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Alunno con disabilità: la sua documentazione può essere trasmessa allo specialista privato che lo segue?

 25/03/2021
 Alunni, alunni portatori di handicap
 
Alunni/salute: alunni disabili

#pbb #specialista #glo #famiglia #disabilità #struttura #partecipazione #privacy #autorizzazione #soggetto #autorizzare
Domanda
In una classe quarta di scuola primaria abbiamo un alunno con disabilità che ha atteggiamenti aggressivi, pericolosi ed imprevedibili. Ho inviato due relazioni alla struttura pubblica territorialmente competente e mi hanno risposto che il soggetto è seguito da altra struttura e non da loro. Il problema è che tale "altra struttura" è una struttura privata (una ONLUS) ed il medico che segue il bambino è pagato direttamente dalla famiglia.
Secondo quanto previsto dal decreto interministeriale n. 182/2020 fa parte del GLO il rappresentante individuato dalla ASL territorialmente competente; al contrario lo specialista privato può intervenire su autorizzazione del DS e ha mera funzione consultiva. Mi chiedo inoltre se, stante così la questione, dal punto di vista del rispetto del rispetto della privacy sono autorizzato a trasmettere relazioni riservate ad uno specialista privato pagato dalla famiglia senza autorizzazione di quest'ultima. La questione non si pone ovviamente nel caso dell'ASL in quanto si tratto di un soggetto che dal punto di vista istituzionale è proposto alla ricezione di informazioni di questo genere.
Si ringrazia dell'attenzione.
Risposta
Occorre premettere che, nel caso specifico, la famiglia ha affidato a un medico specialista che opera in strutture private, il percorso terapeutico del proprio figlio. Pertanto la sua presenza è auspicabile nel gruppo di lavoro operativo, proprio perché la coordinazione e la collaborazione tra la famiglia dell’alunno con disabilità e la scuola sono i presupposti per elaborare una progettazione efficace alla cui definizione, ciascuno dei partecipanti al GLO, è chiamato a dare il proprio contributo in base alle specifiche competenze e al ruolo ricoperto.
Il D.I. n. 182/2020 all’art. 3, c. 6, afferma che: “Il Dirigente scolastico può autorizzare, ove richiesto, la partecipazione di non più di un esperto indicato dalla famiglia. La suddetta partecipazione ha valore consultivo e non decisionale”. Al c. 9 dello stesso articolo troviamo che: “Il GLO elabora e approva il PEI tenendo in massima considerazione ogni apporto fornito da coloro che, in base al presente articolo, sono ammessi alla partecipazione ai suoi lavori, motivando le decisioni adottate in particolare quando esse si discostano dalle proposte formulate dai soggetti partecipanti”.
Le Linee Guida allegate al D.I. n. 182/2020 specificano maggiormente le modalità operative da seguire: “Prima di nominare i soggetti esterni, il Dirigente scolastico acquisisce la loro disponibilità ad accettare l'incarico e l'impegno a rispettare la riservatezza necessaria. La famiglia è tenuta a presentare gli specialisti privati e ad autorizzarli a partecipare agli incontri, nonché a mantenere riservati i dati sensibili, nel rispetto delle norme sulla privacy. Uno specialista privato può essere individuato quale partecipante del GLO solo se dichiara di non essere retribuito dalla famiglia e la sua partecipazione ha valore consultivo e non decisionale”.
Da quanto riportato nelle Linee Guida, il dirigente scolastico può consentire la partecipazione dello specialista esterno alle riunioni del GLOI solo se sono state rispettate le condizioni precedentemente descritte nelle Linee Guida. A tale scopo si consiglia di agevolare la famiglia dell’alunno con disabilità fornendo ad essa un modello precompilato di autorizzazione alla partecipazione dello specialista privato a riunioni del GLO e al contestuale rispetto della normativa sulla privacy in riferimento ai dati che questi potrebbe acquisire durante i suddetti incontri.
In questo caso, la documentazione che la scuola redige per l’alunno con disabilità (relazioni, PEI, osservazioni ecc.) deve essere consegnata ai genitori dello studente che ne possono fare richiesta e non allo specialista privato.
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Approfondimenti

Decreto del Presidente della Repubblica 16/04/2013 n° 62 Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Normativa

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l'articolo 87, quinto comma, della Costituzione;

Visto l'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche";

Visto, in particolare, l'articolo 54 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come sostituito dall'articolo 1, comma 44, della legge 6 novembre 2012, n. 190, che prevede l'emanazione di un Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico;

Visto il decreto del Ministro per la funzione pubblica 28 novembre 2000, recante "Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile 2001;

