Data di pubblicazione: 31/10/2025
Il quesito pone la necessità di affrontare due problematiche: come adempiere correttamente all’obbligo di vigilanza durante il tragitto scuola-palestra e quali effetti dispieghi l’autorizzazione all’utilizzo del mezzo proprio da parte degli accompagnatori ulteriori rispetto al docente di scienze motorie. Sotto il primo profilo, il docente di educazione fisica è stato correttamente individuato quale accompagnatore. Su di lui, una volta individuato come tale, gravano gli ordinari doveri riconnessi alla sua funzione, tra cui l’obbligo di vigilanza durante tutto il periodo in cui gli allievi gli sono affidati. L’accompagnamento degli alunni alla palestra esterna, infatti, non costituisce attività accessoria o aggravata del docente di scienze motorie poiché detto accompagnamento risulta imprescindibile ai fini dello svolgimento dell’attività didattica. In questo senso depone anche la risalente C.M. 3 maggio 1994, n. 153 “Accompagnamento alunni durante lo spostamento dalle aule alla palestra esterna e viceversa” che, ferma restando la competenza del regolamento di istituto in materia, offre indicazioni per individuare le misure ritenute più idonee per risolvere la questione in oggetto. Essa precisa che risulta intestata al docente di scienze motorie la vigilanza degli alunni nel tragitto scuola-palestra e viceversa, specificando tuttavia che può essere coadiuvato in questa funzione da altro personale scolastico, quale ad esempio un collaboratore scolastico. Secondo la circolare citata, “D'altra parte non può essere ignorata la più ampia responsabilità "in vigilando" che la scuola, in tutte le sue componenti, assume nei confronti degli alunni, specie se minori, ad essa affidati; responsabilità, che analogamente a quanto avviene per altre iniziative scolastiche svolte all'esterno, non consente una attenuazione, ma postula, invece, una serie di accorgimenti anche organizzativi rapportati all'età degli alunni e al livello di responsabilità da loro raggiunto. […]. Tutto ciò premesso, i competenti consigli di istituto, nell'emanare il prescritto regolamento ai sensi dell'art. 6 del D.P.R 31 maggio 1974, n. 417 non potranno non valutare (in relazione all'età degli alunni, al livello di responsabilità e contegno raggiunti) il grado di responsabilità occorrente per l'accompagnamento degli alunni stessi, limitando l'impiego esclusivo del personale ausiliario alle sole ipotesi in cui tale impiego si configuri, motivatamente, quale mera esecuzione di istruzioni e non ipotizzi, invece, l'adozione di autonome iniziative a fronte di situazioni impreviste. In tutte le ipotesi - presumibilmente prevalenti - in cui si riterrà di prevedere l'impiego del personale docente (non necessariamente di educazione fisica) dovrà essere posta la massima cura nei criteri di individuazione dei docenti stessi, al fine di contenere al minimo possibile riduzioni dell'ora di lezione”. Pertanto, nel caso di specie si consiglia di disciplinare la fattispecie nel regolamento di istituto indicando le misure ritenute più idonee per garantire lo spostamento in sicurezza, tenendo conto della lontananza tra scuola e palestra e dell’età degli studenti coinvolti. Da un simile punto di vista, il regolamento può cioè legittimamente prevedere che un solo accompagnatore sia sufficiente a garantire la dovuta vigilanza durante il tragitto: è del resto la direzione indicata dalla circolare ministeriale citata. Ovviamente, per converso, una simile valutazione rende lo spostamento che avviene con la presenza di un unico accompagnatore perfettamente conforme alle previsioni regolamentari: ciò significa che un eventuale infortunio accaduto durante il percorso non implicherà una automatica imputazione di responsabilità in capo alla scuola. Per quanto riguarda l’autorizzazione all’utilizzo del mezzo proprio da parte degli accompagnatori ulteriori rispetto al docente di scienze motorie, a seguito dell’entrata in vigore della disciplina recata dall’art. 6, comma 12, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010, le amministrazioni pubbliche possono continuare a rilasciarla, con il limitato fine di ottenere la copertura assicurativa dovuta in base alle vigenti disposizioni, mentre non possono più riconoscere agli stessi il rimborso delle spese sostenute nella misura antecedentemente stabilita dall’art. 8 della legge n. 417 del 1988, anche nell’ipotesi in cui tale mezzo costituisca lo strumento più idoneo a garantire il più efficace ed economico perseguimento dell’interesse pubblico. Ciò perché ai sensi dell’articolo 6, comma 12 del citato decreto legge le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per missioni, salvo quelle strumentali allo svolgimento di compiti ispettivi. In definitiva, il dipendente può tuttora essere autorizzato all’utilizzo del mezzo proprio al limitato scopo di conseguire la copertura assicurativa dovuta in base alle vigenti disposizioni, mentre non gli può più essere riconosciuto il rimborso delle spese sostenute nella misura antecedentemente stabilita dal disapplicato art. 8 della legge n. 417/1988, anche là dove tale utilizzo costituisca lo strumento più idoneo a garantire il perseguimento dell’interesse pubblico. Ovviamente, l'autorizzazione al mezzo proprio dovrà essere inerente ad attività proprie della qualifica, come avviene nel caso di specie in cui lo spostamento è necessario al fine di attuare l’offerta formativa prevista nel PTOF e declinata nella programmazione dei singoli consigli di classe. Resta fermo che parliamo di casi eccezionali e che devono essere adeguatamente motivati. Nel caso di specie, se il regolamento di istituto prevede che un solo accompagnatore sia sufficiente a garantire lo spostamento scuola-palestra in sicurezza, l’autorizzazione all’utilizzo del mezzo proprio da parte degli ulteriori accompagnatori – necessitata alla luce della capienza del mezzo messo a disposizione dall’ente locale – è necessaria a garantire la copertura assicurativa ai docenti, in caso di infortunio in itinere. Detta autorizzazione, in altri termini, da un lato, comporterà la traslazione delle conseguenze di eventuali infortuni dall’amministrazione alla compagnia assicurativa e all’INAIL e, dall’altro, non pregiudicherà l’adempimento dell’obbligo di vigilanza sugli studenti durante il tragitto scuola-palestra.
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Data di pubblicazione: 31/10/2025
In merito alla richiesta posta nel quesito si reputa opportuno richiamare preliminarmente quanto indicato nel D.M. 26.08.1992 (Gazz. Uff., 16 settembre, n. 218) - Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica. Al punto 5 dello stesso D.M. si osserva: “5. Affollamento Il massimo affollamento ipotizzabile è fissato in: - aule: 26 persone/aula. Qualora le persone effettivamente presenti siano numericamente diverse dal valore desunto dal calcolo effettuato sulla base della densità di affollamento, l’indicazione del numero di persone deve risultare da apposita dichiarazione rilasciata sotto la responsabilità del titolare dell’attività; - aree destinate a servizi: persone effettivamente presenti + 20%; - refettori e palestre: densità di affollamento pari a 0,4 persone/m2 . (v. nota 19)”. Detta nota 19 riporta: “- Vedasi, per la possibilità di deroga in via generale al calcolo dell’affollamento per tali locali, la lettera A) dell’allegato B alla lettera circolare prot. n° P2244/4122 sott. 32 del 30/10/1996”, che recita: “[…] DEROGHE IN VIA GENERALE A) - Punto 5.0 – Affollamento * Nel caso di refettori e palestre, qualora le persone effettivamente presenti siano numericamente diverse dal valore desunto dal calcolo effettuato sulla base delle densità di affollamento indicate al punto 5.0, l’indicazione del numero di persone deve risultare da apposita dichiarazione rilasciata sotto la responsabilità del titolare dell’attività. *CHIARIMENTO ALLA LETTERA CIRCOLARE 30/10/1996 PROT. N° P2244/4122 SOTT. 32 . N.d.R. In merito all’applicabilità della deroga in via generale al punto 5.0 del DM 26/08/1992, all’edilizia scolastica di nuova costruzione, è stata emanato il chiarimento prot. n° 0011160-93/032101.01.4122.032 del 09/08/2011 che si riporta di seguito. Tale conclusione è da ritenere estendibile a tutti i punti dell’allegato B della lettera circolare stessa. N.d.R. (Chiarimento) PROT. n° 0011160 93/032101.01.4122.032 - Roma, 09 agosto 2011 OGGETTO: Quesito Ministero dell’Interno Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica Si riscontra la nota a margine indicata inerente il quesito sulla deroga in via generale al punto 5.0 del D.M. 26 agosto 1992 prevista nell’allegato “B” della lettera circolare prot. P2244/4122 sott. 32 del 30 ottobre 1996. Così come riportato nella lettera circolare di cui sopra, la deroga in via generale è stata concessa per gli edifici scolastici esistenti alla data di emanazione del D.M. 26 agosto 1992, includendo in tale fattispecie anche gli edifici per i quali a tale data era stato richiesto il parere preventivo di prevenzione incendi. Per gli edifici scolastici nuovi potrà essere presentata motivata istanza di deroga ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. 37 del 12 gennaio 1998, che disciplina i procedimenti relativi alla prevenzione incendi. Tutte le prescrizioni tecniche di prevenzione incendi dovranno comunque essere attinte dai Comandi Provinciali dei Vigili del fuoco. Proprio la specifica e dettagliata conoscenza dei singoli progetti consentirà ai Comandi di potersi compiutamente esprimere. Si invita pertanto codesta Amministrazione a seguire la prassi istituzionale che prevede l’interessamento delle sedi dell’Amministrazione presenti sul territorio individuate appunto nel Comando VVF, secondo la provincia interessata dall’attività.” Tutto ciò premesso, tenuto conto nel caso in esame che per garantire un deflusso sicuro in caso di emergenza la larghezza delle vie e delle uscite di esodo dalla palestra sono dimensionate in relazione ad una densità di affollamento pari a 0,4 persone/m2, si ritiene condivisibile quanto sostenuto in merito dall’RSPP ovvero che occorre fare riferimento al Certificato di Prevenzione Incendi (CPI) e attenersi al calcolo stabilito dai Vigili del Fuoco, i quali stimano una capienza della palestra utilizzando una densità di affollamento pari a 0,4 persone/m2.
