Area Tematica: Alunni, alunni portatori di disabilità
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Alunni/disciplina: sanzioni per offese via web
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Siamo un IIS.
In una classe prima, ancora prima dell'attuale lockdown, due allieve hanno pesantemente offeso altre compagne nella chat di classe, unitamente all'uso di parole volgari e paventate minacce per farsi passare i compiti già eseguiti. Queste offese, verificatesi anche talora in ricreazione, un giorno, in durante una lezione in classe con una docente totalmente inesperta, sono arrivate al parossismo, con successive minacce via chat, nemmeno tanto velate, via chat, di non riferire nulla a nessuno, pena passare dei guai, tanto che una mamma è venuta a ritirare per paura sua figlia un giorno prima della fine delle lezioni perchè non si sentiva sicura ed altre hanno scritto lamentando forti difficoltà da parte delle figlie per questa situazione. Le due erano già state riprese a più mandate da coordinatore, docenti e vicepreside.
Nel frattempo sono arrivati screeshot e registrazioni varie da parte di genitori e compagni di classe su tutto questo.
Interrogate tutte le allieve è emerso che le due avevano anche effettuato filmati in classe inserendoli in chat (Tik Tok, Istagram).
Sono state sentite anche le due "incriminate" che a loro dire non avevano fatto nulla. Nè si sono mai scusate, nè prima nè dopo.
Sono stati sentiti anche i loro i genitori (che non hanno compreso la gravità dei fatti).
Il consiglio di classe, sentite le varie testimonianze, allieve vittime e loro genitori e allieve accusate e loro genitori ha optato per una sanzione comprensiva di sospensione consistente (12 gg.) e lavori di studio e riflessione su bullismo e cyberbullismo da riferire in classe, con contatti (ora online) durante la sospensione da parte del coordinatore di classe. Una docente ha anche iniziato in classe un percorso specifico di discussione sull'accaduto e su queste tematiche, senza tuttavia ottenere alcunchè.
La sospensione è stata presa sulla base del Regolamento Generale e del Regolamento di disciplina che comprendono anche "atteggiamenti continuativi di presa in giro (più o meno sottile) e/o pressione psicologica, ancor più se accompagnata da minacce, fisiche e non, nei confronti di compagni più remissivi (bullismo). La gravità è aumentata dalla diffusione via social network di simili atteggiamenti (cyber bullismo), ancor più se accompagnati da foto/video ed espressioni persecutori e lesivi della dignità personale e/o del clima di relazioni positive e collaborative su cui la convivenza scolastica si basa ed alla cui costruzione è finalizzata", “comportamenti (sia durante le attività/lezioni in presenza che durante quelle a distanza che in ambienti esterni alla scuola) che turbino l'ordine e la convivenza scolastici” e le conseguenti fattispecie di comportamenti sanzionabili raccolte nel medesimo Regolamento (“Mancanza di rispetto verso le persone… L’alunno assume comportamenti di disturbo che impediscono o turbano il regolare svolgimento delle attività scolasti-che (in presenza o a distanza), in particolare quelle didattiche; L’alunno utilizza un linguaggio volgare; L’alunno invia e divulga, attraverso smartphone o altri strumenti elettronici, immagini o registrazioni, effettuate all’interno dei locali della scuola senza autorizzazione; L’alunno utilizza parole o frasi offensive nei confronti .....dei compagni e/o delle istituzioni; Come al capo precedente più la diffusione via social network ; L’alunno si comporta in maniera violenta e litigiosa, provocando danni fisici a cose e/ o persone ed elevato allarme sociale nella comunità scolastica, compresi gli atti perpetrati anche all’esterno; L’alunno commette azioni che violano in modo particolare la dignità e il rispetto della persona umana comprese condotte (all’interno e/o all’esterno della scuola) identificabili anche come bullismo e/o cyberbullismo.)
Ora le madri hanno presentato ricorso contro la durata della sospensione a loro dire troppo severa.
Una delle due insiste che la scuola non può centrare nulla con una chat privata, nè tantomeno prenderne visione, anche se trasmessa da altri, i quali a loro volta avrebbero commesso reato di violazione della privacy.
E' corretta questa affermazione?
Queste chat, consegnate da allievi offesi e minacciati e loro genitori sono utilizzabili oppure no come prove?
Grazie e cordiali saluti
Se si è ben compreso, la linea difensiva dei genitori consiste nell’affermazione del diritto di offendere e minacciare terzi all’interno di una chat privata, senza che la vittima abbia la possibilità di dolersene e nemmeno di chiedere aiuto sul presupposto che, altrimenti, violerebbe la privacy dell’aggressore. Tale assunto sembra difficilmente sostenibile. Del resto, in tal modo opinando, il cyberbullismo non sarebbe quasi mai né intercettabile né punibile, posto che esso si manifesta proprio (anche) all’interno di conversazioni pseudo private. Al riguardo si ricorda che la legge n.71/2017, all’art.1, reca la seguente definizione del cyberbullismo: “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d'identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
Le considerazioni che precedono consentono di affrontare l’ulteriore quesito avente ad oggetto la rilevanza disciplinare di fatti commessi sui social, fuori dal tempo scuola e dagli spazi scolastici. Sull’argomento, oltre a richiamare le precedenti consultazioni redazionali rinvenibili nella banca dati, si osserva che, laddove si optasse per circoscrivere la rilevanza disciplinare dei soli fatti occorsi a scuola durante l’orario scolastico, molte –se non tutte- delle finalità della legge n.71/ 2017 resterebbero lettera morta. Con questo, non si vuole certo sostenere che la scuola possa e debba controllare (e punire) qualunque condotta extra scolastica; al contrario, la redazione ritiene che (previa espressa considerazione nell’ambito del codice disciplinare), la scuola possa e debba considerare come rilevanti le condotte (anche se realizzate nei social network) che presentino un qualche collegamento con la comunità scolastica in senso ampio (ossia offensiva di allievi, docenti e personale amministrativo). E ciò anche se i fatti siano commessi in altra sede e fuori dall’orario scolastico.
In questa prospettiva, affinché le sanzioni siano legittime (e possano quindi resistere all’impugnazione innanzi al giudice amministrativo) è necessario che il codice di disciplina descriva in modo adeguato le infrazioni punibili prima che i fatti siano commessi. Fatta questa premessa, è evidente che la legittimità della sanzione dipende dalla corretta individuazione della condotta illecita alla luce del regolamento di disciplina e della scrupolosa osservanza della procedura, a partire dalla contestazione degli addebiti (rappresentata dalla comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e 8 della legge n.241/1990).
In ogni caso, nulla impedisce di raccogliere dichiarazioni testimoniali scritte delle vittime che descrivono le offese e le prevaricazioni subite, anche in via telematica.
Alla luce di quanto precede, la redazione ritiene che il materiale probatorio acquisito dalla scuola, formalmente presentato dalle vittime delle condotte prevaricatorie, ben possa essere utilizzato a fini disciplinari e ciò anche in ragione della natura educativa dell’azione svolta dalla scuola. Ancorché, come sempre, l’apprezzamento del giudice amministrativo non possa darsi per scontato, si tratta comunque di una battaglia meritevole di essere combattuta.
Ad ogni buon conto, i fatti rappresentati non si esauriscono all’interno dei social media, ma sono anche state perpetrate “in presenza”, il che appare più che sufficiente per procedere.
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Sentenza 09/05/2016 n° 9337
Area: Giurisprudenza
In tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori, per superare la presunzione di responsabilità che ex art. 2048 cod. civ., che grava sull'insegnante per il fatto illecito dell'allievo, non è sufficiente la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l'inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale. Tali misure devono, peraltro, essere commisurate all'età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto, essendo evidente che la sorveglianza dei minori dovrà essere tanto più efficace e continuativa quando si tratti di fanciulli in tenera età. Non costituiscono idonee misure organizzative, in relazione allo stato dei luoghi, connotato dalla presenza di un manufatto suscettibile di ostacolare la piena e totale visibilità dello spazio da controllare, la mera presenza delle insegnanti in loco, se non dislocate in prossimità del manufatto in questione, e l'avere le medesime impartito agli alunni la generica raccomandazione "di non correre troppo durante la ricreazione", se non accompagnata dall'adozione di interventi corretti immediati, diretti a prevenire e ad evitare il verificarsi di eventi dannosi.
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Sentenza 22/06/2017 n° 1955
Area: Giurisprudenza
Sussiste la responsabilità della scuola per omessa vigilanza ex art. 2048 c.c. per il danno causato ad un allievo, all’epoca quattordicenne, a seguito della pubblicazione su Facebook di video, girati con il cellulare da alcuni compagni di classe all’interno della scuola e commentati sul social network con frasi di scherno, nei quali la vittima era ritratta in situazioni di disagio e al centro di “scherzi” finalizzati a metterla in ridicolo per le sue caratteristiche fisiche e il suo carattere. (Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto non fornita la prova liberatoria da parte della Amministrazione, per non avere dimostrato l’esistenza di un’attività di vigilanza nei momenti precedenti l’inizio delle lezioni e tra una lezione e l’altra allorquando i video erano stati realizzati né che i ragazzi fossero stati adeguatamente ammoniti circa i comportamenti da non assumere reciprocamente all’interno della scuola, nella considerazione, peraltro, che condotte del tipo di quelle realizzate erano assolutamente prevedibili ed era notorio che la diffusione tra i ragazzi in età pre-adolescenziale di strumenti atti alla ripresa visiva e sonora potesse produrre comportamenti pregiudizievoli nei confronti dei coetanei).
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Sentenza 21/06/2012 n° 20813
Area: Giurisprudenza
La responsabilità del precettore ai sensi dell'art. 2048 c.c. per danni cagionati dai fatti illeciti dei soggetti sotto la sua vigilanza è esclusa solamente se il medesimo provi, ai sensi del comma terzo, di non aver potuto impedire il fatto: mentre all'attore-danneggiato compete di provare solamente la riferibilità del danno alla condotta dei soggetti sottoposti alla vigilanza, l'onere probatorio della parte convenuta, al fine di liberarsi della presunzione della sua responsabilità, non si esaurisce nella dimostrazione di non aver potuto impedire quel singolo fatto, ma si estende alla dimostrazione di aver adottato, in via preventiva, le misure organizzative idonee ad evitare una situazione di pericolo, nonché alla prova dell'imprevedibilità e repentinità, in concreto, dell'azione dannosa. Ove siano state prese tutte le cautele necessarie per lo svolgimento dell'attività sciistica in sicurezza, non è imputabile a colpa del docente l'infortunio avvenuto a un allievo che (trovandosi in settimana bianca con la scuola, accompagnato dagli insegnanti e insieme ai compagni) incorreva in una caduta mentre sciava, per evitare di scontrarsi con un altro alunno che, troavandosi davanti, aveva rallentato.
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Sentenza 10/10/2016 n° 42771
Area: Giurisprudenza
La missiva a contenuto diffamatorio diretta ad una pluralità di destinatari non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, ma quello di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa. Non è invocabile l’esimente di cui all’art. 598 c.p. nell’ipotesi in cui le espressioni denigratorie, rivolte nei confronti di una docente a seguito di un sinistro stradale causato dall’imputata, siano contenute in una lettera, indirizzata dall’imputata stessa all’istituto scolastico e alla compagnia assicuratrice nell’ambito della procedura di risarcimento danni, al fine di offrire la propria ricostruzione dei fatti. Tale esimente, applicazione del più generale principio di cui all’art. 51 c.p. e riconducibile al diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., secondo la quale non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunziati dalle parti o dai loro patrocinatori innanzi alla autorità giudiziaria, non è applicabile al caso di specie in quanto l’istituto scolastico è intervenuto quale parte in causa, e non come autorità amministrativa, così come parte in causa è la compagnia assicuratrice, la quale, società di diritto privato, è certamente priva di qualsivoglia funzione amministrativa.
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Sentenza 02/11/2016 n° 800
Area: Giurisprudenza
Le valutazioni del Consiglio di classe relativamente alla promozione di un alunno costituiscono espressione di un giudizio di discrezionalità tecnica che spetta in via esclusiva a tale organo collegiale. Tale giudizio non è sindacabile in sede giurisdizionale dal giudice amministrativo se non nei ristretti limiti del difetto di motivazione, della carenza d’istruttoria e dell’illogicità manifesta. Ciò può accadere nelle ipotesi limite caratterizzate da situazioni di fatto controverse e contraddittorie oppure da circostanze del tutto peculiari. (Nel caso esaminato dalla sentenza la situazione di fatto è stata ritenuta “già di per sé esplicativa”, essendo i fatti chiari. Precisamente un alunno minore frequentante la III classe di un Istituto Comprensivo non è stato ammesso a sostenere l’esame di Stato avendo ottenuto il voto di 5 in “comportamento” nel secondo quadrimestre, per aver commesso atti vandalici cagionando danni ingenti alla scuola al di fuori dell’orario delle lezioni. Precisamente, erano stati asportati oggetti e materiali didattici e i locali della scuola erano stati resi inagibili, con spargimento del liquido contenuto negli estintori sui pavimenti e sugli arredi. I Giudici hanno ritenuto che nel caso il voto di condotta fosse pienamente giustificato e che non fosse necessaria alcuna particolare motivazione a sostengo dei provvedimenti assunti dalla scuola. Infatti, è vero che la determinazione del giudizio complessivo circa la condotta dello studente è soggetta ad una valutazione che deve tenere conto della personalità complessiva dell’alunno e del suo generale modo di rapportarsi ad insegnanti e compagni per trarne conclusioni ben ponderate sulla maturità complessiva della persona e sulla sua capacità di interazione con l’ambiente circostante; ma è altrettanto vero che l’assoluta gravità di singoli episodi può condizionare il giudizio negativamente, come nel caso in esame).
