Data di pubblicazione: 06/02/2025
Il nostro Istituto ha organizzato viaggi di istruzione per un valore di € 250.000,00. Abbiamo provveduto a pubblicare su MEPA...
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
L'art. 508 comma 15 del D.Lgs. n. 297 del 1994 quale prevede che al personale docente (senza distinzione tra docenti a tempo pieno e docenti in part time) è consentito, previa autorizzazione del dirigente scolastico, l'esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio all'assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano compatibili con l'orario di insegnamento e di servizio. Pertanto, la verifica che il dirigente scolastico dovrà compiere al fine di autorizzare o meno l’esercizio della libera professione dovrà tener conto: a) del carattere di autonomia o di subordinazione del rapporto di lavoro; b) dell’eventuale pregiudizio dell’attività all’ordinato e completo assolvimento delle attività inerenti alla funzione docente. Per quanto concerne l’autorizzazione del dirigente in giurisprudenza è stato precisato che il suddetto dirigente è chiamato a verificare che l'esercizio di tale attività non pregiudichi l'attività di docente e la compatibilità con l'orario di insegnamento e di servizio (cfr. T.A.R. Lombardia – Brescia – Sent. 07 ottobre 1996 n. 963) . In altra occasione il Consiglio Stato con sentenza 05 febbraio 1994 n. 102 ha ritenuto legittimo il provvedimento di diniego di autorizzazione all'esercizio di libera attività professionale motivato dal dirigente scolastico con riguardo al minor rendimento del docente in conseguenza della condizione di affaticamento del docente stesso nell'espletamento del servizio e dell'esercizio professionale. In tal senso, peraltro, si è pronunciato il T.A.R. Sicilia, sez. Catania, con sentenza n. 141 del 15 Marzo 1984, in cui si sottolinea che l’eventuale diniego dell’autorizzazione all’esercizio della libera professione deve essere motivato con l’indicazione dei motivi di pubblico interesse e delle circostanze soggettive ed oggettive che impediscano, nell’interesse della scuola, l’esercizio professionale. Quindi, il rilascio o il diniego di autorizzazione, ai sensi dell'art. 508 comma 15, d.lg. n. 297 del 1994, richiede che si valuti e conseguentemente si motivi la ricorrenza del presupposto della compatibilità con le attività inerenti alla funzione docente e con l'orario di insegnamento e di servizio, oltre che, a monte, sia verificata la natura libero — professionale dell'attività da espletare. ( cfr. TAR Campania 3 luglio 2012 n. 3163). Sempre in merito alla valutazione da parte del DS, è stato affermato che il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività libero professionale deve seguire all’assenza di pregiudizio per lo svolgimento dell’attività istituzionale e che a tal fine è necessaria un’indicazione in questo senso da parte del docente, cui l’autorizzazione va a conformarsi. Pertanto, il docente non può limitarsi a dichiarare di svolgere una certa professione una volta per sempre, occorrendo, per poter avanzare richiesta di autorizzazione con piena consapevolezza del legittimo svolgimento dell’incarico professionale, che la stessa sia inoltrata una volta divenuta nota la portata degli impegni e dei vincoli temporali connessi con lo svolgimento della docenza. Ciò rende appunto necessario che l’interessato, nel caso in cui ritenga di svolgere attività libero professionale, avanzi la richiesta di autorizzazione anno per anno (nei limiti appunto in cui ritenga di svolgere incarichi professionali), posto che gli impegni di docente scolastico notoriamente variano annualmente (Tribunale Forlì - Sezione Lavoro - Sentenza 07/07/2020, n. 105 confermata anche in sede di appello). Ciò premesso, si ritiene che il fatto che nel caso il docente sia assente per malattia, anche in ipotesi per un lungo periodo, non comporta un diniego automatico all'autorizzazione o che il dirigente debba attendere il rientro in servizio per procedere con la suddetta autorizzazione. La scuola dovrà limitarsi ad applicare il trattamento economico e giuridico per le assenze per malattia, mentre detta assenza nessuna rilevanza assume, in senso dirimente, ai fini dell'autorizzazione all'esercizio della libera professione che, si precisa, è gestita in modo totalmente autonomo dal professionista.
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
Relativamente al congedo parentale e congedo per malattia del bambino, il comma 5 dell’art. 34 del CCNL 2024 prevede che i periodi di assenza di cui ai precedenti commi 3 e 4 (congedo parentale e congedo per malattia del bambino), nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all'interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice (prima il riferimento normativo era l'art. 12 del CCNL 2007 citato nei pareri ARAN che andiamo a riportare). Pertanto, alla luce della suddetta disposizione contrattuale, se tra due periodi di congedo parentale non intercorre almeno un giorno di lavoro effettivo, devono essere computati o come congedo parentale o come congedo malattia anche i sabati e le domeniche ricompresi tra gli stessi. A supporto si riporta l'orientamento SCUOLA 060 del 23/05/2013. "Nel caso di assenza di un dipendente di tipo ciclica, cioè che ha inizio con un periodo di congedo parentale e termina con la fruizione dello stesso congedo, intervallato da altra tipologia di assenza, senza però che si verifichi il rientro effettivo del docente, le giornate del sabato e della domenica come devono essere computate? Si fa presente che ai sensi dell'art. 12, comma 6, del CCNL 29/11/2007 (congedi parentali) "6. I periodi di assenza di cui ai precedenti commi 4 e 5, nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all'interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice." In relazione alla nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, da voi citata, sembra chiaro, dall’esempio relativo al caso 2, che nel quesito da voi esposto ci si trovi di fronte ad un’assenza di tipo ciclica che ha inizio con un periodo di congedo parentale e termina con la fruizione dello stesso congedo, intervallato da altra tipologia di assenza, senza però che si verifichi il rientro effettivo del docente, in quanto le assenze per L. 104 ricadono all’interno di due differenti frazioni di congedo parentale senza nessuna ripresa del servizio". La citata Nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, fornisce una serie di esempi e modalità di computo del congedo. Nel caso in cui un lavoratore, con orario di lavoro articolato su cinque giorni lavorativi (c.d. settimana corta), fruisca di congedo parentale nel seguente modo: 1^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale Sabato e domenica 2^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie - malattia - assenza ad altro titolo Sabato e domenica 3^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie o malattia o assenza ad altro titolo Sabato e domenica 4^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale il sabato e la domenica compresi tra la seconda e la terza settimana non sono computabili, né indennizzabili a titolo di congedo parentale in quanto tali giorni - compresi in un periodo unico di congedo parentale posto che, dalla prima alla quarta settimana, non vi è ripresa dell’attività lavorativa - risultano comunque ricompresi all’interno di un periodo di assenza fruita ad altro titolo (periodo neutro ai fini di interesse). Viceversa, il sabato e la domenica ricadenti tra la prima e la seconda settimana e tra la terza e la quarta sono computabili ed indennizzabili in conto congedo parentale in quanto tali giorni cadono, rispettivamente, subito dopo e subito prima il congedo parentale richiesto. Quanto sopra vale anche nei casi in cui il lavoratore alterni congedo parentale e ferie nel seguente modo: dal martedì al giovedì = congedo parentale venerdì = ferie sabato e domenica lunedì= ferie dal martedì a giovedì = congedo parentale. Anche in tale ultima ipotesi, infatti, il sabato e la domenica non si computano a titolo di congedo parentale in quanto inclusi in un periodo, seppur breve, di ferie (venerdì e lunedì). A chiarimento di quanto sopra esposto l'INPS fornisce ancora due possibili casi: Caso 1 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = ripresa del lavoro Caso 2 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = congedo parentale venerdì = ripresa del lavoro Nel primo caso (caso 1) il sabato e la domenica rimangono evidentemente esclusi dal computo del congedo parentale in quanto la frazione di congedo termina il venerdì (infatti, successivamente alle ferie, il lavoratore riprende l’attività lavorativa). Viceversa, nel secondo caso (caso 2), il sabato e la domenica vanno conteggiati ed indennizzati in conto congedo parentale in quanto tali giorni sono compresi in un’unica frazione di congedo (dal lunedì della prima settimana al giovedì della seconda) e ricadono immediatamente dopo il congedo parentale. I criteri sopra indicati trovano applicazione anche nell’ipotesi in cui il lavoratore, avendo già richiesto un periodo di congedo parentale, presenti un’altra domanda (o diverse domande) di congedo parentale determinanti di fatto una proroga del periodo di congedo precedentemente richiesto. L'ARAN, con l'O.A. CIRS46 24 febbraio 2021 ha ulteriormente precisato che nell’ipotesi, ad esempio, che il lavoratore o la lavoratrice richiedano 4 giorni di congedo parentale (lunedì –giovedì), 1 giorno di ferie (venerdì) e successivamente altri 4 giorni di congedo parentale (lunedì – giovedì), il sabato e la domenica ricadenti nei due periodi di congedo, non essendo gli stessi intervallati dal ritorno al lavoro, sono considerati congedo parentale e conteggiati nell’ambito di tali assenze. Pertanto, per verificare se il sabato e la domenica siano da imputare a congedo parentale occorre verificare esattamente la sequenza ciclica delle assenze ed in tal senso la scuola potrà applicare gli esempi dell'INPS sopra riportati.