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Data di pubblicazione: 31/10/2025
Si premette che la redazione è consapevole di quanto ha recentemente statuito la Corte di Cassazione penale con sentenza 14/07/2025, n. 29683, laddove è stato ritenuto che l’immagine di una persona utilizzata come foto del proprio profilo sull'applicazione di messaggistica dei social network deve intendersi come accessibile solo a una selezionata platea di contatti e non legittima la sua divulgazione da parte di costoro. Deve tuttavia essere osservato che la fattispecie descritta nel quesito è molto distante da quella scrutinata dalla Corte. Inoltre, tenuto conto del funzionamento di Facebook, la foto pubblicata dal titolare del profilo molto spesso non è accessibile solo ai cd “amici”, di talché il principio sopra affermato non sembra sovrapponibile al caso prospettato. Tutto ciò premesso, si deve anzitutto ribadire che la condotta deve essere valutata alla luce del regolamento di disciplina vigente nell’Istituto, tenendo conto delle circostanze di tempo e di luogo (il messaggio è stato spedito durante l’orario scolastico? O in altro contesto?) nonché del grado di offensività degli adesivi (questi potrebbero essere del tutto innocui). Secondariamente, valutata anche l’età della studentessa, le azioni da intraprendere dovrebbero avere prioritariamente finalità educativa ed essere mirate a consolidare le regole di un utilizzo dello strumento di comunicazione consapevole e rispettoso dell’altro. Una valutazione di tipo disciplinare può venire poi in rilievo sulla base degli elementi che abbiamo indicato più sopra. La redazione non ravvisa decisamente elementi di rilevanza penale della condotta.
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Data di pubblicazione: 31/10/2025
Un’insegnante in servizio presso questa Istituzione scolastica con contratto a tempo indeterminato intende richiedere un periodo di aspettativa...
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Data di pubblicazione: 31/10/2025
Può un collaboratore scolastico con invalidità al 100% con totale e permanente invalidità lavorativa e con necessità di assistenza continua non essendo...
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Data di pubblicazione: 31/10/2025
La redazione ritiene che la modifica introdotta allo Statuto dal D.P.R. n.134/2025 abbia natura sostanziale e innovativa rispetto alla precedente versione. Ciò vale sicuramente per quanto concerne il comma 8-ter, dove l’allontanamento dalle lezioni (non più dalla comunità scolastica) per un periodo di tempo compreso tra i tre e i quindici giorni è finalizzato allo svolgimento di una specifica “attività di cittadinanza attiva e solidale”. Il contenuto innovativo della nuova disposizione esclude che possa individuarsi una continuità tra il passato e il nuovo regime disciplinare. Per le sanzioni indicate, non si ravvisano pertanto elementi per poter legittimamente proseguire le collaborazioni con enti, precedentemente attivate, in mancanza dei requisiti espressamente richiesti dalla novella normativa. Del resto, questa prevede espressamente l’alternativa: lo svolgimento delle attività in favore della comunità scolastica (comma 8-quater).
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Data di pubblicazione: 31/10/2025
La soluzione prospettata nel quesito, seppur possibile, impone il rispetto di determinati step operativi. In premessa va detto che, per quanto il dirigente scolastico abbia ampi poteri di gestione all'interno dell’istituzione scolastica in forza dell’articolo 25 del D.lgs. n. 165/2001, non rientra tra le sue competenze la soppressione di un plesso. Infatti, previa acquisizione delle delibere degli organi collegiali, tale trasferimento deve tenere conto dell’eventuale impatto sulla rete scolastica, sulla disponibilità di personale e sull'organizzazione del servizio e richiede il coinvolgimento di più soggetti: - il pronunciamento del comune interessato; - il coinvolgimento dell’Ambito territoriale (AT) - l’interlocuzione con la Regione, anche se in via generale e di regola non compete a essa la determinazione del numero delle sezioni o delle classi che può essere agganciato a un plesso. Alle Regioni, infatti, in forza dell’articolo 138 del D.lgs. n. 112/1998, ai sensi dell'articolo 118, comma secondo, della Costituzione, sono delegate: a) la programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale; b) la programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilità di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali, assicurando il coordinamento con la programmazione di cui alla lettera a); c) la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta formativa; d) la determinazione del calendario scolastico; e) i contributi alle scuole non statali; f) le iniziative e le attività di promozione relative all'ambito delle funzioni conferite. Venendo alle province e ai comuni, ai sensi dell’articolo 139 del suddetto decreto, salvo quanto previsto dall'articolo 137, ai sensi dell'articolo 128 della Costituzione – in relazione all'istruzione secondaria superiore, e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola –, a essi sono assegnate le seguenti competenze: a) l'istituzione, l'aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione; b) la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche; c) i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio; d) il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, d'intesa con le istituzioni scolastiche; e) la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti; f) le iniziative e le attività di promozione relative all'ambito delle funzioni conferite; g) la costituzione, i controlli e la vigilanza, ivi compreso lo scioglimento, sugli organi collegiali scolastici a livello territoriale. Alla luce di quanto sopra, il dirigente scolastico può avviare l’interlocuzione sulla questione con l’amministrazione comunale per verificare sinergicamente la soluzione più opportuna, facendo altresì presente il fatto che interpreta anche la volontà delle famiglie. La chiusura del plesso, però, deve essere deliberata dal Comune e successivamente comunicata da questo alla Provincia, chiamata ad assumere tale previsione nel Piano provinciale per il dimensionamento della rete scolastica. Il Piano, a sua volta, viene inviato dalla Provincia alla Regione a cui compete la sua adozione tramite delibera della Giunta regionale. Solo al termine di tale iter il dirigente scolastico può prendere in carico lo spostamento degli alunni e del personale, con conseguenti eventuale riorganizzazione degli orari e gestione della logistica. In relazione alla definizione degli organici, una volta approvato il Piano regionale per il dimensionamento della rete scolastica, il dirigente dovrà rappresentare all’Ufficio di Ambito Territoriale la soppressione del plesso di scuola dell’infanzia. Infine, con riferimento alle gelosie professionali interne al personale coinvolto, a nulla possono rilevare ai fini dell’ottimizzazione dell’offerta formativa dell’istituzione scolastica. Su tale fronte è opportuno che il dirigente operi in chiave di condivisione progettuale e di leadership educativa.
