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    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Linguaggio inappropriato in scrutinio: un docente usa espressioni offensive, i presupposti per un procedimento disciplinare...
  • Si ritiene che, nel caso di specie, non ricorrano i presupposti per l’attivazione di un procedimento disciplinare. Le espressioni utilizzate, riferite dallo stesso docente a un noto personaggio dei fumetti, a un giudice del lavoro apparirebbero connotate da ironia e prive di offensività, anche perché pronunciate all’interno di un organo collegiale “chiuso” e dunque in un contesto in cui il rischio di fraintendimento è limitato, data la conoscenza reciproca tra colleghi. Si ritiene semmai che eventuali fraintendimenti potrebbero nascere dalla verbalizzazione di dette espressioni: esse, estrapolate dal contesto e portate a conoscenza dello studente interessato, eventualmente all’esito di un accesso agli atti, potrebbero essere male interpretate, posto che nella verbalizzazione si perde il carattere ironico delle espressioni stesse e per di più emerge che la dirigente scolastica le ha censurate, lei per prima disconoscendolo. Si ribadisce dunque che si sconsiglia di procedere, in relazione all’episodio riferito, all’avvio di un procedimento disciplinare a carico del docente: non solo le espressioni hanno carattere ironico ma per di più sono state pronunciate non già a sproposito ma all’esito di una specifica richiesta della dirigente di esprimersi sul comportamento degli studenti e, infine, nel contesto di un organo collegiale “chiuso”, in cui il carattere ironico delle espressioni utilizzate può essere evinto dai colleghi alla luce della conoscenza reciproca. Del resto, la libertà di espressione di un dipendente pubblico incontra – oltre ai limiti previsti per tutti dalla Costituzione (cfr. art. 21 ultimo comma) e dal codice penale (si pensi, a titolo di esempio, all’oltraggio a pubblico ufficiale di cui all’art. 341-bis c.p. e alla diffamazione, prevista e punita dall’art. 595 c.p.) – quelli ulteriori sanciti dal D.P.R. n. 62/2013 e in particolare dall’art. 12: egli è tenuto ad operare nei confronti del pubblico con “correttezza, cortesia e disponibilità” (comma 1) e “salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali”, ad astenersi “da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell’amministrazione o che possano nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale” (comma 2). E ciò conferma le conclusioni cui si è pervenuti.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Possiamo non concedere le ferie a un CS in prossimità del periodo di comporto?
  • Riportiamo alcuni passaggi della Sentenza della Cassazione del 04/04/2018, n.8372 richiamata nel quesito: “Come affermato da questa Corte in numerosi arresti, il lavoratore assente per malattia e ulteriormente impossibilitato a riprendere servizio, non ha, invero, l'incondizionata facoltà di sostituire alla malattia il godimento di ferie maturate quale titolo della sua assenza, allo scopo di bloccare il decorso del periodo di comporto, anche se il datore di lavoro, nell'esercizio del suo diritto alla determinazione del tempo delle ferie, dovendo attenersi alla direttiva dell'armonizzazione delle esigenze aziendali e degli interessi del datore di lavoro (art. 2109 cod. civ.), è tenuto, in presenza di una richiesta del lavoratore di imputare a ferie un'assenza per malattia, a prendere in debita considerazione il fondamentale interesse del richiedente ad evitare la perdita del posto di lavoro a seguito della scadenza del periodo di comporto (con l'onere, in caso di mancato accoglimento della richiesta, di dimostrarne i motivi (vedi Cass. 8/11/2000 n. 14490, Cass. 27/2/2003 n.3028, Cass.22/3/2005 n. 6143 e numerose altre)…….. Deve dunque affermarsi, in coerenza con il costante e condiviso orientamento espresso da questa Corte, il principio alla cui stregua il lavoratore che, assente per malattia ed impossibilitato a riprendere servizio, intenda evitare la perdita del posto di lavoro a seguito dell'esaurimento del periodo di comporto, deve comunque investire il datore della richiesta di fruizione delle ferie, affinchè questi possa concedere al medesimo di fruire delle ferie durante il periodo di malattia, valutando il fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro; considerato altresì che neanche le condizioni di confusione mentale del lavoratore per effetto della malattia fanno venir meno la necessità di una espressa domanda di fruizione delle ferie, indispensabile a superare il principio di incompatibilità (sia pur non assoluta), tra godimento delle ferie e malattia (vedi, in tali sensi, Cass. 27/2/2003 n.3028, cui adde Cass. 27/10/2014 n.22753). ….. 4. Dalle enunciate premesse in diritto, discende coerente l'esclusione della configurabilità di un obbligo a carico della parte datoriale, di considerare il lavoratore in ferie, perdurante lo stato di malattia, ed in assenza di una specifica domanda dell'interessato. Non può infatti tralasciarsi di considerare che, pur avendo il lavoratore assente la facoltà di domandare la fruizione delle ferie - maturate e non godute - allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, egli deve tuttavia formulare l'istanza in epoca anteriore alla sua scadenza (ex plurimis, vedi Cass. 5/4/2017 n. 8834)”. Successivamente la Cassazione ( cfr. Cassazione civile sez. lav., 14/09/2020, n.19062) ha affermato che il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie, senza che a tale facoltà corrisponda comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa; in un'ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, è necessario, tuttavia, che le dedotte ragioni datoriali siano concrete ed effettive. Da ultimo (cfr. Cassazione civile sez. lav., 20/01/2025, n.1373) è stato ribadito che il lavoratore in malattia ha diritto alle ferie maturate ma non godute al fine di interrompere il calcolo del periodo di comporto. Il datore di lavoro, tuttavia, non è obbligato ad accettare la richiesta per motivi organizzativi validi che la ostacolano. Conclusivamente, la scuola potrebbe rigettare la richiesta di ferie solo per ragioni di servizio concrete, effettive ed indifferibili; in mancanza, e tenuto conto della finalità del dipendente di interrompere il periodo di comporto, si ritiene che la richiesta di fruizione delle ferie maturate debba essere accolta.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • RSPP esterno che sarà in quiescenza da settembre: è possibile proseguire il rapporto di collaborazione?
  • Per quanto concerne la designazione del RSPP nelle scuole, l’art. 32, ai commi 8 e 9, del D.Lgs. 81/08, recita: “8. Negli istituti di istruzione, di formazione professionale e universitari e nelle istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica, il datore di lavoro che non opta per lo svolgimento diretto dei compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dei rischi designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, individuandolo tra: a) il personale interno all’unità scolastica in possesso dei requisiti di cui al presente articolo che si dichiari a tal fine disponibile; b) il personale interno ad una unità scolastica in possesso dei requisiti di cui al presente articolo che si dichiari disponibile ad operare in una pluralità di istituti. 9. In assenza di personale di cui alle lettere a) e b) del comma 8, gruppi di istituti possono avvalersi in maniera comune dell’opera di un unico esperto esterno, tramite stipula di apposita convenzione, in via prioritaria con gli enti locali proprietari degli edifici scolastici e, in via subordinata, con enti o istituti specializzati in materia di salute e sicurezza sul lavoro o con altro esperto esterno libero professionista.” La scuola deve quindi rispettare l'ordine di priorità sopra descritto. In argomento il T.A.R. Campania, Sezione Quarta, con la Sentenza 15/01/2018 n. 334, ha ribadito che, nel bando di selezione indetto da un istituto per la carica di RSPP, l'incarico debba essere affidato a personale esterno alla scuola esclusivamente se non è disponibile personale interno all'unità scolastica, in possesso dei requisiti specifici o personale interno ad un'altra unità scolastica in possesso dei medesimi requisiti che si dichiari disponibile ad operare in una pluralità di istituti. La scuola potrà conferire l’incarico ad un RSPP esperto allorchè vi sia la mancanza del personale di cui alle lett. a) e b). Nel caso di specie, il docente ha avuto l’incarico di RSPP beneficiando della precedenza di cui alla lett. b) sopra citata. Proprio in virtù di tale considerazione, a nostro avviso, non è possibile una trasformazione automatica dell’incarico ( da collaborazione plurima a contratto di prestazione d’opera) e quindi si ritiene che la scuola debba procedere con la risoluzione/revoca dell’incarico per i motivi suesposti.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Un caso di cumulo di aspettative che ci fa temere il superamento del limite massimo consentito...
  • Una docente a tempo indeterminato della scuola primaria chiede di poter fruire nel mese di giugno, al termine delle attività didattiche...