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Sentenza 10/10/2007 n° 9926
Area: Giurisprudenza
L’alunno di scuola primaria disabile grave, per meglio vivere la quotidianità della scuola, ha diritto ad usufruire di un Assistente Educativo Comunale (AEC) qualificato e preparato per aiutare il minore ad incrementare il proprio apprendimento, di un insegnante di sostegno e di un assistente all’igiene di competenza del Ministero. Egli, inoltre, ha diritto di essere l’unico alunno disabile della classe, ai sensi dell’art. 10 DM 141/99 in quanto la normativa consente la presenza di più disabili nella stessa classe eccezionalmente quando si tratti di disabili lievi. Peraltro, in presenza di più disabili nella stessa classe il numero di studenti non può superare le 20 unità, salvo per le classi intermedie ricorrano esigenze di continuità didattica che giustifichino gli sforamenti. (Fattispecie in cui un alunno di scuola elementare con diagnosi di autismo grave era stato inserito in una classe di 22 alunni nella quale era presente un altro allievo disabile lieve.)
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Sentenza 28/10/2010 n° 4459
Area: Giurisprudenza
Ferma la discrezionalità dell’amministrazione scolastica nel valutare l’opportunità di irrogare una certa sanzione, il cinque in condotta assegnato nello scrutinio finale è motivato dal fondato giudizio di “allarme sociale” espresso sul comportamento dello studente. Né su tale valutazione può incidere la circostanza che, all’epoca della commissione dei fatti, nessun adulto fosse presente, in quanto ciò non può comportare un trasferimento di responsabilità in capo alla scuola per un’eventuale omessa vigilanza e, comunque, non esclude che la responsabilità del discente sia stata accertata mediante un’adeguata istruttoria. Peraltro, a tale ultimo proposito, lo studente ricorrente nei propri scritti non ha mai negato la propria partecipazione ai fatti addebitatigli, con ciò affievolendo l’onere probatorio della scuola, che, dunque, può ritenersi soddisfatto pur in mancanza di una testimonianza di una persona adulta. (I fatti di causa riguardano un episodio di danneggiamento avvenuto all’interno della scuola durante l’ultimo giorno di lezioni. Il Giudice amministrativo sottolinea tale circostanza per affermare che il provvedimento in questione è stato emanato anche in considerazione dell’impossibilità di esperire interventi per un reinserimento responsabile e tempestivo dello studente nella comunità prima del termine dell’anno scolastico e sottolinea che, nel caso di specie, il giudizio di “allarme sociale” espresso sul comportamento dello studente si fonda sulla eloquente documentazione fotografica, sulla mancata smentita della partecipazione ai fatti dello studente, già reo confesso di precedenti atti di danneggiamento, e sul comportamento complessivo tenuto dallo studente stesso, più volte destinatario di richiami nel corso dell’anno scolastico.)
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Sentenza 15/05/2013 n° 11751
Area: Giurisprudenza
In caso di infortunio scolastico occorso ad alunno maggiore d’età, permane la responsabilità della scuola, ma trova applicazione la disposizione di cui all’art. 1218 cod. civ. sulla responsabilità contrattuale per inadempimento e non quella di cui all’art. 2048 cod. civ. sulla responsabilità extracontrattuale dei precettori, applicabile soltanto all’ipotesi di alunni minori d’età. Infatti, la domanda e l'accoglimento di iscrizione alla frequenza di una scuola - nella specie statale - fondano un vincolo giuridico tra l'allievo e l'istituto. Da tale vincolo scaturisce, a carico dei dipendenti dell'istituto, appartenenti all'apparato organizzativo dello Stato, accanto all'obbligo principale di istruire ed educare, quello accessorio di proteggere e vigilare sull'incolumità fisica e sulla sicurezza degli allievi, sia per fatto proprio, adottando tutte le precauzioni del caso, che di terzi, fornendo le relative indicazioni ed impartendo le conseguenti prescrizioni. Questi obblighi sono da adempiere, per il tempo in cui gli allievi fruiscono della prestazione scolastica, con la diligenza esigibile dallo status professionale rivestito, sulla cui competenza e conseguente prudenza costoro hanno fatto affidamento, anche quali educatori e precettori del comportamento civile e della solidarietà sociale, valori costituzionalmente protetti, e da inculcare senza il limite del raggiungimento della maggiore età dell'allievo. (Nella fattispecie concreta, una studentessa maggiorenne subiva gravi danni da ustione in occasione di una recita scolastica a causa delle fiamme derivate da un incendio appiccato da un compagno al vestito della compagna vicina, che la prima ha cercato di soccorrere rimanendo ustionata nel tentativo di spegnere le fiamme. La scuola è stata ritenuta responsabile non avendo dimostrato di aver adottato tutti i provvedimenti organizzativi, informativi e disciplinari idonei a garantire la sicurezza nella scuola, a fronte di un evento che la Corte ha ritenuto non imprevedibile “stante la pericolosità del costume elevatamente infiammabile”. Era infatti risultato accertato che gli abiti utilizzati nella recita erano infiammabili, che mancavano gli estintori nei luoghi adiacenti e che era mancato il primo intervento da parte degli ausiliari).
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Sentenza 20/09/2012 n° 3900
Area: Giurisprudenza
L’assegnazione del voto di 5 in condotta e la conseguente non ammissione alla classe successiva possono scaturire a seguito di attenta meditazione da parte del Consiglio di Classe e solo in presenza di comportamenti di particolare ed oggettiva gravità, riconducibili alle fattispecie per le quali lo Statuto delle studentesse e degli studenti nonché i regolamenti di istituto prevedano l’irrogazione di sanzioni disciplinari comportanti l’allontanamento dalla comunità scolastica per un periodo superiore ai 15 giorni. Nel caso di specie, benchè il comportamento dell’allieva sanzionata sia stato grave e censurabile, la sanzione irrogata è consistita nell’allontanamento dalla comunità scolastica per un periodo di 15 giorni, e non superiore. La sanzione, pertanto, risulta essere stata inflitta in modo illegittimo. (La vicenda trae origine dalla pubblicazione, in un gruppo creato sul social network Facebook, di frasi ingiuriose ed irrispettose nei confronti del Dirigente Scolastico, riconducibili all’identità dell’allieva sanzionata. Ne seguiva un procedimento disciplinare ove l’alunna si dichiarava estranea ai fatti e all’esito del quale veniva deliberata la sanzione della sospensione per 15 giorni. Nonostante la “ritrattazione” e una successiva lettera di scuse alla Dirigente, la sanzione veniva comunque inflitta ed il reclamo avverso di essa, proposto all’organo di garanzia, respinto. Il Giudice amministrativo, nell’annullare i provvedimenti impugnati per le ragioni sopra esposte, ha, invece, rigettato la domanda risarcitoria per mancanza di prova del danno subito e nella considerazione dell’immediato accoglimento della domanda cautelare proposta dalla ricorrente.)
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#studenti: azione disciplinare#meditazione #diaz #asseritamene
Sentenza 04/10/2013 n° 22752
Area: Giurisprudenza
La scuola è tenuta a predisporre tutti gli accorgimenti necessari al fine di prevenire il verificarsi di infortuni, sia all'interno dell'edificio che nelle pertinenze scolastiche, di cui abbia a qualsiasi titolo la custodia, messe a disposizione per l'esecuzione della propria. Pertanto, tale obbligo di vigilanza trova applicazione anche con riferimento al cortile antistante l'edificio scolastico, del quale la scuola abbia la disponibilità e ove venga consentito il regolamentato accesso e lo stazionamento degli utenti, e in particolare degli alunni, prima di entrarvi (come accertato nel caso in esame, essendo l'ingresso dotato di cancello la cui apertura e chiusura veniva effettuata dal personale della scuola). Gli obblighi di vigilanza trovano applicazione non solo al fine di prevenire danni cagionati dagli alunni ad altri soggetti, ma anche al fine di prevenire danni che l’alunno possa cagionare a sé stesso (c.d. autolesioni), in quanto l'accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell'allievo a scuola, determina l'instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge a carico della scuola l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo per il tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica, in tutte le sue espressioni. In tal caso la responsabilità della scuola avrà natura contrattuale ai sensi dell'art. 1218 cod. civ. Nel caso di specie una minore, all’interno del piazzale antistante la scuola elementare (del quale erano già stati aperti i cancelli), cadeva da un muretto in un’area sottostante seminterrata riportando lesioni.
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Sentenza 27/04/2017 n° 28623
Area: Giurisprudenza
Ai fini della contestazione del reato di stalking, di cui all' art. 612 -bis c.p.- che ha natura di reato abituale -, non si richiede che il capo di imputazione rechi la precisa indicazione del luogo e della data di ogni singolo episodio nel quale si sia concretato il compimento di atti persecutori, essendo sufficiente la descrizione in sequenza dei comportamenti tenuti, la loro collocazione temporale di massima e gli effetti derivatine alla persona offesa. Ciò premesso, è configurabile il reato di atti persecutori ( stalking) anche in caso di episodi di bullismo consistenti in aggressioni fisiche e molestie. In questa fattispecie, la prova della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. (Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha confermato le condanne inflitte a quattro studenti di scuola secondaria di secondo grado che, all'epoca dei fatti minorenni, si erano resi autori di aggressioni fisiche e molestie nei confronti di un loro compagno inducendolo, conseguentemente, a cambiare istituto. In merito al verificarsi dell'evento del reato la Cassazione non ha riscontrato alcuna illogicità nelle conclusioni della Corte di Appello, che ha ricordato un brano estremamente significativo della deposizione dello studente offeso il quale aveva riferito che, ormai succube della violenza, dopo un'iniziale tentativo di ribellione, era stato costretto accettare condotte di sopraffazione "per evitare altre botte". Nè il fatto che lo studente abbia continuato a frequentare la scuola, nonostante il timore di ulteriori molestie,come anche l'assenza di iniziali denunce e di certificati medici, è privo di decisività, alla luce dello stato di soggezione psicologica che va altresì inquadrato nel clima di connivenza ed insipienza di quanti, dovendo vigilare sul funzionamento dell'istituzione, non si accorsero di nulla).
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Sentenza 03/04/2014 n° 15367
Area: Giurisprudenza
L'insegnante di scuola media riveste la qualifica di pubblico ufficiale in quanto l'esercizio delle sue funzioni non è circoscritto alla tenuta delle lezioni, ma si estende alle connesse attività preparatorie, contestuali e successive, ivi compresi gli incontri con i genitori degli allievi. (Fattispecie in cui la Corte ha qualificato come oltraggio a pubblico ufficiale e non come ingiurie le offese pronunciate all'interno dell'edificio scolastico dal genitore di un alunno nei confronti di un docente di scuola media). CED Corte di Cassazione: massima ufficiale
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Ordinanza 04/12/2017
Area: Giurisprudenza
Non è discriminatoria, ma è anzi conforme a legge, l’esclusione dai servizi educativi per la prima infanzia del minore, i cui genitori, all’atto dell’iscrizione, non avevano prodotto l’attestazione dell’adempimento all’obbligo vaccinale o dell’impegno ad adempiervi. Infatti, il dettato normativo del d.l. 73/2017 (convertito in L. 119/2017), passato indenne al vaglio della Consulta, non lascia margini di discrezionalità agli enti interessati circa le modalità ed i criteri di accesso dei bambini alle scuole in relazione all’obbligo vaccinale e trova giustificazione nella legittima finalità di assicurare la più ampia copertura vaccinale nei servizi educativi in funzione dell’adempimento del generale dovere di solidarietà sociale, nel rispetto del diritto alla salute nella sua dimensione solidaristica. (La presente pronuncia è resa con riguardo al caso di una bambina, cui era stata negata l’iscrizione a due nidi d’infanzia, poiché i genitori avevano esercitato l’obiezione di coscienza alle vaccinazioni obbligatorie. Il Tribunale esclude, innanzitutto, profili di incostituzionalità delle norme di riferimento nonché la possibilità di disapplicare le norme stesse, e, nel contemperare gli interessi in gioco, reputa del tutto proporzionato il sacrificio di una convinzione personale a fronte dell’esigenza di tutela di valori superiori, quali la salute collettiva. In particolare, si esclude che il diverso trattamento, ai fini dell’accesso a scuola, fra bambini vaccinati e non vaccinati sia discriminatorio, in quanto esso è imposto da una norma cogente avente la finalità legittima di assicurare la più ampia copertura vaccinale, anche nell’ottica di tutelare i soggetti più deboli (per età o condizioni fisiche) attraverso la cd “immunità di gregge”.)
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Sentenza 13/06/2018 n° 1494
Area: Giurisprudenza
Nella irrogazione delle sanzioni disciplinari a carico degli studenti, la scuola deve rispettare l’art. 4, terzo comma, del d.P.R. 24 giugno 1998, n. 249 (Regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria) che stabilisce espressamente che "Nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni". E' pertanto illegittima l'irrogazione della sanzione disciplinare dell'ammonizione scritta irrogata senza avere la scuola previamente inviato all’interessata alcuna contestazione degli addebiti e non avendo, a maggior ragione, provveduto ad acquisire, nel corso del procedimento, le ragioni dell’incolpata. (Nel caso di specie, si trattava di ammonizione scritta correlata nel Regolamento di disciplina della scuola all'uso di telefoni cellulari, registratori e riproduttori audio-video o attrezzature informatiche in assenza di autorizzazione del docente. Evidenzia il T.A.R: "Va poi osservato, da un punto di vista sostanziale, che la sanzione è stata applicata in quanto l’alunna è risultata essere protagonista di un breve filmato, poi postato sui social network. Come osservato in sede cautelare, l’Amministrazione ha però omesso di accertare se la ricorrente fosse consenziente all’effettuazione delle riprese ed alla successiva pubblicazione del video. Elementi questi che avrebbero dovuto e potuto essere accertati acquisendo innanzitutto, in sede procedimentale, una ricostruzione dei fatti dalla diretta interessata. E’ pertanto opinione del Collegio che l’omessa attivazione delle garanzia partecipative non sia risolta in una violazione meramente formale, ma abbia anche determinato una insufficiente ricostruzione fattuale della vicenda, ciò che costituisce una ulteriore causa di illegittimità del provvedimento sanzionatorio avversato". La sentenza, come la coeva sentenza del T.A.R. Lazio n. 6557/2018##798L, consente di confermare che i principi generali del procedimento amministrativo di cui alla L. n. 241/1990 - obbligo di contraddittorio procedimentale e obbligo di motivazione- valgono anche per l'azione disciplinare nei confronti degli studenti, in quanto azione di natura amministrativa).