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Data di pubblicazione: 30/10/2025
In base alla disposizione contenuta nell’art. 1, c. 1, D.L. n. 111/2021, convertito in Legge n. 133/2021, “l’attività scolastica e didattica della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado” si svolgono in presenza. Da allora nessuna disposizione normativa ha più reintrodotto la possibilità di svolgere le attività scolastiche e didattiche a distanza, neppure nel caso di situazioni straordinarie o emergenziali. La soluzione prospettata nel quesito non è cioè percorribile. Del resto, ciò trova il proprio contrappeso in previsioni contrattuali che circoscrivono il lavoro a distanza al solo personale amministrativo e tecnico delle istituzioni scolastiche (art. 10 CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021) e lo subordinano a: - informazione ed eventuale confronto con le parti sindacali circa “i criteri generali delle modalità attuative del lavoro agile e del lavoro da remoto nonché i criteri di priorità per l’accesso agli stessi” (art. 30, c. 6, lett. i) CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021); - stipula degli accordi individuali con il personale individuato in base ai criteri suddetti. Per contro, solamente se previsto dal regolamento di istituto, i docenti hanno la possibilità di svolgere in modalità a distanza la programmazione settimanale alla scuola primaria e le attività non deliberative degli organi collegiali (art. 44, c. 6, CCNL citato). Dunque, se le attività didattiche e scolastiche vengono sospese in virtù di una situazione emergenziale dallo stesso dirigente scolastico o di una ordinanza sindacale, si applica al personale docente la disposizione di cui all’art. 1218 c.c. che impedisce al dirigente scolastico di esigerne la prestazione lavorativa. Esso prevede infatti: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.” Ovviamente, se il provvedimento dirigenziale o l’ordinanza sindacale dispone la chiusura della scuola, la stessa disposizione civilistica troverà applicazione con riferimento al personale ATA. Se invece viene disposta la sola sospensione delle lezioni e delle attività scolastiche, il personale ATA non risulterà impossibilitato a rendere la propria prestazione. Spetterà dunque al dirigente scolastico organizzare il servizio di detto personale in modo funzionale alle esigenze dell’istituzione scolastica e garantendo al contempo la tutela della loro sicurezza e salute. Si rammenta infine quanto affermato dalla nota MIUR prot. n. 1000 del 22/02/2012 (disponibile al link: https://www.istruzione.it/archivio/web/istruzione/prot1000_12.html) che rimette alla valutazione della singola istituzione scolastica l’apprezzamento circa la necessità di recuperare i giorni di lezione persi per una causa di forza maggiore, come nel caso di specie: “Come noto l'art. 74 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, contiene alcune norme di carattere generale relative alla definizione del calendario scolastico, quali quelle che riguardano la fissazione dell'inizio e del termine dell'anno scolastico e del periodo di svolgimento delle attività didattiche. In particolare, il comma 3, stabilisce che "allo svolgimento delle lezioni sono assegnati almeno 200 giorni". Tali disposizioni e nello specifico la norma appena richiamata, rappresentano i limiti entro i quali si esercita la competenza delle Regioni a determinare il calendario scolastico (art. 138 D.Lgs. 112/98) e quella delle istituzioni scolastiche a disporre eventuali adeguamenti dello stesso in relazione a specifiche esigenze del Piano dll'Offerta Formativa (art. 5 D.P.R. 275/99). Si tratta, quindi, di norme che vanno osservate all'atto della determinazione dei calendari scolastici da parte delle Regioni e in sede di adeguamento dei medesimi da parte delle scuole. L'eventuale violazione di tali norme costituisce, di conseguenza, ragione di illegittimità dei relativi provvedimenti di adozione o di adeguamento dei calendari scolastici. Può tuttavia accadere , come è di fatto avvenuto nelle scorse settimane durante le quali alcune aree del nostro Paese sono state interessate da eccezionali nevicate, che si verifichino eventi imprevedibili e straordinari (ad esempio gravi calamità naturali, eccezionali eventi atmosferici) che inducano i Sindaci ad adottare ordinanze di chiusura delle sedi scolastiche. Al ricorrere di queste situazioni si deve ritenere che è fatta comunque salva la validità dell'anno scolastico, anche se le cause di forza maggiore, consistenti in eventi non prevedibili e non programmabili, abbiano comportato, in concreto, la discesa dei giorni di lezione al di sotto del limite dei 200, per effetto delle ordinanze sindacali di chiusura delle scuole. Resta inteso che le istituzioni scolastiche, soprattutto se interessate da prolungati periodi di sospensione dell'attività didattica, potranno valutare, a norma dell'art. 5 del DPR 275/99 "in relazione alle esigenze derivanti dal Piano dell'offerta formativa", la necessità di procedere ad adattamenti del calendario scolastico finalizzati al recupero, anche parziale, dei giorni di lezioni non effettuati.” In altri termini, la garanzia del diritto allo studio non passa attraverso la erogazione della didattica digitale integrata (non più prevista né consentita) ma, eventualmente, dal recupero dei giorni di lezione persi per effetto del provvedimento dirigenziale o dell’ordinanza sindacale, previa delibera degli organi collegiali competenti (il consiglio di istituto, alla luce della proposta del collegio dei docenti). Nelle more della formalizzazione dell’ordinanza sindacale, infatti, il dirigente scolastico può adottare le misure organizzative ritenute necessarie a garantire la sicurezza di studenti e lavoratori arrivando fino alla sospensione delle lezioni e alla chiusura della scuola, giusto il disposto dell’art. 18, c. 3.1, D.Lgs. n. 81/2008 (“3.1. I dirigenti delle istituzioni scolastiche sono esentati da qualsiasi responsabilità civile, amministrativa e penale qualora abbiano tempestivamente richiesto gli interventi strutturali e di manutenzione di cui al comma 3, necessari per assicurare la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati, adottando le misure di carattere gestionale di propria competenza nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente. In ogni caso gli interventi relativi all'installazione degli impianti e alla loro verifica periodica e gli interventi strutturali e di manutenzione riferiti ad aree e spazi degli edifici non assegnati alle istituzioni scolastiche nonché ai vani e locali tecnici e ai tetti e sottotetti delle sedi delle istituzioni scolastiche restano a carico dell'amministrazione tenuta, ai sensi delle norme o delle convenzioni vigenti, alla loro fornitura e manutenzione. Qualora i dirigenti, sulla base della valutazione svolta con la diligenza del buon padre di famiglia, rilevino la sussistenza di un pericolo grave e immediato, possono interdire parzialmente o totalmente l'utilizzo dei locali e degli edifici assegnati, nonché ordinarne l'evacuazione, dandone tempestiva comunicazione all'amministrazione tenuta, ai sensi delle norme o delle convenzioni vigenti, alla loro fornitura e manutenzione, nonché alla competente autorità di pubblica sicurezza. Nei casi di cui al periodo precedente non si applicano gli articoli 331, 340 e 658 del codice penale.”) Nel caso di specie, risulteranno applicabili le stesse disposizioni normative sopra richiamate, non essendovi alcuna differenza – per il lavoratore – tra l’ipotesi in cui la sospensione delle lezioni e delle attività viene disposta per ordinanza sindacale e quella in cui detta sospensione avviene in virtù di un provvedimento dirigenziale.
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Data di pubblicazione: 30/10/2025
In via di principio va precisato che anche il dipendente dichiarato invalido al 100% può prestare servizio. Infatti, per quanto concerne la compatibilità con l’attività lavorativa, indipendentemente dalla definizione usata dalla norma, anche gli invalidi civili totali possono svolgere una attività lavorativa e se necessitano, in quanto disoccupati in cerca di lavoro, possono iscriversi nelle liste del collocamento obbligatorio. Il Ministero del Lavoro si era pronunciato in materia (Circ. n. 6/13966/A del 28.10.69), esprimendo l'avviso che "anche i minorati ad altissima percentuale di invalidità (talora anche del 100%), possono, se oculatamente utilizzati, svolgere, sia pure eccezionalmente, determinate attività lavorative e quindi essere dichiarati collocabili". Tale indirizzo è stato successivamente confermato dal Ministero stesso con Circ. n. 5 del 15/01/1988. Sempre in merito alla compatibilità fra la condizione di "totale e permanente inabilità lavorativa al 100%" e lo svolgimento di eventuale attività lavorativa, la Circolare del Ministero della Sanità dell'11 febbraio 1987 n. 3 ha precisato che “i mutilati ed invalidi civili "totalmente inabili" di cui all'art. 1 della L. 11 febbraio 1980, n. 18 (che si riferisce ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche o psichiche di cui agli articoli 2 e 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118) quindi, sono da individuare nei portatori delle più gravi minorazioni, ma non necessariamente in coloro cui è del tutto precluso lo svolgimento di una attività lavorativa.” Atteso ciò, in presenza di dipendente con invalidità al 100% come abbiamo già rilevato in precedenti risposte, nel caso si abbiano dei dubbi sulle specifiche mansioni cui adibire il medesimo in considerazione delle sue condizioni di salute, la scuola può, in linea di principio, in caso di rientro in servizio del dipendente, disporre la visita collegiale ai sensi del DPR 171/2011 al fine di avere un quadro più completo in merito alle mansioni lavorative che eventualmente può svolgere (alla luce della recente giurisprudenza si ritiene possibile anche la visita collegiale per il personale a t.d.). Tuttavia, nel caso di specie, il supplente nominato è altresì titolare di pensione di inabilità. La pensione di inabilità è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei soggetti ai quali sia riconosciuta una inabilità lavorativa totale (100%) e permanente (invalidi totali), e che si trovano in stato di bisogno economico. L’istituto della pensione di inabilità è stato introdotto con l’art. 2, comma 12, della legge 335 del 1995 ed ha come presupposto una invalidità permanente; è quindi richiesta l’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa in conseguenza della infermità. I requisiti per poter attribuire la pensione di inabilità sono i seguenti: 1) Status di dipendente, anche a tempo determinato 2) Anzianità contributiva di almeno cinque anni, di cui almeno tre nel quinquennio precedente alla decorrenza della pensione di inabilità 3) Risoluzione del rapporto di lavoro per infermità non dipendente da causa di servizio 4) Riconoscimento, attraverso, apposito accertamento medico collegiale dell’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività conseguente alla infermità. L'INPS, sul sito istituzionale, ha precisato che la pensione di inabilità viene concessa in presenza di assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa a causa di infermità o difetto fisico o mentale, valutati dalla Commissione Medica Legale dell'INPS e di almeno 260 contributi settimanali (cinque anni di contribuzione) di cui 156 (tre anni di contribuzione) nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda. È, inoltre, richiesta: a) la cessazione di qualsiasi tipo di attività lavorativa; b) la cancellazione dagli elenchi anagrafici degli operai agricoli e dagli elenchi di categoria dei lavoratori autonomi; c) la cancellazione dagli albi professionali; d) la rinuncia ai trattamenti a carico dell'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e a ogni altro trattamento sostitutivo o integrativo della retribuzione. Ne consegue, a nostro avviso, che la docente è inidonea allo svolgimento dell’attività lavorativa ed in tal senso si suggerisce di interloquire con l’USP che ha individuato la docente.