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Aspettativa per assegno di ricerca e anno di prova: è possibile concedere ulteriore aspettativa personale a una docente in ruolo senza aver completato il periodo di formazione?
  • L'art. 18 del CCNL 2007 prevede, al primo comma, che l'aspettativa per motivi di famiglia o personali continua ad essere regolata dagli artt. 69 e 70 del T.U. approvato con D.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957 e dalle leggi speciali che a tale istituto si richiamano. Il secondo comma dell’art. 18 prevede che ai sensi della predetta norma il dipendente può essere collocato in aspettativa anche per motivi di studio. Ai sensi degli articoli 69 e 70 sopra citati il periodo di aspettativa non può eccedere la durata di un anno. Due periodi di aspettativa per motivi di famiglia si sommano, agli effetti della determinazione del limite massimo di durata previsto dall'art. 69, quando tra essi non interceda un periodo di servizio attivo superiore a sei mesi. La durata complessiva dell'aspettativa per motivi di famiglia non può superare in ogni caso due anni e mezzo in un quinquennio. In sintesi: a) due aspettative inferiori all'anno si considerano un unico periodo se il periodo di lavoro tra essi non supera i 6 mesi (art.70.1, Dpr 3/57); b) non si possono prendere aspettative per più di 2 anni e mezzo in 5 anni (art.70.2, Dpr 3/57); c) per motivi particolarmente gravi si può chiedere un ulteriore periodo di 6 mesi (art.70.3, Dpr 3/57). Quindi, l’aspettativa per motivi personali o di famiglia (regolata dagli art. 69-70 del DPR n. 3/1957) viene attribuita per un periodo massimo di 12 mesi, da fruire in maniera continuativa o frazionata. Per interrompere l’aspettativa, e quindi per ripristinare il diritto a chiedere altri 12 mesi, è necessario il rientro in servizio attivo superiore a 6 mesi; in ogni caso il limite massimo non può essere superiore a 2 anni e 6 mesi in un quinquennio. In definitiva, l'aspettativa per motivi di famiglia non può avere una durata superiore a 12 mesi se fruita senza soluzione di continuità; se fruita, invece a periodi separati non può oltrepassare, in ogni caso, nell'arco temporale di un quinquennio la durata massima di due anni e mezzo. Infine, si rileva che l’art. 70 citato prevede che “per motivi di particolare gravità il Consiglio di amministrazione (ora il riferimento è ovviamente al DS) può consentire all'impiegato, che abbia raggiunto i limiti previsti dai commi precedenti ( quindi anche il limite dei dodici mesi consecutivi) e ne faccia richiesta, un ulteriore periodo di aspettativa senza assegni di durata non superiore a sei mesi”. In sostanza, alla luce di quanto detto sopra è possibile prendere periodi frazionati di aspettativa all'interno del limite massimo di due anni e mezzo in un quinquennio e tenendo conto che il periodo massimo di fruizione continuativa è di dodici mesi calcolato come sopra esposto. Quindi, è possibile richiedere l'aspettativa in modo frazionato per più di due periodi all'interno del limite massimo dei 12 mesi continuativi (ad esempio: 5 gg, poi un mese, poi altri 3 mesi, il tutto anche intervallato da periodi di servizio attivo o in assenza per altri motivi, ad esempio malattia); l'importante è che il limite continuativo di dodici mesi non venga superato fermo restando poi il limite complessivo di due anni e mezzo nel quinquennio. In definitiva, l'aspettativa per motivi di famiglia non può avere una durata superiore a 12 mesi se fruita senza soluzione di continuità; se fruita, invece a periodi separati non può oltrepassare, in ogni caso, nell'arco temporale di un quinquennio la durata massima di due anni e mezzo. Sul concetto di servizio attivo offre utili chiarimenti la circolare del Ministero Difesa 8 luglio 2015 n. 45501 che si riporta in integrale nella parte che qui può interessare "Si ritiene che possano rientrare nel “servizio attivo” (dicitura utilizzata dalla norma contrattuale) anche le assenze (diverse dalla malattia e dalle aspettative) retribuite e che comportano la maturazione dell’anzianità di servizio. Dunque, nella nozione di “servizio attivo” possono rientrare le ferie, i cosiddetti “recuperi delle festività soppresse” (L. 937 del 1977), i giorni di assenza per terapia salvavita, i permessi sindacali retribuiti (quindi anche i permessi retribuiti per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza), il distacco sindacale, l’interdizione dal lavoro, i congedi di maternità e paternità, i congedi parentali, i congedi per malattia del bambino, i riposi giornalieri (quindi anche i permessi giornalieri) previsti dal D.Lgs. 26/03/2001, n. 151, i permessi ex legge 104/1992. Non appare invece riconducibile a “servizio attivo” il congedo di cui all’art. 42, 5° comma, D.Lgs. 151/2001 (che è indennizzato, utile ai fini previdenziali, ma non è computato nell'anzianità di servizio). La malattia non può essere considerata “servizio attivo” (ARAN, orientamento applicativo RAL 1157)". L'ARAN, con l'O.A. RAL_1157 27 giugno 2012 in merito al fatto se i periodi di malattia, successivi al rientro in servizio, siano da considerare esclusi dal “servizio attivo”, ha precisato che la malattia è equiparata al servizio ma non è "servizio attivo e conseguentemente, essa non può essere valutata come servizio attivo". Ciò premesso, nel caso di specie, la dipendente ha già fruito del limite massimo continuativo di aspettativa di un anno. Ciò premesso, la docente ha chiesto giù aspettativa dal 12 settembre 2022 al 31 agosto 2023. Non essendoci stata la ripresa del servizio superiore a sei mesi, la docente avrebbe diritto solo a 11 giorni di aspettativa per arrivare al limite massimo consecutivo di dodici mesi. Resterebbe la possibilità di richiedere il periodo “ straordinario” di sei mesi previsto dall’art. 70 DPR 3 del 1957 ma solo se motivato con “motivi di particolare gravità”.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Riorganizzazione del personale ata in estate: il dirigente può disporre d'ufficio lo spostamento dei collaboratori scolastici tra sede centrale e succursale chiusa?
  • Ai sensi dell'art. 30, comma 9, lett. b2) del CCNL del comparto Istruzione e Ricerca per il triennio 2019-2021, sottoscritto il 18 gennaio 2024, i criteri per le assegnazioni alle sedi di servizio del personale sono oggetto di confronto e non di contrattazione. La flessibilità, oggetto di contrattazione ai sensi dell'art. 30, comma 4, lett. c6), riguarda, infatti, i "criteri per l’individuazione di fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e in uscita per il personale ATA, al fine di conseguire una maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare". Non ha nulla a che vedere, pertanto, con l'assegnazione dei plessi di servizio. D'altra parte, quest'ultimo aspetto, essendo materia relativa all'organizzazione degli uffici, rientra nel divieto generale di contrattazione di cui all'art. 40, comma 1 d.lgs. 165/2001. Ciò premesso, nel caso in questione, tuttavia, non si può neanche parlare di assegnazione ai plessi ma di normale utilizzazione del personale. Se, in determinato periodo, un plesso è chiuso, il personale in servizio in tale plesso può essere utilizzato nella sede rimasta aperta, senza che nemmeno si debba porre il problema dell'applicabilità di una norma del contratto di istituto - che, a nostro parere, non doveva comunque essere inserita - né della necessità del confronto su tale utilizzazione, dal momento che - in realtà - qui non si tratta di utilizzare normalmente il personale in una sede o nell'altra, ma di utilizzare il personale nell'unica maniera possibile, ovvero nella sede rimasta aperta. Concludiamo, pertanto, nel senso che l'ordine di servizio ai due collaboratori della sede distaccata di prestare servizio, nei mesi di luglio e agosto, nella sede centrale è a nostro parere legittimo.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Affidamento bar scolastico sotto soglia: come pubblicizzare la manifestazione di interesse su asp/MePA o sito istituzionale in assenza di funzionalità dedicate?
  • Eccellente domanda, che tradisce una conoscenza approfondita dello stato attuale delle procedure. Abbiamo notato il problema anche noi, e non è la prima volta che vediamo un mancato parallelismo fra gli istituti giuridici e gli strumenti telematici di MePA: si tratta di un incomprensibile disallineamento che non sembra apportare alcun beneficio, eppure dura da molto tempo. Ciò detto, al momento l’unico modo di giustificare la manifestazione di interesse sul sito è un vademecum della stessa ANAC, che il 30 luglio 2024 così scriveva: “La fase di selezione informale nella quale il RUP della stazione appaltante può procedere eventualmente ad indagini di mercato o all’acquisizione di più preventivi o anche di un solo preventivo che vengono valutati discrezionalmente dalla stazione appaltante può avvenire con o senza l’impiego di una piattaforma certificata” L’affermazione andava letta nel contesto di una futuribile adozione della scheda SIM citata: “Sarà a breve disponibile la nuova scheda SIM (scheda di indagine di Mercato) che consente di gestire digitalmente la fase preventiva all’affidamento ed in particolare di effettuare i controlli dei requisiti anche per questi affidamenti diretti di lavori servizi e forniture tramite accesso al FVOE. La nuova scheda, che non attribuisce il CIG potrà essere utilizzata, in via opzionale, a monte di tutte le tipologie di affidamento diretto di importo inferiore a 150.000 euro per i lavori e a 140.000 euro per i servizi e le forniture. La scheda SIM dovrà poi essere seguita dalla scheda AD3 o AD 5 nel caso di effettivo affidamento o da un’ulteriore scheda di terminazione nel caso in cui i controlli abbiano esito negativo e/o non si pervenga all’affidamento” Ne avevamo dedotto che, fino a che non sarebbe uscita la scheda SIM, si sarebbe potuto continuare a pubblicare la manifestazione di interesse sul sito per poi accedere a MePA solo in seguito, con una scheda da affidamento diretto (anche perché, onestamente, moltissime scuole hanno sempre e solo fatto in questo modo). Oggi siamo convinti che l’art. 187 D.Lgs. 36/2023 non sia compatibile con la RDO aperta, proprio perché manca la fase di pubblicazione. Paradossalmente, la soluzione della pubblicazione sul sito appare migliore alla luce del vademecum ANAC, ma resterebbero due dubbi: - il primo, sulla compatibilità del vademecum con le concessioni di servizi: nulla conforta questa tesi; - il secondo, sulla scheda da utilizzare, che potrebbe essere AD2_28, ma resta una congettura che si basa su una risposta positiva alla domanda precedente e su un parallelismo fra le schede dell’affidamento diretto degli appalti e delle concessioni, tutte ipotesi da confermare. Purtroppo il punto iniziale (l’inesistenza di una specie di tabella di comparazione fra istituti giuridici e strumenti di negoziazione) crea ogni volta la necessità di escogitare una soluzione, peraltro molto poco cercata nell’ambito delle Istituzioni Scolastiche, con il risultato che spesso le stesse autorità di vigilanza imparano della questione per la prima volta o quasi.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Torniamo sul tema della configurabilità del potere disciplinare del datore di lavoro successivamente alla cessazione del contratto del dipendente...
  • Ho avviato una contestazione di addebito ad un docente. La consegna è avvenuta a mano in un giorno in cui il docente era presente...