Vista l'intesa intervenuta in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nella seduta del 7 febbraio 2013;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'Adunanza del 21 febbraio 2013;

Ritenuto di non poter accogliere le seguenti osservazioni contenute nel citato parere del Consiglio di Stato con le quali si chiede: di estendere, all'articolo 2, l'ambito soggettivo di applicazione del presente Codice a tutti i pubblici dipendenti, in considerazione del fatto che l'articolo 54 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come modificato dall'articolo 1, comma 44, della legge n. 190 del 2012, trova applicazione soltanto ai pubblici dipendenti il cui rapporto di lavoro è regolato contrattualmente; di prevedere, all'articolo 5, la valutazione, da parte dell'amministrazione, della compatibilità dell'adesione o dell'appartenenza del dipendente ad associazioni o ad organizzazioni, in quanto, assolto l'obbligo di comunicazione da parte del dipendente, l'amministrazione non appare legittimata, in via preventiva e generale, a sindacare la scelta associativa; di estendere l'obbligo di informazione di cui all'articolo 6, comma 1, ai rapporti di collaborazione non retribuiti, in considerazione del fatto che la finalità della norma è quella di far emergere solo i rapporti intrattenuti dal dipendente con soggetti esterni che abbiano risvolti di carattere economico; di eliminare, all'articolo 15, comma 2, il passaggio, agli uffici di disciplina, anche delle funzioni dei comitati o uffici etici, in quanto uffici non più previsti dalla vigente normativa;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dell'8 marzo 2013;

Sulla proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione;

Emana

il seguente regolamento:

Art. 1  Disposizioni di carattere generale

1.  Il presente codice di comportamento, di seguito denominato "Codice", definisce, ai fini dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare.

2.  Le previsioni del presente Codice sono integrate e specificate dai codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni ai sensi dell'articolo 54, comma 5, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001.

Art. 2  Ambito di applicazione

1.  Il presente codice si applica ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il cui rapporto di lavoro è disciplinato in base all'articolo 2, commi 2 e 3, del medesimo decreto.

2.  Fermo restando quanto previsto dall'articolo 54, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le norme contenute nel presente codice costituiscono principi di comportamento per le restanti categorie di personale di cui all'articolo 3 del citato decreto n. 165 del 2001, in quanto compatibili con le disposizioni dei rispettivi ordinamenti.

3.  Le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta previsti dal presente codice a tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché nei confronti dei collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione. A tale fine, negli atti di incarico o nei contratti di acquisizioni delle collaborazioni, delle consulenze o dei servizi, le amministrazioni inseriscono apposite disposizioni o clausole di risoluzione o decadenza del rapporto in caso di violazione degli obblighi derivanti dal presente codice.

4.  Le disposizioni del presente codice si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto delle attribuzioni derivanti dagli statuti speciali e delle relative norme di attuazione, in materia di organizzazione e contrattazione collettiva del proprio personale, di quello dei loro enti funzionali e di quello degli enti locali del rispettivo territorio.

Art. 3  Principi generali

1.  Il dipendente osserva la Costituzione, servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. Il dipendente svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l'interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui è titolare.

2.  Il dipendente rispetta altresì i principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e agisce in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi.

3.  Il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione. Prerogative e poteri pubblici sono esercitati unicamente per le finalità di interesse generale per le quali sono stati conferiti.

4.  Il dipendente esercita i propri compiti orientando l'azione amministrativa alla massima economicità, efficienza ed efficacia. La gestione di risorse pubbliche ai fini dello svolgimento delle attività amministrative deve seguire una logica di contenimento dei costi, che non pregiudichi la qualità dei risultati.

5.  Nei rapporti con i destinatari dell'azione amministrativa, il dipendente assicura la piena parità di trattamento a parità di condizioni, astenendosi, altresì, da azioni arbitrarie che abbiano effetti negativi sui destinatari dell'azione amministrativa o che comportino discriminazioni basate su sesso, nazionalità, origine etnica, caratteristiche genetiche, lingua, religione o credo, convinzioni personali o politiche, appartenenza a una minoranza nazionale, disabilità, condizioni sociali o di salute, età e orientamento sessuale o su altri diversi fattori.

6.  Il dipendente dimostra la massima disponibilità e collaborazione nei rapporti con le altre pubbliche amministrazioni, assicurando lo scambio e la trasmissione delle informazioni e dei dati in qualsiasi forma anche telematica, nel rispetto della normativa vigente.