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Data di pubblicazione: 30/10/2025
Come già detto in precedenti risposte, si ricorda, come prima indicazione, che ogni Pubblica Amministrazione è obbligata al rispetto della normativa in base alla quale deve, in ogni caso e come prima opzione (peraltro menzionata anche nel questo), emanare un avviso pubblico di selezione rivolto al personale interno. Infatti, il principio generale dell'ordinamento è che le Pubbliche Amministrazioni hanno l'obbligo di far fronte alle ordinarie competenze istituzionali col migliore e più produttivo impiego delle risorse umane e professionali di cui dispongono. A questo proposito l’art. 97 della Costituzione recita «Le Pubbliche Amministrazioni fanno fronte ai propri fabbisogni mediante le risorse umane di cui dispongono al proprio interno, nel rispetto dei principi di efficienza, imparzialità e buon andamento». L’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche» (di seguito, anche «T.U. Pubblico Impiego»), subordina la possibilità di conferire un contratto di lavoro autonomo al preliminare accertamento, da parte della Pubblica Amministrazione, dell'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno. L’art. 43, comma 3, del Decreto Interministeriale 28 agosto 2018, n. 129, recante «Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’articolo 1, comma 143, della legge 13 luglio 2015, n. 107» ha previsto che «È fatto divieto alle istituzioni scolastiche di acquistare servizi per lo svolgimento di attività che rientrano nelle ordinarie funzioni o mansioni proprie del personale in servizio nella scuola, fatti salvi i contratti di prestazione d'opera con esperti per particolari attività ed insegnamenti, al fine di garantire l'arricchimento dell'offerta formativa, nonché la realizzazione di specifici programmi di ricerca e di sperimentazione». Solo in caso di impossibilità di ricorrere a risorse umane interne la scuola potrà, come passaggio successivo, rivolgersi all’esterno. Le istruzioni e chiarimenti forniti dal MIM con il Quaderno n. 3, tuttavia, non recano alcuna indicazione in merito alle scelte da intraprendere e gli orizzonti temporali da considerare in presenza situazioni di precarietà del personale assai diffuse nel contesto scolastico nazionale. Tanto premesso, riteniamo che il personale, ove nominato in qualità di personale interno, decada automaticamente dall’incarico all’atto della cessazione, assumendo lo status di personale esterno/estraneo all’Istituzione. Analogamente, il personale contrattualizzato in qualità di personale esterno/estraneo, cessa da detto status nel momento in cui viene assunto con contratto a tempo determinato, assumendo quindi lo status di personale interno all’Istituzione. Pertanto, se l’istituto a suo tempo ha emanato un avviso rivolto al personale esterno, non è possibile, a nostro avviso, incaricare detti esperti (candidatosi quando ancora non erano in servizio, quindi, in qualità di esterni e come tali contrattualizzati), avvalendosi della graduatoria degli esterni formata a seguito detto avviso. Infatti, la prosecuzione delle attività nell'ambito del progetto PNRR dovrebbe comportare la trasformazione del contratto di prestazione d’opera, che caratterizza il rapporto con soggetti estranei all’amministrazione, in incarico a personale interno; atto che, tuttavia non può essere disposto nei confronti di soggetti che risultano formalmente inseriti in una graduatoria di esterni all’amministrazione. In tal modo verrebbe violato il corretto iter di individuazione degli “esperti” sopra ricordato. Pertanto, in caso di necessità di reperire nuove e ulteriori figure, è opinione di chi scrive che occorra ripetere l’iter di individuazione, ovvero procedere, in ordine, con: - emanazione di ulteriore avviso di selezione per l’individuazione di nuovo personale interno disponibile (e competente) a svolgere detto incarico; - eventuale avviso indirizzato al personale di altre Istituzioni scolastiche (incarichi di “collaborazioni plurime” ex articoli 35 e 57 del CCNL 29/11/2007), in caso di esito negativo della procedura sopra indicata; - in ultimo, avviso di selezione pubblica, ex art. 7, comma 6, del D.Lgs 165/2001, rivolto al personale estraneo, nel caso di esito negativo dell’avviso per incarichi di collaborazione plurima. Ciò premesso, nel caso di specie, al momento dell’avviso o comunque entro la scadenza della domanda il candidato che invia la domanda non è dipendente pubblico e si presenta come lavoratore autonomo. Tuttavia, al momento di procedere con la contrattualizzazione (decorso il tempo per l’espletamento delle procedure di selezione, pubblicazione degli atti e attesa dei tempi di ricorso) il candidato è stato assunto da una scuola. Fermo restando quanto detto sopra, sulla necessità in via generale di ripercorrere dall’inizio l’iter, si ritiene che si possa procedere al conferimento di un incarico in regime di collaborazione plurima (con acquisizione della autorizzazione del DS della scuola di servizio) se non vi era stata alcuna altra candidatura come personale interno o di altre scuole e sempre che non era ancora stato stipulato il contratto di prestazione d’opera con il soggetto individuato. Per quanto concerne l’ulteriore fattispecie (al momento della scadenza dell’avviso di selezione è docente nella scuola a t.d. ma al momento di stipulare il contratto non abbia più incarichi nelle scuole e sia equiparabile a lavoratore autonomo) si rinvia a quanto detto sopra.
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Data di pubblicazione: 30/10/2025
Si ritiene che il quesito sia riferito alla richiesta dei canonici 3 giorni di permesso previsti dall’art. 33 comma 3 della legge 104/92 per assistenza ad un familiare e, di considerare l’interessata con una rapporto di lavoro part-time verticale di 8 ore per un solo giorno al mese. Al riguardo, in caso di part-time verticale, la Cassazione, con le Sentenze n. 4069 del 20 febbraio 2018 e n. 22925 del 29 settembre 2017, ha affermato che i tre giorni di permesso non si riproporzionano in caso di part-time superiore al 50 %. L’ARAN, con l’ORIENTAMENTO CFC34 del 25 novembre 2019, ha affermato che l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 22925/2017, ribadito anche nella sentenza n. 4069 del 20/02/2018, in tema di permessi ex Legge n. 104/1992, per l’autorevolezza della fonte rappresenti un indirizzo applicativo concreto e fattuale. Fermo restando, quindi, il generale obbligo di riproporzionamento nei casi di rapporto di lavoro a tempo parziale, in considerazione della natura di strumento di politica socio-assistenziale del permesso riconosciuto per l’assistenza alla persona con grave disabilità, a parere della Suprema Corte non va operato il riproporzionamento dei tre giorni di permesso ex art. 33 della Legge n. 104/1992 nei confronti del lavoratore con contratto in part-time verticale che effettui prestazione lavorativa per un numero di giornate superiori al 50% rispetto all’ordinario orario lavorativo in regime di full time. L’INPS, con la Circolare n. 45 del 19 marzo 2021, ha fornito chiarimenti in merito alle formule di calcolo da applicare ai fini del riproporzionamento dei tre giorni di permesso mensile, di cui all’art. 33 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, per i casi di rapporto di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto con attività lavorativa part-time superiore al 50% cioè con una percentuale a partire dal 51%. Viceversa, nel caso il rapporto di lavoro sia inferiore al 50% è necessario procedere al relativo riproporzionamento dei permessi anche nel caso in cui venga utilizzato, anche solo parzialmente, in ore (possibile per il personale ATA ai sensi dell’art. 68 del CCNL 2024). Tutto ciò premesso, in riferimento al quesito, come redazione, abbiamo sempre osservato così come per il caso specifico che i 3 giorni di permesso devono essere proporzionati al numero dei giorni di lavoro. Il calcolo basato sui giorni settimanali di lavoro ordinario (sei) è il seguente, “ 3 giorni di lavoro settimanale: 6 (settimana lavorativa intera) = x: 1 (giorni di permesso mensili) “ uguale 0,50 giorni che arrotondato per difetto è pari a 0 giorni. Quindi, conclusivamente l’interessata non può essere assente per permesso legge 104/92 nè in mese nè nell’altro mese.