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
L’INPS, con il Messaggio numero 1074 del 9 marzo 2018 citato nel quesito, ha fornito precisazioni sulle assenze dei dipendenti in caso di permanenza presso le unità operative di Pronto Soccorso, per trattamenti sanitari a seguito di accesso, di durata anche prolungata nel tempo (due o più giorni). L’Istituto ha precisato che nei suddetti casi, la permanenza di un paziente presso il Pronto Soccorso presenta le medesime caratteristiche del ricovero ospedaliero e tale deve quindi essere considerata ai fini dell’assenza per malattia e della correlata certificazione medica da produrre. Quindi, nei casi in cui i trattamenti o l’osservazione presso le unità operative di Pronto Soccorso richiedano ospitalità notturna, deve applicarsi, nell’ambito della tutela della malattia, la medesima disciplina prevista per gli eventi di ricovero ospedaliero. Per i dipendenti della Scuola il riferimento è all’art. 17 comma 8 del CCNL 2007 e all'art. 35 CCNL 2024 per il personale a t.d.: il ricovero ed il successivo periodo di convalescenza non sono soggetti alle decurtazioni economiche ma sono computabili ai fini del superamento del periodo di comporto (cfr anche per il trattamento del periodo di post ricovero il Parere n. 53 del 2008 della Funzione Pubblica). Più specificamente, l’INPS ha precisato quanto segue: 1. situazioni che richiedono ospitalità notturna del malato equiparabili ad un ricovero. In tal caso, il lavoratore dovrà farsi rilasciare, ove nulla osti da parte della struttura ospedaliera, apposito certificato di ricovero; 2. situazioni che si esauriscono con dimissione del malato senza permanenza notturna presso la struttura da gestire come evento di malattia; il certificato da produrre sarà quindi quello di malattia. Ne consegue, a nostro avviso, che l'assenza di cui al quesito è da ricondurre a malattia ordinaria e non a ricovero e relativa convalescenza.
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
A seguito di visita ispettiva, che ha verificato e confermato l'incapacità didattica e professionale di una docente...
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
Per quanto concerne la malattia personale i giorni festivi che si collocano fra due periodi di assenza per malattia fruiti senza interruzione vanno compresi nel computo della durata del periodo di assenza per malattia. Il Dipartimento della Funzione Pubblica con parere n. 4742 del 30 gennaio 2009 ha, infatti, precisato che secondo il consolidato orientamento in materia di assenze dal servizio, le giornate di sabato e domenica intercorrenti tra due periodi di assenza per malattia vengono anch'esse considerate assenze per malattia e assoggettate alla decurtazione del trattamento economico accessorio. L'ARAN, con l'O.A. CIRS35 24 febbraio 2021, ha precisato che nel caso in cui due periodi di malattia siano intervallati dalla domenica o - qualora l’articolazione dell’orario preveda che il sabato sia giornata non lavorativa - dal sabato e dalla domenica, l’assenza si considera come un unico periodo di malattia. In merito si rappresenta che la Ragioneria Generale dello Stato – IGOP con nota prot. n. 126427 del 16 gennaio 2009 ha reso un parere al Dipartimento della Funzione Pubblica (avente ad oggetto l’art.71 del d.l. n. 112/2008) con il quale si chiarisce che “con riferimento all’individuazione della retribuzione giornaliera il relativo computo va effettuato in trentesimi dal momento che, secondo il consolidato orientamento in materia di servizio, le giornate di sabato e domenica intercorrenti tra due periodi di assenza per malattia vengono anch’esse considerate assenze per malattia e assoggettate alla decurtazione del trattamento economico accessorio”. Inoltre, anche se la malattia fosse stata certificata con diagnosi diversa, il MEF in risposta alla FAQ del Luglio 2004 "Come vengono considerati i giorni non lavorativi fra due periodi di malattia certificati con diagnosi diverse?", rispondeva: "La posizione di stato giuridica di malattia è unica e comprende anche i giorni non lavorativi". D’altra parte, tale risposta è coerente con quanto precisato dalle note sopra citate ove si fa riferimento a due periodi di malattia senza distinguere tra l’unicità o la diversità delle diagnosi. In sostanza l'assenza per malattia è tale indipendentemente dalle diagnosi ( tra l'altro non presenti nel certificato telematico a disposizione della scuola). Tutto ciò premesso, in merito al quesito posto, si ritiene che le giornate di sabato e domenica debbano essere ricondotte a malattia.
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
La richiesta della docente deve essere accolta stante che la normativa vigente non contempla, per i permessi relativi all'assistenza, il requisito della convivenza. L'art. 33 comma 3 della Legge n. 104 del 1992 prevede che il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un'unione civile ai sensi dell'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un'unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l'assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un'unione civile di cui all'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Conclusivamente, nel caso di specie, i permessi spettano alla docente essendo del tutto irrilevante - a differenza della normativa relativa al congedo biennale - il requisito della convivenza con il soggetto da assistere.
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
Nella normativa vigente non si riscontra un obbligo di comunicazione del Piano annuale delle attività del personale docente sul sito della scuola. Nella sezione "Amministrazione trasparente" del sito, infatti, vanno pubblicati i documenti di cui all'Allegato 2 alla delibera ANAC n. 430/2016. Fra questi, sono citati "direttive, circolari, programmi, istruzioni e ogni atto che dispone in generale sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi, sui procedimenti, ovvero nei quali si determina l'interpretazione di norme giuridiche che riguardano o dettano disposizioni per l'applicazione di esse". Si deve trattare, pertanto, di atti di valenza generale. Ad esempio, è certamente compreso fra gli obblighi di pubblicazione il PTOF e anche la direttiva del dirigente scolastico per la sua elaborazione; non fanno parte di questa categoria, invece, i c.d. "atti di micro organizzazione", ovvero quegli atti attraverso i quali l'amministrazione gestisce, in concreto, i rapporti di lavoro. Ricordiamo che, a tali fini, i dirigenti della pubblica amministrazione agiscono con gli stessi poteri del datore di lavoro privato, ai sensi dell'art. 5, comma 2 d.lgs. 165/2001, che fa salva, tuttavia, l'informazione ai sindacati nonché ogni altra forma di partecipazione ove prevista nei CCNL. Tale è il caso del CCNL 18-01-2024, che prevede, all'art. 43, comma 4 che del Piano annuale in questione sia data informazione alla RSU e alle OOSS. Pertanto, una volta che il Piano sia stato comunicato alle parti sindacali e reso noto al personale docente, anche mediante comunicazione sul registro elettronico o nell'area riservata al personale del sito, gli obblighi di informazione devono intendersi soddisfatti, senza che sussista alcun obbligo di pubblicazione sul sito della scuola. Ciò premesso, si risponde ai tre quesiti posti: 1. Non esiste un obbligo di pubblicazione sul sito della scuola del Piano annuale delle attività. 2. Il Piano in questione va comunicato, a titolo informativo, alla RSU e alle OOSS (a seguito della recente sentenza del Tribunale di Roma, al momento anche ai sindacati non firmatari del CCNL se rappresentativi). L'invio non può coincidere con la pubblicazione sul registro elettronico ma deve essere oggetto di separata trasmissione a tutti i componenti della RSU e ai rappresentanti delle OOSS. 3. Non è necessario che il Piano annuale contenga la puntuale determinazione di tutte le date esatte in cui si svolgeranno le varie attività previste. L'art. 43, comma 4 cit., infatti, si limita a prevedere che il Piano contenga l'articolazione delle attività e degli impegni di lavoro, senza che vincoli le stesse a date precise; l'eventuale modifica prevista dalla medesima norma, infatti, è prevista nel caso in cui sia necessario "far fronte a nuove esigenze", ovvero se - ad esempio - sia necessario ridurre il tempo dedicato alle riunioni collegiali per lasciare spazio ad attività di formazione. Non è però necessaria alcuna procedura di modifica, ove si tratti di piccole variazioni di data derivanti da esigenze organizzative, relativamente ai medesimi impegni previsti dal Piano. Quest'ultimo, peraltro, potrebbe anche non contenere l'individuazione di date precise, ma solo la previsione dei periodi di svolgimento delle varie attività.