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Una CS può usufruire del congedo parentale contemporaneamente al coniuge carabiniere?
  • La risposta è affermativa. Per quello che concerne l’altro genitore, coniuge/padre che appartiene al comparto militare i DD.PP.RR. del 13 giugno 2002, n. 163 e 18 giugno 2002 n. 164, hanno applicato per questo comparto innovazioni regolamentari e procedurali in merito alla fruizione dei benefici di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. In particolare, per la valorizzazione economica del congedo parentale di cui all’art. 32 è concesso al personale in servizio una licenza straordinaria, la cosiddetta” licenza parentale”, nella misura complessiva di quarantacinque giorni, da considerarsi con trattamento economico ad assegni interi, utilizzabili anche frazionati, entro il sesto anno di età del figlio, nell’ambito dei 9 mesi di congedo parentale retribuiti secondo la previsione dell’art. 34 D.lgs. 151/2001 e, al 30% per il congedo parentale oltre il limite di 45 giorni annui.( cfr. Guida Tecnica Ministero della Difesa nota 332943 del 06.06.2023 ). A nostro avviso, i primi 30 gg interamente retribuiti fruibili sino a 12 anni ( cfr art. 34 CCNL 2024) non si cumulano con la licenza parentale del padre. Questi primi 30 giorni di congedo infatti, non sono intaccati da ipotesi di riconoscimento di analogo beneficio all’altro genitore appartenente ad altro specifico comparto. La nostra interpretazione è confermata dall'ARAN che, con l’O.A. CFC125b 9 febbraio 2024 (ma applicabile analogicamente anche al personale scolastico) ha fornito chiarimenti se nel computo dei giorni di congedo parentale in cui al lavoratore/lavoratrice spetta l’intera retribuzione si devono tenere in considerazione anche i giorni di congedo interamente retribuiti fruiti eventualmente dal coniuge lavoratore pubblico che, tuttavia, non rientra nell’ambito di applicazione soggettiva del D.Lgs. n. 165/2001 (ad es. magistrato, militare, prefetto, ecc...). Ad avviso dell’ARAN, i primi 30 giorni di retribuzione intera al 100% non possono essere ridotti – o in qualche modo limitati – dall’eventuale conteggio dei giorni di congedo parentale interamente retribuiti fruiti dall’altro genitore se il rapporto di lavoro di questo ultimo è disciplinato dal diritto pubblico, come nel caso ad esempio dei magistrati, dei militari, dei prefetti, ecc.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Malattia senza assegni e diritto alle ferie: chiarimenti sulla maturazione e la liquidazione delle ferie non godute per docenti assenti...
  • Si presume che nel caso di specie trattasi di docente a t.d. Infatti se si trattasse di docente di ruolo non si porrebbe il problema della monetizzazione delle ferie non godute che è possibile solo all’atto della cessazione del servizio. L'art. 13 comma 14 del CCNL 2007 prevede che il periodo di ferie non è riducibile per assenze per malattia o per assenze parzialmente retribuite, anche se tali assenze si siano protratte per l'intero anno scolastico. ( nulla viene previsto per il personale a t.d. dall’art. 35 del CCNL 2024) Sulla questione specifica di cui al quesito è intervenuto l'ARAN con l'O.A. RAL533 5 giugno 2011 che possiamo utilizzare anche come riferimento per i dipendenti della scuola visto che il testo contrattuale oggetto dell'intervento è sostanzialmente identico. Riportiamo l'Orientamento dell'ARAN "L’assenza per malattia non retribuita di cui all’art. 21, comma 2 del CCNL del 6.7.1995 e successive modifiche comporta la maturazione delle ferie? La giurisprudenza della Corte di Cassazione tende ad escludere la maturazione delle ferie nei periodi di assenza non retribuita, a meno che non vi sia una espressa disposizione contrattuale in tal senso. Tale principio è stato affermato, ad esempio, da Cassaz. n. 1315 del 1985, seppure con riferimento ad una tipologia di assenza diversa dalla malattia. L’art. 21 del CCNL del 6.7.1995 prevede espressamente che i periodi di assenza non retribuita di cui al comma 2 dello stesso articolo non sono retribuiti (art. 21, comma 7 lettera d) e non hanno effetto sull’anzianità di servizio (art. 21, comma 5) ma non precisa nulla circa le ferie. L’art. 18, comma 15 dello stesso CCNL prevede, invece, che “il periodo di ferie non è riducibile per assenze per malattia o infortunio, anche se tali assenze si siano protratte per l’intero anno solare” (principio recentemente ribadito anche da Cassaz. S.U. n. 14020 del 12.11.2001 che, peraltro, non si occupa della malattia non retribuita) (ndr per i dipendenti della scuola cfr il citato art. 13 comma 14 del CCNL 2007). L’espressione utilizzata da tale ultima disposizione è tuttavia talmente generica che non sembra possibile ravvisare in essa quella espressa disposizione contrattuale, favorevole al lavoratore, che la giurisprudenza ritiene necessaria per la maturazione del diritto alle ferie in caso di assenza non retribuita. Pertanto, siamo del parere che le assenze previste dall’art. 21, comma 2 del CCNL del 6.7.1995 non possano comportare la maturazione delle ferie. Tuttavia, poiché la questione è delicata e di interesse generale, riguardando anche gli altri comparti di contrattazione, riteniamo opportuno sottoporla all’attenzione del Comitato Giuridico operante presso questa Agenzia, riservandoci di comunicare eventuali contrari avvisi in merito". Inoltre, l' ARAN con l'Orientamento Applicativo SCU_011 del 23 luglio 2009 ha così precisato: " L'art 13, comma 14, non dovrebbe creare equivoci di applicazione poichè il comma in questione stabilendo che "il periodo di ferie non è riducibile per malattia o per assenze parzialmente retribuite...", intende fare riferimento al trattamento economico stabilito all'art 17, comma 8, che disciplina il trattamento economico spettante al dipendente assente per malattia per un periodo di 18 mesi nel triennio". Pertanto, a nostro avviso, il periodo di malattia a zero non fa maturare ferie. Per quanto concerne le ferie del personale a t.d. è intervenuta la recente interpretazione della Cassazione che, con l'Ordinanza 17/06/2024 n. 16715, ha affermato che il docente a tempo determinato che non ha chiesto di fruire delle ferie durante il periodo di sospensione delle lezioni ha diritto all'indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo inutilmente invitato a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie e alla indennità sostitutiva, in quanto la normativa interna - e, soprattutto, l'art. 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012, come integrato dall'art. 1, comma 55, della legge n. 228 del 2012 - deve essere interpretata in senso conforme all'art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE, che, secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia, Grande Sezione (con sentenze del 6 novembre 2018 in cause riunite C-569/16 e C-570/16, e in cause C-619/16 e C-684/16), non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e dell'indennità sostitutiva, senza la previa verifica che il lavoratore, mediante una informazione adeguata, sia stato posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare effettivamente il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, il detto docente non può essere considerato automaticamente in ferie nel periodo fra il termine delle lezioni e il 30 giugno di ogni anno. La Nota MIM del 27 marzo 2025 ha ribadito che, alla luce della giurisprudenza sopra citata, il docente a termine non può perdere il diritto alla indennità sostituiva delle ferie per il solo fatto di non avere chiesto le ferie «se non dopo essere stato invitato dal datore di lavoro a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie ed alla indennità sostitutiva. Ne consegue che i Dirigenti scolastici devono invitare - espressamente e in forma scritta – il personale docente a tempo determinato a godere delle ferie retribuite, in particolar modo nei periodi di sospensione delle lezioni, all’uopo avvisando quest’ultimi della perdita, in caso diverso, tanto del diritto a fruire delle ferie quanto del diritto a percepire l’indennità sostitutiva. Pertanto, alla luce dell’orientamento interpretativo fatto proprio dalla Corte di cassazione, il dirigente scolastico deve procedere, all’atto dell’instaurarsi del rapporto di lavoro o anche nel corso del rapporto stesso, ad invitare formalmente i docenti con contratto a tempo determinato a presentare istanza di fruizione delle ferie, maturate e maturande, durante i periodi di sospensione delle lezioni o anche nel periodo intercorrente tra la fine delle lezioni e il 30 giugno, con espresso avviso della perdita, in assenza di domanda volontaria, del diritto alle ferie e all’indennità sostitutiva (cfr Nota MIM del 27 marzo 2025). Nel caso di specie, dal momento che la docente non ha presentato domanda di ferie in quanto assente per malattia, si ritiene che quelle maturate, e non fruite per impossibilità oggettiva, debbano essere monetizzate.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Calcoliamo la percentuale retribuzione di un CS che chiede il congedo parentale per il figlio che più di 8 anni...