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Data di pubblicazione: 30/10/2025
L’art. 53, primo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici (ivi compresi i dipendenti a t.d.) la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Più specificamente il comma 6 dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che la normativa in materia di incompatibilità disciplinata dal medesimo articolo si applica ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, oltre che dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero professionali. Per quanto concerne i profili dell'incompatibilità, ricordiamo che già la Circolare n. 3 del 19 febbraio 1997 del Dipartimento della Funzione Pubblica, aveva chiarito che le attività consentite sono un’eccezione rispetto al prevalente e generale principio di incompatibilità, con la conseguenza che il potere di autorizzazione delle amministrazioni deve essere esercitato secondo criteri oggettivi e idonei a verificare la compatibilità dell’attività extra istituzionale in base alla natura della stessa, alle modalità di svolgimento e all’impegno richiesto. Conseguentemente, le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando oltrepassano i limiti della saltuarietà e occasionalità. A chiusura dei lavori del tavolo tecnico, a cui hanno partecipato il Dipartimento della Funzione Pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013 in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, è stato formalmente approvato il documento contenente "Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti". Nel documento viene precisato che sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche della abitualità e professionalità nonché che si presentano in conflitto di interessi. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che comunque presentano le caratteristiche del conflitto di interessi. L'incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri dell'abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003). Sono vietati anche gli incarichi che, pur rientrando nelle ipotesi di deroga dall'autorizzazione di cui all'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, presentano una situazione di conflitto di interesse. In generale, tutti gli incarichi che presentano un conflitto di interesse per la natura o l'oggetto dell'incarico o che possono pregiudicare l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente. La valutazione operata dall'amministrazione circa la situazione di conflitto di interessi va svolta tenendo presente la qualifica, il ruolo professionale e/o la posizione professionale del dipendente, la sua posizione nell'ambito dell'amministrazione, la competenza della struttura di assegnazione e di quella gerarchicamente superiore, le funzioni attribuite o svolte in un tempo passato ragionevolmente congruo. La valutazione deve riguardare anche il conflitto di interesse potenziale, intendendosi per tale quello astrattamente configurato dall'art. 7 del d.P.R. n. 62/2013. Ricordiamo che l'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001, al comma 6, disciplina i seguenti incarichi per i quali non è richiesta la preventiva autorizzazione: a) collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali; c) partecipazione a convegni e seminari; d) incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; f) incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita; f-bis) attività di formazione diretta ai dipendenti della Pubblica Amministrazione, nonché di docenza e di ricerca scientifica. f-ter) le prestazioni di lavoro sportivo, fino all'importo complessivo di 5.000 euro annui, per le quali è sufficiente la comunicazione preventiva. Sono altresì incompatibili: - gli incarichi che si svolgono durante l'orario di ufficio o che possono far presumere un impegno o una disponibilità in ragione dell'incarico assunto anche durante l'orario di servizio, salvo che il dipendente fruisca di permessi, ferie o altri istituti di astensione dal rapporto di lavoro o di impiego; - gli incarichi che, aggiunti a quelli già conferiti o autorizzati, evidenziano il pericolo di compromissione dell'attività di servizio, anche in relazione ad un eventuale tetto massimo di incarichi conferibili o autorizzabili durante l'anno solare, se fissato dall'amministrazione. Ad ogni modo più in generale l'autorizzazione ad incarichi extraistituzionali deve valutare l'insussistenza di situazioni di conflitto di interessi anche potenziale. La P.A. deve verificare ex ante la sussistenza di eventuali conflitti di interessi in capo al dipendente pubblico Infatti, in tutti i casi di conferimento di incarichi retribuiti ai dipendenti pubblici, la P.A. è tenuta a verificare necessariamente "ex ante" le situazioni, anche solo potenziali, di conflitto di interessi, al fine di assicurare il più efficace rispetto dell'obbligo di esclusività, funzionale al buon andamento, all'imparzialità e alla trasparenza dell'azione amministrativa, ne consegue che il privato conferente l'incarico e il dipendente pubblico, anche se in part-time, hanno entrambi comunque l'obbligo di comunicare al datore il conferimento dell'incarico onde consentire all'ente di concedere la relativa autorizzazione previa valutazione dell'assenza di una possibile situazione di conflitto di interessi dell'incarico con l'attività lavorativa. (Cassazione civile sez. II, 07/04/2023, n.9552) Quindi, in presenza di incarico retribuito ai sensi dell'art. 53, comma 7, d.lg. n. 165 del 2001, è necessaria da parte dell'Amministrazione datrice di lavoro una previa verifica puntuale, di volta in volta, in ordine alla insussistenza di situazioni di d'interessi nell'attività espletata all'esterno e dell'impegno, in termini di energie intellettuali e lavorative, richiesto al proprio dipendente dalla medesima attività. (Cassazione civile sez. lav., 29/03/2023, n. 8846) E' stato altresì affermato (cfr. Cassazione civile sez. lav., 03/08/2021, n.22188) che nel regime dell'incompatibilità assoluta, di cui all'art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957 (richiamato prima dall'art. 58 del d.lgs. n. 29 del 1993, e poi dall'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001), non occorre valutare l'esistenza di riflessi negativi sul rendimento e sull'osservanza dei doveri d'ufficio, essendo sufficiente, per la preminenza dell'interesse pubblico, la mera potenzialità del conflitto, senza che rilevi l'eventuale conoscenza del fatto da parte dell'amministrazione, stante l'indisponibilità della materia. Ai fini della valutazione dell'incompatibilità di una attività extraistituzionale rilevano quindi le modalità di svolgimento di detta attività e non il superamento di un determinato compenso. Nel caso di specie, oltre che attività di docenza ( per la quale non sarebbe necessaria l’autorizzazione) trattasi di attività di direttore con compiti di coordinamento di una scuola civica comunale per un periodo di oltre 8 mesi ( da novembre a luglio 2026). Ai fini della valutazione dell'incompatibilità di una attività extraistituzionale rilevano le modalità di svolgimento di detta attività e non il superamento di un determinato compenso. Pertanto, il DS potrà chiedere maggiori informazioni sulle modalità di svolgimento della attività che la dipendente dovrebbe svolgere in modo tale da avere effettiva contezza che trattasi di incarico occasionale e temporaneo e senza conflitto di interessi anche se, prima facie, la durata e la tipologia di impegno fanno propendere per l’incompatibilità dell’incarico alla luce di quanto sopra esposto.
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Data di pubblicazione: 30/10/2025
Il comma 1, lett. d) dell’art. 16 T.U.(applicazione del D.lgs. 80/2015 art. 2, comma 26) è stato novellato nel seguente modo: 1.“E' vietato adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo 20; b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all'articolo 20; d) durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite complessivo di cinque mesi. Cosi come precisato dalla circolare INPS n. 69 del 28/04/2016, la riforma in esame riguarda, in particolare, i casi di parti “fortemente” prematuri da intendersi con tale accezione quelli che si verificano prima dei 2 mesi antecedenti alla data presunta del parto(cioè prima dell’inizio del congedo ordinario ex lett. a dell’art. 16 ). Analogamente, nei casi di parto fortemente prematuro, qualora la lavoratrice abbia un provvedimento di interdizione prorogata dal lavoro per incompatibilità con le mansioni ai sensi degli artt. 6 e 7 del T.U., si aggiungono al termine del periodo di interdizione prorogata tutti i giorni compresi tra la data del parto e la data presunta del parto. A titolo esemplificativo la circolare riporta due esempi in particolare per il caso in oggetto prendiamo in considerazione l’esempio 1 (parto fortemente prematuro avvenuto prima dei due mesi ante partum) Data parto: 30/6/2015 Data presunta parto: 20/9/2015 (inizio dei due mesi ante partum: 20/7/2015) Durata del congedo di maternità: dal 30/6/2015 al 20/12/2015 Tale durata si determina calcolando la data del parto + tre mesi post partum (dal 30/6/2015 al 30/9/2015) + 81 giorni (62 giorni relativi ai due mesi ante partum + 19 giorni che intercorrono tra la data effettiva del parto e l’inizio dei due mesi ante partum. Si precisa che i 62 giorni sono conteggiati dal 20/7/2015 al 19/9/2015, mentre i 19 giorni sono conteggiati dal giorno successivo al parto fino al giorno precedente la data di inizio dell’ante partum, nella fattispecie dall’1/7/2015 al 19/7/2015). Il criterio di calcolo del periodo di congedo non cambia se la lavoratrice alla data del parto si trova in interdizione anticipata. Se la lavoratrice ha un provvedimento di interdizione posticipata gli 81 giorni (62+19) si aggiungono al termine dei 7 mesi dopo il parto Quindi, per legge e in applicazione dello stesso D.Lgs 151/2001, nel caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall'inizio della gestazione, come pure in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, le lavoratrici hanno diritto all’intero periodo del congedo di maternità. Quindi anche nel caso oggetto del quesito, poiché in caso di parto plurimo il congedo di maternità è unico, all’interessata spettano i giorni dal 24/10/25 fino alla data presunta del parto (03/02/26) non fruiti e, in aggiunta i 3 mesi successivi al parto. Ciò evidenziato, si aggiunge che nello stesso art. 16 è stato inserito il comma 1 bis ed è stata introdotta una opzione alla fruizione del congedo. Nel caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall'inizio della gestazione, nonché in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, le lavoratrici hanno facoltà di riprendere in qualunque momento l'attività lavorativa, con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla loro salute.