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Sentenza 07/10/2009 n° 629
Area: Giurisprudenza
Il voto nelle singole materie esprime un giudizio didattico, di tipo oggettivo, in quanto relativo al grado di apprendimento e, pertanto, deve essere giustificato e motivato alla luce dell’avvenuta acquisizione delle nozioni previste dai programmi (alla stregua dei principi generali in tema di motivazione di un atto amministrativo). Al contrario, il voto in condotta esprime un giudizio dell’Autorità scolastica di tipo soggettivo, in quanto legato ad aspetti primariamente formativi ed educativi degli allievi, concernenti la maturità della persona, la sua capacità di interagire con l’ambiente ed il suo livello di inserimento nel sistema di valori della società e del vivere civile, non solo nel momento attuale, ma in un’ottica prospettica. Ne consegue, sul piano giuridico della disciplina dell’istituto, che la sufficienza in condotta può essere più latamente motivata e può trovare legittimo fondamento in un apprezzamento maggiormente valutativo e discrezionale, anche basato su un singolo episodio che riveli, nel contesto complessivo della situazione, un’indole negativa da correggere. Sul piano formativo, della finalità dell’istituto, ne deriva, invece, l’impegno della comunità scolastica a porre in essere idonei programmi e strumenti per trasformare la sufficienza in voto pieno. E’ legittima, quindi, la valutazione della sufficienza in condotta anche a seguito di un unico episodio di esuberanza tra compagni, qualora l’episodio in questione riveli un più radicato atteggiamento vessatorio, idoneo a generare un ambiente ostile per taluno dei compagni di classe, secondo il prudente apprezzamento dell’Autorità scolastica, la quale è responsabile sia della valutazione educativa e pedagogica della rilevanza dei fatti, sia della conseguente e doverosa azione educativa per correggere gli squilibri che l’hanno generata. (Nel caso di specie ad uno studente era stato assegnato un 6 in condotta a seguito di un unico episodio, consistente nell’aver lanciato cori di scherno nei confronti di un compagno durante una gita scolastica, cui era seguita la pubblicazione di foto e video su internet. Peraltro, sebbene anche altri allievi avessero preso parte ai cori, l’Autorità scolastica aveva applicato tale votazione al solo studente che ebbe un ruolo attivo nel lanciare i cori, ritenendo di dover distinguere le posizioni. Anche sotto tale profilo il Tribunale Amministrativo ha ritenuto legittima la decisione assunta, in quanto, diversamente, la sufficienza in condotta avrebbe perso le proprie finalità educative. Né è stato dato rilievo al fatto che il Consiglio di Classe decise di applicare il sei in condotta non in base alle indicazioni assunte ad inizio anno, ma in base a una decisione stabilita sul momento, in quanto, precisa il Giudice Amministrativo, una simile mancanza non può paralizzare il potere-dovere dell’Autorità scolastica di esprimere le valutazioni di propria competenza, essendo sufficiente l’indicazione dei criteri di riferimento prima della votazione, in modo da renderne palesi contenuto e finalità. Sulla illegittimità del voto negativo in condotta attribuito non in base al comportamento complessivamente osservato dallo studente nel corso dell’anno, ma in virtù di un unico episodio anche se riprovevole si veda Tar Calabria, Catanzaro, sez. II sent. n. 1936/2007)
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Sentenza 20/04/2018 n° 17913
Area: Giurisprudenza
In un collegio perfetto tutti debbono poter esprimere le proprie valutazioni, senza che nessuno si assenti. In sede di consiglio di docenti l'esigenza della partecipazione riguarda il contributo specifico del singolo professore nella disciplina di competenza, che altrimenti verrebbe a mancare. Pertanto, un conto è l'impossibilità di omettere il voto di matematica o italiano, laddove l'unico a poterlo esprimere è l'insegnante di quella materia; ben altro è il voto concernente la condotta dello studente, su cui tutti possono interloquire senza pretese di esclusività. Ne consegue, in ordine alla configurabilità del delitto di abuso d'ufficio, l'obbligo di astensione di un docente allorchè il medesimo non rilevi semplicemente come membro di un organo collegiale perfetto, tale da poter assumere atti formali alla necessaria presenza di tutti i suoi componenti, ma anche come membro che sapeva di essere sottoposto a procedimenti disciplinari, od almeno immaginava a ragion veduta che ciò sarebbe inevitabilmente accaduto di lì a poco. (La fattispecie oggetto della Sentenza concerne il procedimento inerente un docente di disegno di liceo artistico aduso a comportamenti con allusioni sessuali nei confronti delle alunne, fino ad avere egli stesso tratteggiato il profilo di un fallo a mo' di commento sul disegno di una ragazza Il suddetto episodio aveva portato non solo alla denuncia penale, ma anche all'apertura del procedimento disciplinare nei confronti del docente il quale, successivamente, aveva omesso di astenersi in occasione degli scrutini del primo quadrimestre proponendo nella circostanza di assegnare la votazione di "6" in condotta a una diversa allieva che, sul foglio del suddetto disegno, aveva scritto l'epiteto di "pervertito" rivolto a lui. All'esito della discussione, tuttavia, alla studentessa il Consiglio dava la votazione di 7 in condotta. Ad avviso della Cassazione si configura il reato di tentativo di abuso d'ufficio nella condotta del docente non già perchè, quale protagonista di un episodio suscettibile di valutazione nei riguardi di una studentessa, egli non potesse dire la propria, al limite per riferirne doverosamente ai colleghi; ma, appunto in relazione alla specifica iniziativa da lui intrapresa in occasione degli scrutini con tanto di proposta di un inusitato e certamente rarissimo "6" in condotta, perchè l'obiettivo era quello di strumentalizzare l'operato del consiglio, al fine di ottenere un deliberato utile alle sue ragioni; tentativo poi non riuscito perche il Collegio si è espresso in maniera difforme rispetto alla sua proposta).
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Sentenza 19/10/2017 n° 792
Area: Giurisprudenza
E’ legittimo il verbale dello scrutinio di un Istituto scolastico, nella parte in cui si è deliberata l’ammissione un’alunna alla classe successiva (nella specie, alla seconda elementare), a nulla rilevando che i genitori abbiano chiesto la sua bocciatura sulla base di alcuni pareri di professionisti privati, che avevano in osservazione la bambina da non più di due mesi. Infatti la scuola, in presenza di alunni della scuola primaria con livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione, attiva, di regola, specifiche strategie di miglioramento nell’ambito dell’autonomia didattica ed organizzativa riconosciutale, e solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione, i docenti, con decisione presa all’unanimità, possono decidere di non ammettere l’alunno alla classe successiva. (Nel caso in esame, pur in assenza di una certificazione medica proveniente da centri specialistici pubblici o accreditati -che la famiglia aveva ottenuto soltanto al termine delle lezioni e dopo il giudizio di ammissione- la scuola, a fronte delle difficoltà della bambina riscontrate nel corso dell’anno, ha individuato quest’ultima come alunna con bisogni educativi speciali (BES), redigendo un Piano didattico personalizzato (PDP) concordato con la famiglia, in cui sono state individuate misure dispensative e compensative volte a favorire l’apprendimento e il raggiungimento degli obiettivi programmati, conformemente a quanto stabilito dalla normativa di riferimento (in particolare, DPR n. 275 del 1999, legge n. 244 del 2010 e d.lgs. n. 62 del 2017). Il legislatore, quindi, da un lato, sottolinea la natura discrezionale delle scelte e delle valutazioni operate dalla scuola, anche in merito alle strategie da approntare, dall’altro, evidenzia la mera eventualità, peraltro giustificata dall’eccezionalità del caso e da comprovati motivi, della decisione di non ammissione. Nella fattispecie concreta, si è pertanto affermato che la scuola non è comunque tenuta ad uniformarsi al consiglio degli specialisti, essendo piuttosto vincolata alle strategie e agli obiettivi fissati nel PDP, come peraltro stabilito dall’art. 3 del d.lgs. n. 62 del 2017; né può dirsi che nella specie il giudizio di ammissione non fosse stato motivato, essendo la motivazione contenuta nel documento di valutazione relativo all’alunna - in cui si fa riferimento al parziale raggiungimento degli obiettivi programmati (ossia non quelli generali, bensì quelli personali specificamente individuati) e al legame costruito dalla minore con alcuni compagni e con le insegnanti - oltre che desumibile per relationem dai diversi atti adottati nel corso dell’intero anno scolastico e riguardanti l’alunna in parola (verbali, relazioni, piani, ecc.).
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Sentenza 09/01/2017 n° 209
Area: Giurisprudenza
A seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici, essendo divenuto inapplicabile l'art. 117 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (cfr. allegato a, sub VI, "Scuola", del d.lgs. n. 165 del 2001), che stabiliva il divieto di avvio di un procedimento disciplinare in pendenza di quello penale, all'amministrazione è data facoltà in ogni tempo di scegliere se avviare il procedimento disciplinare o attendere l'esito del giudizio penale (v., Cass., n. 9458 del 2009). Nella vigenza del regime di pubblico impiego "privatizzato" la regola è costituita dalla possibilità -e non più dall'obbligo- di attendere l'esito del processo penale in ordine all'accertamento dei fatti prima di avviare il procedimento disciplinare, così come è facoltà dell'Amministrazione sospendere il procedimento già avviato in attesa dell'esito del giudizio penale: una volta optato per l'attesa dell'esito definitivo, la fattispecie resta regolata dalla stessa disciplina contrattuale per tutta la durata del procedimento, senza che possa incidere sulla situazione così determinatasi il sopravvenire delle nuove regole introdotte dal d.lgs. 150 del 2009, che non prevedono una disciplina transitoria. Ne segue che deve trovare applicazione il generale principio per cui i procedimenti sono regolati dalla normativa del tempo in cui gli atti sono posti in essere, non esclusa, ovviamente, quella che consentiva di differire la contestazione disciplinare all'esito del giudizio penale (cfr. Cass. n. 21032 del 2006). La disciplina procedurale dettata dal d.lgs. 150 del 2009, che, all'art. 55-ter (rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale), ha definitivamente soppresso la regola della pregiudizialità penale in favore di quella della autonomia dei due procedimenti, prevedendo che il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, "è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale" si applica a tutti i fatti disciplinarmente rilevanti per i quali la notizia dell'infrazione sia acquisita dagli organi dell'azione disciplinare dopo l'entrata in vigore della riforma, ossia dal 16 novembre 2009 e restano regolati dalla disciplina previgente al d.lgs. n. 150 del 2009 i casi in cui la notizia dell'infrazione è stata acquisita anteriormente. In tema di licenziamento per giusta causa, anche in materia di pubblico impiego contrattualizzato è da escludere qualunque sorta di automatismo a seguito dell'accertamento dell'illecito disciplinare, sussistendo l'obbligo per il giudice di valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, e, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta (In applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la legittimità del licenziamento in presenza di fatti specificamente indicati connotati da grave disvalore disciplinare morale e sociale, tale da non potersi ipotizzabire l'eventuale futuro affidamento di minori per finalità di istruzione, educazione, vigilanza e custodia).
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Sentenza 15/02/2012 n° 5935
Area: Giurisprudenza
Non sussistono i presupposti per l'applicabilità a titolo putativo della causa di giustificazione dell'adempimento di un dovere (art. 51 cod. pen.), qualora i genitori di un minore indirizzino alle Autorità scolastiche - nella specie al dirigente della scuola elementare ed al provveditore agli studi - due lettere con cui affermino falsamente che il proprio figlio è umiliato e ripetutamente percosso ad opera di un insegnante, omettendo la verifica in ordine alla veridicità dei fatti riferiti dal minore, considerato che l'operatività della predetta esimente putativa presuppone un errore incolpevole sulla verità dei fatti, non configurabile in assenza di un preventivo vaglio del racconto riferito dal minore. Inoltre, nessuna giustificazione, in quanto esulante dai compiti di salvaguardia del minore, può avere la pubblicazione, su interessamento degli stessi genitori, di detta notizia su un quotidiano di rilevante diffusione. (CED Corte Cassazione: massima ufficiale)
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Sentenza 21/02/2003 n° 2657
Area: Giurisprudenza
In tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori, per superare la presunzione di responsabilità che ex art. 2048 cod. civ. grava sull'insegnante per il fatto illecito dell'allievo, non è sufficiente la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo, dopo l'inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure organizzative o disciplinari idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole all’insorgere di detta serie causale. Nel caso in esame, uno scolaro, rientrando in ritardo, con altri compagni, dal bagno, dove l'intera classe di quarta elementare, sul finire delle lezioni, si era recata per lavarsi le mani, chiuse con violenza la porta alle sue spalle, imprigionando tra i battenti la mano dell’infortunato. Nel caso in esame, l’insegnante non ha dimostrato di aver posto in essere, in precedenza, tutte le cautele dettate dalle circostanze e dall'età degli allievi per scongiurare l'insorgenza del pericolo (per es., evitando il frazionamento degli scolari e accompagnandoli, tutti insieme, dai bagni fino in classe), elemento sufficiente a fondare la responsabilità presunta.
