Data di pubblicazione: 19/12/2025
Il Decreto Ministeriale 22 maggio 2025, n. 96 si inserisce nel contesto operativo del Programma Nazionale (PN) "Scuola e competenze" 2021-2027, cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+), le cui attività rientrano nell'Obiettivo specifico ESO4.6 del PN 2021-2027. La norma è finalizzata all'ampliamento dell'offerta formativa attraverso specifiche iniziative volte al potenziamento delle competenze, all'inclusione e alla socialità. Le relative azioni devono essere implementate in orario extracurricolare, ponendo particolare enfasi sul periodo estivo e sui periodi di sospensione della didattica curricolare ordinaria. Tale strategia è stata resa operativa mediante l'Avviso pubblico n. 81652 del 23 maggio 2025, rubricato “Percorsi educativi e formativi per il potenziamento delle competenze, l’inclusione e la socialità nel periodo di sospensione estiva delle lezioni” ma comunemente denominato “Piano estate aa.ss. 2024-2025 e 2025-2026”. Tale Avviso coinvolge istituzioni scolastiche sia del primo che del secondo ciclo di istruzione. Per il personale docente con orario settimanale a tempo pieno (24 ore), l'attribuzione di ulteriori ore per la realizzazione delle progettualità previste dal D.M. 96/2025 è ritenuta lecita e non costituisce una violazione del limite orario di lezione standard. La legittimità di tali incarichi deriva dalla natura aggiuntiva degli stessi, in quanto necessari alla realizzazione di progetti specificamente finanziati dal PN Scuola 2021-2027 (FSE+). Si tratta di incarichi supplementari remunerati a parte, utilizzando l’opzione dei costi standard unitari (UCS), non inclusi nel calcolo delle ore di servizio settimanali del docente. In virtù di ciò, le attività extra-curricolari connesse al progetto sono considerate ore aggiuntive che non inficiano il limite delle ore eccedenti o l'ampliamento dell'orario di lezione fino a 24 ore. Pertanto, un docente della scuola secondaria di primo grado può validamente assumere l'incarico di esperto o tutor nei moduli del "Piano estate" a seguito di selezione interna, senza che sorgano conflitti con il proprio orario di cattedra e il limite massimo di ore di lezione settimanali previsto dalle disposizioni contrattuali. Venendo al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale, la normativa contrattuale applicabile è definita dall'articolo 39, comma 8, del CCNL comparto scuola 2006-2009, disposizione non modificata dal CCNL del comparto “Istruzione e ricerca” 2019-2021. Tale articolo stabilisce che detto personale è escluso dalle attività aggiuntive di insegnamento aventi carattere continuativo. Si definisce servizio continuativo quello prestato senza interruzione nell’arco di un anno scolastico o di un semestre (come le attività di avviamento alla pratica sportiva o le attività didattiche previste nel PTOF con durata semestrale o annuale). Sono invece espressamente consentite le attività aggiuntive di insegnamento che non rivestono carattere continuativo o che presentano una soluzione di continuità. I percorsi educativi e formativi finanziati dal D.M. 96/2025 si concretizzano tipicamente in moduli caratterizzati da una durata specifica e circoscritta. L'attribuzione di incarichi di esperto o tutor a docenti con contratto part-time è considerata lecita. Tale liceità è subordinata alla condizione che gli interventi siano configurabili come microinterventi di insegnamento o attività che si svolgono per un limitato numero di ore e in un periodo di tempo circoscritto. In buona sostanza, la validità dell'incarico è strettamente legata al fatto che ciascuno dei corsi o interventi affidati al docente part-time sia scevro del carattere della continuità. Anche qualora la somma totale delle ore assegnate dovesse risultare rilevante, il principio fondamentale che prevale è che i singoli moduli (come, ad esempio, i percorsi di potenziamento delle competenze di base) mantengano la natura di attività con "soluzione di continuità," similmente ai corsi di recupero.
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Data di pubblicazione: 19/12/2025
Se l'assistente amministrativa di ruolo ha ottenuto un contratto a tempo determinato come docente, ai sensi dell'art.70 del CCNL attualmente vigente, rimane titolare nel proprio ruolo nella scuola di titolarità dove ha un contratto a tempo indeterminato e nella quale è stata posta in aspettativa per il periodo in cui è stato assunto come supplente. La dipendente ATA pertanto, con la risoluzione del contratto di supplenza a seguito dell’annullamento dell’individuazione, a nostro avviso, trattandosi di rientro necessitato, deve rientrare in servizio nella scuola di titolarità interrompendosi in tal senso l'aspettativa. Il contratto del supplente – nominato sulla assenza per aspettativa ex art. 70 - non può essere risolto, in caso di rientro anticipato "necessitato" del titolare ( come nel caso di specie), in quanto nelle ultime norme contrattuali non è prevista tale soluzione, a meno che non sia indicata come clausola/condizione risolutiva del contratto individuale di lavoro. In giurisprudenza è stato affermato che non è possibile licenziare il lavoratore a tempo determinato qualora vengano meno le esigenze per cui è stato assunto per rientro anticipato del titolare (cfr. Tribunale di Pordenone sentenza 12/2004-Corte d’Appello di Trieste sentenza 160/2005 – Tribunale di Campobasso sentenza 277/2014). A supporto fra l'altro, anche l'ARAN "Orientamento Scuola del 14 giugno 2013", ha precisato che l’art. 18, comma 2, del CCNL/1995 che prevedeva espressamente la risoluzione del contratto stipulato con il supplente a seguito di "rientro anticipato del titolare" non è stato espressamente ripreso dai successivi CCNL. Inoltre, l'art. 61 del CCNL 2024 ( e prima ancora l'art. 41 del CCNL 2018) prevede i contratti a tempo determinato devono recare in ogni caso il termine. Tra le cause di risoluzione di tali contratti vi è anche l’individuazione di un nuovo avente titolo a seguito dell’intervenuta approvazione di nuove graduatorie. L’ARAN, nell'orientamento SCU 110 del 25 marzo 2020, ha precisato che: “In caso di rientro anticipato del titolare, il contratto a tempo determinato stipulato per la sostituzione del docente o del personale ATA si risolve automaticamente? In merito si osserva che da un lato che l’art. 18, comma 2, lett c) del CCNL 04/08/1995, è stato superato dalle previsioni contenute nel CCNL comparto scuola del 29/11/2007, dall’altro tale ultimo contratto agli artt. 25 e 44 ha disciplinato – rispettivamente per il personale docente ed ATA – gli elementi caratterizzanti il contratto individuale di lavoro, anche a tempo determinato. In particolare è richiesta la forma scritta e l’indicazione di alcuni elementi essenziali definiti alle lettere a), b), c), d), e), f) e g) del comma 4 del citato art. 25 e del comma 6 del suindicato art. 44, nonché la specificazione “delle cause che ne costituiscono condizioni risolutive”, salvo l’ipotesi di “individuazione di un nuovo avene titolo a seguito dell’intervenuta approvazione di nuove graduatorie” espressamente prevista dall’art. 41, comma 1, del CCNL comparto istruzione e ricerca del 19 aprile 2018. Pertanto, il CCNL non esclude la possibilità di risoluzione anticipata del contratto di supplenza ma richiede l’indicazione delle cause che comportano detta risoluzione.” Con l'Orientamento CIRS80 13 aprile 2021 è stato affermato quanto segue: "E’ possibile inserire nel contratto di supplenza, come clausola di risoluzione, il rientro del titolare a causa del venir meno delle condizioni previste dalla legge 104/1992 per assistenza a persona disabile? Ai sensi dell’art. 1, comma 10, del CCNL relativo al personale del comparto Istruzione e ricerca del 19.04.2018, triennio 2016/18, continuano a trovare applicazione le norme contrattuali dei precedenti CCNL dallo stesso non derogate e compatibili con le norme legislative vigenti. Pertanto, sono tuttora vigenti i commi 6 e 7 dell’art. 44 del CCNL Scuola 29/11/2007 che disciplinano il contratto individuale di lavoro del personale ATA, ivi incluso quello a tempo determinato. Tale contratto individuale richiede la forma scritta e deve contenere l’indicazione di alcuni elementi essenziali definiti nelle lettere a), b), c), d), e), f), g) del medesimo articolo, nonché la specificazione “delle cause che ne costituiscono condizioni risolutive”, salvo l’ipotesi di “individuazione di un nuovo avente titolo a seguito dell’intervenuta approvazione di nuove graduatorie” espressamente prevista dall’art. 41, comma 1, del CCNL comparto Istruzione e ricerca del 19 aprile 2018. Pertanto, nel contratto individuale devono essere indicate, affinché possano essere fatte valere, le cause che ne costituiscono condizioni risolutive, ivi inclusa l’ipotesi oggetto del quesito. Questa Agenzia ritiene, inoltre, opportuno richiamare la circolare del Miur n. U.0026841 del 05.09.2020, che fornisce utili indicazioni operative in materia di supplenze del personale docente, educativo ed ATA". Pertanto, anche alla luce dei recenti chiarimenti ARAN, se nel contratto del supplente non è stata indicata alcuna clausola o condizione risolutiva, lo stesso non può essere risolto nel caso di rientro anticipato del dipendente che ha sostituito e quindi il supplente deve essere mantenuto in servizio, fino alla scadenza del contratto. Più specificamente l'ARAN, con gli ultimi orientamenti, sembrerebbe ammettere la possibilità di inserire il rientro anticipato come causa di risoluzione anche se non abbiamo sul punto ancora recenti precedenti giurisprudenziali successivi a detto orientamento in merito alla legittimità di detta clausola. Resta fermo che in mancanza di adeguata clausola (che doveva essere inserita al momento della stipula del contratto a t.d. e che si presume non sia presente nel vostro contratto) il contratto con il supplente non potrà essere risolto.