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Data di pubblicazione: 30/10/2025
Occorre premettere che, per fornire più esaustiva risposta, occorrerebbe conoscere quali fonti di finanziamento alimentano i progetti in questione. Ad ogni buon conto, proveremo a formulare esauriente riscontro sulla base dell’ipotesi che i progetti di cui trattasi siano finanziati da soggetti esterni, Pubblici e/o privati. I progetti finanziati da soggetti esterni (come enti pubblici, Regione, Comune, Provincia, fondazioni, aziende, Unione Europea ed anche il Ministero) generano entrate finalizzate, poiché: • il soggetto finanziatore stabilisce la destinazione specifica dei fondi (cioè per quale progetto o attività devono essere utilizzati); • solitamente nel bando - avviso di candidatura vengono chiaramente definiti obiettivi, tempi, spese ammissibili e modalità di rendicontazione (vedi, ad esempio, i progetti FSE/FESR); • il mancato rispetto di tali vincoli può comportare la revoca o la restituzione del finanziamento. Ne consegue che le entrate relative a progetti con finanziamento esterno sono da considerare entrate finalizzate, in quanto: • hanno il vincolo di destinazione stabilito a monte dal finanziatore, cioè devono essere utilizzate esclusivamente per la realizzazione dello specifico progetto per cui sono state assegnate; • sono accompagnate da obblighi di rendicontazione (o monitoraggio) a dimostrazione che i fondi erogati sono stati spesi secondo gli obiettivi previsti. • l’Amministrazione (Scuola) che riceve detti fondi non può usarli liberamente per altre finalità. In merito all’iter di variazione del programma annuale, riteniamo quindi che dette entrate (finalizzate alla realizzazione dei relativi progetti) ricadano nell’ambito di applicazione dell’art. 10, comma 5, del DI 129/2018.
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Data di pubblicazione: 30/10/2025
Durante le elezioni dei genitori per il consiglio di interclasse, la componente del seggio decide di sua iniziativa di chiudere un'ora prima del previsto...
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Data di pubblicazione: 30/10/2025
La nostra scuola ha presentato progetto nell'ambito dell'avviso FSE FESR 88927/2025 - Realizzazione di laboratori innovativi e avanzati. Il nostro progetto...
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Data di pubblicazione: 30/10/2025
Si ritiene che la richiesta della docente può essere riscontrata positivamente, di seguito i nostri chiarimenti, in linea con il citato orientamento ARAN. Il congedo parentale è un istituto disciplinato dal Testo Unico sulla maternità e paternità, Dlgs 151/2001, art. 32, che spetta ad entrambi i genitori per assolvere ad esigenze di carattere relazionale ed affettivo collegate allo sviluppo armonico della personalità del bambino ed al suo inserimento nella famiglia. La fruizione del congedo parentale costituisce un diritto potestativo che va esercitato con il solo onere del preavviso nei confronti del datore di lavoro il quale, dal canto suo, non può interloquire sul diritto del dipendente di usufruirne e, quindi, non ha il potere di negarglielo. L’articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 105/2022,con decorrenza 13 agosto 2022, ha modificato il comma 1 dell’articolo 34 del T.U., relativo al trattamento economico e ha decretato che “Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32, fino al dodicesimo anno di vita del figlio, a ciascun genitore lavoratore spetta per tre mesi, non trasferibili, un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione. I genitori hanno altresì diritto, in alternativa tra loro, ad un ulteriore periodo di congedo della durata complessiva di tre mesi, per i quali spetta un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione”. Nello specifico: a) alla madre e al padre, fino al dodicesimo anno (e non più fino al sesto anno) di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; b) entrambi i genitori hanno, altresì, diritto, in alternativa tra loro, a un ulteriore periodo indennizzabile della durata complessiva di 3 mesi, per un periodo massimo complessivo indennizzabile tra i genitori di 9 mesi (e non più 6 mesi). c) per utilizzare il periodo di congedo trasferibile di 3 mesi non è necessario che i genitori abbiano già fruito dei rispettivi periodi di congedo parentale intrasferibili (della durata di 3 mesi per ciascun genitore (cfr. circolare INPS n. 122 del 27.10.2022). Nel comparto del pubblico impiego nell’ambito del periodo indennizzabile al 30%, il CCNL vigente comparto scuola all’art. 34, co. 3, in merito ai tre mesi non trasferibili della madre o del padre se sono i primi 30 gg di congedo, computati complessivamente per entrambi i genitori e fruibili anche in modo frazionato, stabilisce un miglior beneficio economico e riconosce che sono interamente retribuiti. Mentre, restano invariati i limiti massimi individuali di entrambi i genitori previsti dall’articolo 32 dello stesso D.lgs. 151/2001. Per quello che concerne l’altro genitore, coniuge/padre che appartiene al comparto militare in regime di diritto pubblico, in servizio al Ministero della Difesa, militare dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica, (applicazione dell’art. 3 del Dlgs 165/2001) i DD.PP.RR. del 13 giugno 2002, n. 163 e 18 giugno 2002 n. 164, hanno applicato per questo comparto innovazioni regolamentari e procedurali in merito alla fruizione dei benefici di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. In particolare, per la valorizzazione economica del congedo parentale di cui all’art. 32 è concesso al personale in servizio una licenza straordinaria, la cosiddetta” licenza parentale”, nella misura complessiva di quarantacinque giorni, da considerarsi con trattamento economico ad assegni interi, utilizzabili anche frazionati, entro il sesto anno di età del figlio, nell’ambito dei 9 mesi di congedo parentale retribuiti secondo la previsione dell’art. 34 D.lgs. 151/2001 e, al 30% per il congedo parentale oltre il limite di 45 giorni annui (cfr. Guida Tecnica Ministero della Difesa nota 332943 del 06.06.2023). In sintesi quindi, per ogni figlio fino a 12 anni spetta: - alla madre 3 mesi di congedo parentale al termine del congedo di maternità non trasferibile all’altro genitore, di cui: i primi 30 gg interamente retribuiti che non si cumulano con la licenza parentale del padre. Questi primi 30 giorni di congedo infatti, non sono intaccati da ipotesi di riconoscimento di analogo beneficio all’altro genitore appartenente ad altro specifico comparto; - al padre, invece, dalla nascita si applicano per i suoi 3 mesi non trasferibili le disposizioni e le regole del Ministero della Difesa, ossia i 45 giorni di licenza parentale interamente retribuiti che non intaccano il miglior beneficio della madre previsto dal CCNL comparto scuola.
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Data di pubblicazione: 29/10/2025
Si ritiene che la soluzione prospettata nel quesito in merito all'articolazione dell'orario di lavoro del personale ATA non sia conforme al vigente quadro contrattuale. L'orario di servizio è inderogabilmente disciplinato dall'articolo 51 del CCNL 2007 (norma non novellata dal CCNL 2019/21). Il comma 1 stabilisce che: “L’orario ordinario di lavoro è di 36 ore, suddivise in sei ore continuative, di norma antimeridiane, o anche pomeridiane per le istituzioni educative e per i convitti annessi agli istituti tecnici e professionali”. Il successivo comma 3 prevede che: “L’orario di lavoro massimo giornaliero è di nove ore. Se la prestazione di lavoro giornaliera eccede le sei ore continuative il personale usufruisce a richiesta di una pausa di almeno 30 minuti al fine del recupero delle energie psicofisiche e dell’eventuale consumazione del pasto. Tale pausa deve essere comunque prevista se l’orario continuativo di lavoro giornaliero è superiore alle 7 ore e 12 minuti”. Come si evince in modo inequivocabile dal dettato dell'articolo 51, l'orario di lavoro spezzato non è previsto per il personale ATA. Le disposizioni contrattuali in materia di orario sono particolarmente vincolanti e non ammettono deroghe né interpretazioni non supportate dalla norma. Dal quesito si deduce, inoltre, che il personale sarebbe anche remunerato. Secondo il nostro parere, l'adozione di un orario spezzato determinerebbe la corresponsione di emolumenti per il periodo in cui la prestazione lavorativa sarebbe formalmente sospesa, configurando una criticità sul piano della responsabilità contabile per indebita remunerazione. Si suggerisce di rivedere l'articolazione degli orari di servizio, in accordo con il Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi (DSGA), ricorrendo esclusivamente alle soluzioni organizzative contemplate dagli articoli 63, 64, 65 e 66 del CCNL 2019/21, ai quali si rinvia.