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
Il Parere del Ministero dell'Interno del 21 ottobre 2004 ( reperibile al seguente link https://dait.interno.gov.it/pareri/12912) ha fornito chiarimenti in merito alla problematica dell’art. 79 del decreto legislativo n. 267/2000, e, in particolare in relazione alle cariche di componente della giunta di una Unione di Comuni, di Sindaco di un comune aderente a tale Unione e di Presidente dell’Unione medesima. Si riporta il Parere in integrale. "Come è noto, la disciplina sui permessi retribuiti e non retribuiti ai quali hanno diritto i lavoratori dipendenti eletti o nominati alle cariche presso gli enti locali è espressamente contenuta nell'art. 79 del decreto legislativo n. 267/2000. Il comma 1 del citato articolo 79 prevede che i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, componenti dei consigli comunali, provinciali, delle comunità montane e delle unione dei comuni, hanno diritto di assentarsi dal servizio per l'intera giornata di convocazione dei rispettivi organi consiliari. Il comma 4 dello stesso articolo, riconosce ai componenti degli organi esecutivi di comuni, delle province, delle comunità montane, delle unioni dei comuni, il diritto di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un ulteriore tempo di 24 ore lavorative al mese, elevate a 48 ore per i sindaci, presidenti delle province, delle comunità montane, presidenti dei consigli provinciali e comunali con popolazione superiore a 30.000 abitanti. La disposizione in esame non fa diretto riferimento alla figura del Presidente dell'Unione dei Comuni. Il successivo comma 5 prevede, inoltre, il diritto di usufruire di ulteriori permessi non retribuiti, sino ad un massimo di 24 ore lavorative al mese, qualora risultino necessari per l'espletamento del mandato, da utilizzare anche per lo studio preliminare e la trattazione degli argomenti inseriti nell'ordine del giorno della riunione. Ciò premesso, si osserva che il TUEL n. 267/2000, riconosce all'art. 32, le Unioni dei Comuni come enti locali al pari delle Comunità Montane, (art. 27), e di conseguenza ha delineato detto istituto disciplinandolo nei suoi elementi essenziali (inderogabili) e demandando all'autonomia statutaria e regolamentare dell'unione medesima la disciplina dei propri organi e della propria organizzazione. In particolare, il suddetto art. 32, stabilisce, al comma 2, che 'lo statuto individua gli organi dell'unione e le modalità per la loro costituzione', mentre il successivo comma 3 dispone che lo statuto deve prevedere (quale contenuto obbligatorio) la figura del 'presidente dell'unione scelto tra i sindaci dei comuni interessati' e che 'altri organi siano formati da componenti delle giunte e dei consigli dei comuni associati, garantendo la rappresentanza delle minoranze'. ( la nuova formulazione del comma 3 così prevede: 3. Gli organi dell’unione, presidente, giunta e consiglio, sono formati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, da amministratori in carica dei comuni associati e a essi non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni e indennità o emolumenti in qualsiasi forma percepiti. Il presidente è scelto tra i sindaci dei comuni associati e la giunta tra i componenti dell’esecutivo dei comuni associati. Il consiglio è composto da un numero di consiglieri definito nello statuto, eletti dai singoli consigli dei comuni associati tra i propri componenti, garantendo la rappresentanza delle minoranze e assicurando la rappresentanza di ogni comune). Si desume, quindi, la volontà del legislatore statale di configurare il presidente dell'unione quale organo 'necessario' dell'ente, il quale deve coincidere con uno dei sindaci dei comuni aderenti all'unione, mentre 'altri organi' devono essere composti esclusivamente da assessori o consiglieri dei comuni associati, con la garanzia della rappresentanza delle minoranze. Nella fattispecie in esame, rilevato che il richiamato art. 79 non prevede espressamente il divieto di cumulo delle tipologie di permessi retribuiti e non retribuiti, attribuiti e da utilizzare per l'esercizio di funzioni e compiti relativi a cariche ricoperte in enti locali diversi, a parere di questo Ministero, all'amministratore in questione spettano i permessi specificamente previsti per l'espletamento di ogni singola carica, a meno che non si verifichi una coincidenza nell'ambito della stessa giornata tra le convocazioni dei rispettivi organi e fatta salva ogni diversa disposizione statutaria dell'Unione. L'art. 51, comma 3, della Costituzione, sancisce, infatti, il diritto di chi è chiamato a svolgere funzioni pubbliche di disporre del tempo necessario al loro adempimento. Resta comunque fermo l'obbligo del lavoratore di documentare, con apposita certificazione, i permessi di cui ha usufruito".
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
Per quanto concerne le ferie del personale a t.d. è intervenuta la recente interpretazione della Cassazione che, con l'Ordinanza 17/06/2024 n. 16715, ha affermato che il docente a tempo determinato che non ha chiesto di fruire delle ferie durante il periodo di sospensione delle lezioni ha diritto all'indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo inutilmente invitato a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie e alla indennità sostitutiva, in quanto la normativa interna - e, soprattutto, l'art. 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012, come integrato dall'art. 1, comma 55, della legge n. 228 del 2012 - deve essere interpretata in senso conforme all'art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE, che, secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia, Grande Sezione (con sentenze del 6 novembre 2018 in cause riunite C-569/16 e C-570/16, e in cause C-619/16 e C-684/16), non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e dell'indennità sostitutiva, senza la previa verifica che il lavoratore, mediante una informazione adeguata, sia stato posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare effettivamente il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, il detto docente non può essere considerato automaticamente in ferie nel periodo fra il termine delle lezioni e il 30 giugno di ogni anno. La Suprema Corte ha cassato Corte di Appello di Milano - Lavoro - Sentenza 13/09/2022 n. 688 che aveva invece affermato la non spettanza dell’indennità per ferie non godute nei giorni di sospensione delle lezioni per tale intendendosi anche il periodo successivo al termine delle lezioni. Sempre in sede di merito il Tribunale di Bologna con le Sentenze 03/03/2022 n. 127 e 13/12/2021 n. 82 si era pronunciato affermando che il periodo che va dalla fine delle lezioni alla scadenza del contratto è uno dei periodi dell’anno in cui i docenti, che non siano impegnati in attività di scrutinio o comunque di istituto, possono fruire delle ferie, e nel caso dei docenti con contratto a tempo determinato con scadenza al 30 giugno, è uno dei periodi che rileva per il conteggio delle ferie automatiche. Anche la nostra precedente interpretazione si basava sull'orientamento della RGS che con la nota prot. 73425 del 6 settembre 2013 di trasmissione della nota 4 settembre 2013 prot. n. 72696. aveva precisato che l'articolo 1, comma 55 della Legge di Bilancio 2013 (Legge n. 228/2012) sui giorni da considerare come ferie automatiche del personale a t.d. fa riferimento ai "giorni in cui è consentito al personale fruire delle ferie" e non a quelli in cui dette ferie siano effettivamente fruite. Secondo l'interpretazione della RGS quindi a nulla rilevava ai fini della "monetizzazione" se il docente avesse o meno richiesto le ferie ma si sarebbe dovuto tener unicamente conto della mera astratta facoltà di fruirle, fermo restando l'obbligo di fruire le ferie nella misura in cui il dipendente ne ha diritto. Invece, ora la Cassazione, con l'Ordinanza citata, ha fornito una interpretazione diversa ai sensi della quale il docente a t.d. (come nel caso di specie) non può essere considerato automaticamente in ferie nel periodo fra il termine delle lezioni e il 30 giugno di ogni anno. Quindi, alla luce dei principi sopra affermati, i giorni di sospensione delle lezioni non possono essere automaticamente fruiti come giorni ferie fruiti dal docente a t.d.. Sul punto, segnaliamo la Nota dell'USR Piemonte n. 11853 del 16 luglio 2024 di cui riportiamo alcuni passaggi: "L’applicazione della disposizione sopra richiamata (legge 228/2012) ha comportato la monetizzazione delle ferie nei limiti dei giorni residuati dopo aver decurtato, non solo i periodi di sospensione delle lezioni elencati dai calendari scolastici regionali dei rispettivi anni scolastici (Natale, Pasqua, Carnevale), ma anche il periodo ricompreso tra il termine delle lezioni e il 30 giugno. La suddetta circostanza ha dato avvio ad un cospicuo contenzioso volto ad ottenere la liquidazione dell’indennità sostitutiva delle ferie in applicazione letterale della disposizione normativa prima citata: nello specifico, i ricorrenti, chiedevano di espungere, dall’ammontare dei giorni da decurtare, il periodo ricompreso tra il termine delle lezioni e il 30 giugno. La tematica sopra evidenziata ha subito un’evoluzione giurisprudenziale, da ultimo con l’ordinanza della Suprema Corte n. 16715/24, che ha enunciato il seguente principio di diritto. Principio di Diritto: “Il docente a tempo determinato che non ha chiesto di fruire delle ferie durante il periodo della sospensione delle lezioni ha diritto all’indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo inutilmente invitato a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie e all’ indennità sostitutiva, in quanto la normativa interna e soprattutto l’art. 5, comma 8 del D.L. n. 95 del 2012, deve essere interpretata in senso conforme all’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, la quale non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e dell’indennità sostitutiva, senza la previa verifica che il lavoratore, mediante una formazione adeguata, sia stato posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare effettivamente il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, il detto docente non può essere considerato automaticamente in ferie nel periodo fra il termine delle lezioni ed il 30 giugno di ogni anno”. Alla luce della suddetta ordinanza della Corte di cassazione n. 16715 del 2024, che si allega per completezza, si ritiene opportuno che le S.S.L.L., provvedano, all’atto dell’instaurarsi del rapporto di lavoro o anche nel corso del rapporto, ad invitare/diffidare formalmente i docenti interessati a presentare istanza di fruizione dei giorni di ferie, maturati e maturandi, durante i periodi di sospensione delle lezioni (Natale, Pasqua, carnevale, ponti …) o anche nel periodo intercorrente tra la fine delle lezioni e il 30 giugno, con espresso avviso della perdita, in assenza di domanda volontaria, del diritto alle ferie stesse ed all’indennità sostitutiva". Pertanto, per il personale docente a t.d. i giorni di sospensione delle lezioni non saranno più decurtati automaticamente come ferie ma il DS dovrà invitare/diffidare formalmente i docenti interessati a presentare istanza di fruizione dei giorni di ferie, maturati e maturandi, durante i periodi di sospensione delle lezioni o anche nel periodo intercorrente tra la fine delle lezioni e il 30 giugno, con espresso avviso della perdita, in assenza di domanda volontaria, del diritto alle ferie stesse ed all’indennità sostitutiva. Infine, si ricorda che l'art. 14 del CCNL 2007, non modificato dal CCNL 2024 prevede che è considerata giorno festivo la ricorrenza del Santo Patrono della località in cui il dipendente presta servizio, purché ricadente in giorno lavorativo. Trattasi quindi di giorno festivo in riferimento al quale sarebbe del tutto abnorme una richiesta di ferie.