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Data di pubblicazione: 19/12/2025
Gentile utente, nel caso sottoposto il supplente ha diritto alla proroga del contratto limitatamente alle ore ore di riposo per allattamento, poichè la docente titolare usufruisce di tali permessi successivamente al termine del periodo di congedo parentale, entro il primo anno di vita del bambino e l'assenza per le ore di allattamento è continuativa rispetto a quella per per il precedente congedo. La proroga anche se limitata alle ore di allattamento può essere disposta per motivi di continuità didattica, tenuto conto della distribuzione delle ore di insegnamento di sostegno per gli alunni disabili e garantendo quindi l'unitarietà di tale insegnamento, in modo che per uno stesso alunno non siano in servizio due insegnanti di sostegno. Quanto sopra è previsto nell'art. 13, comma 11, dell'O.M. 88/2024 , richiamato nella circolare annuale sulle supplenze n. 157048/2024 con le seguenti indicazioni: "11. Al fine di garantire la continuità didattica, ove al primo periodo di assenza del titolare ne consegua un altro, o più, senza soluzione di continuità o interrotti solo da giorno festivo o da giorno libero dall’insegnamento, ovvero da entrambi, la supplenza temporanea è prorogata nei riguardi del medesimo supplente già in servizio, a decorrere dal giorno successivo a quello di scadenza del precedente contratto."
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Data di pubblicazione: 19/12/2025
L'art. 53 del D.Lgs. 165/2001 dispone che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del DPR 10/01/1957, n. 3. Lo stesso articolo prevede che gli incarichi retribuiti conferiti ai pubblici dipendenti devono essere previamente autorizzati dall'Amministrazione di appartenenza. Tali incarichi sono quelli, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Per poter svolgere attività ed incarichi extraistituzionali è necessaria l'autorizzazione del dirigente scolastico (cfr art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001). A meno che non si tratti di personale in part time con prestazione lavorativa non superiore al 50% i presupposti per il conferimento di incarichi extraistituzionali a dipendenti pubblici sono l'occasionalità, la saltuarietà, la mancanza di conflitto di interessi anche potenziale, la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con l'ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio (cfr Circolare Funzione Pubblica n. 3 del 1997; Parere Funzione Pubblica 24 gennaio 2012, n. 1). Più in generale la normativa prevede che possono essere autorizzati altri incarichi di lavoro che rispondano a tali condizioni: - la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico; - il non conflitto con gli interessi dell’amministrazione e con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione; - la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento. Ricordiamo, inoltre, che a chiusura dei lavori del tavolo tecnico, a cui hanno partecipato il Dipartimento della Funzione Pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013 in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, è stato formalmente approvato il documento contenente "Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti". Nel Documento è precisato che sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche della abitualità e professionalità nonchè che si pongano in conflitto di interessi. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche del conflitto di interessi. Gli incarichi che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell'art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà "esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro". L'incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003). Sono altresì vietati gli incarichi che, sebbene considerati singolarmente e isolatamente non diano luogo ad una situazione di incompatibilità, considerati complessivamente nell'ambito dell'anno solare, configurano invece un impegno continuativo con le caratteristiche della abitualità e professionalità, tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione previsti. Ricordiamo che già la Circolare n. 3 del 19 febbraio 1997 del Dipartimento della Funzione Pubblica, aveva chiarito che le attività consentite sono un’eccezione rispetto al prevalente e generale principio di incompatibilità, con la conseguenza che il potere di autorizzazione delle amministrazioni deve essere esercitato secondo criteri oggettivi e idonei a verificare la compatibilità dell’attività extra istituzionale in base alla natura della stessa, alle modalità di svolgimento e all’impegno richiesto. Conseguentemente, le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando oltrepassano i limiti della saltuarietà e occasionalità. Pertanto i requisiti per autorizzare un incarico sono: - la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico. Sono, quindi, autorizzabili le attività esercitate sporadicamente ed occasionalmente, anche se eseguite periodicamente e retribuite, qualora per l’aspetto quantitativo e per la mancanza di abitualità, non diano luogo ad interferenze con l’impiego; - la necessità che l’attività svolta non sia in conflitto con gli interessi dell’Amministrazione e con il principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione; - la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con la ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio. La carica in questione è compatibile - e quindi potrà essere concessa l'autorizzazione - se connotata da temporaneità e saltuarietà della prestazione, secondo quanto sopra precisato. ( in tal senso si potranno chiedere chiarimenti sulle modalità di effettuazione dell'incarico). Non si applica infatti la previsione dell'incompatibilità assoluta prevista per le cariche in società con scopo di lucro ( cfr. l'art. 60 sopra citato). Infatti, le società sportive dilettantistiche (SSD) rappresentano una speciale categoria di società di capitali (srl o soc. coop.), caratterizzate dall’assenza del fine di lucro e che esercitano, infatti, attività sportiva dilettantistica. Ad ogni modo non deve mai esserci la sussistenza di conflitto di interessi (es. attività della associazione con alunni delle classi del docente). In tal senso ricordiamo anche l'art. 5 del DPR 62/2013 ai sensi del quale "Nel rispetto della disciplina vigente del diritto di associazione, il dipendente comunica tempestivamente al responsabile dell’ufficio di appartenenza la propria adesione o appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio. Il presente comma non si applica all’adesione a partiti politici o a sindacati".
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Data di pubblicazione: 19/12/2025
Relativamente al congedo parentale e congedo per malattia del bambino, il comma 5 dell’art. 34 del CCNL 2024 prevede che i periodi di assenza di cui ai precedenti commi 3 e 4 (congedo parentale e congedo per malattia del bambino), nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all'interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice (prima il riferimento normativo era l'art. 12 del CCNL 2007 citato nei pareri ARAN che andiamo a riportare). Pertanto, alla luce della suddetta disposizione contrattuale, se tra due periodi di congedo parentale/ malattia del bambino non intercorre almeno un giorno di lavoro effettivo, devono essere computati o come congedo parentale o come congedo malattia anche i sabati e le domeniche ricompresi tra gli stessi. A supporto si riporta l'orientamento SCUOLA 060 del 23/05/2013. "Nel caso di assenza di un dipendente di tipo ciclica, cioè che ha inizio con un periodo di congedo parentale e termina con la fruizione dello stesso congedo, intervallato da altra tipologia di assenza, senza però che si verifichi il rientro effettivo del docente, le giornate del sabato e della domenica come devono essere computate? Si fa presente che ai sensi dell'art. 12, comma 6, del CCNL 29/11/2007 (congedi parentali) "6. I periodi di assenza di cui ai precedenti commi 4 e 5, nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all'interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice." In relazione alla nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, da voi citata, sembra chiaro, dall’esempio relativo al caso 2, che nel quesito da voi esposto ci si trovi di fronte ad un’assenza di tipo ciclica che ha inizio con un periodo di congedo parentale e termina con la fruizione dello stesso congedo, intervallato da altra tipologia di assenza, senza però che si verifichi il rientro effettivo del docente, in quanto le assenze per L. 104 ricadono all’interno di due differenti frazioni di congedo parentale senza nessuna ripresa del servizio". La citata Nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, fornisce una serie di esempi e modalità di computo del congedo. Nel caso in cui un lavoratore, con orario di lavoro articolato su cinque giorni lavorativi (c.d. settimana corta), fruisca di congedo parentale nel seguente modo: 1^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale Sabato e domenica 2^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie - malattia - assenza ad altro titolo Sabato e domenica 3^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie o malattia o assenza ad altro titolo Sabato e domenica 4^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale il sabato e la domenica compresi tra la seconda e la terza settimana non sono computabili, né indennizzabili a titolo di congedo parentale in quanto tali giorni - compresi in un periodo unico di congedo parentale posto che, dalla prima alla quarta settimana, non vi è ripresa dell’attività lavorativa - risultano comunque ricompresi all’interno di un periodo di assenza fruita ad altro titolo (periodo neutro ai fini di interesse). Viceversa, il sabato e la domenica ricadenti tra la prima e la seconda settimana e tra la terza e la quarta sono computabili ed indennizzabili in conto congedo parentale in quanto tali giorni cadono, rispettivamente, subito dopo e subito prima il congedo parentale richiesto. Quanto sopra vale anche nei casi in cui il lavoratore alterni congedo parentale e ferie nel seguente modo: dal martedì al giovedì = congedo parentale venerdì = ferie sabato e domenica lunedì= ferie dal martedì a giovedì = congedo parentale. Anche in tale ultima ipotesi, infatti, il sabato e la domenica non si computano a titolo di congedo parentale in quanto inclusi in un periodo, seppur breve, di ferie (venerdì e lunedì). A chiarimento di quanto sopra esposto l'INPS fornisce ancora due possibili casi: Caso 1 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = ripresa del lavoro Caso 2 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = congedo parentale venerdì = ripresa del lavoro Nel primo caso (caso 1) il sabato e la domenica rimangono evidentemente esclusi dal computo del congedo parentale in quanto la frazione di congedo termina il venerdì (infatti, successivamente alle ferie, il lavoratore riprende l’attività lavorativa). Viceversa, nel secondo caso (caso 2), il sabato e la domenica vanno conteggiati ed indennizzati in conto congedo parentale in quanto tali giorni sono compresi in un’unica frazione di congedo (dal lunedì della prima settimana al giovedì della seconda) e ricadono immediatamente dopo il congedo parentale. I criteri sopra indicati trovano applicazione anche nell’ipotesi in cui il lavoratore, avendo già richiesto un periodo di congedo parentale, presenti un’altra domanda (o diverse domande) di congedo parentale determinanti di fatto una proroga del periodo di congedo precedentemente richiesto. L'ARAN, con l'O.A. CIRS46 24 febbraio 2021 ha ulteriormente precisato che nell’ipotesi, ad esempio, che il lavoratore o la lavoratrice richiedano 4 giorni di congedo parentale (lunedì –giovedì), 1 giorno di ferie (venerdì) e successivamente altri 4 giorni di congedo parentale (lunedì – giovedì), il sabato e la domenica ricadenti nei due periodi di congedo, non essendo gli stessi intervallati dal ritorno al lavoro, sono considerati congedo parentale e conteggiati nell’ambito di tali assenze. Ciò premesso nel caso di specie, in applicazione delle indicazioni dell’INPS e dell’ARAN sopra riportate, si ritiene che all’interno dell’unico periodo di congedo parentale ininterrotto siano da imputare a congedo le giornate del 29 e 30 novembre e 13/14 dicembre.