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n° 314
Area: Normativa
1. È garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna e nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.
2. L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione.
3. L'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap.
4. All'individuazione dell'alunno come persona handicappata ed all'acquisizione della documentazione risultante dalla diagnosi funzionale fa seguito un profilo dinamico-funzionale, ai fini della formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori della persona handicappata, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale docente specializzato della scuola con la partecipazione del docente operatore psico-pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal Ministro della pubblica istruzione. Il profilo indica le caratteristiche fisiche, psichiche, sociali ed affettive dell'alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona handicappata.
5. Alla elaborazione del profilo dinamico-funzionale iniziale seguono, con il concorso degli operatori delle unità sanitarie locali, della scuola e delle famiglie, verifiche per controllare gli effetti dei diversi interventi e l'influenza esercitata dall'ambiente scolastico.
6. I compiti attribuiti alle unità sanitarie locali dai commi 4 e 5 sono svolti secondo le modalità indicate con apposito atto di indirizzo e coordinamento emanato ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
7. Il profilo dinamico-funzionale è aggiornato a conclusione della scuola materna, della scuola elementare e della scuola media e durante il corso di istruzione secondaria superiore.
8. Ai minori handicappati soggetti all'obbligo scolastico, temporaneamente impediti per motivi di salute a frequentare la scuola, sono comunque garantite l'educazione e l'istruzione scolastica. A tal fine il provveditore agli studi, d'intesa con le unità sanitarie locali e i centri di recupero e di riabilitazione, pubblici e privati, convenzionati con i Ministeri della sanità e del lavoro e della previdenza sociale, provvede alla istituzione, per i minori ricoverati, di classi ordinarie quali sezioni staccate della scuola statale. A tali classi possono essere ammessi anche i minori ricoverati nei centri di degenza, che non versino in situazioni di handicap e per i quali sia accertata l'impossibilità della frequenza della scuola dell'obbligo per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione. La frequenza di tali classi, attestata dall'autorità scolastica mediante una relazione sulle attività svolte dai docenti in servizio presso il centro di degenza, è equiparata ad ogni effetto alla frequenza delle classi alle quali i minori sono iscritti.
9. Negli ospedali, nelle cliniche e nelle divisioni pediatriche gli obiettivi di cui al presente articolo possono essere perseguiti anche mediante l'utilizzazione di personale in possesso di specifica formazione psico-pedagogica che abbia una esperienza acquisita presso i nosocomi o segua un periodo di tirocinio di un anno sotto la guida di personale esperto.
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n° 612-bis
Area: Normativa
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.
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n° 3
Area: Normativa
1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, del quale fanno parte rappresentanti del Ministero dell'interno, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero della giustizia, del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero della salute, della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, del Garante per l'infanzia e l'adolescenza, del Comitato di applicazione del codice di autoregolamentazione media e minori, del Garante per la protezione dei dati personali, di associazioni con comprovata esperienza nella promozione dei diritti dei minori e degli adolescenti e nelle tematiche di genere, degli operatori che forniscono servizi di social networking e degli altri operatori della rete internet, una rappresentanza delle associazioni studentesche e dei genitori e una rappresentanza delle associazioni attive nel contrasto del bullismo e del cyberbullismo. Ai soggetti che partecipano ai lavori del tavolo non è corrisposto alcun compenso, indennità, gettone di presenza, rimborso spese o emolumento comunque denominato.
2. Il tavolo tecnico di cui al comma 1, coordinato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, redige, entro sessanta giorni dal suo insediamento, un piano di azione integrato per il contrasto e la prevenzione del cyberbullismo, nel rispetto delle direttive europee in materia e nell'ambito del programma pluriennale dell'Unione europea di cui alla decisione 1351/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, e realizza un sistema di raccolta di dati finalizzato al monitoraggio dell'evoluzione dei fenomeni e, anche avvalendosi della collaborazione con la Polizia postale e delle comunicazioni e con altre Forze di polizia, al controllo dei contenuti per la tutela dei minori.
3. Il piano di cui al comma 2 è integrato, entro il termine previsto dal medesimo comma, con il codice di coregolamentazione per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, a cui devono attenersi gli operatori che forniscono servizi di social networking e gli altri operatori della rete internet. Con il predetto codice è istituito un comitato di monitoraggio al quale è assegnato il compito di identificare procedure e formati standard per l'istanza di cui all'articolo 2, comma 1, nonché di aggiornare periodicamente, sulla base delle evoluzioni tecnologiche e dei dati raccolti dal tavolo tecnico di cui al comma 1 del presente articolo, la tipologia dei soggetti ai quali è possibile inoltrare la medesima istanza secondo modalità disciplinate con il decreto di cui al medesimo comma 1. Ai soggetti che partecipano ai lavori del comitato di monitoraggio non è corrisposto alcun compenso, indennità, gettone di presenza, rimborso spese o emolumento comunque denominato.
4. Il piano di cui al comma 2 stabilisce, altresì, le iniziative di informazione e di prevenzione del fenomeno del cyberbullismo rivolte ai cittadini, coinvolgendo primariamente i servizi socio-educativi presenti sul territorio in sinergia con le scuole.
5. Nell'ambito del piano di cui al comma 2 la Presidenza del Consiglio dei ministri, in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, predispone, nei limiti delle risorse di cui al comma 7, primo periodo, periodiche campagne informative di prevenzione e di sensibilizzazione sul fenomeno del cyberbullismo, avvalendosi dei principali media, nonché degli organi di comunicazione e di stampa e di soggetti privati.
6. A decorrere dall'anno successivo a quello di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca trasmette alle Camere, entro il 31 dicembre di ogni anno, una relazione sugli esiti delle attività svolte dal tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, di cui al comma 1.
7. Ai fini dell'attuazione delle disposizioni di cui al comma 5, è autorizzata la spesa di euro 50.000 annui a decorrere dall'anno 2017. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione, per gli anni 2017, 2018 e 2019, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
8. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
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27/10/2017
Area: Prassi, Circolari, Note
RISPETTA LE DIFFERENZE
PIANO NAZIONALE PER L’EDUCAZIONE AL RISPETTO
MIUR
INTRODUZIONE
Il “Piano nazionale per l’educazione al rispetto” è finalizzato a promuovere nelle istituzioni scolastiche
di ogni ordine e grado un insieme di azioni educative e formative volte ad assicurare l’acquisizione e lo sviluppo di competenze trasversali, sociali e civiche, che rientrano nel più ampio concetto di educazione alla cittadinanza attiva e globale.
L’impianto complessivo del Piano è ispirato ai principi espressi dall’art. 3 della Carta Costituzionale.
Il Piano promuoverà azioni specifiche per un uso consapevole del linguaggio e per la diffusione della
cultura del rispetto, con l’obiettivo di arrivare a un reale superamento delle disuguaglianze e dei pregiudizi,
coinvolgendo le studentesse e gli studenti, le e i docenti, le famiglie.
Il Piano nazionale per l’educazione al rispetto rappresenta l’avvio di un percorso di sensibilizzazione attiva e
trasversale in continua crescita e sviluppo con la collaborazione di tutto il mondo della scuola.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione; di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana
LE AZIONI DEL PIANO NAZIONALE PER L’EDUCAZIONE EDUCAZIONE AL RISPETTO
IL PORTALE NOISIAMOPARI.IT
In occasione del lancio del Piano nazionale per l’educazione al rispetto partirà il rinnovo e l’ampliamento del portale www.noisiamopari.it, realizzato dal MIUR per raccogliere contributi, materiali didattici e proposte di nuovi percorsi formativi pensati per le insegnanti e gli insegnanti, per le studentesse e gli studenti e per le famiglie, con la finalità di avviare attività di contrasto agli stereotipi e alle discriminazioni. Il portale sarà anche un utile strumento per la condivisione di buone pratiche proposte dalle istituzioni scolastiche e
dalle associazioni aderenti ai Forum e agli Osservatori istituzionali istituiti presso il MIUR.
LINEE GUIDA NAZIONALI (ART. 1 COMMA 16 L. 107/2015)
Messe a punto da un gruppo di lavoro istituito presso il MIUR, le Linee guida previste dal comma 16 art. 1 della legge 107/2015 per promuovere nelle scuole “l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le altre discriminazioni” sono un documento di indirizzo che fornirà alle scuole spunti di riflessione per approfondire i valori e principi per una corretta “educazione al rispetto” ispirati dall’art. 3 della Costituzione.
Le scuole, nel rispetto della propria autonomia, saranno chiamate, attraverso un percorso di condivisione
interna e a seguito di un aperto confronto con tutta la comunità scolastica, ad integrare il loro Piano Triennale
dell’Offerta Formativa in ragione dei principi guida della parità tra i sessi, del contrasto alla violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione, proprio come prevede il comma 16 della legge 107/2015.
LINEE DI ORIENTAMENTO PER LA PREVENZIONE E IL CONTRASTO AL CYBERBULLISMO
In attuazione della legge n. 71/2017 recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, il MIUR adotta le Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo.
Il documento ha lo scopo di dare continuità alle Linee Guida già emanate nell’aprile del 2015, apportando
le integrazioni e le modifiche necessarie in linea con i recenti interventi normativi.
Le Linee Guida saranno uno strumento flessibile e aggiornabile per rispondere alle nuove sfide educative e
pedagogiche legate alla costante e veloce evoluzione delle nuove tecnologie.
Al MIUR spetta il coordinamento delle diverse azioni di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyber bullismo nelle scuole, in sinergia con gli Enti e le Istituzioni previsti dalla legge n.71/2017.
Il portale di riferimento del MIUR per le azioni di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo è: www.generazioniconnesse.it. Sul portale saranno pubblicati anche i materiali di supporto per le docenti e i docenti referenti per il contrasto del bullismo e del cyber bullismo individuati presso le singole istituzioni scolastiche.
PROMOZIONE DELL’EDUCAZIONE AL RISPETTO NELLE SCUOLE
Saranno messi a disposizione delle scuole 5,9 milioni di euro. Di questi, 5 milioni saranno risorse a valere sul
PON “Per la Scuola” 2014-2020 per la promozione e la realizzazione di iniziative sull’educazione al rispetto, con il coinvolgimento di almeno 200 scuole che potranno rappresentare una rete permanente di riferimento su questi temi.
Altri 900.000 euro saranno inseriti nel decreto per l’ampliamento dell’offerta formativa (ex legge 440) per
azioni finalizzate al superamento delle disuguaglianze e dei pregiudizi.
Le scuole saranno chiamate a programmare interventi innovativi per l’attuazione delle indicazioni fornite dal
Piano nazionale per l’educazione al rispetto.
CALENDARIO DELLE RELIGIONI
Il 4 Ottobre di ogni anno viene celebrata la “Giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse”. Inoltre, con la legge n. 110/2015 la Repubblica Italiana ha riconosciuto, nella medesima giornata, il «Giorno del dono», quale momento di riflessione “al fine di offrire ai cittadini l’opportunità di acquisire una maggiore consapevolezza del contributo che le scelte e le attività donative possono recare alla crescita della società italiana, ravvisando in esse una forma di impegno e di partecipazione nella quale i valori primari della libertà e della solidarietà affermati dalla Costituzione trovano un’espressione altamente degna di essere riconosciuta e promossa”.
Anche per questa ragione, è stato realizzato “Il calendario del Dialogo e delle feste delle Comunità”, per una scuola aperta e democratica e, come tale, in grado di assicurare la convivenza di culture diverse e di cooperazione per arrivare alla reciproca conoscenza e al senso di comune appartenenza.
Il calendario è disponibile sul sito www.noisiamopari.it.
LOTTA AL DISCORSO D’ODIO
Il 14 settembre 2017 il MIUR ha siglato il Protocollo d’intesa con l’ATS Parole Ostili, per promuovere una
cultura della Rete non ostile, finalizzata a una maggiore consapevolezza dell’utilizzo degli strumenti digitali per la costruzione di un vero e proprio diritto alla cittadinanza digitale.
L’obiettivo è quello di sviluppare congiuntamente iniziative di sensibilizzazione sui temi della comunicazione non ostile e di promozione di una cittadinanza digitale attiva e consapevole, attraverso la realizzazione di specifici momenti formativi rivolti alle docenti e ai docenti, alle studentesse e agli studenti sul territorio nazionale.
Per favorire il percorso di riflessione sul tema dell’odio online, il MIUR, d’intesa con la Camera dei deputati, ha emanato, per l’anno scolastico 2017/2018, il bando di concorso nazionale “La Camera e i giovani contro i fenomeni d’odio”, rivolto alle scuole secondarie di secondo grado.
Dallo scorso anno il MIUR, in collaborazione con la Delegazione italiana presso l’Assemblea del Consiglio
d’Europa, ha avviato un’azione di sensibilizzazione e informazione sul tema dell’istigazione all’odio online
promuovendo in tutte le scuole secondarie di secondo grado la conoscenza e l’approfondimento dei contenuti
del Vademecum, sintesi del lavoro edito dal Consiglio d’Europa “No hate speech”.
FORMAZIONE DOCENTI
Il Piano prevede un’azione specifica per la formazione del personale docente sulle tematiche relative al superamento delle diseguaglianze e dei pregiudizi: vengono stanziati 3 milioni di euro per la formazione di almeno una docente o un docente per ciascuna scuola. Le risorse sono a valere sul PON “Per la Scuola” 2014-2020.