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
Per quanto concerne le dimissioni, secondo l'orientamento costante giurisprudenziale (cfr. da ultimo Corte di Cassazione - Lavoro - Sentenza 28/05/2021, n. 14993), è stato affermato che, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 29 del 1993, essendo il cd. rapporto di pubblico impiego privatizzato regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul lavoro, nonché dalle norme sul pubblico impiego, solo in quanto non espressamente abrogate e non incompatibili, le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui vengano a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest'ultimo di accettarle, sicché non necessitano più, per divenire efficaci, di un provvedimento di accettazione da parte della pubblica amministrazione. Per quanto concerne la questione del recupero dell'indennità di preavviso nei confronti del dipendente la redazione è consapevole dell’esistenza di pareri favorevoli espressi in materia da alcuni uffici scolastici. Al riguardo devono svolgersi le seguenti precisazioni. L’art. 2118 c.c. prevede, in termini generali, che ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità. Sennonché, nel caso di specie la risoluzione del rapporto è avvenuta non in seguito a un atto di recesso di natura costitutiva, bensì in ragione di dimissioni per assumere servizio presso altra Amministrazione ( Conservatorio). Inoltre, l’art. 23 del CCNL del 2007 (ancora applicabile in parte qua), nel fissare i termini e gli importi del preavviso, circoscrive la sua portata applicativa ai casi previsti dal medesimo contratto collettivo mentre nel caso di specie vi sarebbe cessazione per assunzione in una diversa PA. Le considerazioni che precedono inducono la redazione a dubitare della legittimità di una richiesta del preavviso nei confronti del lavoratore, fatte salve diverse indicazioni da parte dell'USR/AT. Pertanto, la scuola dovrà disporre l’accettazione (meglio: la presa d'atto) delle dimissioni (per le motivazioni esposte dal dipendente) dandone comunicazione all’interessato e, contestualmente, all’ufficio Scolastico Territoriale per la liberazione del posto e alla RTS per la cessazione, a decorrere da detta data, della corresponsione degli emolumenti e per la chiusura della partita di spesa fissa.
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
L'art. 68 del CCNL 2024 prevede che i dipendenti ATA hanno diritto, ove ne ricorrano le condizioni, a fruire dei tre giorni di permesso di cui all' art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Tali permessi sono utili al fine delle ferie e della tredicesima mensilità e possono essere utilizzati ad ore nel limite massimo di 18 ore mensili. Non viene, quindi, previsto un quantitativo minimo/massimo di ore giornaliere ma solo il limite massimo di 18 ore al mese. I successivi commi 2 e 3 prevedono quanto segue “2. Al fine di garantire la funzionalità del servizio e la migliore organizzazione dell’attività amministrativa, il dipendente, che fruisce dei permessi di cui al comma 1, predispone, di norma, una programmazione mensile dei giorni in cui intende assentarsi, da comunicare all’ufficio di appartenenza all’inizio di ogni mese. 3. In caso di necessità ed urgenza, la relativa comunicazione può essere presentata nelle 24 ore precedenti la fruizione dello stesso e, comunque, non oltre l’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui il dipendente utilizza il permesso”. Conclusivamente, è lecito che il Collaboratore Scolastico possa richiedere le ore della legge 104 solo nei giorni in cui dovrebbe fare servizio serale, rispettando quanto previsto dall'art. 68 in merito alla programmazione e relativa tempistica.
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
Il DM 206/2017 all'art. 8 prevede che qualora il dipendente non accetti l'esito della visita fiscale, il medico è tenuto ad informarlo del fatto che deve eccepire il dissenso seduta stante. Il medico annota sul verbale il manifestato dissenso che deve essere sottoscritto dal dipendente e contestualmente invita lo stesso a sottoporsi a visita fiscale, nel primo giorno utile, presso l'Ufficio medico legale dell'INPS competente per territorio, per il giudizio definitivo. In caso di rifiuto a firmare del dipendente, il medico fiscale informa tempestivamente l'INPS e predispone apposito invito a visita ambulatoriale. Nel caso di specie, il medico fiscale ha rettificato la prognosi modificando la relativa scadenza dal 5 febbraio al 27 gennaio ma il dipendente ha presentato nuovo certificato medico dal 28 gennaio. Con la circolare n. 7 del 2008 la Funzione Pubblica ha precisato che, quanto all'individuazione del "periodo superiore a dieci giorni" ( ai fini dell'applicazione delle decurtazioni di legge), la fattispecie si realizza sia nel caso di attestazione mediante un unico certificato dell'intera assenza sia nell'ipotesi in cui in occasione dell'evento originario sia stata indicata una prognosi successivamente protratta mediante altro/i certificato/i, sempre che l'assenza sia continuativa ("malattia protratta"). Pertanto, nel caso di specie, a nostro avviso, si è in presenza di un periodo di malattia continuativo.
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
L’art. 17, comma 9, del CCNL 2007 prevede che in caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia, di cui ai commi 1 e 8 del citato articolo 17 (che disciplinano, rispettivamente, il periodo massimo di comporto e la retribuzione spettante in caso di assenza per malattia), oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital anche quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie; pertanto per i giorni anzidetti di assenza spetta l'intera retribuzione. L'assenza per grave patologia si applica anche al personale a t.d. (cfr. art. 35, comma 11, CCNL 2024 che rinvia al citato comma 9 dell'art. 17). Pertanto, l'assenza per grave patologia, ai sensi dell'art. 17, comma 9, del CCNL 2007, oltre ad essere retribuita al 100%, non rileva ai fini del superamento del periodo di comporto e, pertanto, il contratto non può essere risolto per assenze per malattia oltre il limite massimo di cui all'art. 17 del CCNL 2007 ( o art. 35 in caso di personale a t.d. come nel caso di specie). Come già rilevato in precedenti risposte, in caso di assenza prolungata per grave patologia (ed indipendentemente dagli anni di servizio del dipendente), il dirigente può comunque richiedere d'ufficio una visita medica collegiale ai sensi del DPR 27 luglio 2011, n. 171 allorchè le condizioni fisiche del dipendente stesso facciano presumere l'inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio. Tuttavia, in punto di norma il dipendente a t.d. non può essere sottoposto a visita collegiale. Infatti, ai sensi del DPR 171/2011, art. 3, il dirigente scolastico avvia la procedura per l'accertamento dell'inidoneità psicofisica del dipendente, in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova, nei seguenti casi: a) assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento (cfr CCNL Scuola art. 17 non modificato dal CCNL 2024); b) disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti, che fanno fondatamente presumere l'esistenza dell'inidoneità psichica permanente assoluta o relativa al servizio; c) condizioni fisiche che facciano presumere l'inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio. Pertanto, il presupposto è che trattasi di personale che ha comunque superato l'anno di prova. Ad ogni modo, si deve, altresì, osservare che la prassi, riscontrata anche nei nostri corsi di formazione in materia e nei quesiti che ci vengono posti, è quella dell'invio anche del personale a t.d. (o che non ha superato il periodo di prova) a visita collegiale in presenza di condizioni psico fisiche che ne facciano presumere una inidoneità (anche relativa) al lavoro. Le Commissioni non rifiutano in sostanza l'effettuazione degli accertamenti con la precisazione che dette visite comunque hanno la finalità di accertare se il dipendente, seppur a t.d. o che non ha superato il periodo di prova, sia idoneo a prestare servizio e ciò al fine della tutela della sua incolumità. Pertanto, se le condizioni di salute o comportamentali sono effettivamente tali da rappresentare indice di una inidoneità al servizio, tale anche da comportare rischi per la stessa salute del dipendente, si ritiene che la scuola possa procedere a richiesta di visita collegiale motivando la suddetta richiesta alla luce delle condizioni di salute che fanno, per l'appunto, presumere una inidoneità al servizio. Anche in giurisprudenza è stato affermato