  • In premessa una breve sintesi delle attuali disposizioni. L’articolo 32 del D.lgs. 151/01 prevede che, per ciascun bambino, nei primi suoi dodici anni di vita: - ciascun genitore ha diritto al congedo parentale; a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità, spettano 6 mesi al massimo di congedo parentale, per un periodo continuativo o frazionato; b) al padre lavoratore, a partire dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato, spettano al massimo 6 mesi di congedo parentale, elevabili a 7, qualora lo stesso (padre), fruisca del congedo per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi; c) complessivamente il periodo di congedo fruibile da entrambi i genitori è pari a 10 mesi, elevabili a 11 se il padre fruisce di un periodo, continuativo o frazionato, di almeno 3 mesi di congedo; d) in caso di genitore solo (o nei confronti del quale sia stato disposto l’affidamento unico del figlio), allo stesso spettano 11 mesi di congedo parentale è chiaro che, se un genitore fruisce del congedo per sei mesi, l’altro può fruire del restante previsto periodo. Così ad esempio: se la madre fruisce di 6 mesi di congedo, al padre ne restano 5, viceversa, se il padre fruisce di 6 mesi, alla madre ne restano 4. Il congedo parentale in applicazione dell’art. 34 dello stesso D.lgs. è retribuito sino ai 12 anni di vita del bambino, per i primi 9 mesi in relazione alle attuali regole e benefici contrattuali e/o per l’applicazione dei migliori benefici riconosciuti per legge (legge di bilancio 2023-2024-2025): - alla madre, fino al dodicesimo anno di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; - al padre, fino al dodicesimo anno di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; - entrambi i genitori hanno diritto anche a un ulteriore periodo indennizzabile della durata complessiva di 3 mesi, fruibile anche in modalità ripartita tra i genitori, nei limiti individuali del singolo genitore e nel limite di coppia di 9 mesi indennizzabili. - sono indennizzabili anche il decimo e l’undicesimo mese nel caso in cui il reddito personale del richiedente il congedo sia inferiore a 2,5 volte la pensione minima. In caso di parto plurimo, il diritto al congedo parentale spetta, nei predetti limiti, per ogni figlio. In sintesi, i limiti massimi individuali e di entrambi i genitori previsti dall’articolo 32 del T.U. sono fissi e, non vanno confusi con i periodi indennizzabili previsti dall’art. 34. Nel caso specifico come precisato nel quesito, la madre ha già fruito dei 30 giorni interamente retribuiti previsti dal vigente CCNL art. 34 comma 3 ( ex art. 12 comma 3) e di ulteriori 3 mesi e 29 gg retribuiti al 30%, in totale 4 mesi e 29 giorni. Quindi, l’interessata ha già utilizzato dei suoi tre mesi di diritto per i quali è prevista la relativa indennità ed ha altresì usufruito di 1 mese e 29 giorni parte dei tre mesi in alternativa madre e padre, sempre indennizzati in comune tra i due genitori. Ne consegue che, se non utilizzati dal padre può ancora richiedere un ulteriore mese e 1 giorno (massimo 3 mesi) di congedo parentale, indennizzati al 30% fino a dodici anni di età del figlio nato nel 2015.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Il regime di incompatibilità: un consulente finanziario con contratto misto può accettare una supplenza ATA part-time?
  • L’art. 53, primo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve essere considerata come esercizio del commercio e dell’industria ogni attività imprenditoriale; deve, inoltre, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore delegato di società di capitali. Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. È, quindi, incompatibile con lo status di pubblico dipendente l'assunzione di cariche in società aventi scopo di lucro, che possono essere svolte soltanto previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza (Corte Conti Liguria Sent. 22/10/2015, n. 83). Invece, il divieto in questione di cui all'art. 53 citato non pone limiti alla partecipazione di un pubblico dipendente in società commerciali in qualità di mero socio di capitale. Esso esclude, invece, come detto sopra, che egli possa ricoprire cariche sociali, compiere atti di amministrazione nella società, trattare o concludere affari in nome della stessa. In giurisprudenza (cfr Corte di Cassazione, sez. lav., Sent. 26/11/2012, n. 20857) è stato affermato che l'impiegato della Pubblica Amministrazione non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione, senza alcun riferimento ad attività retribuita, onde il divieto deve ritenersi assoluto, a prescindere dalla sussistenza o meno di una remunerazione, ovvero di una continuità della prestazione lavorativa diversa da quella espletata alle dipendenze della P.A.. La Corte dei Conti, con la Sentenza n. 9 del 7 maggio 2019, ha affermato che per un dipendente pubblico a tempo indeterminato è assolutamente vietata l’attività di amministratore unico di una società di capitali, in quanto carica sociale palesemente e testualmente vietata e non autorizzabile ex art. 60, d.P.R. n. 3 del 1957, richiamato dall’art. 53, co.1, D.Lgs. n.165 del 2001 (che, nel caso di specie, tra l’altro, era stata svolta non in modo occasionale ma sistematico). Il Consiglio di Stato ha affermato che non vale ad escludere la situazione d'incompatibilità di un pubblico dipendente, che eserciti un'attività imprenditoriale, il fatto che egli eserciti regolarmente il suo lavoro, in quanto la norma d'incompatibilità mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente stesso, ai fini di un miglior rendimento nei confronti della p.a. datrice di lavoro (cfr. Consiglio Stato sez. V sent. 13 gennaio 1999, n. 24). Il titolare della ditta individuale è l’unico responsabile dell’attività ed è esposto al rischio d’impresa. Infatti, egli risponde delle obbligazioni assunte in nome della ditta con tutto il proprio patrimonio presente e futuro (responsabilità illimitata). Come già rilevato in precedenti risposte, a nostro avviso, le ditte individuali rientrano nella definizione di operatori economici, per cui la ditta individuale risulta impresa e non lavoratore autonomo. In giurisprudenza è stato altresì affermato: - Consiglio di Stato sez. VI, 24/09/1993, n.629: rientra tra le ipotesi di incompatibilità con il pubblico impiego previste dall'art. 60 t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 la titolarità di un'impresa artigiana. - T.A.R., Lazio sez. I, 20/05/1987, n.1085: nell'ampia locuzione adoperata dall'art. 60 t.u.imp.civ.st. (d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) in tema d'incompatibilità (commercio, industria e professione) deve intendersi inclusa anche l'attività lavorativa svolta in qualità di artigiano. Come già rilevato in precedenti risposte in argomento, a nostro avviso, la titolarità di un'attività commerciale ( come nel caso di specie ove vi è iscrizione alla Camera di Commercio) resterebbe vietata anche nel caso si trattasse di part time non superiore al 50%. A queste conclusioni era giunto anche l'USR Emilia-Romagna nella Nota 2456 del 9 febbraio 2007. Nel Parere citato viene precisato che la titolarità di una attività commerciale resta assolutamente vietata all’intera categoria dei dipendenti, così come risulta vietata, per la medesima categoria, la possibilità di accettare cariche in società costituite a fine di lucro. Il citato art. 53, al comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dagli articoli 57 e seguenti della Legge 23 dicembre 1996, n. 662. Il comma 56 dell'art. 1 della Legge n. 662 del 1996 prevede che le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (ora art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001), e successive