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Data di pubblicazione: 19/12/2025
Gentile utente, per la convocazione degli aspiranti alle supplenze dalle graduatorie di istituto il D.M. 89/2024 all'art. 9 prevede l'utilizzo della procedura informatica messa a disposizione dal SIDI che rende possibile la prospettazione della situazione di occupazione totale o parziale ovvero di inoccupazione degli aspiranti e, conseguentemente, di procedere all'interpello e convocazione dei soli aspiranti che siano nella condizione di accettare la supplenza stessa e cioè: a. se totalmente inoccupati; b. se parzialmente occupati, ai sensi delle disposizioni relative al completamento d'orario di cui all'articolo 4 del Regolamento; c. anche se occupati, se ricorra la situazione di cui all'articolo 7, comma 2, del Regolamento. L'utilizzazione di tale procedura da parte delle scuole preliminarmente ad ogni attività di interpello degli aspiranti è tassativa, ai fini di ogni possibile risparmio di attività superflue nei riguardi di aspiranti non in condizione di accettare la supplenza stessa per il periodo necessario. L'art. 10 dello stesso decreto descrive dettagliatamente l'attività di interpello dei candidati che devono comunicare la disponibilità o meno ad accettare la proposta di assunzione mediante messaggio di posta elettronica Tale messaggio con avviso di ricezione è inviato tramite posta elettronica certificata (PEC) o, in assenza di questa, tramite posta elettronica ordinaria istituzionale o privata (PEO). L'utilizzo della procedura è previsto per la convocazione di ogni tipologia di supplenza tenendo comunque conto che, per le supplenze pari o superiori a 30 giorni, la proposta di assunzione deve essere trasmessa con un preavviso di almeno 24 ore rispetto al termine utile per la risposta e con ulteriore termine di almeno 24 ore per la presa di servizio. La comunicazione relativa alla proposta di assunzione deve contenere: - dati essenziali relativi alla supplenza, ovvero la data di inizio, la durata, l’orario complessivo settimanale, distinto con i singoli giorni di impegno; - - il termine del giorno e l'ora in cui tassativamente deve avvenire la convocazione o pervenire il riscontro; le indicazioni di tutti i recapiti idonei a poter contattare la scuola da parte degli aspiranti. Nel caso di comunicazione multipla diretta a più aspiranti, tale comunicazione deve inoltre contenere: - - l'ordine di graduatoria in cui ciascuno si colloca rispetto agli altri contestualmente convocati; la data in cui sarà assegnata la supplenza di modo che, trascorse 24 ore da tale termine, tutti gli aspiranti che avevano riscontrato positivamente l'offerta e non siano risultati assegnatari della supplenza possano considerarsi sciolti da ogni vincolo di accettazione. L'utilizzazione della procedura di convocazione per posta elettronica comporta necessariamente che gli aspiranti debbano indicare nella compilazione della domanda l'indirizzo di posta elettronica (PEO o PEC). Nei casi in cui, per qualunque motivo, l'utilizzazione della funzione SIDI di convocazione possa risultare non praticabile, le scuole provvederanno alle convocazioni utilizzando le metodologie già precedentemente indicate nell'articolo 9 del DM 26 giugno 2008, n. 9, ma assicurando comunque che i contenuti della comunicazione corrispondano alle prescrizioni previste all'art. 10. Stante quanto sopra, nel caso in questione si afferma che la scuola ha inviato la comunicazione massiva ai candidati e ha ottenuto le disponibilità, quindi anche quella del candidato x. A questo punto si doveva procedere all'assegnazione della supplenza per ordine di graduatoria , comunicando tale assegnazione via mail al candidato che aveva piu punteggio. L'utilizzo del fonogramma è infatti previsto in alternativa in caso di impraticabilità dell'utilizzazione della procedura informatica che prevede in prima istanza l'uso dell'indirizzo di posta elettronica. Poichè il candidato x ha utilizzato la mail per rispondere, come da prassi , si ritiene che anche se la scuola ha agito in buona fede ci possano essere gli estremi per un ricorso dell'aspirante, che pur avendo fornito un recapito telefonico errato, ha però correttamente indicato il proprio recapito di posta elettronica, dando la propria disponibilità ad accettare la supplenza, come risulta da quanto affermato nel quesito. D'altra parte l'art. 6 del D.M. 89\024 relativo ai dati contenuto nel modulo domanda prevede che gli aspiranti debbano dichiarare: l’indirizzo, comprensivo di codice di avviamento postale, il recapito di posta elettronica ordinaria o certificata presso cui chiede di ricevere le comunicazioni relative alla procedura, nonché, facoltativamente, il numero telefonico. L’aspirante si impegna a far conoscere tempestivamente, tramite il sistema telematico, ogni eventuale variazione dei dati sopra richiamati; " Essendo l'indicazione del numero telefonico facoltativa, l'errore nella comunicazione dello stesso non può essere addotta come elemento di contestazione da parte della scuola.
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Data di pubblicazione: 19/12/2025
La fattispecie in esame presenta diversi profili di criticità. Sulla base delle informazioni fornite, si osserva quanto segue. In via preliminare, si ricorda che il Dirigente Scolastico subentrante assume la titolarità dell’istituzione scolastica e la responsabilità, inter alia, di sottoscrivere gli atti amministrativi pendenti, se giudicati legittimi. Tale obbligo sussiste anche per i provvedimenti antecedenti alla presa di servizio, al fine di garantire la continuità dell'azione amministrativa. Riguardo alla legittimità della firma autografa si specifica che l’art. 41 del D.lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell'Amministrazione Digitale - CAD) stabilisce che le pubbliche amministrazioni, comprese le istituzioni scolastiche, sono tenute a gestire i procedimenti amministrativi avvalendosi delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. In virtù di tale obbligo, nell’ambito delle proprie attività, le Pubbliche Amministrazioni devono privilegiare il formato digitale. Il documento informatico, quando creato direttamente con strumenti informatici, rappresenta l'originale, mentre l’eventuale copia cartacea ne costituisce una riproduzione. Tale principio è ribadito dall'art. 23-ter del CAD, il quale dispone che gli atti formati con strumenti informatici "costituiscono informazione primaria ed originale da cui è possibile effettuare, su diversi o identici tipi di supporto, duplicazioni e copie per gli usi consentiti dalla legge". Si consideri, inoltre, che gli atti amministrativi definitivi possono aver già esaurito la loro efficacia giuridica o aver prodotto determinati effetti giuridici. In coerenza con la normativa vigente al momento della loro formazione e nel caso in cui tali documenti siano stati formati originariamente in formato analogico, si ritiene che non vi sia l’obbligo di apporre la firma digitale su atti che hanno già prodotto i loro effetti. Un provvedimento amministrativo, infatti, esplica la propria efficacia dalla data della sua emanazione, attestata dalla firma. Una volta prodotti, tali effetti non sono modificabili se non a seguito dell’avvio di un nuovo procedimento amministrativo e con il ricorso ai rimedi previsti dalla Legge n. 241/90. Premesso ciò, si procede con la formulazione del parere. Nel caso di specie, si rileva l’inapplicabilità della procedura di cui all'art. 22 del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), relativa alla formazione di copie informatiche di documenti analogici. Tale impossibilità deriva dall'assenza originaria della sottoscrizione sia sulla decisione a contrarre, sia sul relativo contratto, configurando le seguenti criticità: • Mancata conclusione della procedura di evidenza pubblica: l’assenza di firma autografa o digitale sulla decisione a contrarre, unitamente alla mancata pubblicazione all'Albo, impedisce all'atto di perfezionarsi. Di conseguenza, il provvedimento è inidoneo a produrre effetti giuridici, non avendo formalmente concluso l'iter procedimentale. • Nullità del contratto per difetto di forma: la mancanza di sottoscrizione del contratto ne determina l'inesistenza de iure. Ai sensi dell'art. 18 del D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei Contratti Pubblici), i contratti della Pubblica Amministrazione, pur se disciplinati dallo iure privatorum, richiedono la forma scritta ad substantiam a pena di nullità. Come ribadito dalla Corte di Cassazione (Civile, Sez. II, Sent. n. 23699/2025), la volontà negoziale della Pubblica Amministrazione deve necessariamente determinarsi confluendo in un unico documento sottoscritto da entrambe le parti. Tale requisito è inderogabile e non può essere surrogato da atti interni preparatori o da comportamenti concludenti, quali il pagamento di fatture (si veda anche la Delibera ANAC n. 119/2023). • Illegittimità degli atti consequenziali: la nullità del contratto e