che ai sensi dell'art. 3, terzo comma, DPR n. 171/2011 è legittima la sottoposizione a visita del dipendente anche durante il periodo di prova quando detto periodo, anche in virtù del disposto dell'art. 438 D.Lgs. n. 297/1994, si protragga per un tempo indefinito. Infatti, la Corte di Cassazione, con la Sentenza 16/12/2021 n. 40406, nel confermare la Sentenza n. 201 del 2019 della Corte di Appello di Genova, ha affermato che l'art. 3 del DPR 27 luglio 2011 n. 171 attribuisce l'iniziativa per l'avvio della procedura di accertamento dell'inidoneità psicofisica permanente all'Amministrazione di appartenenza del dipendente ovvero al dipendente interessato, in entrambe le ipotesi “in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova”. La norma non intende assicurare un beneficio al dipendente in prova, che non sarebbe consentito dalla norma primaria, in quanto essa non esonera dal licenziamento per inidoneità psicofisica il lavoratore in prova; piuttosto, il regolamento rinvia ogni accertamento al riguardo all'esito della valutazione della prova, che potrebbe ex se determinare la risoluzione del rapporto di lavoro (dispensa per mancato superamento della prova). Il regolamento ha riguardo all'ipotesi ordinaria, in cui la prova ha carattere temporaneo; a voler ammettere che, in caso di mancato compimento del periodo di 180 giorni di servizio, possano esservi proroghe ripetute, per un tempo potenzialmente illimitato, sarebbe evidente il venir meno della temporaneità della prova. La Cassazione ha quindi ritenuta legittima , la procedura prevista dal DPR n. 171/2011, attivata dall'amministrazione scolastica una volta decorsi i primi due anni scolastici di prova, senza che da parte del docente sia stato prestato servizio per il periodo minimo di 180 giorni; trattasi di situazione diversa da quella del quesito ma un utile appiglio, in senso analogico, all'invio a visita collegiale anche del personale non confermato in ruolo in caso di evidente necessità di accertamento delle condizioni di salute. In tal senso si registra la Nota USR Piemonte del 25 novembre 2022 n.17320 che sul punto ha così specificato " Il Regolamento recato dal d.P.R. n. 171/2011 condiziona l’avvio del procedimento di accertamento dell’idoneità al fatto che il dipendente abbia superato il periodo di prova. La disciplina normativa pertanto esclude formalmente dalla procedura attivabile innanzi alla Commissione medica di verifica il personale a tempo determinato (art. 3). La limitazione introdotta dal dettato normativo pone un evidente discrimine tra le tutele della salute previste a favore del lavoratore a tempo indeterminato che abbia superato il periodo di prova, e i lavoratori che non lo hanno ancora superato o addirittura che versano in condizioni di precarietà. A fronte del dettato normativo non sono infrequenti le richieste da parte dei dirigenti scolastici di verifica presso la Commissione medica anche nei confronti del personale a tempo determinato il cui comportamento in servizio abbia fatto presumere la sussistenza di patologie invalidanti per la prosecuzione del rapporto. In questi casi la Commissione medica di verifica valuterà se procedere all’accertamento essendo in gioco la tutela dell’incolumità, oltre che del dipendente, anche del resto della comunità scolastica allorquando i comportamenti posti in essere costituiscano fonte di pericolo, o se inoltrare ai sensi della legge 241/1990 ad altra istituzione competente. Il problema semmai sarà quello di individuare i provvedimenti da adottare a seconda dell’esito del giudizio medico. Infatti, mentre nel caso in cui venga accertata un’inidoneità assoluta allo svolgimento del servizio il dipendente potrà essere collocato in malattia d’ufficio fino al termine del contratto, nell’ipotesi di inidoneità relativa non sarà possibile per il supplente procedere alla stipula di un contratto che ne consenta l’utilizzazione temporanea in altri compiti dal momento che anche il CCNI del 25 giugno 2008 esclude detto personale dall’applicazione della relativa disciplina (art. 2, comma 1). Qualche apertura si ritrova nella giurisprudenza del giudice del lavoro che, in una recente pronuncia, ha preso posizione sull’argomento anche se limitatamente al caso del docente in prova. Il caso di specie prende le mosse dall’impugnazione del licenziamento irrogato ai sensi dell’art. 6, comma 3 del d.P.R. n. 171/2011 a un docente in anno di formazione e prova rifiutatosi, per tre volte e senza giustificazione, di sottoporsi alle visite medico collegiali richieste dal dirigente scolastico per la verifica dell’idoneità. Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione la ricorrente, che si era vista prorogare per più di un anno scolastico il periodo di prova a causa del mancato raggiungimento dei 180 giorni richiesti ai fini della valutazione, riteneva di non poter essere legittimamente sottoposta a visita proprio perché non ancora confermata in ruolo e, sulla base di tale interpretazione del dettato normativo, si rifiutava di presentarsi alle convocazioni da parte della Commissione medica. Il giudice del lavoro ha ritenuto illegittimo il rifiuto opposto dalla lavoratrice che, in questo modo, non presentandosi a lavoro, avrebbe determinato il protrarsi del periodo di prova illimitatamente. Da altro lato ha ritenuto legittimo l’operato dell’amministrazione scolastica che, una volta decorsi i primi due anni dalla prova, correttamente ha dato avvio alla procedura prevista dal d.P.R. n. 171/2011. Secondo i giudici di legittimità, infatti, la diversa interpretazione (letterale) orientata ad escludere la possibilità di visita nel periodo di prova non sarebbe compatibile con un’organizzazione orientata al buon andamento dell’amministrazione scolastica perché legittimerebbe una situazione in cui una cattedra viene occupata da un soggetto che non presta servizio per lungo tempo, pur percependo la retribuzione, senza alcuna possibilità di verificarne la sua idoneità al servizio e costringendo il dirigente a ricorrere a supplenze temporanee con conseguente pregiudizio per l’utenza e per la continuità didattica". Tuttavia, nel caso di specie, stante che trattasi di docente a t.d. assente però solo da settembre 2024 ( non sappiamo se anche gli anni scorsi vi era stata continuità nell'assenza per gravi patologie) si ritiene che non vi sia, ad oggi, la necessità/obbligatorietà di sottoposizione a visita collegiale.
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
Per consolidata giurisprudenza, la permanenza degli studenti all’interno dei plessi scolastici ingenera l’affidamento genitoriale sul fatto che la vigilanza sarà esercitata ed innesca anche la responsabilità della scuola stessa. Il fondamento della responsabilità della scuola va rintracciato negli obblighi di protezione che la scuola si assume di fatto nel momento in cui accetta l’iscrizione del bambino/ragazzo. Inoltre allorché un iscritto si trovi nell’Istituto o nelle sue pertinenze – dunque anche all’aperto – la scuola risponde sempre delle lesioni che egli potrebbe procurarsi, ai sensi dell’art.2051 del codice civile (responsabilità per cose in custodia) con riferimento agli infortuni derivanti da insidie o trabocchetti. Inoltre qualunque attività, se organizzata dalla scuola, presuppone l’onere della vigilanza sulla sicurezza e l'incolumità degli allievi nel tempo in cui questi fruiscono della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni – anche extracurricolari - al fine di evitare che l'allievo procuri danno a sé stesso e ad altri e fino alla riconsegna ai genitori o a loro delegati. Nello svolgimento di progetti inseriti nel PTOF, effettuati in orario extracurriculare e affidati a esperti esterni, non è però necessaria la presenza dei docenti interni a differenza di ciò che avviene quando l’esperto esterno interviene in orario curricolare. In tal caso infatti il ricorso a figure di educatori o incaricati della vigilanza è in astratto ammissibile: si suggerisce tuttavia di farsi rilasciare una dichiarazione dai genitori con i quali essi dichiarano di essere consapevoli che la vigilanza sarà assicurata, per tutto il tempo della attività progettuali extracurricolari pomeridiane e fino alla riconsegna ai genitori stessi, da un soggetto terzo. Sarà per questo necessario regolare precisamente il rapporto tra la scuola e gli esperti, inserendo nel contratto stipulato con la società esterna, la previsione di detto obbligo di vigilanza e verificando la copertura assicurativa sia gli infortuni che per la responsabilità civile degli esperti (se già non ricomprese nella polizza assicurativa vigente).