modificazioni ed integrazioni, nonché le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l'iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. Ai sensi del successivo comma 58, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere concessa dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione stessa. La trasformazione non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa. Dall'analisi della normativa di cui alla Legge n. 662 del 1996 e delle disposizioni del CCNL 2007 si evince che il riferimento è alla attività di lavoro autonomo o subordinato. Conclusivamente, abbiamo in precedenza ritenuto che vi fosse incompatibilità tra status di dipendente pubblico (seppur in part time non superiore al 50%) e l'attività commerciale o di amministratore di società. Per completezza si deve però rilevare che, come appreso anche durante i nostri corsi di formazione, da parte di alcuni Uffici Scolastici vi è negli ultimi tempi una interpretazione più estensiva sulla questione di cui al quesito (compatibilità o meno della attività commerciale in caso di dipendente con part time non superiore al 50%) Ad esempio l'USR Piemonte con la Nota 12437 del 26 agosto 2022 ha ribadito la regola dell’incompatibilità assoluta con riferimento al personale scolastico, sia a tempo pieno che parziale con prestazione lavorativa superiore al 50%, è posta dall’art. 508, comma 10, d.lgs 297/1994 (Testo unico Istruzione) rispetto all’esercizio di attività commerciali, industriali e professionali ovvero svolte alle dipendenze di soggetti privati o, ancora, comportanti l’accettazione di cariche in società costituite a scopo di lucro. ( in senso analogo cfr la Nota operativa USR Sicilia n. 21198 del 31 agosto 2020) Pertanto, il dipendente se a tempo pieno (o con part time superiore al 50%) non può esercitare attività commerciale mentre se in part time non superiore al 50% i recenti orientamenti di cui abbiamo detto sopra ammettono la possibilità di autorizzazione. In tal senso si muove anche la recente giurisprudenza. Ad esempio (cfr Cassazione civile sez. lav., 18/07/2022, n.22497 seppur con riferimento ad un dipendente di un ente locale) ha affermato che i dipendenti pubblici con un part time non superiore al 50% possono instaurare rapporti con altri enti anche in assenza di autorizzazione da parte della pubblica amministrazione di appartenenza. Nella motivazione si richiama Cass., Sez. L, n. 28757 del 7 novembre 2019, "In tema di pubblico impiego privatizzato, alla stregua della disciplina di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (applicabile "ratione temporis"), D.P.C.M. n. 117 del 1989, art. 6, comma 2, e della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 58-bis, si deve escludere che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale superiore al 50 per cento possano essere implicitamente autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa in esame consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part-time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento" (per lo sviluppo giurisprudenziale in materia, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010)". Conclusivamente, nel caso di specie, al netto di eventuali indicazioni specifiche da parte dell'USR di riferimento, riteniamo che possa essere accettata la supplenza su spezzone orario non superiore al 50%.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • La gestione delle ferie del personale ATA in proroga al 31 agosto: vediamo la possibilità di posticipare le ferie in base alle esigenze di servizio...
  • Il MIM, con la Nota 23 maggio 2025, n. 119043, ha fornito indicazioni in merito alle proroghe dei contratti di supplenza del personale ATA per il corrente anno scolastico, richiamando sia le disposizioni dell’art. 1, comma 7 del Regolamento supplenze del personale ATA di cui al D.M. n. 430 del 2000 che la Nota del 10 giugno 2009 prot. n. 8556, reiterata negli anni successivi. Il Ministero, con la Nota n. 8556 del 10 giugno 2009, ha precisato che i Dirigenti Scolastici, ove intendano, previa valutazione preliminare delle concrete necessità delle varie sedi scolastiche e dei turni di presenza del personale a tempo indeterminato e supplente annuale nei mesi di luglio e agosto, giovarsi delle citate disposizioni regolamentari, dovranno farne motivata richiesta al Direttore dell’USR, per il tramite dei relativi Ambiti Territoriali, che, esaminate le motivazioni, potrà concedere l’autorizzazione. Le proroghe devono, pertanto, essere richieste dai Dirigenti Scolastici nei casi di effettiva necessità qualora non sia possibile assicurare l’effettivo svolgimento dei servizi di istituto mediante l’impiego di personale a tempo indeterminato e di personale supplente annuale. In sintesi: - le richieste motivate devono pervenire agli Uffici Scolastici Regionali per la prescritta autorizzazione; - le comprovate motivazioni potranno fare riferimento ad attività relative allo svolgimento degli esami di Stato, al recupero debiti nelle scuole secondarie di secondo grado, a situazioni eccezionali che possano pregiudicare l’effettivo svolgimento dei servizi di istituto con riflessi sull’ordinato avvio dell’anno scolastico (es. adempimenti legati all’aggiornamento delle graduatorie di istituto ATA, allo svolgimento delle procedure concorsuali in atto, etc.). L’USR Lombardia, con Nota n. 6887 del 27 giugno 2011, aveva già affermato la necessità di utilizzare lo strumento della proroga solo in presenza di inderogabili esigenze di funzionamento dell’istituzione scolastica con conseguente impossibilità di concedere la fruizione delle ferie nel periodo interessato. Da ultimo io medesimo USR, con la Nota 28 maggio 2025 27206, ha ribadito che ove il contratto di lavoro sia prorogato, l’interessato non potrà fruire, in tale periodo, delle ferie maturate entro il 30 giugno. Conclusivamente, nel caso di specie, fermo restando che la proroga potrà essere disposta per i motivi di cui sopra, l’eventuale proroga concessa non potrà comunque prevedere periodi di fruizione delle ferie – maturate entro il 30 giugno - da parte del personale interessato.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Ferie e festività docenti: come gestire gli arrotondamenti del gestionale (es. 31,99 e 3,99) e quale approssimazione applicare?
  • L'art. 14 del CCNL 2007 prevede che a tutti i dipendenti sono altresì attribuite 4 giornate di riposo ai sensi ed alle condizioni previste dalla legge 23 dicembre 1977, n. 937. E' altresì considerata giorno festivo la ricorrenza del Santo Patrono della località in cui il dipendente presta servizio, purché ricadente in giorno lavorativo. Le quattro giornate di riposo, di cui sopra, sono fruite nel corso dell'anno scolastico cui si riferiscono e, in ogni caso, dal personale docente esclusivamente durante il periodo tra il termine delle lezioni e degli esami e l'inizio delle lezioni dell'anno scolastico successivo, ovvero durante i periodi di sospensione delle lezioni. Le festività soppresse maturano proporzionalmente al servizio prestato. Infatti, per prassi consolidata anche le festività soppresse vengono calcolate proporzionalmente al servizio; le festività maturano 1 ogni 3 mesi di servizio (4/12). In caso di festività maturate con risultanza finale decimale, ai fini delle giornate di effettivo godimento si ritiene che il calcolo deve essere arrotondato non essendo possibile considerare la frazione come giorno intero: es. 3,99 arrotondato a 4. Questo perchè ferie e festività soppresse devono essere godute a giorni interi (e non in modalità oraria). Pertanto, a nostro avviso, ogniqualvolta il risultato è superiore alla metà si arrotonda all’intero (es. 2,66 si arrotonda a 3) mentre se inferiore si arrotonda per difetto (es. 0,22 a 0). Se il risultato è la metà della frazione (0,50; 1,50) per prassi si arrotonda per difetto (soluzione per la quale noi propendiamo e già ribadita in precedenti risposte). Conclusivamente, a nostro avviso, il dipendente che ha maturato n. 3,99 giorni di festività soppresse, ha diritto alla fruizione di quattro giorni di festività (arrotondamento per eccesso). Non vi sono indicazioni specifiche ma, in caso di risultanze decimali (come ad esempio nei casi esposti in premessa), trattandosi di istituto da fruire a giornata ( come per ferie o festività), deve operare necessariamente il meccanismo dell'arrotondamento (che è sia per eccesso che per difetto).