l'inefficacia della decisione a contrarre travolgono, per derivazione, tutti gli atti successivi. Risulta pertanto privo di titolo giuridico anche l'eventuale pagamento delle fatture all’operatore economico per i corsi relativi al DM 65/2023. • Impossibilità di sanatoria retroattiva: non è giuridicamente ammissibile la firma retroattiva, digitale o analogica, di atti che non sono mai stati legalmente perfezionati. Un atto privo di sottoscrizione ab origine è un atto inesistente, non suscettibile di ratifica postuma mediante apposizione di firma con data antecedente. • Competenza e responsabilità del Dirigente subentrante: la risoluzione della controversia ricade sotto la responsabilità dell'attuale Dirigente Scolastico. Questi è tenuto a sottoporre a un rigoroso esame di legittimità e regolarità tecnica gli atti pendenti, al fine di garantire il corretto esercizio dei poteri gestionali e prevenire profili di responsabilità erariale o amministrativa connessi all'adozione di provvedimenti viziati. La soluzione prospettata nel quesito non appare percorribile, atteso che viene esplicitamente dichiarata la mancata sottoscrizione degli atti, circostanza che ne preclude il perfezionamento legale. Fermo restando l'eventuale accertamento dei profili di responsabilità in capo al dirigente uscente — il quale, pur in assenza di atti perfezionati, ha consentito che l'attività producesse effetti giuridici e vantaggi economici a favore del terzo (l'operatore aggiudicatario che ha erogato i corsi senza la previa stipula del contratto) — si pone il problema della sanatoria del rapporto di fatto. Nello specifico, per risolvere la criticità e regolarizzare la posizione dell'Amministrazione, occorre valutare le seguenti opzioni: A. Decisione a contrarre (atto amministrativo): l’assenza di sottoscrizione configura una nullità dell'atto per difetto di un elemento essenziale. È tuttavia possibile intervenire in via di autotutela, ai sensi dell'art. 21-nonies della Legge n. 241/90, mediante un provvedimento di convalida. Tale atto, opportunamente motivato, deve dare atto della sussistenza originaria di tutti gli altri elementi costitutivi (oggetto, importo, volontà di provvedere) e della volontà di sanare il vizio di forma per garantire la continuità dell’azione amministrativa e la tutela dell’affidamento dei terzi Atto a carico dell'attuale DS). B. In alternativa la punto A., l’assenza di firma sulla decisione a contrarre può essere sanata tramite un provvedimento di rettifica e integrazione. Qualora l’atto sia completo in ogni sua parte e la mancata firma risulti come un mero errore materiale o un’omissione procedurale, il Dirigente attuale può formalmente confermare la validità del contenuto, richiamando tutti gli atti preparatori che testimonino l'effettiva volontà a contrarre dell'istituzione scolastica. C. Contratto: l’acquisizione del CIG fuori dal sistema MEPA non esime dall’obbligo della forma scritta. Qualora le parti abbiano dato esecuzione alle prestazioni in assenza di un contratto formalmente sottoscritto, ma sia documentabile l'accordo raggiunto (tramite lo scambio di corrispondenza o l'accettazione del preventivo), non si può procedere a una semplice integrazione. Si suggerisce, pertanto, di adottare un provvedimento motivato di ricognizione e regolarizzazione. Con tale atto, il Dirigente scolastico dà atto dell'avvenuta esecuzione delle prestazioni, della coerenza delle stesse con l'interesse pubblico e della necessità di formalizzare il rapporto pregresso per consentire la liquidazione della spesa. Tale procedura serve a ricondurre nell'alveo della legittimità un rapporto che, altrimenti, si configurerebbe come un'obbligazione naturale o un arricchimento senza causa. Dato che il contratto è finanziato con fondi PNRR (DM 65/23), la mancanza della firma è comunque un'irregolarità grave che potrebbe essere rilevata in sede di rendicontazione. La strada della regolarizzazione motivata è, secondo il nostro parere, praticabile per tentare di mettere in sicurezza il finanziamento, dichiarando che la prestazione è stata resa correttamente e che l'omissione della firma è stata un mero errore materiale procedurale. Si raccomanda di avviare un confronto preventivo con i Revisori dei Conti sul tema. Altre soluzioni non riusciamo a trovarle.
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Data di pubblicazione: 18/12/2025
Nel caso di specie, trattandosi di dipendente a t.d. con spezzone orario, si applica la normativa sul part-time verticale. In diversi Orientamenti per altri Comparti (cfr. M24 -M19 del 24/05/2011 comparto Ministeri), l’ARAN precisa che "il permesso per matrimonio, il congedo parentale, i permessi per maternità e i permessi per lutto, spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi (vedi art. 23, comma 11, del CCNL integrativo del 16 maggio 2001 del Comparto Ministeri)." Elemento comune a tutti questi istituti è la modalità con cui essi vengono conteggiati, ossia facendo riferimento ai giorni di calendario e non ai giorni lavorativi rientranti nel periodo richiesto. Di conseguenza, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e i permessi sono computati con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. Da ultimo l’ARAN, con l’O.A. 13 aprile 2021 CIRS79, per quanto concerne l’esatto computo del periodo di congedo parentale chiesto da un dipendente a tempo determinato in regime di part time verticale, ha ribadito che il calcolo di tale periodo di assenza deve effettuarsi tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nel periodo di congedo richiesto. Premesso che non ci sono precise regole contrattuali per il personale del comparto scuola, alla luce degli Orientamenti ARAN sopra citati, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e il congedo parentale è computato con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. Pertanto, secondo questi orientamenti le assenze dovute a congedo parentale si computano tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nell’intero periodo richiesto. In caso di fruizione frazionata, il periodo di congedo verrà calcolato partendo dal primo giorno lavorativo e concludendo con l’ultimo giorno lavorativo precedente l’effettivo rientro in servizio. Infatti, come detto nelle nostre ultime risposte in argomento, dal momento che non viene previsto il riproporzionamento, teoricamente il dipendente dovrebbe essere considerato in congedo per tutta la durata del periodo richiesto e ciò vale per tutti i periodi di congedo parentale indipendentemente se indennizzati o meno. Per evitare ciò le domande di assenza del dipendente dovrebbero e possono essere riferite solo alle giornate in cui ha servizio a scuola e non per un intero periodo temporale. Pertanto, in riferimento al caso di specie, a nostro avviso, ( ed al netto di diverse indicazioni da parte della RTS competente) se la dipendente ha presentato singole richieste di assenza a titolo di congedo parentale per la giornata del lunedì sarà considerata assente - a titolo di congedo - solo per le suddette giornate del lunedì in cui avrebbe avuto servizio a scuola mentre i giorni festivi non andranno imputati a congedo parentale.
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Data di pubblicazione: 18/12/2025
In via generale non è necessaria la previa ripresa del servizio tra la fruizione di due tipologie di assenza. In giurisprudenza, seppur con riferimento ai permessi L. 104/1992 (cfr Cassazione civile sez. lav., 17/02/2016, n. 3065) è stato precisato che la fruizione dei permessi non presuppone un previo rientro in servizio dopo un periodo di assenza per malattia od aspettativa (non essendo - questa - una condizione prevista dalla legge), ma soltanto l'attualità del rapporto di lavoro. In definitiva, dopo un periodo di assenza per aspettativa per motivi di famiglia il dipendente può assentarsi ad altro titolo (es. aspettativa per ricercatore a t.d. come nel caso di specie), senza previa ripresa del servizio a meno che detta condizione non sia stabilita dalla legge o dal CCNL (ma nulla viene previsto in merito). Resta fermo che dovrà essere rispettato il termine di preavviso per la presentazione della domanda relativa alla nuova assenza. L’art. 24 comma 9-bis della Legge n. 240 del 2010 prevede che per tutto il periodo di durata dei contratti di ricercatore a t.d., i dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono collocati, senza assegni né contribuzioni previdenziali, in aspettativa ovvero in posizione di fuori ruolo nei casi in cui tale posizione sia prevista dagli ordinamenti di appartenenza. Non viene previsto un termine di preavviso e quindi si può fare riferimento a quello generale di trenta giorni previsto per l’aspettativa per motivi di famiglia (cfr. art. 69 DPR 3/1957).
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Data di pubblicazione: 18/12/2025
In merito alla realizzazione di podcast da parte di alunni delle scuole primarie e secondarie, considerato che la voce è un dato personale, si chiede...