DISTRIBUZIONE DELLA COSTITUZIONE NELLE SCUOLE
In raccordo con le iniziative per le celebrazioni dei 70 anni dall’entrata in vigore della Costituzione Italiana,
al fine di divulgarne e promuoverne i valori fondanti di democrazia, libertà, solidarietà e pluralismo culturale, il MIUR, in accordo con il Quirinale e con il Senato della Repubblica, curerà la distribuzione di una copia del testo alle studentesse e agli studenti delle Istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.
Ma non solo, il MIUR ha sottoscritto molteplici Accordi e Protocolli d’intesa con le principali Istituzioni e gli Enti di riferimento per trasmettere a tutta la comunità scolastica i valori fondanti della nostra Carta Costituzionale.
Tutti i Protocolli sono disponibili su: www.miur.gov.it e www.noisiamopari.it.
OSSERVATORI NAZIONALI
Al fine di monitorare, integrare e rafforzare il “Piano nazionale per l’educazione al rispetto” con ulteriori
interventi, il MIUR si avvarrà del lavoro di una serie di Osservatori costituiti da rappresentanti di Enti,
Istituzioni e Associazioni impegnati nel promuovere politiche di inclusione.
Gli Osservatori attivati sono: l’Osservatorio per l’integrazione degli alunni stranieri e l’intercultura,
l’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica e l’Osservatorio nazionale per il monitoraggio e la
promozione delle iniziative in ambito educativo e formativo sui temi della parità tra i sessi e della violenza contro le donne.
A questi si aggiunge il costante confronto su tutte le tematiche proposte con il Forum nazionale delle
associazioni degli studenti e dei genitori.
VERSO UN NUOVO PATTO DI CORRESPONSABILITA’ EDUCATIVA
È stato istituito presso il MIUR un gruppo di lavoro con l’obiettivo di potenziare la rappresentanza di studentesse, studenti e famiglie nella vita della scuola.
Inoltre, a 10 anni dall’emanazione del primo Patto di Corresponsabilità, istituito con il DPR 235/2007, il
prossimo 21 novembre sarà presentato il testo di modifica del medesimo DPR e condiviso con tutta la comunità scolastica il nuovo “Patto di Corresponsabilità Educativa” per rinsaldare il rapporto tra la scuola e la famiglia e per assicurare la massima partecipazione alla vita della scuola da parte di tutte le componenti della comunità scolastica.
RISPETTA LE DIFFERENZE
LA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE
Nell’ambito della presentazione del Piano nazionale per l’educazione al rispetto verrà lanciata la campagna di sensibilizzazione “Rispetta le differenze” che, partendo dall’articolo 3 della Costituzione, vuole affermare con forza l’uguaglianza tra tutte le studentesse e gli studenti e il rispetto delle loro differenze.
Alcune delle azioni comunicative della campagna di sensibilizzazione saranno:
• video realizzato con le studentesse e gli studenti dell’IC “Via N.M. Nicolai” di Roma in collaborazione con il laboratorio teatrale integrale Piero Gabrielli;
• contributi video di testimonial;
• campagna social con relativi materiali (cartoline, infografiche, video) che partirà dalla diffusione e dal
rilancio dell’hashtag #rispettaledifferenze;
• utilizzo del portale www.noisiamopari.it come piattaforma di riferimento del Piano.
La campagna di sensibilizzazione verrà diffusa sui canali di comunicazione del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca e su quelli dei partner che aderiranno all’iniziativa.
KEYWORDS
#studenti: bullismo e cyberbullismo#miur #educazione #scuola #piano #rispetto #osservatorio #contrasto #studentessa #studente #azione
04/07/2008 n° 3602 PO
Area: Prassi, Circolari, Note
Prot n. 3602/P0
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per l’Istruzione
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione
Roma, 4 luglio 2008
Oggetto: D.P.R. n. 235 del 21 novembre 2007 - Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria
Nella Gazzetta n. 293 del 18.12.2007 è stato pubblicato il D.P.R n. 235 del 21 novembre 2007 - Regolamento che apporta modifiche ed integrazioni al D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria.
PREMESSA
I fatti di cronaca che hanno interessato la scuola, negli ultimi anni, dalla trasgressione delle comuni regole di convivenza sociale agli episodi più gravi di violenza e bullismo hanno determinato l’opportunità di integrare e migliorare lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti, approvato con DPR n. 249/1998. La scuola, infatti, quale luogo di crescita civile e culturale della persona, rappresenta, insieme alla famiglia, la risorsa più idonea ad arginare il rischio del dilagare di un fenomeno di caduta progressiva sia della cultura dell’osservanza delle regole sia della consapevolezza che la libertà personale si realizza nel rispetto degli altrui diritti e nell’adempimento dei propri doveri.
Il compito della scuola, pertanto, è quello di far acquisire non solo competenze, ma anche valori da trasmettere per formare cittadini che abbiano senso di identità, appartenenza e responsabilità .
Al raggiungimento di tale obiettivo è chiamata l’autonomia scolastica, che consente alle singole istituzioni scolastiche di programmare e condividere con gli studenti, con le famiglie, con le altre componenti scolastiche e le istituzioni del territorio, il percorso educativo da seguire per la crescita umana e civile dei giovani.
Ed infatti obiettivo delle norme introdotte con il regolamento in oggetto, non è solo la previsione di sanzioni più rigide e più adeguate a rispondere a fatti di gravità eccezionale quanto, piuttosto la realizzazione di un’alleanza educativa tra famiglie, studenti ed operatori scolastici, dove le parti assumano impegni e responsabilità e possano condividere regole e percorsi di crescita degli studenti.
Con le recenti modifiche non si è voluto quindi stravolgere l’impianto culturale e normativo che sta alla base dello Statuto delle studentesse e degli studenti e che rappresenta, ancora oggi, uno strumento fondamentale per l’affermazione di una cultura dei diritti e dei doveri tra le giovani generazioni di studenti. Tuttavia, a distanza di quasi dieci anni dalla sua emanazione, dopo aver sentito le osservazioni e le proposte delle rappresentanze degli studenti e dei genitori, si è ritenuto necessario apportare delle modifiche alle norme che riguardano le sanzioni disciplinari (art. 4) e le relative impugnazioni (art. 5).
In particolare, anche di fronte al diffondersi nelle comunità scolastiche di fenomeni, talvolta gravissimi, di violenza, di bullismo o comunque di offesa alla dignità ed al rispetto della persona umana, si è inteso introdurre un apparato normativo che consenta alla comunità educante di rispondere ai fatti sopra citati con maggiore severità sanzionatoria.
Si è infatti voluto offrire alle scuole la possibilità di sanzionare con la dovuta severità, secondo un criterio di gradualità e di proporzionalità, quegli episodi disciplinari che, pur rappresentando un’esigua minoranza rispetto alla totalità dei comportamenti aventi rilevanza disciplinare, risultano particolarmente odiosi ed intollerabili, soprattutto se consumati all’interno dell’istituzione pubblica preposta all’educazione dei giovani. La scuola deve poter avere gli strumenti concreti di carattere sia educativo che sanzionatorio per far comprendere ai giovani la gravità ed il profondo disvalore sociale di atti o comportamenti di violenza, di sopraffazione nei confronti di coetanei disabili, portatori di handicap o, comunque, che si trovino in una situazione di difficoltà. Comportamenti che, come afferma chiaramente la norma, configurino delle fattispecie di reati che violano la dignità ed il rispetto della persona umana o che mettano in pericolo l’incolumità delle persone e che, al contempo, nei casi più gravi, siano caratterizzati dalla circostanza di essere stati ripetuti dalla stessa persona, nonostante per fatti analoghi fosse già stato sanzionato, e che quindi siano connotati da una particolare gravità tale da ingenerare un elevato allarme sociale nell’ambito della comunità scolastica. Di fronte a tali situazioni, che la norma descrive in via generale, la scuola deve poter rispondere con fermezza ed autorevolezza al fine di svolgere pienamente il suo ruolo educativo e, al tempo stesso, di prevenire il verificarsi dei predetti fatti.
I comportamenti riprovevoli, e connotati da un altissimo grado di disvalore sociale, non possono essere trattati al pari delle comuni infrazioni disciplinari, ma devono poter essere sanzionati con maggiore rigore e severità, secondo un principio di proporzionalità tra la sanzione irrogabile e l’infrazione disciplinare commessa.
L’inasprimento delle sanzioni, per i gravi o gravissimi episodi sopra citati, si inserisce infatti in un quadro più generale di educazione alla cultura della legalità intesa come rispetto della persona umana e delle regole poste a fondamento della convivenza sociale.
CONTENUTO DEI REGOLAMENTI D’ISTITUTO
Occorre innanzitutto premettere che destinatari delle norme contenute nello Statuto delle Studentesse e degli Studenti sono gli alunni delle scuole secondarie di 1° e 2° grado. Per gli alunni della scuola elementare risulta ancora vigente il Regio Decreto 26 aprile 1928, n. 1297, salvo che con riferimento alle disposizioni da ritenersi abrogate per incompatibilità con la disciplina successivamente intervenuta. Le disposizioni così sopravvissute devono poi essere comunque “attualizzate” tramite la contestuale applicazione delle regole generali sull’azione amministrativa derivanti dalla L. n 241/1990, come più avanti si ricorderanno.
La legge n. 241/1990, che detta norme sul procedimento amministrativo, costituisce comunque il quadro di riferimento di carattere generale per gli aspetti procedimentali dell’azione disciplinare nei confronti degli studenti.
Il D.P.R. in oggetto apporta sostanziali novità in materia di disciplina, con specifico riferimento alle infrazioni disciplinari, alle sanzioni applicabili e all’impugnazione di quest’ultime.
Le modifiche introdotte impongono alle singole istituzioni scolastiche di adeguare ad esse i regolamenti interni.
Appare necessario, a seguito delle modifiche introdotte dal D.P.R. in oggetto, ricapitolare i contenuti dei regolamenti d’istituto in tema di disciplina, come risultanti unitariamente dalle vecchie e dalle nuove norme.
Detti regolamenti dovranno individuare:
* * *
La sanzione disciplinare, inoltre, deve specificare in maniera chiara le motivazioni che hanno reso necessaria l’irrogazione della stessa (art. 3 L. 241/1990) . Più la sanzione è grave e più sarà necessario il rigore motivazionale, anche al fine di dar conto del rispetto del principio di proporzionalità e di gradualità della sanzione medesima.IL MINISTRO
F.to Maria Stella Gelmini
KEYWORDS
#studenti: azione disciplinare#condividere #bullismo #educazione #severità #rigore #vandalismo #enucleare #tipizzare #alleanza #scaturire
27/10/2017
Area: Prassi, Circolari, Note
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Linee Guida Nazionali
(art. 1 comma 16 L. 107/2015)
Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di
genere e di tutte le forme di discriminazione(1)
Premessa
Le presenti Linee Guida sono indirizzate alle Istituzioni scolastiche autonome per l’attuazione
del comma 16 dell’art.1 della L.107 del 2015 che recita: “Il piano triennale dell'offerta formativa
assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e
grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le
discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle
tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119”. Il suddetto comma dà attuazione ai princìpi
fondamentali di pari dignità e non discriminazione di cui all'articolo 3 della Costituzione Italiana:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Ècompito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
” Questi principi trovano espressione e completamento in altri precetti costituzionali (quali,
ad esempio, gli articoli 2, 4, 6, 21, 30, 34, 37, 51) e nei valori costitutivi del diritto internazionale ed
europeo che proibisce ogni tipo di discriminazione. Tali valori sono solennemente ribaditi
dall’articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (2000/C 364/01), così
come dall’articolo 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Inoltre, il comma
richiamato dà attuazione agli impegni assunti dall’Italia con la ratifica (legge 27 giugno 2013, n. 77)
della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le
donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), che in particolare all’articolo 14
definisce il ruolo della scuola nella prevenzione della violenza contro le donne.(2)
In questo quadro di riferimento normativo e valoriale si collocano le presenti Linee guida, che
rispondono alla necessità di fornire alle scuole indicazioni utili a coniugare l’informazione con la
formazione, intervenendo - per la propria funzione educativa, in continua sinergia con le famiglie -
attraverso un’azione che non si limiti a fornire conoscenze, ma agisca sull’esperienza e sulla
dimensione emotiva e relazionale.
L’educazione contro ogni tipo di discriminazione e per promuovere il rispetto delle differenze è
fondamentale nell’ambito delle competenze che alunne e alunni devono acquisire come parte
essenziale dell’educazione alla cittadinanza.
Tale educazione non ha uno spazio e un tempo definiti, ma è connessa ai contenuti di tutte le
discipline, con la conseguenza che ogni docente concorre alla crescita relazionale e affettiva delle
alunne e degli alunni, attraverso il loro coinvolgimento attivo, e valorizzando il loro protagonismo,
in tutte le tappe del processo educativo.
Le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di
istruzione (DM del 16 novembre 2012, n. 254) costituiscono a questo proposito un punto di riferimento ineludibile.
Già a partire dal I capitolo “Cultura, scuola, persona”, nel paragrafo “La
scuola nel nuovo scenario” si riporta: “…alla scuola spetta il compito di fornire i supporti adeguati
affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta. La piena attuazione del
riconoscimento e della garanzia della libertà e dell’uguaglianza, nel rispetto delle differenze di tutti
e dell’identità di ciascuno…” e ancor più specificamente nel paragrafo “Per una nuova
cittadinanza”: “…non basta riconoscere e conservare le diversità preesistenti nella loro pura e
semplice autonomia. Bisogna, invece, sostenere attivamente la loro interazione e la loro
integrazione attraverso la conoscenza della nostra e delle altre culture in un confronto che non
eluda questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari, le differenze di genere. La
promozione e lo sviluppo di ogni persona stimola, in maniera vicendevole, la promozione e lo
sviluppo delle altre persone: ognuno impara meglio nella relazione con gli altri”.