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Data di pubblicazione: 06/02/2025
Nel caso delle assemblee sindacali del personale scolastico l’istituto è tenuto semplicemente ad applicare le norme contrattuali, a prendere atto della comunicazione pervenuta dalle organizzazioni sindacali che hanno indetto l’assemblea, a fare riferimento alle dichiarazioni di partecipazione sottoscritte dal personale. Il tutto è chiaramente illustrato nell’art. 31 del CCNL di comparto 2019/21. Se ne riassumono alcuni passaggi importanti ai fini di quanto si sta trattando. Le assemblee devono avere una durata massima di due ore se si svolgono a livello di singola istituzione scolastica. Se invece sono territoriali va calcolato anche il tempo per lo spostamento, secondo regole stabilite in sede di contrattazione integrativa regionale. Essendo durata tre ore è da supporsi che l’assemblea fosse del tipo territoriale, altrimenti si doveva osservare il vincolo delle due ore (art. 31, comma 6). La convocazione dell’assemblea ad opera di una sigla o di più sigle sindacali deve riportare l’ordine del giorno, la durata, la sede e l'eventuale partecipazione di dirigenti sindacali esterni (art. 31, commi 3 e 7). Per il calcolo del tempo impegnato fa testo quanto dichiarato nella convocazione. Nel momento in cui il dipendente, ricevuto l’avviso da parte del dirigente scolastico, dichiara di voler partecipare all’assemblea la sua dichiarazione fa fede ai fini del computo del monte ore individuale ed è irrevocabile (art. 31, comma 8). Le ore devono essere caricate dall’ufficio di segreteria su ciascuna unità di personale scolastico fino alla saturazione del monte-ore individuale disponibile di 10 ore annuali (art. 31, comma 1). Venendo quindi al contenuto del quesito, si rileva che la partecipazione all’assemblea di una parte del personale scolastico non ha attinenza con l’assemblea studentesca, regolarmente convocata secondo norma di legge e non di contratto. Le due iniziative vanno dunque tenute separate. Il dovere dell’istituto è di attenersi alle indicazioni contrattuali e questo non può essere interpretato come una lesione dei diritti del personale scolastico. Avendo il sindacato promotore dichiarato che la durata dell’assemblea era prevista in tre ore, l’eventuale riduzione delle ore impegnate per parteciparvi sarebbe da considerare arbitraria e non giustificabile.
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Data di pubblicazione: 05/02/2025
Una collaboratrice scolastica, che stava per superare il periodo di comporto per malattia, è stata inviata a visita medica collegiale inps...
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Data di pubblicazione: 05/02/2025
Ragioneria Generale dello Stato del 15.06.99, prot. n. 108127 nota del MEF n. 108127/1999, caso di due docenti che si assentano per malattia...
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Data di pubblicazione: 05/02/2025
Le Istruzioni operative sulle azioni di potenziamento delle competenze STEM e multilinguistiche di cui al D.M. 65/2023, pubblicate il 15 novembre 2023 con prot. n. 132935, in merito all’utilizzo dei cosiddetti costi ammissibili riportano sinteticamente che l’importo pari al tasso forfettario del 40% dei costi di personale calcolati tramite UCS vadano finalizzati al rimborso degli altri costi sostenuti per l’organizzazione di ciascun percorso. Lo stesso documento elenca invece nel dettaglio i costi non ammissibili: “costi relativi alle attività di preparazione, monitoraggio, controllo, audit e valutazione, in particolare: studi, analisi, attività di supporto amministrativo alle strutture operative, azioni di informazione e comunicazione, consultazione degli stakeholders, spese legate a reti informatiche destinate all’elaborazione e allo scambio delle informazioni. Non sono, altresì, ammissibili i costi relativi al funzionamento ordinario dell’istituzione scolastica. I costi per l’espletamento di tutte queste attività non possono essere imputati alle risorse del PNRR e, quindi, non possono formare oggetto di rendicontazione all’Unione europea.” Per avere un quadro sull’uso dei costi ammissibili, occorre fare riferimento al documento Chiarimenti e FAQ 20 febbraio 2023, prot. n. 4302 che, pur se riferito alla linea di investimento 1.4 - “Azioni di prevenzione e contrasto della dispersione scolastica” di cui al D.M. n. 170/2022, offre elementi applicabili per analogia ad altre linee del PNRR compresa la 2.1. Infatti, la FAQ n. 9 fornisce, a titolo esemplificativo e non esaustivo, indicazioni su quali siano i costi ammissibili e sulle loro modalità di rendicontazione: - costi indiretti relativi a spese di trasporto degli alunni e studenti partecipanti per l’accesso ai percorsi; - materiale didattico; - altri materiali o beni di consumo necessari per lo svolgimento dei percorsi; - eventuale noleggio di attrezzature necessarie e funzionali allo svolgimento dei percorsi; - altri costi di personale, attività e/o servizi per il rispetto degli obblighi di pubblicità del PNRR; - eventuali spese postali, telefoniche e connettività pro-quota; - attività gestionali di progettazione e tecnico-operative del personale interno coinvolto nella realizzazione del progetto svolte al di fuori dell’orario di servizio e prestate unicamente per lo svolgimento delle azioni strettamente connesse ed essenziali per la realizzazione del progetto finanziato, funzionalmente vincolate all’effettivo raggiungimento di target e milestone di progetto; - attività gestionali di progettazione e tecnico-operative declinabili nelle seguenti funzioni secondo l’organizzazione stabilita da ciascuna scuola per la realizzazione dei percorsi: coordinamento generale del progetto e direzione dei percorsi formativi (es. dirigente scolastico), attività specialistiche di supporto tecnico e organizzativo al RUP (es. DSGA e personale ATA), progettazione didattica e formativa dei percorsi (es. docenti), supporto educativo e/o psico-pedagogico (es. docenti o altre figure specialistiche interne e/o esterne) e attività operative strumentali alla gestione dei percorsi formativi (ad esempio, personale per l’attività di segreteria didattica, la registrazione delle presenze e il rilascio degli attestati, personale tecnico e ausiliario per garantire l’apertura della scuola in orario extracurricolare per lo svolgimento specifico dei percorsi e la tenuta e pulizia degli spazi, personale di assistenza per garantire l’inclusione agli studenti con disabilità, etc.). I costi ammissibili sono dunque destinabili a molteplici finalità e non vengono rendicontati a piè di lista come accade per i costi reali, ma sono calcolati in automatico dalla piattaforma per una quota del 40% sulla base del numero di ore effettivamente registrate e certificate a sistema da ciascuna scuola. L’istituzione scolastica, però, è tenuta a conservarne la relativa documentazione anche in vista di eventuali verifiche anche in loco. Tenuto conto di tali caratteristiche, a parere della redazione l’istituzione scolastica potrebbe implementare con le economie venutesi a creare i percorsi di orientamento e formazione per il potenziamento delle competenze STEM, digitali e di innovazione, finalizzate alla promozione di pari opportunità di genere programmati nell’ambito della Linea di Intervento A. Rientra nella sua autonomia pubblicarne i relativi avvisi e definire nell’ambito degli stessi i compensi riservati al personale interno e/o esterno coinvolto, utilizzando comunque criteri di congruità. Ad ogni buon conto, in assenza di FAQ o di informazioni specifiche sulla questione, si suggerisce caldamente di sottoporla all’attenzione dell’Unità di Missione per il PNRR presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito formulando un apposito quesito.
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Data di pubblicazione: 05/02/2025
È vero, i docenti sono retribuiti per una prestazione di lavoro che comprende attività di insegnamento, quantificate a seconda dell’ordine di studi, e attività funzionali all’insegnamento, quantificate per tutti in 40 + 40 ore annue. Proprio per questo non è possibile sovrapporre le due diverse attività, ed è ancor meno legittimo sospendere le attività d’insegnamento curricolare (anche se con recupero successivo) per permettere ai docenti di partecipare a collegi o a consigli di classe, decisione che rileverebbe una sostanziale lesione del diritto all’insegnamento degli alunni. Che sia così lo conferma anche il comma 11 dell’art. 43, del CCNL di comparto per il triennio 2019/21, nel quale si prevede che l’orario da dedicare all’insegnamento possa anche essere parzialmente o integralmente destinato allo svolgimento di attività per il potenziamento dell’offerta formativa o a quelle organizzative, ma soltanto: “dopo aver assicurato la piena ed integrale copertura dell’orario di insegnamento previsto dagli ordinamenti scolastici…”. Quindi la scuola ha il dovere primario di coprire l’intero arco delle attività curricolari e soltanto dopo può utilizzare il personale dell’organico dell’autonomia per altre finalità, o organizzative o di potenziamento dell’offerta formativa. Per lo stesso motivo prima va garantito l’insegnamento e poi si può trovare spazio alle attività funzionali all’insegnamento. L’art. 43, comma 4, del CCNL di comparto 2029/21, proprio allo scopo di evitare casi di sovrapposizione, prevede che le attività funzionali all’insegnamento vengano accuratamente pianificate, all’inizio dell’anno scolastico, nel Piano annuale delle attività del personale docente. Ma resta sottinteso che il Piano non può interferire con l’insegnamento curricolare, anche se si svolge in ore pomeridiane o riguarda i corsi ad indirizzo musicale della scuola secondaria di primo grado. Si tratta di un complesso lavoro ad incastro, che il dirigente scolastico deve organizzare e gestire, anche avvalendosi della collaborazione del suo staff. Soltanto in casi eccezionali i docenti potranno chiedere di essere esonerati dalle attività funzionali all’insegnamento, non perché impegnati in classe, ma magari perché hanno esaurito il monte-ore obbligatorio previsto dall’art. 44, comma 3, del CCNL già citato.