    Data di pubblicazione: 26/06/2025

  • Alcuni chiarimenti sulla certificazione dei giorni di ferie richiesti e fruiti da personale docente a tempo determinato...
  • Preliminarmente va ricordato che il DPR 445/2000 all’art. 1 lett.f) indica cosa si intende tecnicamente per “certificato”, definito come “il documento rilasciato da una amministrazione pubblica avente funzione di ricognizione, riproduzione o partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche”. A tal fine la scuola può emettere un certificato attestante i giorni di ferie fruiti dal lavoratore in un dato periodo ed un distinto attestato in cui si riportano cronologicamente le istanze di fruizione di ferie ricevute dal lavoratore nel medesimo arco temporale. Segnaliamo anche che la P.A. non è tenuta a richiesta del cittadino, anche se suo dipendente, a realizzare ulteriori atti ricognitivi che richiedano rielaborazioni di dati, salvo ciò sia richiesto dal Giudice con un’ordinanza. Tali distinti documenti possono essere dunque regolarmente emessi dall’Istituto, senza formalità ulteriori dall’ordinario. Come noto, peraltro, si è da tempo avviato un filone di impugnazioni seriali, relative alla richiesta di recupero degli emolumenti relativi alle giornate di ferie non fruite dai lavoratori a tempo determinato, a seguito dell’interpretazione resa dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16715/2024, con la quale è stato stabilito che i docenti a tempo determinato non possono essere considerati automaticamente in ferie, in assenza di loro richiesta o di provvedimento esplicito del dirigente scolastico, durante i giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali. L’esito dell’impugnazione giudiziale del disposto del comma 8 dell’art. 5 del d.l. n. 95 del 2012 peraltro è stato reso manifesto dal MIM nella nota prot. 75223 del 27/03/2025, avente ad oggetto: “monetizzazione delle ferie non godute del personale docente con contratto a tempo determinato”, con cui si indica ai Dirigenti scolastici di invitare precauzionalmente al “personale a tempo determinato a godere delle ferie retribuite, in particolar modo nei periodi di sospensione delle lezioni, all’uopo avvisando quest’ultimi della perdita, in caso tanto del diritto a fruire delle ferie quanto del diritto a percepire l’indennità sostitutiva”.

    Data di pubblicazione: 26/06/2025

  • Orario tempo pieno scuola primaria: è possibile ridurre l'orario settimanale degli alunni a 39 ore e destinare la quarantesima ora dei docenti alle supplenze?
  • È l’ancora vigente DPR n. 89/2009, recante la “Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”, a disciplinare il riordino del primo ciclo di istruzione e della scuola dell’infanzia. L’articolo 4, comma 3 prevede la facoltà di operare differenti articolazioni dell’orario scolastico settimanale: a 24, 27, e sino a 30 ore, nei limiti delle risorse dell'organico assegnato, nonché secondo il modello delle 40 ore, corrispondente al cosiddetto “tempo pieno”. Le istituzioni scolastiche scelgono di adottare una o più articolazioni “nella loro autonomia e sulla base delle richieste delle famiglie”. Il comma 7, inoltre, insiste sul ruolo decisivo esercitato dalle istanze delle famiglie per l’attivazione delle classi a tempo pieno e stabilisce quali necessarie condizioni propedeutiche a ciò l’esistenza di uno specifico progetto formativo integrato, le disponibilità di organico assegnate all'istituto e la presenza delle necessarie strutture e servizi (in primis il servizio della mensa). Circa la determinazione dell'organico delle classi declinate su tale modello orario viene confermata l'assegnazione di due docenti per classe, “eventualmente coadiuvati da insegnanti di religione cattolica e di inglese in possesso dei relativi titoli o requisiti”. Infine, il medesimo comma stabilisce “che le maggiori disponibilità di orario derivanti dalla presenza di due docenti per classe, rispetto alle 40 ore del modello di tempo pieno, rientrano nell'organico d'istituto.” Nel tempo pieno l'attività si svolge anche in tutti i pomeriggi: delle 40 ore 30 sono destinate alle lezioni in aula, le rimanti 10 sono dedicate al servizio di mensa e ad attività extra-scolastiche o gioco coinvolgenti alunne e alunni. L’annuale nota ministeriale sulle dotazioni organiche personale docente e educativo - la più recente delle quali è la n. 93862 del 17 aprile 2025 che fornisce indicazioni per l’anno scolastico 2025/2026 – ribadisce che nulla è innovato nel tempo pieno rispetto alle disposizioni del DPR n. 89/2009 e ne conferma l'attivazione purché nei limiti della dotazione organica complessiva autorizzata nell’ambito dell’organico dell’autonomia. Verificandosi dunque le condizioni previste dalla norma, l’istituzione scolastica soddisfa la richiesta pervenuta dalle famiglie inserendo il modello orario del tempo pieno nel PTOF, previe delibere degli organi collegiali. In nessun caso è prevista la facoltà per le istituzioni scolastiche di ridurre le 40 ore fissate così limpidamente dalla normativa vigente. Pertanto, a opinione di chi scrive, nell’ipotesi prospettata si ravvisano profili di illegittimità. Infatti, diminuendo le ore da 40 a 39, da una parte viene indebitamente compresso il diritto allo studio degli alunni ai quali risultano sottratte diverse ore annue di attività didattica, dall’altra vengono parzialmente disattese le richieste delle famiglie, “conditio sine qua non” per l’attivazione del tempo pieno. Le ragioni organizzative rappresentate dall’istituzione scolastica sono dunque del tutto recessive rispetto all’obbligo di garantire all’utenza quanto dichiarato nel PTOF e proposto in fase di iscrizione tramite l’apposita modulistica.