Anche il Documento di indirizzo su Cittadinanza e Costituzione (nota prot. AOODGOS n.
2079 del 4 marzo 2009) costituisce una base di riflessione per la costruzione di percorsi educativi e
didattici trasversali alle discipline. Tra le Situazioni di compito per la certificazione delle
competenze personali, si individuano:
“accettare e accogliere le diversità, comprendendone le ragioni e soprattutto
impiegandole come risorsa per la risoluzione di problemi, l’esecuzione di compiti e la
messa a punto di progetti; curare il proprio linguaggio, evitando espressioni improprie
e offensive” (scuola primaria);
“individuare gli elementi che contribuiscono a definire la propria identità e le strategie
per armonizzare eventuali contrasti che le caratterizzano” (scuola secondaria di I
grado);
“identificare stereotipi e pregiudizi etnici, sociali e culturali presenti nei propri e negli
altrui atteggiamenti e comportamenti, nei mass media e in testi di studio e ricerca”
(scuola secondaria di II grado).
Come già espresso nella circolare del 15 settembre 2015, prot. AOODGSIP n. 1972, la finalità
delle Linee guida “non è, dunque, quella di promuovere pensieri o azioni ispirati ad ideologie di
qualsivoglia natura, bensì quella di trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo i diritti
e i doveri della persona costituzionalmente garantiti, anche per raggiungere e maturare le
competenze di cittadinanza, nazionale, europea e internazionale, entro le quali rientrano la promozione dell’autodeterminazione consapevole e del rispetto della persona, così come stabilito
dalla Strategia di Lisbona 2000. Nell’ambito delle competenze che gli alunni devono acquisire,
fondamentale aspetto riveste l’educazione alla lotta ad ogni tipo di discriminazione, e la
promozione ad ogni livello del rispetto della persona e delle differenze senza alcuna
discriminazione. Si ribadisce, quindi, che tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere
non rientrano in nessun modo né le “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al
mondo educativo. Inoltre, è opportuno sottolineare che le due leggi citate come riferimento nel
comma 16 della legge 107 non fanno altro che recepire in sede nazionale quanto si è deciso
nell’arco di anni, con il consenso di tutti i Paesi, in sede Europea, attraverso le Dichiarazioni, e in
sede Internazionale con le Carte”. In questi termini, dunque, la circolare fornisce chiarimenti
“riguardo a una presunta possibilità di inserimento all’interno dei Piani dell’Offerta Formativa
delle scuole la cosiddetta “Teoria del Gender”, che troverebbe attuazione in pratiche e
insegnamenti non riconducibili ai programmi previsti dagli attuali ordinamenti scolastici”.
Le Linee guida, quindi, inquadrate nella cornice dell’educazione al rispetto delle differenze e ai
principi di uguaglianza sanciti dall’art. 3 della Costituzione, si offrono come strumento a sostegno
delle scuole per orientare, nel pieno rispetto dell’autonomia, l'azione educativa per prevenire la
violenza di genere e tutte le forme di discriminazione.
1. Educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze
Nascere uomini o donne crea appartenenze forti, è la pietra angolare dell’identità, informa di sé
l’intero orizzonte esistenziale: è la prima condizione con cui ogni individuo si pone, e ne riceve
opportunità e risorse ma anche limiti. Tutti gli aspetti della vita quotidiana ne sono connotati.
Nell’esperienza soggettiva delle persone l’incontro con l’alterità si colloca all’inizio del tempo di
vita: dall’esperienza dell’essere tutt’uno con la madre si esce nella lenta necessaria costituzione di
una soggettività separata. Questo è molto importante da sottolineare, perché dice che noi siamo relazione prima che individui. È un modello antropologico relazionale che ha implicazioni molto
diverse sul piano culturale, educativo, politico, rispetto ad un modello individualista. (3)
Questo modello, tuttavia, non ha trovato adeguata rappresentazione simbolica nella storia della
cultura occidentale.
Secoli di patriarcato hanno rappresentato le donne come naturalmente subordinate agli uomini,
avvalendosi di dicotomie come quelle di mente/corpo, soggetto/oggetto, logica/istinto,
ragione/sentimento, attività/passività, pubblico/privato e assegnando agli uomini le prime
caratteristiche, alle donne le seconde.
Secondo questa millenaria tradizione le donne sarebbero soggetti deboli, incapaci di pensiero
astratto, dominate da una realtà corporea invadente, emotive piuttosto che razionali. Questa
ideologia ha caratterizzato i rapporti tra i sessi e l’organizzazione familiare, ma anche la struttura
sociale del mondo occidentale, dove fino alla fine dell’Ottocento le donne sono state escluse dai
luoghi dove si è trasmesso e creato sapere, dove si sono elaborate le leggi, dove si è amministrata la
giustizia. Se non mancano le eccezioni significative, esse sono sempre il risultato di personalità di
spicco, singoli casi emergenti in un contesto poco incline a valorizzarle.
Simbolicamente ciò ha comportato nel tempo la riduzione delle donne a corpo, dominato
dall’uomo e destinato alla cura esclusiva della vita. Alle donne è stata sottratta una dimensione
pienamente umana, con conseguente esclusione dallo spazio pubblico, dall’esercizio della
cittadinanza, dall’autodeterminazione e dalla libera scelta. Per tutti questi motivi la prima differenza
che sperimentiamo nella nostra vita è stata di solito trasmessa come gerarchica e tale diventa il
modello che profondamente interiorizziamo, differenza come disuguaglianza: se c’è una differenza, allora qualcuno è migliore e qualcuno è peggiore e, soprattutto, c’è una dimensione di potere
dell’uno sull’altro. Dalla differenza come disuguaglianza gerarchica discende la relazione nella
forma del dominio, che produce discriminazioni e che in italiano (e in altre lingue) risulta
simboleggiata e insieme costruita anche dalla pratica linguistica.
Se invece rileggiamo la nostra esperienza con occhi più aperti e critici scopriamo che non c’è
alcuna ragione per cui nell’incontro tra differenze, che dà origine alla vita, ci debba essere una
gerarchia: non esiste alcun motivo per rinunciare alla ricchezza garantita dalla piena espressione di
donne e uomini nella totalità della loro umanità, già nell’accudimento della vita ai suoi inizi. Oggi
finalmente sono sempre di più i giovani uomini che comprendono e coltivano l’esperienza
irripetibile e unica di contribuire ai primi momenti di vita dei propri figli e figlie, di partecipare alla
loro crescita, abbandonando la separazione tra i domini del ‘maschile’ e del ‘femminile’; mentre già
da un paio di generazioni le donne sono sempre più protagoniste nello spazio pubblico.
Bambini e bambine, uomini e donne sono tra loro diversi e ciò rende l’esperienza umana molto
ricca. Tuttavia molto spesso dalle bambine e dalle ragazze si aspettano comportamenti e
inclinazioni che corrispondono a idee e immagini molto normative: devono essere gentili e
sensibili, amare i giochi tranquilli, le faccende sentimentali, ed essere ossessionate dalla apparenza
fisica e dallo sguardo degli altri. Secondo uno stereotipo diffuso non amerebbero le scienze e la
matematica, lo sport e la competizione. Altrettanto rigide e opprimenti le aspettative sui bambini e
sui ragazzi: non devono avere timori né sensibilità o dolcezza, è indispensabile che amino il calcio e
ogni tipo di gara, devono accettare giochi violenti e sapersi difendere. L’imperativo “sii uomo”
spesso non ha lasciato alcuno spazio ai gesti, alle parole e alle responsabilità della cura: maschio
che non solo “non deve chiedere mai”, ma neppure ascoltare e rispondere alla domanda di
Il modo proprio e improprio di comportarsi, la percezione di ciò che è giusto o sbagliato, le
convinzioni circa i ruoli sono trasmessi dal gruppo dei pari, dalla televisione, dal cinema, dalla
Rete, dai libri, dai giochi, dalle canzoni. Anche l’ambiente scolastico rappresenta un contesto in cui
i modelli culturali stereotipati e presentati come naturali possono essere strutturati e amplificati, in
un gioco continuo di rinforzi reciproci con gli altri ambiti educativi e di socializzazione.
In questo senso è opportuno ribadire che “maschio” e “femmina”, che connotano l’identità
(l’essere) della persona, non sono etichette che denotano comportamenti predefiniti. Ci sono molti
modi di essere donna e altrettanti di essere uomo. Si può essere uomini e donne in modo libero e
rispettoso di sé e degli altri senza costringere nessuno dentro un modello rigido di comportamenti e
di atteggiamenti. Lungo il percorso del processo educativo e formativo si deve favorire tale libertà,
promuovendo conoscenze e attitudini legate quanto più possibile al pieno sviluppo della personalità
di studenti e studentesse, che un domani entreranno nel mondo del lavoro e della vita pubblica
apportando competenze differenti e di pari valore e contribuiranno al pieno benessere della
comunità civica e sociale e al successo di quella professionale.
2. Il femminile e il maschile nel linguaggio
Un’altra forma di violenza simbolica è cancellare la differenza in nome di una presunta
uguaglianza che è in realtà un adeguamento al modello maschile.
Un caso significativo è rappresentato dalla resistenza da parte del linguaggio quotidiano, dei
media, delle istituzioni e perfino dei libri di testo, ad adeguare l’uso della lingua al nuovo status
assunto dalle donne in campo professionale e istituzionale: si sostiene l’uso della sola forma
maschile dei titoli che indicano ruoli istituzionali o professioni ritenute prestigiose anche se sono
riferiti a donne, accampando giustificazioni inconsistenti sul piano linguistico (“sono forme brutte,
suonano male”) e sostenendo che si tratta di un uso “neutro” del linguaggio, che fungerebbe
addirittura da baluardo contro la discriminazione: quindi sindaco/avvocato sì, ma sindaca/avvocata
no. Invece le forme femminili che indicano professioni ritenute meno prestigiose sono
tranquillamente accettate (es. infermiera, parrucchiera, cameriera). Ma è doveroso sottolineare che
un atteggiamento omologante non produce un linguaggio “neutro”, bensì lo “maschilizza”
ulteriormente attraverso l’estensione (impropria, come vedremo) alle donne dell’uso del genere
grammaticale maschile e favorisce, così, quei comportamenti discriminatori che si riscontrano in
molte esperienze sociali e di lavoro.
Come è noto, infatti, la lingua italiana possiede solo il genere grammaticale maschile e quello
femminile e non ha il genere neutro. Qualsiasi buona grammatica italiana ne chiarisce l’uso, la
funzione e la distribuzione, e ad essa rimandiamo. Qui ci limitiamo brevemente a ricordarne i punti
principali: un termine di genere grammaticale maschile indica una persona (‘referente’) di sesso
maschile, uno di genere grammaticale femminile indica una persona di sesso femminile. Il genere
grammaticale si riconosce dalla forma della parola, es. alunno (m.) e alunna (f.), istruttore (m.) e
istruttrice (f.), o dall’articolo che lo precede, es. il docente (m.) e la docente (f.). Il genere di
aggettivi, pronomi, nomi, ecc. concorda con quello della persona a cui si riferisce. Es. Paolo è un
alunno attento / Anna è un’alunna attenta. Se l'assegnazione del genere grammaticale e il
conseguente accordo di aggettivi, pronomi, ecc. non rispettano queste regole si ottengono
espressioni non grammaticali: es. *Paolo è una alunna attenta, *Anna è un alunno attento. Più un
testo è lungo e articolato più il mancato rispetto di queste regole può renderlo confuso e incoerente.
Il genere grammaticale, quindi, non si può scegliere in base a gusti o convinzioni personali: il suo
uso si basa su regole che appartengono al sistema della lingua italiana, e contravvenirvi può
impedire che la comunicazione si realizzi in modo chiaro, trasparente e corretto.
È opportuno ricordare, inoltre, che definire una donna con un termine maschile in settori
rilevanti della società come le istituzioni e i livelli professionali apicali, ne opacizza la presenza fino
a farla scomparire (termini come “direttore”, “prefetto”, “sindaco” evocano infatti un’immagine
maschile, non femminile). E se le esitazioni e addirittura le resistenze all'introduzione di questi
nuovi termini femminili possono essere comprensibili dal momento che in passato solo gli uomini
rivestivano ruoli istituzionali o svolgevano professioni di prestigio, e che la tradizione ci ha
consegnato solo la versione maschile dei relativi titoli, è necessario essere consapevoli che oggi la
situazione è cambiata. Adeguare il linguaggio al nuovo status sociale, culturale e professionale
raggiunto dalle donne, e quindi al mutamento dell'intera società, si pone oggi come un'azione
urgente e necessaria: fornire una rappresentazione inadeguata del genere femminile si configura
infatti come una vera e propria violenza simbolica.
Un uso della lingua che rifletta la differenza attraverso l’uso del genere grammaticale e permetta
così di identificare la presenza delle donne e attribuire loro i nuovi ruoli che esse detengono nella
società sul piano professionale e istituzionale, contribuisce a contrastare la discriminazione, a favorire la parità, e anche a trasmettere modelli socioculturali utili alle giovani generazioni per la
scelta della loro futura professione.
Nella pratica didattica si suggerisce quindi di verificare l’adeguatezza del linguaggio usato nei
libri di testo di tutte le discipline non solo per quanto riguarda la presenza di eventuali stereotipi del
maschile e del femminile, ma anche per quanto concerne l’uso del genere grammaticale, che
costituisce uno strumento fondamentale per la rappresentazione della donna nel linguaggio.