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Data di pubblicazione: 29/10/2025
A differenza del personale ATA ove vi è la specifica previsione di assenza di cui all'art. 69 del CCNL 2024 (18 ore di permesso e fattispecie in cui è possibile imputare l'assenza per visita specialistica direttamente a malattia) per il personale docente si applica la normativa generale di cui all'art. 55 septies, comma 5 ter del D.Lgs. n. 165 del 2001. Il citato comma 5-ter recita che “Nel caso in cui l'assenza per malattia abbia luogo per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all'orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmessa da questi ultimi mediante posta elettronica”. La suddetta norma rappresenta la disciplina generale in tema di assenze per visite specialistiche; si applica al personale docente mentre per il personale ATA rileva l'art. 69 del CCNL 2024 (e prima l'art. 33 del CCNL 2018) che prevede specifici permessi orari per un ammontare complessivo di 18 ore all'anno. Più specificamente l'art. 69 del nuovo CCNL 2024 disciplina esclusivamente per il Personale ATA le assenze per l'effettuazione di visite specialistiche mentre per il Personale Docente (cui non è applicabile detto articolo) rimane in vigore la disciplina di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 nell'interpretazione post Sentenza del TAR Lazio n. 5714 del 2015 che aveva annullato la Circolare della F.P. n. 2 del 2014 (quindi imputazione, a scelta del dipendente, dell'assenza alla malattia o ad altri istituti contrattuali quali ferie, permessi brevi ex art. 16 CCNL 2007 o permessi per motivi personali ex art. 15 CCNL 2007 o art. 35 CCNL 2024 per il personale a t.d.). Il MIUR, con la Nota n. 7457 del 06/05/2015, ha precisato che, nelle more della rivisitazione della disciplina (che però ha riguardato, come detto sopra, solo il personale ATA), le assenze dal servizio per visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici devono essere ricondotte esclusivamente alla disciplina normativa di cui all'art. 55 septies, comma 5 ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che regola le assenze per malattia dei dipendenti pubblici per l'espletamento di tali prestazioni. Quindi, allo stato attuale, per il personale docente, l’assenza per l’effettuazione di visite, prestazioni specialistiche e terapie può essere ricondotta a malattia con il relativo trattamento economico (non c'è un limite) e, in tali casi, è giustificata con la presentazione di un'attestazione (che indichi anche l'orario) rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione. La necessità che l'attestazione indichi anche l'orario deriva dalla applicazione della disposizione di cui all'art. 55 septies, comma 5-ter sopra richiamato, ma non inerisce alla circostanza che la visita debba svolgersi necessariamente in orario scolastico per poter essere imputata a malattia. Se, quindi, il docente ha chiesto che l'assenza a visita specialistica venga ricondotta a malattia sarà sufficiente presentare l’attestazione della struttura presso la quale le cure sono effettuate e l'assenza, essendo imputata a malattia, si riferisce all'intera giornata. Ovviamente si applicherà il trattamento economico e di comporto per la malattia (cfr. art. 35 CCNL 2024 per il personale a t.d.). Ne consegue che, a nostro avviso, l’assenza di cui al quesito se imputata a malattia copre l’intera giornata lavorativa.
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Data di pubblicazione: 29/10/2025
Come specificato nella nota della Corte dei conti, sezione regionale Lombardia, il primo passo da compiere è quello di trasmettere alla stessa, via PEC, la scheda anagrafica contenente le informazioni relative alla banca tesoriera (filiale, ABI e CAB) nonché all’economo e al consegnatario dei beni (codice fiscale) che rappresentano l’agente contabile tenuto a presentare il conto giudiziale. L’adempimento è previsto dall’art. 138 del D.Lgs. n. 174/2016 (Codice della giustizia contabile). Le due funzioni suddette vengono svolte, nella istituzione scolastica, dal DSGA (art. 21, c. 4 e art. 30 D.I. n. 129/2018), tenuto alla gestione del fondo economale e consegnatario dei beni. Tuttavia, sotto quest’ultimo profilo, va detto che importanti contributi dottrinali hanno chiarito che è agente contabile solo colui che è consegnatario per debito di custodia e non anche per debito di vigilanza. Con ciò si fa riferimento alla tenuta di magazzini e archivi e non anche alla vigilanza di beni appartenenti alla pubblica amministrazione. Tuttavia, anche a voler ammettere, dunque, che il DSGA non sia agente contabile in quanto consegnatario dei beni nel senso sopra specificato, occorre tenere presente che lo sarà pur sempre per il fatto di gestire il fondo delle minute spese. La suddetta scheda deve essere ritrasmessa ogniqualvolta vi siano variazioni che interessano o la banca o l’agente contabile. Il procedimento per la presentazione del conto giudiziale descritto dall’art. 139 D.Lgs. n. 174/2016, e in particolare dal comma 2 dello stesso, si svolge nel seguente modo: - presentazione del conto giudiziale, da parte dell’agente contabile ovvero del DSGA, all’amministrazione di appartenenza e cioè al dirigente scolastico; - parificazione del conto da parte del dirigente scolastico dopo che esso sia stato verificato dai revisori dei conti; - deposito del conto giudiziale nella segreteria della sezione giurisdizionale competente della Corte dei conti in via telematica mediante la piattaforma SIRECO. Al deposito del conto segue il relativo giudizio che, in caso di assenza di irregolarità, comporta il discarico del conto stesso. Nell’ipotesi contraria, la Corte apre una fase dibattimentale per accertare eventuali responsabilità erariali. Al fine di trasmettere il conto giudiziale, il dirigente scolastico deve seguire i passaggi riportati nel Manuale Sireco: - accedere al portale SOG (Servizi Online della Giurisdizione) con SPID; - selezionare la macroarea “Sireco”; - inserire i dati richiesti dai paragrafi 3.5.1, 3.5.3 e 3.5.4 del Manuale “Sireco” (disponibile anche al link: https://www.corteconti.it/Download?id=77c85cb1-6455-430b-afdd-b62c0fb1db51). Dopo aver compilato tutti i campi obbligatori, sarà possibile procedere alla conferma dei dati per l’inserimento della resa; cioè, questi passaggi porteranno a predisporre il documento automatico “Conto Giudiziale”. Il passaggio successivo consente poi di inserire a sistema tutti i dati relativi all’agente contabile (paragrafo 3.5.6 del Manuale Sireco), ovvero al DSGA, come sopra abbiamo chiarito, All’atto dell’inserimento della resa, da effettuarsi secondo quanto indicato nel paragrafo 3.6.1, sarà presente il documento Conto Giudiziale. Tale documento, creato automaticamente dal sistema, dovrà essere corredato di file digitale firmato. Risulta possibile associare alla resa degli ulteriori documenti attraverso il pulsante Aggiungi, ma solo fin quando la resa non sia stata ancora inviata alla Segreteria dei Conti. Per quanto riguarda la forma del conto giudiziale, come riportato anche dalla dottrina (si veda in particolare il Quaderno n. 3/2023 della Corte dei conti, disponibile al link: https://www.corteconti.it/Download?id=d7ab456c-411d-4782-aae8-9e5391bd4057), i vari ordinamenti richiedono all’agente contabile la compilazione di specifici modelli che – nel caso delle istituzioni scolastiche – non sono stati resi disponibili dal MIM. Tuttavia, la Corte dei conti ha sempre ritenuto recessivo l’aspetto “formale”, purché il modello utilizzato sia idoneo a rappresentare, nei dati essenziali la gestione. Ciò significa che la Corte ha privilegiato l’adeguata rappresentazione delle poste in entrata ed uscita in virtù del c.d. principio della sostanzialità documentale. Manca, per le scuole, anche l’elenco dei documenti che al conto giudiziale devono essere necessariamente allegati. Proprio per questo, nelle more delle necessarie indicazioni da parte del MIM, in vista dell’adempimento della resa del conto giudiziale si suggerisce di prendere a riferimento il conto consuntivo presentato per l’anno finanziario 2024. Peraltro, da un simile punto di vista: - può essere utile anche un confronto con i revisori dei conti, soprattutto con quello espresso dal MEF che ha probabilmente una maggiore consuetudine con l’adempimento di un simile obbligo. Del resto, spetta a loro verificare previamente il conto giudiziale, rilasciando anche una relazione a questo proposito; - si tenga presente che l’art. 8 del DPCM 208/2023 assegna all’USR la funzione di consulenza amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche il cui esercizio, in un frangente come questo (in cui mancano modelli di riferimento per l’adempimento dell’obbligo della resa del conto giudiziale), può risultare opportuno sollecitare.