Art. 4  Regali, compensi e altre utilità

1.  Il dipendente non chiede, nè sollecita, per sè o per altri, regali o altre utilità.

2.  Il dipendente non accetta, per sè o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore effettuati occasionalmente nell'ambito delle normali relazioni di cortesia e nell'ambito delle consuetudini internazionali. In ogni caso, indipendentemente dalla circostanza che il fatto costituisca reato, il dipendente non chiede, per sè o per altri, regali o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti all'ufficio, nè da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell'ufficio ricoperto.

3.  Il dipendente non accetta, per sè o per altri, da un proprio subordinato, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore. Il dipendente non offre, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità a un proprio sovraordinato, salvo quelli d'uso di modico valore.

4.  I regali e le altre utilità comunque ricevuti fuori dai casi consentiti dal presente articolo, a cura dello stesso dipendente cui siano pervenuti, sono immediatamente messi a disposizione dell'Amministrazione per la restituzione o per essere devoluti a fini istituzionali.

5.  Ai fini del presente articolo, per regali o altre utilità di modico valore si intendono quelle di valore non superiore, in via orientativa, a 150 euro, anche sotto forma di sconto. I codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni possono prevedere limiti inferiori, anche fino all'esclusione della possibilità di riceverli, in relazione alle caratteristiche dell'ente e alla tipologia delle mansioni.

6.  Il dipendente non accetta incarichi di collaborazione da soggetti privati che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all'ufficio di appartenenza.

7.  Al fine di preservare il prestigio e l'imparzialità dell'amministrazione, il responsabile dell'ufficio vigila sulla corretta applicazione del presente articolo.

Art. 5  Partecipazione ad associazioni e organizzazioni

1.  Nel rispetto della disciplina vigente del diritto di associazione, il dipendente comunica tempestivamente al responsabile dell'ufficio di appartenenza la propria adesione o appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell'attività dell'ufficio. Il presente comma non si applica all'adesione a partiti politici o a sindacati.

2.  Il pubblico dipendente non costringe altri dipendenti ad aderire ad associazioni od organizzazioni, nè esercita pressioni a tale fine, promettendo vantaggi o prospettando svantaggi di carriera.

Art. 6  Comunicazione degli interessi finanziari e conflitti d'interesse

1.  Fermi restando gli obblighi di trasparenza previsti da leggi o regolamenti, il dipendente, all'atto dell'assegnazione all'ufficio, informa per iscritto il dirigente dell'ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni, precisando:

a)  se in prima persona, o suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione;

b)  se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o decisioni inerenti all'ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate.

2.  Il dipendente si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall'intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici.

Art. 7  Obbligo di astensione

1.  Il dipendente si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza.

Art. 8  Prevenzione della corruzione

1.  Il dipendente rispetta le misure necessarie alla prevenzione degli illeciti nell'amministrazione. In particolare, il dipendente rispetta le prescrizioni contenute nel piano per la prevenzione della corruzione, presta la sua collaborazione al responsabile della prevenzione della corruzione e, fermo restando l'obbligo di denuncia all'autorità giudiziaria, segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell'amministrazione di cui sia venuto a conoscenza.

 

Art. 9  Trasparenza e tracciabilità

1.  Il dipendente assicura l'adempimento degli obblighi di trasparenza previsti in capo alle pubbliche amministrazioni secondo le disposizioni normative vigenti, prestando la massima collaborazione nell'elaborazione, reperimento e trasmissione dei dati sottoposti all'obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale.

2.  La tracciabilità dei processi decisionali adottati dai dipendenti deve essere, in tutti i casi, garantita attraverso un adeguato supporto documentale, che consenta in ogni momento la replicabilità.

Art. 10  Comportamento nei rapporti privati

1.  Nei rapporti privati, comprese le relazioni extralavorative con pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni, il dipendente non sfrutta, nè menziona la posizione che ricopre nell'amministrazione per ottenere utilità che non gli spettino e non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all'immagine dell'amministrazione.

Art. 11  Comportamento in servizio

1.  Fermo restando il rispetto dei termini del procedimento amministrativo, il dipendente, salvo giustificato motivo, non ritarda nè adotta comportamenti tali da far ricadere su altri dipendenti il compimento di attività o l'adozione di decisioni di propria spettanza.

2.  Il dipendente utilizza i permessi di astensione dal lavoro, comunque denominati, nel rispetto delle condizioni previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi.

3.  Il dipendente utilizza il materiale o le attrezzature di cui dispone per ragioni di ufficio e i servizi telematici e telefonici dell'ufficio nel rispetto dei vincoli posti dall'amministrazione. Il dipendente utilizza i mezzi di trasporto dell'amministrazione a sua disposizione soltanto per lo svolgimento dei compiti d'ufficio, astenendosi dal trasportare terzi, se non per motivi d'ufficio.