Particolare attenzione dovrà essere posta alle indicazioni relative all’uso del genere grammaticale
contenute nei testi dedicati all’educazione linguistica. A questo proposito si ricorda l’importanza di:
(a) spiegare il funzionamento delle regole di assegnazione e accordo di genere;
(b) mostrare come il genere grammaticale costituisca un potente strumento di coesione testuale e
quindi la conoscenza del suo funzionamento aiuti la codifica e decodifica di qualsiasi testo;
(c) illustrare il significato e l’uso dei nuovi termini femminili che indicano ruoli istituzionali e
professioni di prestigio, come architetta, assessora, avvocata, cancelliera, chirurga,
conferenziera, consigliera, critica, deputata, difensora, direttrice (generale), funzionaria,
ingegnera, ispettrice, medica, ministra, notaia, prefetta, primaria, procuratrice, rettrice,
revisora dei conti, segretaria (generale), senatrice, sindaca, tesoriera, ecc.;
(d) sottolineare la regolarità grammaticale di queste forme e spiegarne la formazione, fornendo
qualche nozione di morfologia che permetta, ad esempio, di distinguere tra nomi semplici (figlio,
figli-a) e nomi composti con un suffisso (consigl-ier-e, consigl-ier-a), così da incrementare
anche la conoscenza del lessico dell’italiano.(4)
I rischi di un uso discriminatorio del linguaggio, finora descritti in relazione a quello verbale,
valgono anche per quelli visivi, seppur con codifiche grammaticali meno definite: fotografie,
immagini e video che invadono media tradizionali e Rete possono avere effetti negativi quanto e più
delle parole. Essi richiedono un’attenzione educativa - alla lettura, alla decodifica, all’interpretazione - che assume una rilevanza sempre maggiore con la diffusione delle tecnologie e
dei media digitali.
3. Prevenzione della violenza contro le donne
Un’autentica educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze si può realizzare
declinando insieme uguaglianza e differenza, prendendo le distanze da una neutralità dove maschile
e femminile perdono consistenza e ricchezza, ma anche respingendone i modelli stereotipati. La
scuola, in sintonia con la famiglia, grazie al patto di corresponsabilità e agli altri strumenti atti ad
assicurare il giusto rapporto scuola-famiglia, è chiamata a proporre e ad avviare le studentesse e gli
studenti, in modo adeguato all’età, a una riflessione sulla qualità dei rapporti uomo/donna e sul
rispetto delle differenze.
Anche la stessa questione della violenza sulle donne in quanto donne, la cosiddetta violenza di
genere, legata in molti modi a una storia oscura e arcaica, è connessa a un rapporto socialmente
connotato, quello gerarchico uomo-donna, nelle forme specifiche in cui è presente nelle diverse
società e culture.
La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei
confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia con la legge 27 giugno 2013, n.
77, riconoscendo che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza
storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla
discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione, e
che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto è un elemento chiave per
prevenire la violenza contro le donne, impegna le Parti a “intraprendere le azioni necessarie per
includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la
parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta
dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto
all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi” (art. 14).
Risulta dunque evidente come l'educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze sia
essa stessa, a sua volta, uno strumento fondamentale per la prevenzione della violenza sulle donne
basata sul genere: incoraggiando da un lato il superamento di ruoli e stereotipi e, dall'altro, una
visione delle differenze come ricchezza e non come fondamento di una presunta gerarchia e quindi
di discriminazioni, essa disinnesca ab origine la cultura di cui si nutre la violenza.
La violenza sulle donne è un fenomeno unico che va messo a fuoco e compreso nella sua
assoluta specificità e nella sua dimensione strutturale.
Certo esistono tradizioni culturali particolarmente dannose, come le mutilazioni genitali
permanenti sulle bambine che le privano di una sessualità propria, oppure tradizioni e leggi
comunque oppressive per cui le donne non possono studiare, girare da sole, guidare la macchina,
decidere una professione, scegliere lo sposo, vestirsi come credono. Tuttavia in Europa e in Italia la
violenza sulle donne è fenomeno molto diffuso e non legato a particolari condizioni di vita o a
disturbi della personalità di chi la esercita: fa parte di una insospettabile normalità per cui è ancora
difficile confrontarsi con il fantasma inatteso della libertà femminile.
I dati parlano chiaro: la violenza di genere è presente in tutti i ceti sociali, in tutte le età, livelli
di istruzione e benessere economico.(5) Può essere violenza fisica ripetuta e costante oppure violenza
psicologica tesa a annientare la persona. Il fatto più grave, determinante, è che non sempre viene
identificata dalle donne stesse come violenza e viene spesso nascosta come qualcosa di cui ci si
vergogna, si è colpevoli, viene subita come fatto “naturale”, parte del rapporto, o per apparente
mancanza di alternative o “per amore dei figli” che spesso assistono agli abusi e possono diventare
poi a loro volta attori o vittime di violenza. È la violenza più terribile perché ha luogo nella
maggioranza dei casi negli spazi più noti e cari, laddove ci si aspetterebbe la prima sicurezza: per
questo è difficile e importante vederla, riconoscerla e cercare aiuto. Sul territorio nazionale sono presenti molti punti di ascolto a cui ci si può rivolgere anche solo per un consiglio, dai Pronto
Soccorso, fino ai Centri Antiviolenza. Ma ancor di più a scuola, gli insegnanti stessi e, laddove
presenti, gli psicologi che offrono assistenza nei centri di ascolto scolastico possono essere un
importante primo punto di riferimento.
Ma è chiaro che a esercitare la violenza contro le donne sono uomini. La scuola può allora
aiutare la società tutta a cambiare punto di vista, a non guardare solo alle vittime, ma agli autori
delle violenze. Per capire cosa le determina, quali stereotipi e modelli relazionali le fanno apparire
giustificate, quali insicurezze nascondono. E per attivare il protagonismo degli uomini e dei ragazzi,
come da tre anni chiede la campagna dell’ONU HeForShe(6), lanciata a settembre del 2014 con
l’obiettivo di creare un’alleanza tra donne e uomini per sconfiggere la violenza e ogni forma di
Chi lavora stabilmente sui casi di violenza ritiene indiscutibile che gli uomini che condividono la
cultura della superiorità maschile siano più inclini a diventare partner abusanti, così come è
dimostrato dai fatti che le donne portate a concepire per sé un ruolo subalterno nella coppia sono
più inclini a subire e a non denunciare.
Nella cultura occidentale è in corso da tempo, grazie in primo luogo alle lotte delle donne, una
forte campagna di delegittimazione e denuncia della violenza sulle donne. Lo Stato italiano ha
promulgato nuove leggi in cui la riconosce e la punisce, i corpi di sicurezza e il sistema sanitario si
addestrano ad affrontarla. Soprattutto è indispensabile farla emergere poiché è in gran parte ancora
sommersa e nascosta. Se ne è indicata la specificità con il termine femminicidio, per definirne
l’esito più estremo, ed è ormai raro che si dichiari pubblicamente che una donna ha subito violenza
perché “se l’è cercata”. Ma si tratta di una consapevolezza ancora fresca che va consolidata ed
estesa a tutte le fasce della popolazione, in modo trasversale alle appartenenze e alle culture; sono attenzioni e comportamenti che vanno richiesti a tutte e tutti. In questa crescita di consapevolezza è
centrale il ruolo della scuola. Far riflettere studentesse e studenti su questo fenomeno diventa parte
del lavoro quotidiano svolto nelle classi che mira a trasmettere il senso grande del rispetto per la
persona e per le differenze.
4. Prevenzione di tutte le forme di discriminazione
La parità, così come l’uguaglianza di diritti e doveri, non si oppone alla differenza e alle
differenze, ma alla diseguaglianza, alla disparità e alle discriminazioni.
Se la discriminazione di genere appare quale elemento strutturale e trasversale ad ogni realtà
sociale, occorre tuttavia considerare gli altri fattori di discriminazione quali la disabilità, l’etnia, la
religione, le convinzioni personali, l’orientamento sessuale, che possono anche presentarsi in
combinazione dando origine alle cosiddette “discriminazioni multiple”.
Il principio di non discriminazione, sancito innanzitutto dall'articolo 3 della Costituzione italiana
e poi dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, è principio generale dell’ordinamento europeo
quale diritto fondamentale della persona. L’approccio alla discriminazione deve quindi essere
globale in quanto riconducibile alla cornice della tutela dei diritti umani e del rispetto della dignità
della persona. Proprio in questa ottica, occorre sottolineare come, nelle società complesse, si assista
ad un progressivo ampliamento dei diritti da tutelare; pertanto gli interventi di informazione e
sensibilizzazione sul tema delle discriminazioni concorrono, insieme al fondamentale strumento
dell'educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze, a prevenire e contrastare i
pregiudizi e gli stereotipi su cui esse si fondano.
La scuola deve impegnarsi nel realizzare una reale inclusione per valorizzare le singole
individualità ed educare le nuove generazioni al valore positivo delle differenze e alla cultura del
rispetto. La nascita di una dialettica tra identità e diversità consente la più compiuta affermazione
dell’individuo.
Con la conoscenza si acquisisce consapevolezza di pregiudizi e stereotipi ancora ben radicati
nella nostra società; in quest’ottica la scuola, nell’esercizio della propria funzione educativa, deve
fornire gli strumenti e le metodologie per il loro superamento e deve attivare tutte le necessarie
pratiche per interventi di prevenzione, informazione e sensibilizzazione.
5. Il contrasto alle discriminazioni nel mondo digitale
Gli interventi in questo ambito non possono non considerare la necessità di acquisire e
padroneggiare le competenze di cittadinanza digitale che oggi, più che mai, sono imprescindibili se
si considera che le nuove generazioni vivono “immerse” negli spazi di virtualità offerti dalla Rete,
da intendersi come un territorio di esperienza a tutti gli effetti, una dimensione che non è uno spazio
contrapposto al reale, benché segnato dalle proprie specificità.
Occorre per questo dare alle studentesse e agli studenti gli strumenti per una piena
consapevolezza delle implicazioni delle proprie interazioni in Rete e nei diversi media, per
comprendere i meccanismi di produzione e circolazione delle informazioni e per analizzare
analogie e differenze rispetto alla comunicazione in presenza e/o offline. L’educazione ad un uso
positivo e consapevole dei media deve, ad esempio, prestare particolare attenzione al rapporto tra
sfera pubblica e sfera privata, ai temi dell’identità e della privacy, della reputazione e della
rappresentazione, alle caratteristiche della socialità in Rete e alla promozione della Rete come bene
comune digitale.
Obiettivo è, tra gli altri, fornire strumenti di educazione civica digitale per prevenire situazioni di
disagio online, ed evitare meccanismi di bullismo, forme di incitamento all’odio e di osservazione
passiva ai vari comportamenti discriminatori. In questo quadro, l’obiettivo è di migliorare la
comprensione e la consapevolezza di diritti e responsabilità in Rete.
Occorre, infatti, rendere consapevoli le studentesse gli studenti che l’idea della presunta “libertà
della Rete” si può prestare a comportamenti discriminatori; al contrario va affermato il concetto di libertà positiva, una “libertà di” esprimere le proprie idee, aperte all’incontro e al confronto con
l’altro, in relazione con le opportunità che offre la società circostante, compresa quella del Web.
Da un lato, infatti, Internet in tutte le sue manifestazioni e, in particolare, i social network
possono ospitare manifestazioni “banalizzate” di “pensiero prevenuto”. D’altro, possono essere il
luogo in cui sviluppare gli “anticorpi” per promuovere i principi di pari opportunità e di
prevenzione delle discriminazioni (campagne che invitano alla condivisione di elementi come
forma di adesione e partecipazione, strumenti che facilitano l’empatia e l’assunzione di altri punti di
vista, aggregazioni nei social network per contrastare forme di discriminazione, prese di posizione
di personaggi noti, applicazioni per la segnalazione dei comportamenti scorretti).
Il mondo della scuola deve acquisire consapevolezza e condannare ogni fenomeno di violenza
nei confronti del diverso e educare affinché si evitino pericolose derive in atti di violenza fisica,
verbale o psicologica, anche tramite l’uso di Internet. A questo proposito, pare opportuno
richiamare il cosiddetto “Hate Speech”, il linguaggio d’odio(7) che sempre più spesso si riscontra
online, recentemente portato all’attenzione dell’opinione pubblica attraverso un documento
diramato dal Consiglio d’Europa, successivamente trasmesso anche alle istituzioni scolastiche dal
MIUR(8).
Con gli stessi obiettivi si stanno intensificando le esperienze e i progetti didattici nelle scuole,
anche grazie a protocolli con il Miur come quello sottoscritto per la condivisione del manifesto
Parole Ostili, finalizzato alla diffusione di una cultura della Rete non ostile.
Con questo approccio, improntato alla responsabilità, l'educazione al rispetto, in tutte le sue
articolazioni, passa anche dall’educazione alla cittadinanza digitale. A questo proposito vale la pena
richiamare tutte le azioni del Piano Nazionale Scuola Digitale, le Linee di orientamento per azioni
di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo del Miur9 e la Dichiarazione dei diritti
in Internet elaborata dalla Commissione per i diritti e i doveri in Internet costituita dalla Presidenza
della Camera dei deputati che offrono importanti spunti di riflessione.