    Data di pubblicazione: 26/06/2025

  • Alunno con PDP non ammesso all'anno successivo: come rispondere alla richiesta di revisione degli atti amministrativi presentata dai genitori...
  • Il reclamo previsto dall’art.14 del DPR 275/1999 si sostanzia in un rimedio giustiziale disciplinato quanto alla procedura da adottare dal DPR 1199/1971, sostanziandosi in un ricorso in opposizione. Esso va esaminato a cura dell’organo che ha emanato l’atto e non a cura del dirigente scolastico, pertanto, salvo i rari casi di improcedibilità, sarebbe necessario riconvocare il consiglio di classe e vagliare i vizi sollevati dai genitori reclamanti. Va tuttavia precisato che non è legittimo ridiscutere e rivalutare le prove sostenute dallo studente nel corso dell'anno alla luce della successiva diagnosi e del PDP (di maggio 2025), in quanto, secondo il principio del “tempus regit actum”, esse sono state validamente effettuate in base allo stato di fatto conosciuto e vincolante nel tempo in cui dovevano essere rese. Un riesame retroattivo sarebbe su tale fronte illegittimo e materialmente impossibile. Sul mancato preavviso, stante l’adozione del registro elettronico e la continua comunicazione virtuale con la famiglia si ritiene che tale eccezione non costituisca utile rilievo ai fini della revisione del giudizio di non ammissione alla classe successiva. Sul preavviso in caso di bocciatura si registra una giurisprudenza ondivaga che però, di norma, interviene annullando la bocciatura solo quando non c'è stata alcuna comunicazione, nel corso dei mesi, con la famiglia, sulle difficoltà e sui rischi che l'alunna/o correva. Il consiglio di classe potrà dunque riesaminare i propri atti, per appurare che effettivamente siano state poste in essere, solo dalla data di conoscenza della diagnosi che ha poi dato luogo alla definizione di un PDP, tutte le azioni e gli strumenti atti a supportare lo studente nel suo percorso. A ciò si aggiunga la considerazione espressa dal TAR Toscana con la sentenza n.659 del 09/04/2025 e mutuata da una riflessione del Consiglio di Stato per cui : “[…] persino la mancata attuazione delle misure compensative e dispensative durante l’anno scolastico da parte dell’istituto scolastico non costituisce, di per sé sola, elemento sufficiente per giustificare una pronuncia di illegittimità del giudizio di non ammissione alla classe superiore, potendo semmai comportare, eventualmente, una responsabilità della scuola per le proprie omissioni (Cons. Stato, sez. VII, 31 ottobre 2022, n. 9448)”. Peraltro, la medesima sentenza del TAR Toscana prosegue ricordando che: “anche laddove sia necessario implementare misure didattiche compensative o dispensative per fare fronte alle specifiche situazioni di difficoltà manifestate dallo studente, ciò non può determinare un abbassamento dei criteri di ammissione alla classe successiva basati sul livello di apprendimento raggiunto, essendo comunque preminente l’interesse ad ottenere una preparazione adeguata dal percorso scolastico per affrontare con profitto gli studi successivi o inserirsi nel mondo lavorativo”. Per quanto detto, si può convocare il consiglio di classe per l’esame del reclamo che, dopo accurata revisione dei propri atti, lo respingerà motivatamente (motivazione stringatissima di mera conferma della legittimità degli atti). Ovviamente, ogni volta che si riconvoca il consiglio si ottengono due effetti favorevoli per la famiglia: si allungano i termini per il ricorso al TAR, si offrono ulteriori elementi alla famiglia per il ricorso. Per questo la motivazione deve essere assolutamente stringata e di mera conferma del provvedimento precedente.

    Data di pubblicazione: 26/06/2025

  • Alcuni dubbi sul percorso quadriennale: ripetizione dell'anno da parte degli alunni non ammessi, passaggio da un percorso quadriennale a uno quinquennale, difficoltà nella formazione delle classi...
  • Sono un Dirigente Scolastico di Istituto di Istruzione Secondaria di Secondo Grado. Abbiamo un percorso quadriennale che fortunatamente raggiunge...

    Data di pubblicazione: 26/06/2025

  • Esami di Stato conclusivi del II ciclo: può una commissione procedere con gli scritti mentre in contemporanea un'altra procede con gli orali?
  • Si può, durante gli esami di Stato conclusivi del secondo ciclo di istruzione, procedere contemporaneamente una commissione agli scritti...

    Data di pubblicazione: 25/06/2025

  • Se una commissione che opera su 2 sedi, il sabato e la domenica, si fini del pagamento della trasferta, a quale sede devono essere imputati?
  • I compensi dei commissari e dei presidenti per gli esami di Stato, anche per il corrente anno scolastico, sono determinati sempre dal D.I. 24 maggio 2007 e dalle relative indicazioni, di cui alla Nota prot. n. 7054 del 2.07.2007 e prot. n. 7321 del 12 novembre 2012 del Ministero dell'Istruzione. I compensi per gli esami conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore sono omnicomprensivi e sostitutivi di ogni altro emolumento accessorio. Il MIUR, con la nota prot. n. 5850 del 23.06.2015, ha fornito ulteriori chiarimenti sui compensi stabiliti, al fine di uniformare l'operato delle singole Istituzioni Scolastiche, in relazione ai costi relativi allo svolgimento degli esami medesimi. Relativamente ai tempi di percorrenza, è stato chiarito che, ai fini del calcolo del compenso da corrispondere ai commissari esterni, non assumono alcuna rilevanza nè i mezzi effettivamente utilizzati per l'espletamento dell'incarico, nè le spese effettivamente sostenute (spese di viaggio, vitto, pernottamento, ecc.), dovendosi fare riferimento esclusivo ai tempi di percorrenza come individuati e definiti dall'articolo 1, comma 2, del Decreto Interministeriale citato. Pertanto, il compenso da corrispondere per la trasferta al commissario è unicamente quello di cui al QUADRO B - Tabella 1 allegata al D.I. 24.05.2007, spettante in base al tempo di percorrenza tra la sede di servizio o di residenza (dichiarate dagli interessati) e la sede d'esame; tra la sede di servizio e di residenza si considera quella più vicina (sempre in termini di tempo di percorrenza) alla sede d'esame. Per l'individuazione dei tempi di percorrenza si fa riferimento agli orari ufficiali dei mezzi di linea extra-urbani più veloci, in vigore all'inizio delle operazioni d'esame. In caso di sedi d'esame raggiungibili solo con la combinazione di più mezzi di trasporto extra-urbani, il tempo di percorrenza è dato dalla somma dei tempi risultanti dagli orari ufficiali. Qualora manchi il collegamento che consenta di raggiungere la sede d'esame in tempo utile, si fa riferimento al collegamento più veloce esistente nell'arco della giornata. La circolare Ministeriale n. 104 del 16 aprile 1999 specifica inoltre, a proposito dell'utilizzo dei mezzi pubblici: "La quota del compenso forfettario riferito alla trasferta eventualmente spettante ai componenti le commissioni è determinata in base ai tempi di percorrenza desumibili dagli orari ufficiali dei mezzi di linea extra-urbani più veloci che collegano la località di servizio o di abituale dimora con la sede d'esame, utilizzabili per raggiungere quest'ultima località in tempo utile, desumibile dal calendario dei lavori della commissione, per l'espletamento dell'incarico. Le classi abbinate in un'unica commissione d'esame possono appartenere ad istituti diversi entrambi sede d'esame, talvolta ubicati in comuni diversi. Pertanto, per il periodo nel quale tutti o parte dei membri della commissione operano anche nell'altra sede d'esame, la quota del compenso per trasferta deve essere rideterminato prendendo a riferimento i tempi di percorrenza intercorrenti tra sede di servizio o di abituale dimora e la seconda sede d'esame. In questo caso, il compenso previsto dal quadro B, deve essere determinato proporzionalmente in base al periodo impiegato in ciascuna delle sedi d'esame, prendendo in riferimento i tempi di percorrenza intercorrenti fra la sede di servizio o di abituale dimora e ognuna delle sedi di esame stesse. Esempio: dal 18 giugno al 7 luglio per un totale di 20 giorni. La commissione opera per 5 giorni in una sede il cui compenso per la trasferta è di € 568,00 e per 15 giorni in altra sede il cui compenso è di € 171,00. Il calcolo corretto è il seguente: 568 /20 x 5 + 171,00/20 x 15 Nel caso la commissione si riunisca nella stessa giornata su entrambe le sedi, si ritiene che il compenso per quella giornata vada calcolato sulla sede più favorevole all'Amministrazione, secondo un principio generale adottato anche nel calcolo della distanza per il compenso relativo alla trasferta. Nella fattispecie evidenziata, se la commissione si reca in una sede dal lunedì successivo al fine settimana, è implicito che il sabato e la domenica vengano considerate giornate durante le quali la commissione ha lavorato nella sede dove ha operato fino al venerdì.

    Data di pubblicazione: 25/06/2025

  • Prove suppletive relative agli esami di stato 2025: come avviene il pagamento per i commissari e per il presidente di commissione...
  • In riferimento al quesito posto, è necessario distinguere, in primis, la differenza tra sessione suppletiva e sessione straordinaria degli esami di Stato. La sessione suppletiva prevede che i lavori si svolgano in un numero maggiore di giornate, all’interno della stessa sessione di esame ordinaria, con il medesimo compenso spettante ad ogni commissario ed al presidente. Non sono previsti compensi aggiuntivi per il presidente ed i commissari coinvolti. Infatti, all’interno della sessione ordinaria, si verifica normalmente che le commissioni svolgano il loro lavoro in un numero di giorni diverso; questo dipende dal calendario stilato, dal numero di studenti da esaminare, ecc. Quindi la sessione suppletiva rientra nei giorni di durata dei lavori della commissione all’interno della sessione ordinaria degli esami di Stato. Diversa è invece la sessione straordinaria, come da O.M. prot.n. 0000146 del 21 luglio 2023, che invece prevede il calcolo del compenso per il presidente ed i commissari coinvolti, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 3 della medesima, che così prescrive: “Ai componenti le commissioni spetta una quota del compenso forfetario riferito alla funzione e una quota dell’eventuale compenso forfetario riferito ai tempi di percorrenza dalla sede di servizio o di residenza a quella di esame, in conformità con quanto previsto in materia di compensi dalle vigenti disposizioni. Tali quote sono calcolate con riferimento al periodo continuativo di svolgimento dei lavori della commissione e in misura proporzionale alla durata complessiva delle operazioni d’esame della sessione ordinaria”.