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Data di pubblicazione: 18/12/2025
L’INPS, con il Messaggio n. 1399 del 29 marzo 2018, ha fornito un riepilogo delle disposizioni di legge vigenti in relazione al Polo Unico per le visite fiscali che, come noto, prevede la competenza esclusiva dell’INPS per l’effettuazione (anche d’ufficio) delle visite di controllo dei dipendente assenti per malattia. Viene precisato che nell’ambito della procedura di richiesta di visita medica di controllo, in fase di inserimento dei dati, il datore di lavoro pubblico non deve più richiedere la visita ambulatoriale nel caso in cui il lavoratore venga trovato assente in occasione dell’accertamento medico legale domiciliare. In tali ipotesi, infatti, l’accertamento ambulatoriale viene disposto d’ufficio al fine di consentire la verifica dell’effettiva sussistenza dello stato morboso (cfr. messaggio n. 4282/2017). Ciò per completare adeguatamente il processo di verifica delle assenze per malattia del dipendente pubblico, alla luce dell’attuale normativa che attribuisce all’INPS la competenza esclusiva in materia. Con riguardo, invece, alla documentazione relativa all’assenza del lavoratore a visita medica di controllo domiciliare, l'INPS già con il messaggio n. 4282/2017 aveva precisato che la stessa può essere prodotta all’Istituto medesimo in occasione della visita medica ambulatoriale per consentire, se di tipo sanitario, la valutazione tecnica a cura degli Uffici medico legali dell’Istituto. Infatti: a) è di esclusiva competenza dell’amministrazione pubblica di appartenenza la valutazione delle giustificazioni di assenza del dipendente dal domicilio quando tali valutazioni richiedano competenze di tipo amministrativo, nel rispetto della specifica normativa relativa al rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione; b) è previsto l’esame delle giustificazioni, da parte dell’Ufficio medico legale dell’INPS territorialmente competente, qualora queste abbiano carattere prettamente sanitario. La valutazione degli Uffici medico legali dell’INPS sulle giustificazioni di tipo sanitario può esser presa in considerazione dal datore di lavoro, che comunque è l’unico soggetto competente a giustificare il lavoratore e può tener conto, ai fini del provvedimento da assumere, come sopra già indicato, anche di eventuali altri fatti e atti di cui è a conoscenza. Ciò premesso, per quanto concerne la giustificazione dell'assenza, l'INPS, con i messaggi 31 ottobre 2017, n. 4282 e 29 marzo 2018, n. 1399 ha precisato che: 1. il medico, in caso di assenza del lavoratore alla visita fiscale, dovrà sempre effettuare la convocazione a visita ambulatoriale; 2. il procedimento sulla giustificazione o meno del lavoratore per la sua assenza al domicilio è deciso esclusivamente dal D.S.; è previsto l'esame delle giustificazioni, da parte dell'Ufficio medico legale INPS territorialmente competente, qualora queste abbiano carattere prettamente sanitario. Anche in giurisprudenza è stato precisato che la visita ambulatoriale non ha lo scopo di sanare l’assenza dal domicilio ma solo quello di certificare la malattia e il suo decorso (Cfr. Cass. 14 settembre 1993, n. 9523). Nel caso di specie il dipendente si è presentato alla visita ambulatoriale. L’art. 55 septies comma 5 bis del D.Lgs n. 165 del 2001 prevede che, qualora il dipendente debba allontanarsi dall'indirizzo comunicato durante le fasce di reperibilità per effettuare visite mediche, prestazioni o accertamenti specialistici o per altri giustificati motivi, che devono essere, a richiesta, documentati, è tenuto a darne preventiva comunicazione all'amministrazione che, a sua volta, ne dà comunicazione all'INPS. La Cassazione con la Sentenza 19 febbraio 2016, n. 3294, ha affermato che anche nel caso dell'esistenza di un motivo socialmente apprezzabile per l'allontanamento dal domicilio durante le fasce di reperibilità, lo stesso lavoratore deve dimostrare l'impossibilità di avvisare il datore di lavoro del mutamento di domicilio nonchè l'indifferibilità del viaggio. Pertanto, solo il carattere della indifferibilità consente, in queste situazioni, di considerare giustificata l'assenza alla visita; in caso contrario, il dipendente ha l'onere di informare la scuola. Il lavoratore assente per malattia che deduca a giustificazione della non reperibilità alla visita di controllo la sua presenza ad altra visita presso altro medico deve provare che la causa dell'assenza dal domicilio nelle fasce di reperibilità costituisca una necessità determinata da situazioni comportanti adempimenti non effettuabili in orari diversi da quelli di reperibilità. Inoltre, gli obblighi di buona fede e correttezza correlati all'osservanza dell'obbligo di reperibilità durante gli orari di visita fiscale non prescindono dall'obbligo di comunicazione preventiva di assenza alla visita fiscale; se il dipendente risulta più volte assente alle visite fiscali senza addurre valide giustificazioni e senza preventiva comunicazione, non rileva, ai fini dell'inadempimento dell'obbligo di comunicazione preventiva dell'assenza dal domicilio, il fatto che il medico curante abbia successivamente confermato la malattia diagnosticata con la relativa prognosi. La preventiva comunicazione può essere evitata solo in presenza di gravi ed indifferibili ragioni, ed il lavoratore ha l'onere di dimostrare l'impossibilità di avvisare il datore di lavoro della repentina uscita di casa (Trib. Roma, Sent. 25/4/2019, n. 10277). Pertanto, il dipendente assente per malattia ha l'onere di comunicare al datore di lavoro la propria assenza, salvo l'impossibilità di avvisare della repentina uscita di casa. In definitiva, solo il carattere dell'indifferibilità consente, in queste situazioni, di considerare giustificata l’assenza alla visita; in caso contrario, il dipendente ha l’onere di informare la scuola. Sempre in tema di giustificazione all'assenza alla visita fiscale la Corte di Cassazione, con la sentenza 6 aprile 2006 n. 8012, ha affermato che va considerato giustificato motivo di assenza, necessario per escludere la sanzione per il mancato reperimento del lavoratore alla visita di controllo durante le fasce orarie di reperibilità, non solo lo stato di necessità o di forza maggiore, bensì anche una seria e valida ragione socialmente apprezzabile, la cui dimostrazione spetta al lavoratore, quale quella di far constatare l’eventuale guarigione della malattia, al fine della ripresa dell’attività lavorativa. Anche nel caso in cui l'allontanamento sia stato determinato dalla necessità di sottoporsi a trattamenti sanitari, è previsto uno stretto vaglio di indifferibilità del medesimo: è stato, infatti, affermato che "il lavoratore, risultato assente al controllo sanitario domiciliare, che afferma di essersi allontanato dalla propria abitazione durante la fascia di reperibilità per sottoporsi a visita medica o trattamento sanitario, non decade dal diritto all'indennità di malattia qualora dimostri rigorosamente il carattere dell'indifferibilità della visita medica o del trattamento terapeutico o l'indispensabilità delle modalità con cui si sono attuati" (Cassazione civile, sez. lav., 28 gennaio 2008, n. 1809). La Corte di Cassazione, con la sentenza 9 marzo 2010, n. 5718, ha ulteriormente affermato che il lavoratore assente dal lavoro per malattia, ove deduca un giustificato motivo della non reperibilità alla visita domiciliare di controllo, deve provare che la causa del suo allontanamento dal domicilio durante le previste fasce orarie, pur senza necessariamente integrare una causa di forza maggiore, costituisca, al fine della tutela di altri interessi, una necessità determinata da situazioni comportanti adempimenti non effettuabili in ore diverse da quelle di reperibilità. Solo il carattere dell'indifferibilità consente, in queste situazioni, di considerare giustificata l'assenza alla visita; in caso contrario, il dipendente ha l'onere di informare la scuola. Per quanto concerne la responsabilità disciplinare da ultimo la Corte di Cassazione - Sezione Sesta - con l' Ordinanza 18/07/2022, n. 22484 ha affermato che in caso di assenza ingiustificata alla visita fiscale, la decadenza dal trattamento economico può essere annoverata tra le sanzioni a carattere amministrativo; a detta sanzione può aggiungersi un'ulteriore misura di carattere punitivo, espressione del potere disciplinare del datore di lavoro, ove la condotta del dipendente integri anche violazione di obblighi derivanti dal contratto di lavoro. Pertanto, non tutte le condotte che possono determinare decadenza dal beneficio economico comportano anche una responsabilità disciplinare, perché per quest'ultima è necessario accertare il rispetto delle condizioni richieste sul piano sostanziale dall'art. 2106 c.c. Infatti, ai fini disciplinari, oltre a venire in rilievo il principio di legalità e quello di proporzionalità, occorre accertare che in concreto la condotta, valutata in tutti i suoi profili oggettivi e soggettivi, integri una violazione degli obblighi che dal rapporto di lavoro scaturiscono. L'obbligo di cooperazione che grava sul lavoratore in malattia, pur rilevando anche sul piano contrattuale del rapporto di lavoro, non può essere esteso fino a ricomprendere il divieto per il lavoratore medesimo di astenersi dal compiere qualsiasi atto del vivere quotidiano, normalmente compiuto all'interno delle pareti domestiche. (Nel caso di specie è stato confermato l'annullamento della sanzione disciplinare del richiamo scritto irrogata ad un lavoratore in malattia che al momento della visita di controllo non aveva sentito suonare il campanello di casa perché "sotto la doccia" e ciò aveva impedito l'accesso del medico fiscale nell'abitazione. In sede di merito era stato accertato che il dipendente, peraltro, si era immediatamente attivato, manifestando piena disponibilità a consentire l'accertamento ed aveva anche inviato tempestiva comunicazione dell'accaduto agli organi preposti). Pertanto, in caso di mancata (o non adeguata) giustificazione dell’assenza alla visita fiscale: - l’assenza sarà considerata ingiustificata con applicazione delle decurtazioni economiche previste dalla normativa vigente ( nel caso di specie occorre verificare se è stata dimostrata l’indifferibilità e urgenza delle visita con conseguente impossibilità di avvisare la scuola della mancata presenza durante le fasce di reperibilità); - l’assenza ingiustificata alla visita fiscale può (non è un obbligo soprattutto alla luce della recente giurisprudenza della Cassazione) anche essere valutata dal punto di vista disciplinare (si ritiene che nel caso la competenza sia del DS).