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Data di pubblicazione: 05/02/2025
Il caso non appare troppo difforme da quello del genitore che chieda di accompagnare il proprio figlio durante i viaggi di istruzione e le uscite didattiche. Anche nel caso in oggetto, infatti, si tratta di autorizzare la presenza di una persona in qualche modo "estranea". Pur trattandosi di un docente della scuola, durante il viaggio questi non sarebbe in servizio, tanto è vero che per poter partecipare usufruisce di appositi permessi. Si ripropone, pertanto, la stessa criticità relativa alla copertura assicurativa del caso del genitore a bordo del mezzo scolastico. Pertanto, è necessario che la scuola accerti con attenzione le condizioni dell'assicurazione dell'agenzia di noleggio del pulmino, in modo da essere certi che copra eventuali infortuni anche nei confronti del passeggero che non fa parte del gruppo. Si deve, infatti, tenere presente che, non essendo in servizio, la docente non avrà copertura da parte dell'INAIL e, molto probabilmente, neanche dall'assicurazione integrativa eventualmente stipulata dalla scuola e alla quale la docente abbia aderito, poiché tali polizze, generalmente, non coprono eventi estranei all'attività lavorativa. In conclusione, si consiglia di consentire l'aggregazione della docente al gruppo sul pulmino esclusivamente dopo aver accertato che l'assicurazione della compagnia di trasporto copra gli eventuali infortuni che possano occorrere alla docente durante il viaggio.
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Data di pubblicazione: 05/02/2025
L’art. 33 comma 3 della legge 104/92 assicura al lavoratore dipendente tre giorni di permesso mensile per assistenza al familiare disabile con connotazione di gravità, il genitore rientra nella platea dei soggetti avente diritto. I giorni mensili per legge sono tre e, questo è il limite massimo, quindi, non è possibile poter usufruire di ulteriori giorni di permesso. Al riguardo si precisa che le giornate sono mensili e, se non utilizzate si perdono e, non è nemmeno possibile usufruire dei giorni di permesso non utilizzati e, eventualmente, accumulati nei mesi precedenti. Quindi, in riposta al quesito, non è possibile usufruire di ulteriori giorni di permesso a tale titolo. Si suggerisce e, in alternativa, di optare se si rispettano i relativi presupposti e vincoli decretati, per la corretta gestione, di richiedere il congedo di cui all’art. 42, comma 5 del D.lgs. 151/2001. In sintesi, questo congedo detto “straordinario” è un periodo di assenza dal lavoro retribuito concesso ai lavoratori dipendenti che assistano familiari con disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104. Il congedo spetta ai lavoratori dipendenti secondo il seguente ordine di priorità: • coniuge convivente o la parte dell’unione civile convivente o il convivente di fatto della persona disabile in situazione di gravità; • padre o madre, anche adottivi o affidatari, della persona disabile in situazione di gravità in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente o della parte dell’unione civile convivente o del convivente di fatto; • figlio convivente della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente o la parte dell’unione civile convivente o il convivente di fatto ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti; • fratello o sorella convivente della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente o la parte dell’unione civile convivente, o il convivente di fatto, entrambi i genitori e i figli conviventi del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti; • parente o affine entro il terzo grado convivente della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente o la parte dell’unione civile convivente, o il convivente di fatto, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli/sorelle conviventi del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti Il beneficio è frazionabile, può essere richiesto: a giorni, a mesi o per anno fino ad un periodo massimo di due anni di congedo nell'arco della vita lavorativa: tale limite è complessivo fra tutti gli aventi diritto per ogni disabile grave. In merito alla cumulabilità dei permessi e del congedo nello stesso mese, la Funzione Pubblica nella circolare n. 1 del 3 febbraio 2012, circolare che detta le indicazioni per una univoca e corretta gestione delle modifiche di cui al D.lgs. 119/2011, alla lettera b) per tutto il comparto del pubblico impiego, scuola compresa, ha modificato una precedente indicazione e, nel merito della cumulabilità nello stesso mese dei due diversi benefici, ha precisato quanto di seguito evidenziato. "Il D.Lgs. n. 119 del 2011 ha modificato il disposto dell'ex comma 5 dell'art. 42 in esame, rivedendo all'attuale comma 5 bis che “i genitori, anche adottivi, possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'art. 33, commi 2 e 3, della l. n. 104 del 1992 e 33, comma 1, del presente decreto”. A seguito della modifica, i genitori possono fruire delle predette agevolazioni (permessi di tre giorni mensili, permessi di due ore al giorno, prolungamento del congedo parentale) anche in maniera cumulata con il congedo straordinario nell'arco dello stesso mese, mentre è precluso il cumulo dei benefici nello stesso giorno. La conclusione vale anche nel caso in cui la fruizione delle agevolazioni avvenga da parte di un solo genitore, che, pertanto, nell'arco dello stesso mese può fruire del congedo ex art. 42, commi 5 ss., D.Lgs. n. 151 del 2001 e dei permessi di cui all'art. 33, commi 2 e 3, della l. n. 104 del 1992 o del prolungamento del congedo parentale. Analogamente, il dipendente che assiste una persona in situazione di handicap grave diversa dal figlio nell'ambito dello stesso mese può fruire del congedo in esame e del permesso di cui all'art. 33, comma 3, della Legge n. 104 del 1992.
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Data di pubblicazione: 05/02/2025
L’iniziativa deve rientrare nell’ambito di un contratto di sponsorizzazione e non di una mera pubblicità, non consentita. Infatti, se è vero che le imprese coinvolte hanno concluso un accordo con il Comune per la installazione dei distributori di acqua, la scuola si giova di questo contributo (tecnico, nel senso che sarà spiegato subito oltre) e il contratto di sponsorizzazione è proprio volto a promuovere – previa corresponsione di un contributo economico o di altra natura – uno specifico messaggio dello sponsor attraverso un’attività realizzata, nel caso di specie, da una istituzione scolastica. Alla luce dell’art. 43 della legge n. 449/1997 e dell’art. 45, comma 2, del D.I. n. 129/2018, la sponsorizzazione deve: - essere sempre finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico; - determinare un risparmio di spesa; - essere esente da conflitti di interesse con l’attività istituzionale della scuola. La sponsorizzazione non può essere conclusa con soggetti le cui finalità ed attività siano in contrasto, anche di fatto, con la funzione educativa della scuola medesima. Secondo l’art. 45, c. 2, lettera b) del D.I. n.129/2018, poi, dovrebbe accordarsi la preferenza a soggetti che, per finalità statutarie, abbiano in concreto dimostrato particolare attenzione e sensibilità nei confronti dei problemi dell’infanzia e dell’adolescenza. In un simile quadro, va tenuto presente che la sponsorizzazione costituisce una sorta di partenariato pubblico – privato, il che presuppone, pur nella distinzione dei ruoli e nel perseguimento dei rispettivi interessi, la finalizzazione del contributo erogato dalla parte privata (che può essere finanziario o tecnico, quando il corrispettivo dato dallo sponsor è costituito dalla fornitura d beni e/o servizi) alla realizzazione di un progetto inserito nel PTOF. Nel caso di specie, la installazione di distributori di acqua da parte delle aziende rende possibile alla istituzione scolastica implementare progettualità e iniziative inserite nell’alveo del curricolo dell’educazione civica. Risulta noto, infatti, che uno degli snodi centrali dello stesso risiede nella sostenibilità (cfr. D.M. n. 183/2024). Tutto ciò consente di distinguere nettamente una simile fattispecie della mera pubblicità, contratto nel quale è assente qualsiasi finalizzazione pubblica del contributo della parte privata, il cui unico scopo consiste quindi nella diffusione e promozione della propria immagine a fronte di un costo. Ovviamente, l’istituzione scolastica deve sottoscrivere un simile contratto in coerenza al regolamento che il consiglio d’istituto è chiamato ad approvare in materia (detto organo collegiale è tenuto infatti a deliberare criteri e limiti di detta attività negoziale: cfr. art. 45, c. 2, lettera b) del D.I. n. 129/2018). Quindi: se il contratto è di mera pubblicità, esso non è ammissibile; è invece possibile stipulare un contratto di sponsorizzazione, in cui la promozione dell’immagine dello sponsor risulta collegata a uno o più progetti della scuola e al contributo che costui ha offerto a simili iniziative. In sostanza, la presenza dei pannelli pubblicitari all'interno della scuola cambia la natura dell'iniziativa e quindi questa va regolamentata coinvolgendo la scuola, perché non è possibile pensare di fare "pubblicità" all'interno dei locali scolastici senza il coinvolgimento della scuola.
