodi di congedo parentale indipendentemente se indennizzati o meno. Per evitare ciò le domande di congedo del dipendente possono essere riferite per legge non con riferimento non all’intero periodo dal……al……. ma, frazionato per singola giornata e, solo per le giornate in cui si presta servizio. In conclusione e, in riferimento alla specifica domanda: “Come vengono calcolati i giorni di congedo parentale del personale con contratto in regime di part-time verticale dal mercoledì al sabato per un lungo periodo” si ritiene che, il calcolo di tale periodo di assenza debba effettuarsi tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nel periodo di congedo richiesto. In alternativa se la domanda è specifica per i soli settimanali di servizio (mercoledì-giovedì -venerdì e sabato) si ritiene che, nel calcolo del congedo devono essere considerati i soli giorni richiesti.
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Data di pubblicazione: 20/11/2024
Supplenti nominati su assenza del titolare in interdizione anticipata: che fare in caso di interruzione della gravidanza?
Gentile utente, nel caso sottoposto i supplenti hanno diritto a rimanere in servizio fino alla scadenza del contratto, se nello stesso non sono state indicate delle cause risolutive. L'Aran infatti nell'orientamento applicativo n. 110 in materia ha precisato : "In merito si osserva che da un lato che l’art. 18 comma 2 lett c) del CCNL 04/08/1995 è stato superato dalle previsioni contenute nel CCNL comparto scuola del 29/11/2007, dall’altro tale ultimo contratto agli artt. 25 e 44 ha disciplinato – rispettivamente per il personale docente ed ATA – gli elementi caratterizzanti il contratto individuale di lavoro, anche a tempo determinato. In particolare, è richiesta la forma scritta e l’indicazione di alcuni elementi essenziali definiti alle lettere a), b), c), d), e), f) e g) del comma 4 del citato art. 25 e del comma 6 del suindicato art. 44, nonché la specificazione “delle cause che ne costituiscono condizioni risolutive”, salvo l’ipotesi di “ individuazione di un nuovo avene titolo a seguito dell’intervenuta approvazione di nuove graduatorie” espressamente prevista dall’art. 41, comma 1, del CCNL comparto istruzione e ricerca del 19 aprile 2018. Pertanto, il CCNL non esclude la possibilità di risoluzione anticipata del contratto di supplenza ma richiede l’indicazione delle cause che comportano detta risoluzione." La risoluzione anticipata è prevista solo in presenza di una clausola risolutiva che ne indichi il motivo. Per quanto riguarda la tipologia, nel manuale del sidi non è prevista un diverso contratto e pertanto si ritiene che quello già instaurato con i supplenti possa continuare i suoi effetti.
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Data di pubblicazione: 20/11/2024
La collaboratrice scolastica titolare con contratto a tempo indeterminato per 24 ore settimanali è assente per infortunio fino al 04/12/2024, la supplente chiede un periodo di congedo parentale dal 20/11/2024 al 04/12/2024. Si devono rispettare sempre anche in questo caso i sette giorni di assenza prima di nominare un nuovo supplente ?
Gentile utente, il divieto di nomina del supplente in caso di assenza di un collaboratore scolastico per i primi 7 giorni è previsto nella legge194/2014 e ribadito nella circolare annuale sulle supplenze n. 115135/2024. Non sono state previste eccezioni in caso di una seconda assenza e pertanto si ritiene che il divieto debba essere osservato anche in tale situazione, come nel caso sottoposto. L'unica eccezione al divieto previsto dalla normativa è relativa a particolari esigenze di servizio, come indicato dalla circolare n. 2116/2015 che precisa: “Il predetto divieto potrà essere superato laddove il dirigente scolastico, sotto la propria esclusiva responsabilità, con determinazione congruamente motivata e dopo aver prioritariamente posto in essere tutte le misure organizzative complessive che vedano coinvolta l’organizzazione dell’intera istituzione scolastica […], raggiunga la certezza che: l’assenza del collaboratore scolastico determinerebbe delle urgenze che non potrebbero trovare altra risposta atta a garantire l’incolumità e la sicurezza degli alunni, nonché l’assistenza agli alunni con disabilità, inoltre necessità obiettive non procrastinabili, improrogabili e non diversamente rimediabili, che renderebbero impossibile assicurare le condizioni minime di funzionamento del servizio scolastico tanto da compromettere in modo determinante il diritto allo studio costituzionalmente garantito”.
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Data di pubblicazione: 20/11/2024
La presenza al lavoro del coniuge per il quale si chiede il congedo biennale può essere un impedimento oggettivo alla fruizione del congedo da parte della docente?
Gentile Utente, in premessa alcune considerazioni. Il congedo in oggetto disciplinato nell'art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001 successivamente modificato dall'art. 4 del D.Lgs. n. 119/2011 e per ultimo dal D.Lgs. n. 105 del 30 giugno 2022, in vigore dal 13 agosto 2022, per legge, può essere usufruito secondo un preciso e inderogabile ordine di priorità con delle proprie regole che non possono essere modificate. Al primo posto di questo ordine abbiamo il coniuge convivente, la parte di un'unione civile e il convivente della persona disabile in situazione di gravità. Questo congedo è fruibile non solo in una unica soluzione ma, anche in modo frazionato (a mesi e a giorni interi, ma non ad ore). Per entrambi i soggetti individuati al momento della richiesta devono essere soddisfatte le seguenti inderogabili condizioni: a) Il familiare, in questo caso il coniuge è stato riconosciuto come soggetto disabile con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3 della legge 104/92. b) Assenza di ricovero a tempo pieno presso strutture pubbliche o private fatte salve alcune eccezioni ma, nel caso specifico, invece, siamo in presenza di un soggetto che lavora. c) essere convivente, stessa residenza che nella nuova formulazione dell’ art. 42, può essere acquisita anche solo all’inizio del periodo di assenza per congedo in alternativa la dimora temporanea. Nel quesito si chiede se: la presenza al lavoro del coniuge possa essere un impedimento oggettivo alla fruizione del congedo biennale da parte della docente. Al riguardo, il Ministero del Lavoro nell' interpello n. 30 del 6/07/2010, ha chiarito alcune diverse e precedenti interpretazioni da parte dell’ INPS (circolare n. 64 del 15 marzo 2001) precisando che: “non sembra conforme allo spirito della normativa porre, a priori, un limite alla fruizione del congedo da parte di colui che assiste il familiare disabile. Tale prassi risulterebbe peraltro in contrasto con i principi formulati dalla L. n. 104/1992 che mira invece a promuovere la piena integrazione del disabile nel mondo del lavoro..” e prosegue “l’assistenza si può sostanziare in attività collaterali ed ausiliarie rispetto al concreto svolgimento dell’attività lavorativa da parte del disabile, quali l’accompagnamento da e verso il luogo di lavoro, ovvero attività di assistenza che non necessariamente richiede la presenza del disabile, ma che risulta di supporto per il medesimo.. Si ritiene pertanto, alla luce dell’attuale normativa, che il diritto alla fruizione del congedo de quo da parte del familiare non può essere escluso, a priori, nei casi in cui il disabile svolga, per il medesimo periodo, attività lavorativa”. Quindi, in relazione a questi specifici chiarimenti, la nostra riposta come per analoghi casi è affermativa, la domanda della docente può essere accettata, il coniuge convivente può continuare a lavorare e, non è nemmeno necessaria una corretta certificazione che giustifichi la sua attività lavorativa.
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