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Data di pubblicazione: 18/12/2025
Come già osservato in precedenti risposte in argomento si ritiene che il dipendente possa interrompere il congedo parentale in essere. Infatti, l’istituto del congedo parentale non è obbligatorio per i dipendenti, come lo è invece l’astensione obbligatoria nei 5 mesi spettanti e suddivisi tra i periodi immediatamente precedenti e successivi al parto. Il dipendente che usufruisce del congedo parentale potrebbe infatti per qualsiasi motivo chiedere di interromperlo e rientrare in servizio. Ciò si evince dal seguente Orientamento ARAN SCU_042_ "Un dipendente in congedo parentale può partecipare ad iniziative di formazione?" Questa la risposta dell'ARAN: " Ai sensi dell’art. 12, comma 4, del CCNL 29 novembre 2007 nell’ambito del periodo di astensione dal lavoro previsto dall’art. 32, comma 1, lett. a) e b) del Dlgs 151/2001 ciascun genitore ha diritto di beneficiare del congedo parentale per un periodo continuativo o frazionato. La possibilità che viene data al lavoratore di poter usufruire del congedo parentale anche in modo frazionato apre la strada ad una possibilità di interruzione del periodo di congedo; durante tale sospensione il lavoratore sarebbe libero di partecipare ad iniziative di formazione. " Nel successivo Orientamento CIRS50 del 24 febbraio 2021 l'ARAN ha ulteriormente puntualizzato: "Un dipendente in congedo parentale può partecipare ad iniziative di formazione? Il congedo parentale previsto dall’art. 32, comma 1, lett. a) e b) del D.Lgs. n. 151/2001, come richiamato dall’art. 12 del CCNL Scuola del 29/11/2007, può essere fruito come un unico periodo continuativo o può essere frazionato in più periodi anche di durata giornaliera. La possibilità di frazionare il congedo in parola consente al lavoratore di richiedere due periodi di congedo intervallati da una o più giornate di attività lavorativa nel corso della/e quale/i potrà anche partecipare ad iniziative di formazione". Il CCNL nulla prevede in merito alla necessità che tra l’assenza per congedo parentale ed una successiva di altra tipologia ( es. permesso) vi debba essere la ripresa effettiva del servizio. Per quanto concerne i permessi orari retribuiti per motivi personali o familiari nè l'art. 15 del CCNL 2007 per i docenti nè l'art. 67 del CCNL 2024 per gli ATA prevedono un termine di preavviso. Occorre quindi vedere se, sotto il profilo del preavviso, la scuola aveva previsto una regolamentazione sul punto. In una nostra precedente risposta abbiamo evidenziato che per le assenze ove manca una previsione dei termini di domanda si potrebbe fare riferimento alla previsione generale dell'art. 68 del CCNL 2024 " preavviso di tre giorni, salve le ipotesi di comprovata urgenza, in cui la domanda di permesso può essere presentata nelle 24 ore precedenti la fruizione dello stesso e, comunque, non oltre l’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui il lavoratore utilizza il permesso".
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Data di pubblicazione: 17/12/2025
Nell'ambito della contrattazione integrativa di Istituto la RSU vuole considerare le ore di potenziamento destinate ai docenti per funzioni organizzative...
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Data di pubblicazione: 17/12/2025
Facendo seguito alla comunicazione dell’INPS relativa all’esito negativo della visita medica di controllo perché “sconosciuto/irreperibile all’indirizzo”...
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Data di pubblicazione: 17/12/2025
Il Testo Unico sulla maternità e paternità D.lgs. n. 151/2001 riconosce diversi benefici per i genitori: madre e padre, questi in alcune circostanze possono essere condivisi, in altre possono essere fruiti separatamente o solo in alternativa. Il riposo per allattamento è disciplinato nell’art. 39: “1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo, come nel nostro caso, è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. 2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall’azienda. (…)” Dalla formulazione utilizzata dal legislatore, quindi, si evince che le ore di riposo in questione possono concorrere a determinare la durata dell’orario di lavoro strutturale, quindi indirettamente ad una riduzione di un orario di lavoro effettivo stabilito per contratto. La legge, ha riconosciuto alla lavoratrice madre questo diritto, con la precisa finalità di assicurare alla stessa dipendente la possibilità di allattare direttamente il bambino, possibilità che non sussisterebbe qualora la lavoratrice stessa dovesse svolgere il proprio orario di lavoro per l’intera durata giornata di lavoro normalmente previsto. Infatti, lo stesso termine di «riposo» presuppone logicamente che la lavoratrice madre continui ad espletare anche attività lavorativa dopo aver fruito del periodo di riposo. La riduzione d'orario è relativa alla singola giornata lavorativa, per la sua stessa finalità non è possibile cumulare le ore e, se non fruite si perdono, non sono monetizzabili. Il CCNL di comparto vigente, all’art. 34 relativo ai “Congedi dei genitori” diversamente dal congedo parentale non specifica nulla di diverso rispetto alla norma. Ulteriori indicazioni operative sono contenute in diverse circolari INPS (n. 109/2000, n .91/2003, n. 112/2009, n. 118/2009) che si condividono e, a cui si può fare riferimento. Quindi in risposta al quesito, considerato il giorno di riposo non lavorativo, la docente ha diritto ad un'ora di riposo al giorno per 5 giorni lavorativi. Nelle nostre risposte abbiamo sempre affermato che, non è possibile per la stessa finalità della legge e per la specifica funzione, non solo a sostegno delle esigenze puramente fisiologiche del minore, ma diretti anche a soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali, cumulare in un unico giorno il previsto riposo.
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Data di pubblicazione: 17/12/2025
La richiesta non è legittima, in quanto le informative sindacali devono rispettare i limiti posti dalle norme sulla privacy; limiti che sono richiamati anche dal CCNL di comparto 2019/21, al momento vigente. L’art. 30, comma 10, lettera b3, del CCNL, infatti, prevede che a livello di istituzione scolastica sono oggetto d’informazione: “i dati relativi all’utilizzo delle risorse del fondo di cui all’art. 78 (Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa) precisando per ciascuna delle attività retribuite, l’importo erogato, il numero dei lavoratori coinvolti e fermo restando che, in ogni caso, non deve essere possibile associare il compenso al nominativo del lavoratore che lo ha percepito.”. La norma contrattuale è chiara e vincolante e si richiama agli orientamenti più volte espressi dal Garante per la privacy. Le informazioni vanno fornite alla parte sindacale in forma aggregata per quanto riguarda le voci di spesa, devono riportare il numero complessivo dei dipendenti che ne hanno beneficiato e vanno comunicate in forma assolutamente anonima, in quanto i compensi economici costituiscono dati personali e come tali non possono essere resi pubblici. A questo va aggiunto che la giurisprudenza ha da tempo stabilito che il diritto di informazione di cui gode la parte sindacale non può essere usato come una forma indebita di controllo generalizzato della pubblica amministrazione. Il controllo delle istituzioni scolastiche, infatti, è stabilito dalla legge ed è affidato ad appositi organi e dunque non rientra tra le prerogative sindacali. Perché diventi legittima, la richiesta sindacale deve rientrare nei parametri di legge e di contratto. Quindi dovrà essere fornita per aggregati economici che riportino la spesa complessiva riferita ad aree omogenee di attività o di incarichi e dovrà indicare soltanto il numero dei dipendenti rientranti in quella specifica area, con l’esclusione di ogni possibile elemento che riconduca il compenso a singole persone.
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Data di pubblicazione: 16/12/2025
Ad avviso dello scrivente, l’uscita da scuola al termine delle lezioni mattutine che non concludono il tempo scuola della giornata non può essere assimilata al termine delle lezioni. Sul punto il testo dell’art.19 bis del DL 148/2017 è univoco, allorché precisa che “i genitori … dei minori di 14 anni, …, possono autorizzare le istituzioni del sistema nazionale di istruzione a consentire l'uscita autonoma dei minori di 14 anni dai locali scolastici al termine dell'orario delle lezioni”. Il termine dell’orario delle lezioni è quello conclusivo della giornata, non quello antimeridiano. Se la volontà del legislatore fosse stata diversa, sarebbe stato precisato. Va considerato infatti che la norma ricordata mira a far acquisire maggiore autonomia a bambini e ragazzi, consentendo loro di tornare a casa da soli al termine delle attività didattiche giornaliere, previa autorizzazione scritta che esonera la scuola dalla responsabilità connessa all'obbligo di vigilanza. L’espressione “termine dell'orario delle lezioni” va intesa come termine dell'orario scolastico dell'intera giornata come, peraltro, precisato dalla nota MIM prot.2379 del 12/12/2017 ove si sottolinea che lo scopo dell’art.19 bis del DL 148/2017 è di consentire ai minori di anni 14 “l’uscita autonoma al termine dell’orario scolastico”. Si deve inoltre considerare che l'uscita per la pausa pranzo costituisce un momento delicato, poiché il minore, pur uscendo dai locali, è tenuto a farvi ritorno per la ripresa delle lezioni dopo circa un’ora e dunque non rientra semplicemente a casa per restarvi. Ad ogni buon conto, sconsigliando una lettura estensiva della norma, si deve ricordare che la possibilità di uscire per la pausa pranzo, nei soli moduli orari in cui questa non è considerata tempo didattico, deve essere comunque prevista nel Regolamento d'Istituto, appositamente deliberata dal Consiglio d’Istituto e regolamentata.
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Data di pubblicazione: 16/12/2025
Nel caso di una docente di religione cattolica in servizio in una scuola dell'infanzia pubblica per uno spezzone orario (10,5 ore) con contratto in scuola paritaria...
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Data di pubblicazione: 16/12/2025
E' possibile realizzare in orario curricolare, fascia pomeridiana, progetti di ampliamento dell'offerta formativa finanziati dagli Enti locali? Si fa riferimento...