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Data di pubblicazione: 05/02/2025
Per rispondere al quesito occorre comprendere chi, all’interno della scuola, può essere incaricato dell’assistenza igienico-sanitaria agli alunni con disabilità. A un simile interrogativo risponde l’art. 54, c. 4, CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 secondo cui: “Tra le risorse destinate al conferimento di incarichi di cui al comma 2 rientrano quelle di cui all’art. 40, comma 1, lett. d) del CCNL 19/04/2018. Esse saranno finalizzate in particolare per l’Area dei Collaboratori per remunerare gli incarichi correlati all’assolvimento dei compiti legati all’assistenza agli alunni - ivi compresi quelli della scuola dell’infanzia e quelli con disabilità - e al primo soccorso. Lo specifico incarico di cui al presente comma è retribuito con un’indennità il cui valore varia sulla base dei criteri definiti in sede di contrattazione collettiva integrativa nazionale tenendo conto del numero di studenti assistiti e delle peculiarità delle attività da svolgere. In tale sede è possibile prevedere che per il personale titolare di posizione economica l’indennità correlata all’incarico di cui al presente comma sia assorbita, in tutto o in parte, fino a concorrenza del valore della posizione economica in godimento. Il presente comma ha effetti sugli incarichi attribuiti successivamente alla definizione del contratto integrativo di cui al presente comma.” Nell’allegato A al CCNL citato, del collaboratore scolastico si afferma inoltre: “Al fine di rendere effettivo il diritto all’inclusione scolastica, presta ausilio materiale non specialistico agli alunni con disabilità nell'accesso dalle Aree esterne alle strutture scolastiche, all’interno e nell'uscita da esse, nonché nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale.” Ulteriori conferme derivano da: - il comma 181, lettera c), n. 8 della legge n. 107/2015 là dove si prevede l’ “obbligo di formazione in servizio per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, rispetto alle specifiche competenze, sull'assistenza di base e sugli aspetti organizzativi ed educativo-relazionali relativi al processo di integrazione scolastica”; - la sentenza della Corte di cassazione, sez. VI penale, n. 22786/2016 secondo cui le mansioni ordinarie dei collaboratori scolastici comprendono “anche l’assistenza materiale nell'uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale degli alunni con disabilità”; - l’art. 3, c. 2, lettera c) del D.Lgs. n. 66/2017 secondo cui “Lo Stato provvede, per il tramite dell'Amministrazione scolastica: […] all'assegnazione, nell'ambito del personale ATA, dei collaboratori scolastici nella scuola statale anche per lo svolgimento dei compiti di assistenza previsti dal profilo professionale, tenendo conto del genere delle bambine e dei bambini, delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti, nell'ambito delle risorse umane disponibili e assegnate a ciascuna istituzione scolastica”; - l’art. 63, c. 1, CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 in base al quale “All’inizio dell’anno scolastico, il DSGA formula una proposta di piano delle attività inerente alla materia del presente articolo, in uno specifico incontro con il personale ATA. Il personale ATA, individuato dal dirigente scolastico anche sulla base delle proposte formulate nel suddetto incontro, partecipa ai lavori delle commissioni o dei comitati per le visite ed i viaggi di istruzione, per l’assistenza agli alunni con disabilità, per la sicurezza, nonché all'elaborazione del PEI ai sensi dell'articolo 7, comma 2, lettera a) del d.lgs. n. 66 del 2017.” Ovviamente, risulta necessario che tali compiti implichino il riconoscimento di un incarico specifico o, in alternativa, un compenso a carico del Fondo d'istituto nell’ambito della contrattazione integrativa di istituto. A meno che il collaboratore scolastico o i collaboratori scolastici incaricati non siano titolari della posizione economica di cui all’art. 7 del CCNL comparto scuola del 2005. Nel qual caso non potranno essere destinatari di ulteriore incarico specifico ex art. 54 CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 almeno fino al prossimo contratto collettivo integrativo nazionale: dovranno, in buona sostanza, garantire comunque le prestazioni di assistenza igienico-sanitaria nei confronti dell’alunno con disabilità. Alla luce dell’impianto normativo e contrattuale fin qui richiamato, si consiglia pertanto di: - verificare se il regolamento di istituto preveda che i collaboratori scolastici partecipino ai viaggi di istruzione proprio in vista della piena integrazione degli alunni con disabilità; - convocare con urgenza il consiglio di istituto per integrare il regolamento stesso, se ciò non è previsto, tenendo presente che una simile convocazione può essere effettuata anche solo con 24 ore di anticipo. Ciò si appalesa utile non soltanto anche in vista di eventuali, ulteriori necessità ma anche per superare eventuali obiezioni che potrebbero essere mosse dal personale coinvolto, garantendo la piena aderenza dell’organizzazione dell’uscita alle disposizioni regolamentari; - richiedere la disponibilità ad accompagnare l’alunno con disabilità nell’uscita innanzitutto ai collaboratori scolastici che prestano servizio nello stesso plesso da lui frequentato, sfruttandone così il patrimonio conoscitivo (non solo dell’alunno in questione ma anche degli altri bambini e dei docenti accompagnatori) e in forza dell’incarico aggiuntivo che sicuramente è stato loro conferito (se non altro per la presenza di un alunno che richiede assistenza igienico-sanitaria); - in seconda battuta, richiedere la disponibilità ai collaboratori in servizio in altri plessi, già destinatari di incarico specifico ovvero titolari di prima posizione economica; - una volta acquisita la disponibilità, procedere – come accade con i docenti – a nominare il collaboratore scolastico quale accompagnatore per l’uscita didattica. Non si ritiene, per contro, che possa individuarsi il collaboratore con semplice disposizione di servizio, a prescindere dalla acquisizione della previa disponibilità, posto che la partecipazione a un viaggio di istruzione implica necessariamente lo svolgimento di lavoro straordinario. Ovviamente, la disponibilità a prestare detta attività sarà tanto più pronta e immediata quanto più nell’istituto risulti pienamente condivisa la cura dell’integrazione scolastica, mediante la previsione della partecipazione del personale ATA – così come previsto dall’art. 63, c. 1 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 – “ai lavori delle commissioni o dei comitati per le visite ed i viaggi di istruzione, per l’assistenza agli alunni con disabilità, per la sicurezza, nonché all'elaborazione del PEI ai sensi dell'articolo 7, comma 2, lettera a) del d.lgs. n. 66 del 2017”.
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Data di pubblicazione: 05/02/2025
In premessa una breve sintesi delle attuali disposizioni. L’articolo 32 del D.lgs. 151/01 prevede che, per ciascun bambino, nei primi suoi dodici anni di vita: - ciascun genitore ha diritto al congedo parentale; a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità, spettano 6 mesi al massimo di congedo parentale, per un periodo continuativo o frazionato; b) al padre lavoratore, a partire dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato, spettano al massimo 6 mesi di congedo parentale, elevabili a 7, qualora lo stesso (padre), fruisca del congedo per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi; c) complessivamente il periodo di congedo fruibile da entrambi i genitori è pari a 10 mesi, elevabili a 11 se il padre fruisce di un periodo, continuativo o frazionato, di almeno 3 mesi di congedo; d) in caso di genitore solo (o nei confronti del quale sia stato disposto l’affidamento unico del figlio), allo stesso spettano 11 mesi di congedo parentale; e) è chiaro che, se un genitore fruisce del congedo per sei mesi, l’altro può fruire del restante previsto periodo. Così ad esempio: se la madre fruisce di 6 mesi di congedo, al padre ne restano 5; f) viceversa, se il padre fruisce di 6 mesi, alla madre ne restano 4. Il congedo parentale in applicazione dell’art. 34 dello stesso D.lgs. è retribuito sino ai 12 anni di vita del bambino, per i primi 9 mesi in relazione alle attuali regole e benefici contrattuali e/o per l’applicazione dei migliori benefici riconosciuti per legge (legge di bilancio 2023-2024-2025): - alla madre, fino al dodicesimo anno di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; - al padre, fino al dodicesimo anno di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; - entrambi i genitori hanno diritto anche a un ulteriore periodo indennizzabile della durata complessiva di 3 mesi, fruibile anche in modalità ripartita tra i genitori, nei limiti individuali del singolo genitore e nel limite di coppia di 9 mesi indennizzabili. - sono indennizzabili anche il decimo e l’undicesimo mese nel caso in cui il reddito personale del richiedente il congedo sia inferiore a 2,5 volte la pensione minima. In caso di parto plurimo, il diritto al congedo parentale spetta, nei predetti limiti, per ogni figlio. In sintesi, i limiti massimi individuali e di entrambi i genitori previsti dall’articolo 32 del T.U. sono fissi e, non vanno confusi con i periodi indennizzabili previsti dall’art. 34. Nel caso specifico come precisato nel quesito, la madre ha già fruito di 6 mesi di congedo parentale, di cui 3 mesi sono indennizzati perché sono i suoi non trasferibili mentre, gli altri 3 mesi sempre indennizzati, sono quelli in comune tra i due genitori. Ne consegue che il padre può fruire di massimo 5 mesi di congedo parentale, di cui solamente 3 mesi ( non trasferibili alla madre) indennizzati mentre, la madre ha già esaurito il suo periodo massimo di 6 mesi previsto dal citato art. 32 quindi, non ha più diritto ad un ulteriore periodo di congedo. Al riguardo, eventualmente, può optare per altra tipologia di assenza quale ad esempio aspettativa per famiglia.
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