    Data di pubblicazione: 25/06/2025

  • La formazione in materia di sicurezza rivolta al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) può essere erogata in modalità asincrona?
  • Appare opportuno rammentare preliminarmente che la formazione in materia di sicurezza rivolta al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) è regolamentata dall’all’art. 37, comma 11, del D.Lgs. 81/2008, che recita: “1. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale […]”. Si osserva, altresì, che l’art. 73, comma 2, lett. e), del CCNL – Comparto Scuola del 28 novembre 2007, non indicando la possibilità per l’RLS di effettuare la formazione in materia di sicurezza secondo la modalità e-learning, obbliga il Dirigente scolastico/datore di lavoro ad erogare la stessa formazione al RLS esclusivamente “in presenza” o in “videoconferenza”. Ciò è confermato nell’Allegato V – Tabella riassuntiva dei criteri della formazione rivolta ai soggetti con ruoli in materia di prevenzione – dell’Accordo Stato – Regioni del 7 Luglio 2016, nel quale è specificato che per l’RLS la partecipazione al Corso di Formazione in materia di salute e sicurezza la modalità e-learning asincrona è consentita solo se espressamente prevista nel CCNL di riferimento. Ne consegue che la partecipazione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza ai Corsi di Formazione sulla sicurezza in modalità e-learning è da ritenersi valida solo se espressamente prevista nel CCNL di riferimento. Per il suddetto motivo, considerato: - che l’Accordo Stato – Regioni del 7 Luglio 2016 (V. Allegato V) consente la formazione e-learning in materia di sicurezza dell’RLS solo se prevista dal CCNL di comparto; - che il CCNL – Comparto Scuola del 19 Gennaio 2024 non prevede la formazione in materia di sicurezza dell’RLS in modalità e-learning; non si può che concludere che la formazione dell’RLS in materia di sicurezza nel Comparto Scuola deve essere erogata in aula o in videoconferenza sincrona.

    Data di pubblicazione: 25/06/2025

  • Procedura per l'affidamento del servizio di ristorazione: si può procedere su MePA se l'importo è sotto i 140.000€?
  • A nostro avviso, non è possibile senza un minimo di forzatura del sistema attuale. Il quadro è il seguente: - anche sotto i 140.000 euro è applicabile l’art. 187 D.Lgs. 36/2023, che prevede una procedura negoziata a dieci o una procedura aperta; - normalmente, le scuole procedono per il tramite di una manifestazione di interesse pubblicata sul sito web della scuola e poi a trattativa diretta (AD3) o ad affidamento diretto (AD2_28) della concessione: tale procedura non rispetta, tuttavia, l’obbligo di digitalizzazione integrale introdotto a partire dal gennaio 2024; - la procedura della RDO aperta ha il problema di non prevedere la fase della pubblicazione: si tratta di una procedura ad inviti con la quale il sistema invita tutti gli operatori economici abilitati per il CPV di riferimento, ma di fatto non invita altri e diversi operatori, magari ancora non iscritti sulla piattaforma. Il Consiglio di Stato, con sent. 3999/2021, ha definito la RDO aperta come una sorta di procedura ibrida, in quel caso consentendo di superare il principio di rotazione di cui all’art. 49 D.Lgs. 36/2023: si tratta dell’unica indicazione, a nostra conoscenza, che consenta di assimilare l’art. 187 e la procedura per RDO aperta. Conseguentemente, la risposta è negativa: l’art. 187 D.Lgs. 36/2023 prevede una fase di pubblicazione che la RDO aperta non garantisce. Abbiamo recentemente rinvenuto una delibera ANAC (n. 172 del 30 aprile 2025), proprio in relazione ad una concessione in Istituzione Scolastica, che considera legittima una RDO aperta ma senza soffermarsi sul punto specifico, essendo altre le doglianze sollevate dall’operatore economico: anche aderendo alla tesi per cui la RDO aperta sarebbe possibile, resterebbe il dubbio sulla scheda ANAC specifica per la concessione da utilizzare, essendo molto limitato il panorama di scelte disponibile per le Istituzioni Scolastiche non qualificate e non abilitate ASP. Abbiamo esperienza del fatto che Consip, attivata direttamente tramite l’assistenza MePA, a volte abilita le Istituzioni Scolastiche all’utilizzo di schede specifiche per la concessione di servizi sotto soglia.

    Data di pubblicazione: 25/06/2025

  • In sede di contrattazione integrativa di Istituto le RSU possono stabilire di suddividere le risorse concesse con il D.M. 242/2024 anche con i supplenti?
  • Per quanto riguarda le risorse concesse con il D.M. 242 del 3 dicembre 2024, in sede di contrattazione integrativa di Istituto le RSU...

    Data di pubblicazione: 25/06/2025

  • Esami di Stato: nel calcolo del compenso per la distanza prevale il tempo di percorrenza minimo o la complessità dei mezzi per raggiungere la sede d'esame?
  • In tema di compensi da corrispondere ai Presidenti ed ai Commissari impegnati negli esami di Stato, la normativa cui fare riferimento è il D.I. 24 maggio 2007 e le relative indicazioni, di cui alla Nota prot. n. 7054 del 2.07.2007 e prot. n. 7321 del 12 novembre 2012 del Ministero dell'Istruzione. I compensi per gli esami conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore sono omnicomprensivi e sostitutivi di ogni altro emolumento accessorio. Il MIUR, con la nota prot. n. 5850 del 23.06.2015, ha fornito ulteriori chiarimenti sui compensi degli Esami di Stato, al fine di uniformare l'operato delle singole Istituzioni Scolastiche, in relazione ai costi relativi allo svolgimento degli esami medesimi. Relativamente ai tempi di percorrenza, è stato chiarito che, ai fini del calcolo del compenso da corrispondere ai commissari esterni, non assumono alcuna rilevanza nè i mezzi effettivamente utilizzati per l'espletamento dell'incarico, nè le spese effettivamente sostenute (spese di viaggio, vitto, pernottamento, ecc.), dovendosi fare riferimento esclusivo ai tempi di percorrenza come individuati e definiti dall'articolo 1, comma 2, del Decreto Interministeriale citato. Pertanto, il compenso da corrispondere per la trasferta al commissario è unicamente quello di cui al QUADRO B - Tabella 1 allegata al D.I. 24.05.2007, spettante in base al tempo di percorrenza tra la sede di servizio o di residenza (dichiarate dagli interessati) e la sede d'esame; tra la sede di servizio e quella di residenza si considera quella più vicina (sempre in termini di tempo di percorrenza) alla sede d'esame. Per l'individuazione dei tempi di percorrenza si fa riferimento agli orari ufficiali dei mezzi di linea extra-urbani più veloci, in vigore all'inizio delle operazioni d'esame. In caso di sedi d'esame raggiungibili solo con la combinazione di più mezzi di trasporto extra-urbani, il tempo di percorrenza è dato dalla somma dei tempi risultanti dagli orari ufficiali. Qualora manchi il collegamento che consenta di raggiungere la sede d'esame in tempo utile, si fa riferimento al collegamento più veloce esistente nell'arco della giornata. La circolare Ministeriale n. 104 del 16 aprile 1999 specifica inoltre, a proposito del'utilizzo dei mezzi pubblici: "La quota del compenso forfettario riferito alla trasferta eventualmente spettante ai componenti le commissioni è determinata in base ai tempi di percorrenza desumibili dagli orari ufficiali dei mezzi di linea extra-urbani più veloci che collegano la località di servizio o di abituale dimora con la sede d'esame, utilizzabili per raggiungere quest'ultima località in tempo utile, desumibile dal calendario dei lavori della commissione, per l'espletamento dell'incarico. Pertanto, nella fattispecie rappresentata, è corretto considerare i tempi di percorrenza più brevi.

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