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Data di pubblicazione: 16/12/2025
La risposta è affermativa di seguito i relativi chiarimenti. Fino all'entrata in vigore del Decreto 119/2011, permessi e congedo straordinario erano considerati due benefici con la medesima finalità per i quali il Legislatore non aveva previsto la possibilità di contemporanea fruizione. Il Decreto 119/2011, però, ha modificato il disposto dell'ex comma 5 dell'articolo 42 del Decreto 151/2001, prevedendo che "per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1, del presente decreto. La Funzione Pubblica nella circolare n. 1 del 3 febbraio 2012 , circolare che detta le indicazioni per una univoca e corretta gestione delle modifiche di cui al citato D.lgs. 119/2011, alla lettera b) per tutto il comparto del pubblico impiego scuola compresa ( stessa interpretazione INPS circolare 32/2012 per il settore privato), ha modificato una precedente indicazione e, nel merito della cumulabilità nello stesso mese dei due diversi benefici, ha precisato quanto di seguito evidenziato. " Il D.L.vo n. 119 del 2011 ha modificato il disposto dell'ex comma 5 dell'art. 42 in esame, rivedendo all'attuale comma 5 bis che “i genitori, anche adottivi, possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'art. 33, commi 2 e 3, della l. n. 104 del 1992 e 33, comma 1, del presente decreto.”. A seguito della modifica, i genitori possono fruire delle predette agevolazioni (permessi di tre giorni mensili, permessi di due ore al giorno, prolungamento del congedo parentale) anche in maniera cumulata con il congedo straordinario nell'arco dello stesso mese, mentre è precluso il cumulo dei benefici nello stesso giorno. La conclusione vale anche nel caso in cui la fruizione delle agevolazioni avvenga da parte di un solo genitore, che, pertanto, nell'arco dello stesso mese può fruire del congedo ex art. 42, commi 5 ss., D.Lgs. n. 151 del 2001 e dei permessi di cui all'art. 33, commi 2 e 3, della l. n. 104 del 1992 o del prolungamento del congedo parentale. Analogamente, il dipendente che assiste una persona in situazione di handicap grave diversa dal figlio nell'ambito dello stesso mese può fruire del congedo in esame e del permesso di cui all'art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992. A fronte di alcune richieste di chiarimento in proposito, si precisa, inoltre, che nel caso di fruizione cumulata nello stesso mese del congedo (ovvero di ferie, aspettative od altre tipologie di permesso) e dei citati permessi di cui all'art. 33, comma 3, da parte del dipendente a tempo pieno questi ultimi spettano sempre nella misura intera stabilita dalla legge (3 giorni) e non è previsto un riproporzionamento"( cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, interpello n. 24/2012 del 1° agosto 2012, prot. n. 37/0014188). La stessa INPS nel messaggio 3114 del 07/08/2018, aveva già precisato che:” Si precisa che i periodi di congedo straordinario possono essere cumulati con i permessi previsti dall’articolo 33 della legge n. 104/92 senza necessità di ripresa dell’attività lavorativa tra la fruizione delle due tipologie di benefici”. Quindi in risposta al quesito, come specificato per altre analoghe risposte, i tre giorni di permesso mensile previsto dall'art. 33, comma 3, della legge 104/92, possono essere fruiti nello stesso mese insieme al congedo straordinario previsto dall’art. 42 co.5 del D.L.gs 151/2001 e, non c’ è nessuna incompatibilità tra queste due tipologie di assenza.
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Data di pubblicazione: 16/12/2025
Come è noto, l’articolo 13, comma 3, dell’ordinanza ministeriale n. 88 del 16 maggio 2024, disciplina, tra l’altro, la tempistica di gestione e di presa di servizio dei potenziali destinatari delle supplenze brevi e temporanee, prevedendo due categorie principali, riferite a tutti coloro che sono inseriti in graduatoria di istituto e distinte secondo che la durata della supplenza sia inferiore o pari/superiore a 30 giorni. A fronte di questo quadro generale, per le supplenze fino a 10 giorni nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria viene delineato un tertium genus, derogatorio rispetto ai criteri generali: “Per le supplenze brevi fino a 10 giorni nelle scuole dell’infanzia e primaria, con il supporto del sistema informativo sono attivate particolari e celeri modalità di interpello con immediata presa di servizio”. La disposizione, di fatto, crea una sorta di “subgraduatoria” limitata a coloro che, inseriti nelle graduatorie di istituto, a fronte di urgenti e inderogabili necessità di copertura dei posti correlata all’età dei discenti. Ne deriva che un aspirante presente in graduatoria di istituto che non abbia espressamente dichiarato la disponibilità ad essere contattato con “celeri modalità di interpello con immediata presa di servizio” in quell’istituzione scolastica non può vantare alcun diritto all’attribuzione delle supplenze in questione. Detto in altri termini, nel quadro della gestione amministrativa delle supplenze fino a 10 giorni l’urgenza dell’assegnazione della supplenza prevale sulla pura e semplice presenza in graduatoria di istituto. In tal senso, si ritiene che la “specialità” della disciplina relativa alle supplenze sino a 10 giorni consista proprio nell’espressione di volontà da parte degli aspiranti ad essere contattati per le vie brevi e a prendere immediatamente servizio. Stante quanto sopra, sarebbe irragionevole – in quanto prolungherebbe enormemente le tempistiche di individuazione del supplente – sia rivolgersi a chi, presente in graduatoria, non ha dichiarato la propria disponibilità in tal senso, sia rivolgersi a chi l’ha dichiarata per altre istituzioni scolastiche. Pertanto, proprio in considerazione della “specialità” della disciplina, si ritiene che, una volta esaurita la “graduatoria” finalizzata alla copertura delle supplenze fino a 10 giorni, il dirigente scolastico possa ragionevolmente fruire della procedura cosiddetta di “interpello”, normata dal comma 23 del medesimo articolo 13 dell’OM 88/24. A tal proposito, si richiama l’attenzione sul fatto che la circolare annuale per le supplenze (nota DGPER 157048 del 9 luglio 2025), al punto 3.1, impartisce specifiche istruzioni in merito alla gestione di questa particolare fattispecie: “Per quanto attiene gli avvisi di interpello da utilizzare per l’immediata individuazione del supplente in caso di assenza del titolare fino a dieci giorni nella scuola primaria e nella scuola dell’infanzia, i dirigenti scolastici potranno attivare preventivamente le procedure di interpello, senza l’indicazione della data di inizio della supplenza, della durata, dell’orario complessivo settimanale e della sede di servizio”.
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Data di pubblicazione: 16/12/2025
Ai sensi dell'articolo 13, comma 10 del CCNL del 29 novembre 2007, la fruizione delle ferie, per il personale docente e ATA, oltre il termine dell'anno scolastico al quale si riferiscono, è possibile nei seguenti casi: - particolari esigenze di servizio; - motivate esigenze di carattere personale; - malattia. In questi casi, il personale docente può recuperare le ferie entro l'anno scolastico successivo a quello di maturazione, nei periodi di sospensione dell'attività didattica. Per il personale ATA, per il quale la fruizione è svincolata dalle attività didattiche, il termine è fissato "di norma" al mese di aprile dell'anno successivo. Si pone, pertanto, la questione della recuperabilità delle ferie non godute, qualora i termini previsti dal CCNL siano stati superati. Per rispondere al quesito, ricordiamo che la giurisprudenza, basandosi sul rispetto del principio costituzionale dell'irrinunciabilità del diritto alle ferie, ha stabilito che sia onere del datore di lavoro dimostrare di aver messo il dipendente in condizione di fruire delle ferie spettanti (cfr. Cass. n. 13691/2025). Di conseguenza, il fatto che il dipendente non abbia richiesto le ferie entro i termini di cui al CCNL non ne comporta necessariamente la perdita, incombendo sul datore di lavoro la prova di aver informato il dipendente della possibilità di fruire delle ferie spettanti, entro detti termini che, di conseguenza, non possono essere considerati quali limiti insuperabili. Sul punto è intervenuta l'ARAN, con l'orientamento interpretativo n. 31465 del 9 febbraio 2024. L'ARAN osserva che il fatto che siano state accumulate "ferie pregresse" costituisce un'eccezione, non contemplata dalle norme contrattuali; inoltre, stante il divieto di monetizzazione delle ferie (salvo casi particolari), l'amministrazione è tenuta ad attivarsi, vigilando sulla fruizione delle ferie e sul rispetto dei termini previsti. La norma contrattuale, pertanto, non costituisce tanto un limite al diritto di fruizione delle ferie, quanto piuttosto un'onere per l'amministrazione. L'ARAN conclude che possano pertanto verificarsi casi eccezionali, come una malattia di lunga durata, che impediscano il rispetto dei limiti contrattuali per la fruizione delle ferie. Ciò premesso, nel caso in questione la motivazione espressa dal dipendente - non aver potuto utilizzare i giorni di ferie a causa dell'incarico da DSGA in una scuola diversa da quella in cui è titolare come Assistente Amministrativa - non è ricompresa fra quelle di cui all'art. 13, comma 10 CCNL 29/11/2007. La dipendente, infatti, avrebbe ben potuto fruire delle ferie maturate nel 2023/2024 nella scuola di incarico DSGA del 2024/2025. Ciò, tuttavia, non esclude che possa comunque sussistere il diritto al recupero, qualora l'amministrazione non abbia informato la dipendente del diritto di fruire delle ferie. Si consiglia, pertanto, di verificare che, in ciascun anno scolastico, la dipendente sia stata avvertita dell'esigenza di fruire delle ferie e i motivi della mancata fruizione. La dipendente avrà diritto a recuperare le ferie non godute, qualora non sia stata avvisata della necessità di fruirne o qualora le ferie non siano state fruite per uno dei motivi previsti dal CCNL (ad esempio, per esigenze di servizio). Si precisa, infine, che non assume rilevanza il fatto che, in tutt'altra situazione sia stato concesso, per motivi non noti, il recupero ad altro personale di altra istituzione scolastica.