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Data di pubblicazione: 29/10/2025
In premessa alcune considerazioni. Per legge, il congedo in oggetto disciplinato nell'art. 42, comma 5, del D.lgs. n. 151 del 2001, considerato le successive modifiche e ultima in ordine di tempo la legge 105/2022, articolo 3, comma 1, lettera b), n. 2 stabilisce un preciso e inderogabile ordine di priorità. 1. il coniuge convivente, la parte dell’unione civile e i conviventi di fatto della persona disabile in situazione di gravità; 2. il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, della persona disabile in situazione di gravità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente; 3. uno dei figli conviventi della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti; 4. uno dei fratelli o sorelle conviventi della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori ed i figli conviventi del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti; 5. un parente o affine entro il terzo grado convivente della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli o sorelle conviventi siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti. Nel caso specifico trattasi del punto 3, assistenza della figlia per la madre. Di seguito, sono elencate per entrambi i soggetti avente diritto al congedo, le seguenti e inderogabili condizioni soggettive e oggettive: a) Il familiare, è soggetto disabile con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3 della legge 104/92. b) Assenza di ricovero a tempo pieno presso strutture pubbliche o private fatte salve alcune eccezioni c) Essere conviventi, stessa residenza. Unica eccezione i genitori per i figli e, non viceversa. La Funzione Pubblica già nella circolare n. 1 del 1febbraio 2012, alla quale si fa riferimento per un eventuale approfondimento, ha fornito per il comparto del pubblico impiego le indicazioni operative comuni per tutte le amministrazioni, scuola compresa. Di questa circolare, in calce, si ritiene utile evidenziare sinteticamente alcuni punti fondamentali. a) La convivenza, ad eccezione dei genitori per i figli, è una delle condizioni obbligatorie, inderogabili, per i familiari avente diritto per poter usufruire del congedo. Questo requisito è provato mediante la produzione di dichiarazioni sostitutive, rese ai sensi degli artt. 46 e 47 d.P.R. n. 445 del 2000, dalle quali risulti la concomitanza della residenza anagrafica e della convivenza, ossia della coabitazione (art. 4 del D.P.R. n. 223 del 1989). In linea con l'orientamento già espresso in precedenza, al fine di venire incontro all'esigenza di tutela delle persone disabili, il requisito della convivenza previsto nella norma si intende soddisfatto anche nel caso in cui la dimora abituale del dipendente e della persona in situazione di handicap grave siano nello stesso stabile (appartamenti distinti nell'ambito dello stesso numero civico) ma non nello stesso interno. Sempre al fine di agevolare l'assistenza della persona disabile, il requisito della convivenza potrà ritenersi soddisfatto anche nei casi in cui sia attestata, mediante la dovuta dichiarazione sostitutiva, la dimora temporanea, ossia l'iscrizione nello schedario della popolazione temporanea di cui all'art. 32 del d.P.R. n. 223 del 1989, pur risultando diversa la dimora abituale (residenza) del dipendente o del disabile. Le amministrazioni disporranno per gli usuali controlli al fine di verificare la veridicità delle dichiarazioni (art. 71 del citato d.P.R. n. 445 del 2000). Sempre in merito alla convivenza e limitatamente ai figli, la sentenza n. 232 della Corte Costituzionale del 7 dicembre 2018, ha disposto che il figlio, qualora al momento della presentazione della richiesta del congedo, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ha l’obbligo di instaurarla per poter legittimamente fruire del beneficio in oggetto ma, nel frattempo può legittimamente fare richiesta del beneficio. Pertanto, quando manchino altri familiari conviventi e indicati in via prioritaria dalla legge, quale il coniuge/padre e vi sia un figlio, all’origine non convivente, pronto a impegnarsi per prestare la necessaria assistenza questi potrà legittimamente fare richiesta del beneficio in oggetto (cfr. circolare INPS n. 49 del 05.04.2019). b) Per quanto concerne la “mancanza”, deve essere intesa non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono. c) Ai fini dell’individuazione delle “patologie invalidanti”, in assenza di un’esplicita definizione di legge, sentito il Ministero della Salute, si ritiene corretto prendere a riferimento soltanto quelle, a carattere permanente, indicate dall’art. 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del Decreto Interministeriale n. 278 del 21 luglio 2000 (Regolamento recante disposizioni di attuazione dell'articolo 4 della L. 8 marzo 2000, n. 53, concernente congedi per eventi e cause particolari), che individua le ipotesi in cui è possibile accordare il congedo per gravi motivi di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 53 del 2000. Non è considerato come eccezione avere superato i 65 anni di età. La stessa circolare, per quello che concerne l'inderogabilità dei soggetti avente diritto, a fronte di alcune richieste di parere sul punto, evidenzia che, poiché l'ordine dei soggetti possibili beneficiari è stato indicato direttamente ed espressamente dalla legge, la quale ha pure stabilito le condizioni in cui si può “scorrere” in favore del legittimato di ordine successivo, tale ordine non si ritiene derogabile. Per quanto evidenziato, in merito alla documentazione allegata al decreto, si richiamano i seguenti presupposti: 1) La grave patologia del padre (il primo avente diritto perché coniuge) deve essere riconosciuta e certificata in applicazione del citato punto c). Al riguardo, il certificato medico deve essere chiaro e corretto. 2) L’interessata deve essere convivente sulla base delle indicazioni di cui al punto a). Il fatto che il fratello vive nello stesso palazzo, ma in unità abitativa differente, pur con stesso indirizzo e numero civico, ma interno diverso è ininfluente. Entrambi sorella/ interessata al congedo e il fratello hanno gli stessi diritti e, non esiste un ordine di priorità se sono entrambi conviventi. Quindi, a nostro parere, se il rilievo della RTS è solo per questo ultimo punto, ovvero ordine di priorità fra fratello e sorella non è pertinente alle attuali disposizioni. Viceversa, nel caso in cui la documentazione allegata non sia conforme alle sopraindicate indicazioni e, non sia possibile integrare il decreto con una documentazione corretta, il decreto non può superare il controllo, ovvero, il cosiddetto visto. La scuola titolare della spesa, in autotutela dovrà ritirare l’atto e, l’assenza deve essere "sanata" con altre forme di permesso, aspettativa, etc...
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Data di pubblicazione: 29/10/2025
Nella scuola che dirigo è stata introdotta da questo anno nel liceo scientifico la curvatura Informatica per la IA. Tale curvatura viene realizzata...
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Data di pubblicazione: 29/10/2025
In merito al cumulo dei permessi per i genitori l’art.42 del DLGS 151/2001 ai commi 1-2-4 precisa quanto segue. 1. Fino al compimento del terzo anno di vita del bambino con handicap in situazione di gravità e in alternativa al prolungamento del periodo di congedo parentale, si applica l'articolo 33, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, relativo alle due ore di riposo giornaliero retribuito. 2. Il diritto a fruire dei permessi di cui all'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992 , n. 104, e successive modificazioni, è riconosciuto, in alternativa alle misure di cui al comma 1, ad entrambi i genitori, anche adottivi, del bambino con handicap in situazione di gravità, che possono fruirne alternativamente, anche in maniera continuativa nell'ambito del mese. 4. I riposi e i permessi, ai sensi dell'articolo 33, comma 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, possono essere cumulati con il congedo parentale ordinario e con il congedo per la malattia del figlio. L’INPS nella circolare 138 del 2001 al riguardo precisa quanto segue. ll medesimo art. 42, prevede, al quarto comma, che i riposi e i permessi ai sensi dell’art.33 comma 4, della legge n.104/92, possono essere cumulati con il congedo parentale ordinario (astensione facoltativa di 6 mesi per la madre e 7 mesi per il padre, con un massimo di 10/11 mesi se viene fruito da entrambi) e con il congedo per la malattia del figlio. Al riguardo, restano fermi i criteri di cui alla circ.n.80 del 24.3.95, in materia di cumulabilità tra i giorni di permesso ex lege 104/92 e i congedi per la malattia del medesimo figlio (2) e i criteri relativi all’impossibilità di fruire contemporaneamente da parte dello stesso genitore, nella stessa giornata, dell’astensione facoltativa e dei suindicati permessi di cui alla legge 104/92. Invece, in base a quanto previsto dal comma 4 dell’articolo in esame, è possibile godere, contemporaneamente, da parte di un genitore dell’astensione facoltativa e da parte dell’altro dei permessi di cui alla legge 104/92; pertanto, sono da intendersi modificate, su tale punto, le disposizioni di cui alla circ.n.80/95, da ultimo citata. Sull’argomento, si chiarisce che il comma 4 dell’articolo 42 del T.U. suddetto, a proposito della cumulabilità dei congedi ora indicati fa esplicito riferimento soltanto all’art. 33 della legge 104/92: di conseguenza, non è possibile la fruizione contemporanea del congedo parentale (astensione facoltativa) e del congedo straordinario retribuito di 2 anni di cui all’art. 80 della legge n. 388/2000, (ora comma 5, art.42 del T.U.). Pertanto, in proposito, continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui alla circ. n.64/2001, punto 7. Quindi, in risposta al quesito si ritiene che, non sia possibile, se un genitore usufruisce già di un periodo di congedo straordinario L. 104 per il figlio, per l'atro genitore, per lo stesso periodo e per lo stesso figlio richiedere un periodo di congedo parentale.
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Data di pubblicazione: 29/10/2025
Si chiede un parere in merito alla situazione di un alunno frequentante la seconda classe della scuola primaria, al quale è stata riconosciuta...
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Data di pubblicazione: 29/10/2025
Quando i docenti di religione incaricati acquisiscono il diritto alla ricostruzione della carriera si applica la stessa normativa prevista per i docenti d ruolo, per cui il servizio prestato da un docente della scuola secondaria nelle scuole dell’infanzia non può essere valutato. Per quanto riguarda l’attribuzione degli aumenti biennali possono essere valutati i servizi prestati come incaricati annuali e non come supplenti, così come indicato dalla circolare n. 254 del 15/09/1980. Ad ogni buon conto si precisa, comunque, che al momento dell’acquisizione del diritto al riconoscimento dei servizi, gli anni scolastici prestati con il possesso del prescritto titolo di studio, per oltre 180 giorni sono riconoscibili anche se prestati come supplenti temporanei.
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