Guardando ad un contesto internazionale, si richiama infine la Dichiarazione di Roma, emersa
dal congresso mondiale “Child dignity in the digital world” dell’ottobre 2017, documento prezioso
che rilancia quella larga alleanza globale, istituzionale e civile, fondamentale per prevenire ogni
forma di abuso online, attraverso percorsi di educazione al digitale a tutto campo, per tutelare
l’inviolabilità di ogni bambina e ogni bambino, e per reprimere ogni violenza perpetuata nei loro
6. L'educazione al rispetto a scuola
Il principio di pari opportunità, la cui attuazione – ai sensi del comma 16 dell’art. 1 della L. 107
del 2015 – deve essere assicurata dalle istituzioni scolastiche mediante il Piano Triennale
dell’Offerta formativa (PTOF), costituisce quindi un principio trasversale che investe l’intera
progettazione didattica e organizzativa. Pertanto, l’educazione al rispetto, intesa in tutte le sue
accezioni, non ha uno spazio e un tempo definiti, ma è interconnessa ai contenuti di tutte le
discipline e al lavoro delle docenti e dei docenti che dovrà essere orientato a un approccio sensibile
alle differenze (per esempio valorizzando la presenza delle donne nei grandi processi storici e
sociali, e il loro contributo al progresso delle scienze e delle arti, soprattutto nella seconda metà del ‘900), anche mediante la scelta di libri di testo che, nel rispetto della propria libertà di
insegnamento, tengano conto delle presenti linee guida.
Il PTOF deve ispirarsi a tale principio declinandolo nelle diverse aree di intervento, mediante la
promozione dell’educazione alla parità tra i sessi, della prevenzione della violenza di genere, della
prevenzione di ogni forma di discriminazione. Il comma 16 della l.107/2015 trova, quindi, nel
PTOF il principale strumento di pianificazione strategica per la sua attuazione: non soltanto
enunciazioni di principio, ma anche previsione di azioni concrete da realizzarsi nel corso del
triennio sia sul piano dell’informazione, sia su quello della sensibilizzazione, coinvolgendo i diversi
attori della comunità scolastica e con il consenso informato dei genitori secondo quanto previsto dal
patto di corresponsabilità educativa scuola-famiglia.
Il principio di pari opportunità deve trovare la giusta collocazione nel PTOF quale linea
strategica delle attività della scuola, sia come principio ispiratore della sua identità, sia mediante
attività progettuali, valorizzando l’apporto del territorio e della comunità educante (famiglie, mondo
associativo, istituzioni). A tal fine, è importante valorizzare le esperienze positive già avviate; il sito
istituzionale del Miur www.noisiamopari.it può essere utilizzato da parte delle scuole sia per far
conoscere e promuovere le proprie iniziative, sia per apprendere e trasferire buone pratiche
realizzate da altri istituti.
La declinazione dei principi di pari opportunità, così come le linee di intervento, dovranno tenere
conto del diverso grado di istruzione, dell’età degli alunni e delle alunne, del curricolo della scuola,
delle diverse aree disciplinari coinvolte, e delle linee progettuali.
Le istituzioni scolastiche potranno realizzare, in accordo con le presenti linee guida, appositi
percorsi anche in orario extra-curricolare, sfruttando, tra l’altro, le opportunità offerte dalle risorse
umane dell’organico dell’autonomia, privilegiando la didattica laboratoriale e l’apprendimento
cooperativo. La partecipazione delle studentesse e degli studenti a questi percorsi potrà essere
eventualmente riconosciuta dalle istituzioni scolastiche anche come credito formativo. Allo stesso
tempo le istituzioni scolastiche potranno aderire, nel rispetto della propria autonomia, a iniziative di
carattere nazionale proposte dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, o da
questo in coordinamento con altri Ministeri, con enti pubblici e/o privati, con Fondazioni.
In coerenza con la pianificazione delle attività previste dal PTOF, la formazione e
l’aggiornamento sui temi legati all'educazione al rispetto dovranno essere indirizzati a tutto il
personale scolastico (dirigenti, docenti e personale ATA), coinvolto a vario titolo nella gestione della scuola. La formazione del personale docente su dette tematiche, in particolare, può essere
attuata sia nell’ambito della formazione iniziale obbligatoria che negli spazi previsti per la
formazione individuale in servizio.
Una scuola realmente inclusiva può favorire la costruzione dell’identità sociale e personale da
parte delle studentesse e degli studenti, e il suo ruolo educativo risulta ancor più rilevante
nell’accompagnare e sostenere anche le fasi più delicate della loro crescita, interagendo
positivamente con le famiglie nel pieno rispetto del “patto di corresponsabilità educativa scuolafamiglia”,
sancito dal DPR 235/2007. A questo proposito si rimanda alle indicazioni fornite con la
nota prot. n. 1972 del 15 settembre 2015 nella quale si ribadisce “…il compito fondamentale
affidato ai genitori di partecipare e contribuire, insieme alla scuola, al percorso educativo e
formativo dei propri figli esercitando il diritto/dovere che l’art. 30 della nostra Costituzione
riconosce loro: « È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati
fuori del matrimonio»”. La nota continua chiarendo che “le famiglie hanno il diritto, ma anche il
dovere, di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano Triennale
dell’Offerta Formativa e, per la scuola secondaria, sottoscrivere formalmente il Patto educativo di
corresponsabilità per condividere in maniera dettagliata diritti e doveri nel rapporto tra istituzione
scolastica autonoma, studenti e famiglie. Questa opportunità offerta ai genitori consentirà di
scegliere la scuola dei propri figli dopo aver attentamente analizzato e valutato le attività
didattiche, i progetti e le tematiche che i docenti affronteranno durante l’anno che, in ogni caso,
dovranno risultare coerenti con i programmi previsti dall’attuale ordinamento scolastico e con le
linee di indirizzo emanate dal MIUR”.
Tutto questo in piena coerenza con quanto stabilito anche dalla Dichiarazione universale dei
diritti umani, che all’art. 26 recita: “Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve
essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L'istruzione
elementare deve essere obbligatoria. L'istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla
portata di tutti e l'istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del
merito. L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al
rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la
comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve
favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace. I genitori hanno diritto di
priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.”
Le istituzioni scolastiche sono pertanto chiamate a prevedere specifici spazi, tempi e strumenti
per l’informazione e il coinvolgimento dei genitori nel corso dell’attuazione delle diverse iniziative
previste nell’ambito del PTOF.
Le istituzioni scolastiche sono invitate ad avvalersi del supporto degli altri soggetti presenti sul
territorio, anche promuovendo reti, sviluppando protocolli di intesa e accordi di collaborazione con
gli Enti locali e con le associazioni attive sul territorio, o anche avvalendosi dell’apporto delle Forze
dell’Ordine e delle strutture socio-sanitarie per affrontare situazioni più critiche.
È necessario individuare percorsi comuni e condivisi, creare sinergie e aprire la scuola al
territorio. Fondamentale potrà essere per lo sviluppo e l’attuazione delle presenti linee guida la
collaborazione con le associazioni del terzo settore attive sulle tematiche dei diritti umani, della
violenza contro le donne e di genere, della promozione delle pari opportunità e non
discriminazione, sia per quanto riguarda attività progettuali per le studentesse e gli studenti, sia per
le attività di formazione per il personale scolastico.
(1) Le Linee guida sono il frutto di un tavolo tecnico istituito con DD prot. AOODPIT n. 1140 del 30/10/2015. Fanno
parte del tavolo presieduto dal Direttore generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione o suo delegato:
Giuseppe Pierro, Agnese Canevari, Anna Paola Sabatini, Mario De Caro, Alberto Maria Gambino, Chiara Giaccardi,
Alberto Melloni, Stefano Pasta, Graziella Priulla, Cecilia Robustelli, Maria Teresa Russo, Maria Serena Sapegno,
Andrea Simoncini.
(2) Per promuovere e attuare la Convenzione di Istanbul, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha dato vita
al network “Donne libere dalla violenza” e alla campagna “Al sicuro dalla paura, al sicuro dalla violenza”, che
possono fornire modelli di riferimento e di buone pratiche.
(3) Una antropologia relazionale riconosce come dato originario la pluralità e l’interdipendenza; non svaluta come
umiliante il bisogno degli altri, ma ne riconosce la realtà ineliminabile e ne fa motivo di gratitudine, e di disponibilità ad
aiutare essendo stati aiutati; educa al senso del limite poiché l’orizzonte non si restringe all’io, ma tiene conto della
sensibilità degli altri in un rapporto di empatia che si riverbera positivamente su chi lo prova e favorisce la
comunicazione e la capacità di pensiero; è condizione dell’idea di bene comune e della possibilità di far prevalere la
cooperazione e la contribuzione sulla competizione; favorisce una valorizzazione delle differenze, senza trasformarle in
disuguaglianze che generano dominio o disprezzo, ma costituisce la cornice per educare a prendersi cura di chi è più
fragile e immaginare forme di inclusione e valorizzazione piuttosto che esclusione e stigmatizzazione.
(4) Ulteriori informazioni sono disponibili nell'articolo di Cecilia Robustelli, “Genere, grammatica e grammatiche”, in La
differenza insegna, a cura di Maria Serena Sapegno, Roma, Carocci, 2014, pp. 61-74.
(5) A riguardo, si rende noto il recente progetto “Spotlight Initiative” lanciato il 20 settembre 2017 dall'Unione Europea e
dalle Nazioni Unite e teso a contrastare ogni forma di violenza e di discriminazione contro le donne. L'iniziativa è così
definita perché intende puntare l'attenzione della società sul tema incentivando la realizzazione di programmi globali
volti ad eliminare ogni forma di violenza contro donne e ragazze, anche in vista degli obiettivi dell'agenda 2030. Per
maggiori informazioni è possibile consultare il sito internet: www.un.org/en/spotlight-initiative/ .
(6) HeForShe è una campagna di solidarietà in favore dell'uguaglianza creata da l’Entità delle Nazioni Unite per
l'uguaglianza di genere e l'empowerment delle donne (United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment
of Women o UN Women), ente delle Nazioni Unite che lavora per favorire il processo di crescita e sviluppo della
condizione delle donne e della loro partecipazione pubblica. Sul sito internet www.heforshe.org è presente tutto il
materiale di approfondimento.
(7) L’”Hate Speech”, linguaggio d’odio, così come definita dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, è
“espressione di tutte le forme miranti a diffondere, fomentare, promuovere o giustificare l’odio razziale, la xenofobia,
l’antisemitismo o altre forme di odio fondate sull’intolleranza, tra cui l’intolleranza espressa sotto forma di
nazionalismo aggressivo e di etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità nei confronti delle minoranze, dei migranti,
e delle persone di origine immigrata”.
(8) Nota MIUR prot. AOODGSIP n. 2501 del 25.3.2016 con la quale il Miur, al fine di promuovere nelle scuole
azioni di sensibilizzazione e informazione sul tema dell'istigazione all'odio on line e dei rischi che esso rappresenta, ha
inviato alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado “un estratto del manuale elaborato dal Consiglio d'Europa per
comprendere meglio le caratteristiche del fenomeno e le modalità operative attraverso le quali aiutare i nostri ragazzi
a crescere in una società più rispettosa della diversità, che tuteli il rispetto dei diritti umani e contrasti il discorso dell'
odio. Il testo può essere, altresì, scaricato dal sito della Direzione generale dedicata al fenomeno del cyberbullismo
raggiungibile all'indirizzo www.generazioniconnesse.it”.
(9) Nota prot. 2519 del 15-04-2015.
Firmato digitalmente da FEDELI VALERIA
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U.S.R. per il Piemonte - Circolare Regionale 9 settembre 2011, n. 233
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U.S.R. per l’Emilia Romagna - Nota 13 febbraio 2018, n. 2499
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Legge 29 maggio 2017, n. 71
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Nota 9 gennaio 2018, n. 312
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Corte di Cassazione - Sentenza 08 febbraio 2012, n. 1769
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Relazione presentata in data 23 giugno 2011
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U.S.R. per il Piemonte - Circolare Regionale 8 marzo 2012, n. 138
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Nota 27 ottobre 2017, n. 5515 - Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo nelle scuole (art. 4 L. 71/2017)
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Comunicazione MIUR relativa al pagamento della mensa scolastica e della TARSU/TIA.
Il MIUR ha comunicato gli importi determinati per ciascun Comune relativi ai pagamenti della mensa scolastica da parte del personale della scuola e della TARSU/TIA
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Comunicazione MIUR inerente le procedure di assunzione del personale docente in attuazione della Buona Scuola.
Il MIUR ha indetto le procedure di assunzione del personale docente in attuazione dell'art. 1 comma 95, della legge 107/2015, "Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti"
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Nota 23 febbraio 2017, n. 2000
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Provvedimento del 7 novembre 2016 (Doc-Web 5601934)
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Nota 7 dicembre 2016, n. 9060
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Chiarimenti INPS riguardanti la fruizione dei permessi di cui alla Legge 104 del 1992.
L'INPS ha precisato che l'obbligo di presentazione in via telematica delle domande per la fruizione dei permessi di cui all'art. 33 della Legge 104 del 1992 riguarda esclusivamente la generalità dei lavoratori dipendenti del settore privato
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Ulteriori indicazioni MIUR inerenti le iscrizioni scolastiche.
Il MIUR ha fornito ulteriori precisazioni in merito alle iscrizioni alle scuole dell'infanzia e alle scuole di ogni ordine e grado per l'anno scolastico 2013/2014
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Conferma del MIUR sull'applicabilità, anche alle istituzioni scolastiche, delle disposizioni di cui all'art.1, comma 32, della legge 6 novembre 2012, n.190.
Il MIUR ha confermato l'obbligo per le istituzioni scolastiche della pubblicazione sui propri siti internet, entro il 31 gennaio di ogni anno, dei dati relativi ai procedimenti di scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi
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#contraente #applicabilitàPagina: 2
Nota 10 ottobre 2017, n. 1865 - D.M. 3 ottobre 2017, n. 741 - D.M. 3 ottobre 2017, n. 742 - Lettera Invalsi 6 ottobre 2017
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Area Tematica: Alunni, alunni portatori di disabilità
Argomenti:
Alunni/disciplina: sanzioni per offese via web
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