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Data di pubblicazione: 16/12/2025
Per quanto concerne l’utilizzo dei permessi di cui all’art. 33, comma 3 della legge 104/92, in caso di part-time verticale, la Cassazione, con le Sentenze n. 4069 del 20 febbraio 2018 e n. 22925 del 29 settembre 2017, ha affermato che i tre giorni di permesso non si riproporzionano in caso di part-time superiore al 50%. Ad avviso della Suprema Corte appare ragionevole distinguere l’ipotesi in cui la prestazione di lavoro part-time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell’anno e riconoscere, solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile, il diritto alla integrale fruizione dei permessi previsti dall’art. 33 della Legge n. 104/1992. L’ARAN, con l’O.A. CFC34 del 25 novembre 2019, ha affermato che l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 22925/2017, ribadito anche nella sentenza n. 4069 del 20/02/2018, in tema di permessi ex Legge n. 104/1992, per l’autorevolezza della fonte rappresenti un indirizzo applicativo concreto e fattuale. Fermo restando, quindi, il generale obbligo di riproporzionamento nei casi di rapporto di lavoro a tempo parziale, in considerazione della natura di strumento di politica socio-assistenziale del permesso riconosciuto per l’assistenza alla persona con grave disabilità, a parere della Suprema Corte non va operato il riproporzionamento dei tre giorni di permesso ex art. 33 della Legge n. 104/1992 nei confronti del lavoratore con contratto in part-time verticale che effettui prestazione lavorativa per un numero di giornate superiori al 50% rispetto all’ordinario orario lavorativo in regime di full time. L’INPS, con la Circolare n. 45 del 19 marzo 2021, ha fornito chiarimenti in merito alle formule di calcolo da applicare ai fini del riproporzionamento dei tre giorni di permesso mensile, di cui all’art. 33 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, nei casi di rapporto di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto con attività lavorativa part-time superiore al 50%. L’ARAN con l’O.A. 15 giugno 2021 CIRS84, ha così ulteriormente precisato “Ad un docente con un rapporto di lavoro part-time verticale che presta l’attività lavorativa per 9 ore su 18, è ancora applicabile il riproporzionamento giornaliero dei permessi di cui all’articolo 33, commi 3 e 6, della Legge n. 104/92, ciò anche a seguito di alcune sentenze intervenute in materia? Nel merito, appare utile riportare un estratto dell’orientamento applicativo del comparto scuola, pubblicato nella Raccolta sistematica relativa ai permessi: “[…] Nel caso invece di part-time verticale, il permesso mensile di tre giorni deve essere ridotto proporzionalmente alle giornate effettivamente lavorate. A tale riguardo possono essere consultate le seguenti circolari: Circolare 34 del 10 luglio 2000 dell’INPDAP (punto 8); Circolare 133 del 17 luglio 2000 dell’INPS in cui al punto 3.2 Circolare 100 del 24 luglio 2012 dell’INPS in cui al punto 4, lett. a). In proposito, occorre anche precisare che la prestazione lavorativa a tempo parziale di tipo verticale si può articolare concentrando l’attività lavorativa con due diverse modalità: 1. per tutti i giorni lavorativi, ma solo in alcuni mesi dell’anno; 2. soltanto per alcune settimane del mese o per alcuni giorni della settimana. Conseguentemente, nel caso in cui il contratto di part-time sia riconducibile all’ipotesi contemplata al punto 1, il dipendente avrà diritto ai benefici in parola nella misura intera nei mesi in cui è prevista la prestazione lavorativa”. Tale orientamento applicativo trae origine, oltre che dall’interpretazione delle norme contrattuali, anche dalle indicazioni fornite dagli Enti e Dipartimenti Pubblici deputati all’interpretazione delle norme di legge. Nel caso de quo, in particolare, si richiama il messaggio INPS n. 3144 del 7/08/2018 da cui si evince un possibile e lecito riproporzionamento del numero complessivo dei giorni mensili ex lege 104 del lavoratore part-time “riproporzionato in ragione della ridotta entità della sua prestazione lavorativa”. Inoltre, sempre in materia di riproporzionamento delle assenze e dei permessi nei confronti dei lavoratori in regime di part-time verticale, va ricordata la pronuncia della Corte di Cassazione, intervenuta con sentenza n. 22925 depositata il 29 settembre 2017, in tema di permessi ex Legge n. 104/1992, la quale, per l’autorevolezza della fonte, rappresenta un indirizzo applicativo concreto e fattuale non in contraddizione con il principio generale espresso nella clausola contrattuale in oggetto di cui, anzi, condivide la logica. Tale sentenza ha affermato che “Il criterio che può ragionevolmente desumersi da tali indicazioni è quello di una distribuzione in misura paritaria degli oneri e dei sacrifici connessi all’adozione del rapporto di lavoro part-time e, nello specifico, del rapporto part-time verticale. In coerenza con tale criterio, valutate le opposte esigenze, appare ragionevole distinguere l’ipotesi in cui la prestazione di lavoro part-time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell’anno e riconoscere, solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile, il diritto alla integrale fruizione dei permessi in oggetto”. Tutto quanto sopra considerato, si ritiene che nel caso prospettato - qualora la prestazione resa in part-time verticale sia pari al 50% di quella a tempo pieno - i tre giorni di permesso di cui alla Legge n. 104/1992 siano soggetti a riproporzionamento. Ciò premesso, nel caso di specie per la docente di scuola primaria che ha un contratto part time di 12 ore su 24 ore, non è stato chiarito su quanti giorni lavorativi e, se l'Istituto ha adottato la settimana corta di cinque giorni, dati questi importanti per definire se si devono riproporzionare. Tuttavia, in mancanza di questi dati, se la prestazione lavorativa è per un numero di giornate, ad esempio 4, quindi superiori al 50% rispetto all’ordinario orario lavorativo in regime di full time, i permessi non devono essere riproporzionati, viceversa, devono essere riproporzionati. Si aggiunge che, la citata giurisprudenza della Cassazione e richiamata anche nel parere ARAN fa riferimento a un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario (dato non indicato nel caso di specie se cinque settimana corta o sei giorni settimana normale).
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Data di pubblicazione: 16/12/2025
Gentile utente, nel caso sottoposto poichè la denuncia è già stata presentata dall'ente regionale presso cui la dipendente ha dichiarato in maniera non veritiera di aver conseguito il titolo, non è necessario che la scuola sporga ulteriore denuncia sulla stessa fattispecie. E ' necessario invece procedere al depennamento del collaboratore dalla graduatoria di istituto di terza fascia dei collaboratori scolastici, poichè le dichiarazioni mendaci sono particolarmente sanzionate nelle norme che dispongono l'aggiornamento delle graduatorie di istituto di III fascia, di cui all'art. 7 comma 1 del D.M. 89\2024 , che prevede: "1. L'Amministrazione scolastica dispone l'esclusione degli aspiranti che: a. risultino privi di qualcuno dei requisiti di cui ai precedenti articoli 2 e 3; b. abbiano reso, nella compilazione della domanda, dichiarazioni non corrispondenti a verità e non riconducibili a mero errore materiale. " inoltre l'art. 6 dello stesso decreto che prevede i controlli da parte delle istituzioni scolastiche sulle dichiarazioni presentate dai candidati e in caso di accertamento negativo eventuali esclusioni o rettifiche del punteggio dispone che: "15. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 6, conseguentemente alle determinazioni di cui al comma 13, l'eventuale servizio prestato dall'aspirante in assenza del titolo di studio richiesto per l'accesso al profilo e/o ai profili richiesti o sulla base di dichiarazioni mendaci, e assegnato nelle precedenti graduatorie di circolo e di istituto di terza fascia, sarà, con apposito provvedimento emesso dal Dirigente scolastico già individuato al comma 11, dichiarato come prestato di fatto e non di diritto, con la conseguenza che lo stesso non è menzionato negli attestati di servizio richiesti dall’interessato e non è attribuito alcun punteggio, né è utile ai fini del riconoscimento dell’anzianità di servizio e della progressione di carriera, salva ogni eventuale sanzione di altra natura." Nel caso sottoposto il collaboratore deve essere escluso dalla graduatoria , il contratto deve essere risolto a causa dell'esclusione e dalla dichiarazione falsa e il servizio già svolto deve essere dichiarato come prestato solo di fatto, senza alcuna validità giuridica.
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Data di pubblicazione: 16/12/2025
Gentile utente, nel caso sottoposto il collaboratore scolastico non ha potuto assumere servizio a causa della malattia e pur avendo accettato il contratto non l'ha perfezionato, con la presa di servizio, dalla cui data decorrono tutti gli effetti economici dell'assunzione e anche la possibilità di usufruire dei congedi ed aspettative previste dal CCNL di comparto, comprese le ferie . In questa situazione il dipendente non può differire l'assunzione in servizio fino al 7\01, giustificando l'assenza nel periodo natalizio con le ferie che non ha ancora maturato e che non costituiscono causa di forza maggiore, al pari della malattia, infortunio, gravidanza, che sono le uniche fattispecie per cui è concesso il differimento della presa di servizio. Infatti la circolare ministeriale sulle supplenze del personale della scuola n. 157048\2025 nelle disposizioni comuni al personale docente ed ata prevede che: "La stipula del contratto, analogamente a quanto avviene per le assunzioni a tempo indeterminato, opportunamente perfezionata dal dirigente scolastico attraverso le funzioni del sistema informativo, rende immediatamente fruibili gli istituti di aspettativa e congedo previsti dal CCNL. È inoltre, estesa al personale a tempo determinato la possibilità di differire la presa di servizio per i casi contemplati dalla normativa (a titolo esemplificativo, maternità, malattia, infortunio)." Nel caso sottoposto l'assunzione non è stata perfezionata attraverso le funzioni del sistema informativo e pertanto il differimento della presa di servizio può essere concesso solo nel periodo di malattia e fino al 7\01 solo se il dipendente fino a tale data giustificherà la mancata assunzione con lo stato di malattia.
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