Articolo 11 bis Utilizzo delle tecnologie informatiche (1)

1. L'amministrazione, attraverso i propri responsabili di struttura, ha facoltà di svolgere gli accertamenti necessari e adottare ogni misura atta a garantire la sicurezza e la protezione dei sistemi informatici, delle informazioni e dei dati. Le modalità di svolgimento di tali accertamenti sono stabilite mediante linee guida adottate dall'Agenzia per l'Italia Digitale, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. In caso di uso di dispositivi elettronici personali, trova applicazione l'articolo 12, comma 3-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

2. L'utilizzo di account istituzionali è consentito per i soli fini connessi all'attività lavorativa o ad essa riconducibili e non può in alcun modo compromettere la sicurezza o la reputazione dell'amministrazione. L'utilizzo di caselle di posta elettroniche personali è di norma evitato per attività o comunicazioni afferenti il servizio, salvi i casi di forza maggiore dovuti a circostanze in cui il dipendente, per qualsiasi ragione, non possa accedere all'account istituzionale.

3. Il dipendente è responsabile del contenuto dei messaggi inviati. I dipendenti si uniformano alle modalità di firma dei messaggi di posta elettronica di servizio individuate dall'amministrazione di appartenenza. Ciascun messaggio in uscita deve consentire l'identificazione del dipendente mittente e deve indicare un recapito istituzionale al quale il medesimo è reperibile.

4. Al dipendente è consentito l'utilizzo degli strumenti informatici forniti dall'amministrazione per poter assolvere alle incombenze personali senza doversi allontanare dalla sede di servizio, purché l'attività sia contenuta in tempi ristretti e senza alcun pregiudizio per i compiti istituzionali.

5. È vietato l'invio di messaggi di posta elettronica, all'interno o all'esterno dell'amministrazione, che siano oltraggiosi, discriminatori o che possano essere in qualunque modo fonte di responsabilità dell'amministrazione.

(1) Articolo inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera a) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

Articolo 11 ter Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media (1)

1. Nell'utilizzo dei propri account di social media, il dipendente utilizza ogni cautela affinché le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza.

2. In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale.

3. Al fine di garantirne i necessari profili di riservatezza le comunicazioni, afferenti direttamente o indirettamente il servizio non si svolgono, di norma, attraverso conversazioni pubbliche mediante l'utilizzo di piattaforme digitali o social media. Sono escluse da tale limitazione le attività o le comunicazioni per le quali l'utilizzo dei social media risponde ad una esigenza di carattere istituzionale.

4. Nei codici di cui all'articolo 1, comma 2, le amministrazioni si possono dotare di una "social media policy" per ciascuna tipologia di piattaforma digitale, al fine di adeguare alle proprie specificità le disposizioni di cui al presente articolo. In particolare, la "social media policy" deve individuare, graduandole in base al livello gerarchico e di responsabilità del dipendente, le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni.

5. Fermi restando i casi di divieto previsti dalla legge, i dipendenti non possono divulgare o diffondere per ragioni estranee al loro rapporto di lavoro con l'amministrazione e in difformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 33, e alla legge 7 agosto 1990, n. 241, documenti, anche istruttori, e informazioni di cui essi abbiano la disponibilità.

(1) Articolo inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera a) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023

Art. 12  Rapporti con il pubblico

1. Il dipendente in rapporto con il pubblico si fa riconoscere attraverso l'esposizione in modo visibile del badge od altro supporto identificativo messo a disposizione dall'amministrazione, salvo diverse disposizioni di servizio, anche in considerazione della sicurezza dei dipendenti, opera con spirito di servizio, correttezza, cortesia e disponibilita' e, nel rispondere alla corrispondenza, a chiamate telefoniche e ai messaggi di posta elettronica, opera nella maniera piu' completa e accurata possibile e, in ogni caso, orientando il proprio comportamento alla soddisfazione dell'utente. Qualora non sia competente per posizione rivestita o per materia, indirizza l'interessato al funzionario o ufficio competente della medesima amministrazione. Il dipendente, fatte salve le norme sul segreto d'ufficio, fornisce le spiegazioni che gli siano richieste in ordine al comportamento proprio e di altri dipendenti dell'ufficio dei quali ha la responsabilita' od il coordinamento. Nelle operazioni da svolgersi e nella trattazione delle pratiche il dipendente rispetta, salvo diverse esigenze di servizio o diverso ordine di priorita' stabilito dall'amministrazione, l'ordine cronologico e non rifiuta prestazioni a cui sia tenuto con motivazioni generiche. Il dipendente rispetta gli appuntamenti con i cittadini e risponde senza ritardo ai loro reclami.(1)

2. Salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell'amministrazione o che possano nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale.(2)

3. Il dipendente che svolge la sua attivita' lavorativa in un'amministrazione che fornisce servizi al pubblico cura il rispetto degli standard di qualita' e di quantita' fissati dall'amministrazione anche nelle apposite carte dei servizi. Il dipendente opera al fine di assicurare la continuita' del servizio, di consentire agli utenti la scelta tra i diversi erogatori e di fornire loro informazioni sulle modalita' di prestazione del servizio e sui livelli di qualita'.

4. Il dipendente non assume impegni ne' anticipa l'esito di decisioni o azioni proprie o altrui inerenti all'ufficio, al di fuori dei casi consentiti. Fornisce informazioni e notizie relative ad atti od operazioni amministrative, in corso o conclusi, nelle ipotesi previste dalle disposizioni di legge e regolamentari in materia di accesso, informando sempre gli interessati della possibilita' di avvalersi anche dell'Ufficio per le relazioni con il pubblico. Rilascia copie ed estratti di atti o documenti secondo la sua competenza, con le modalita' stabilite dalle norme in materia di accesso e dai regolamenti della propria amministrazione.

5. Il dipendente osserva il segreto d'ufficio e la normativa in materia di tutela e trattamento dei dati personali e, qualora sia richiesto oralmente di fornire informazioni, atti, documenti non accessibili tutelati dal segreto d'ufficio o dalle disposizioni in materia di dati personali, informa il richiedente dei motivi che ostano all'accoglimento della richiesta. Qualora non sia competente a provvedere in merito alla richiesta cura, sulla base delle disposizioni interne, che la stessa venga inoltrata all'ufficio competente della medesima amministrazione.

(1) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera b), numero 1 del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

(2) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera b), numero 1 del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

Art. 13  Disposizioni particolari per i dirigenti

1. Ferma restando l'applicazione delle altre disposizioni del Codice, le norme del presente articolo si applicano ai dirigenti, ivi compresi i titolari di incarico ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 e dell'articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ai soggetti che svolgono funzioni equiparate ai dirigenti operanti negli uffici di diretta collaborazione delle autorita' politiche, nonche' ai funzionari responsabili di posizione organizzativa negli enti privi di dirigenza.

2. Il dirigente svolge con diligenza le funzioni ad esso spettanti in base all'atto di conferimento dell'incarico, persegue gli obiettivi assegnati e adotta un comportamento organizzativo adeguato per l'assolvimento dell'incarico.

3. Il dirigente, prima di assumere le sue funzioni, comunica all'amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possano porlo in conflitto di interessi con la funzione pubblica che svolge e dichiara se ha parenti e affini entro il secondo grado, coniuge o convivente che esercitano attivita' politiche, professionali o economiche che li pongano in contatti frequenti con l'ufficio che dovra' dirigere o che siano coinvolti nelle decisioni o nelle attivita' inerenti all'ufficio. Il dirigente fornisce le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e le dichiarazioni annuali dei redditi soggetti all'imposta sui redditi delle persone fisiche previste dalla legge.

4. Il dirigente assume atteggiamenti leali e trasparenti e adotta un comportamento esemplare , in termini di integrità, imparzialità, buona fede e correttezza, parità di trattamento, equità, inclusione e ragionevolezza e imparziale nei rapporti con i colleghi, i collaboratori e i destinatari dell'azione amministrativa. Il dirigente cura, altresi', che le risorse assegnate al suo ufficio siano utilizzate per finalita' esclusivamente istituzionali e, in nessun caso, per esigenze personali(1).

4-bis. Il dirigente cura la crescita professionale dei collaboratori, favorendo le occasioni di formazione e promuovendo opportunità di sviluppo interne ed esterne alla struttura di cui è responsabile(2)

5. Il dirigente cura, compatibilmente con le risorse disponibili, il benessere organizzativo nella struttura a cui è preposto, favorendo l'instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori, nonché di relazioni, interne ed esterne alla struttura, basate su una leale collaborazione e su una reciproca fiducia e assume iniziative finalizzate alla circolazione delle informazioni, all'inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere, di età e di condizioni personali.(3)

6. Il dirigente assegna l'istruttoria delle pratiche sulla base di un'equa ripartizione del carico di lavoro, tenendo conto delle capacita', delle attitudini e della professionalita' del personale a sua disposizione. Il dirigente affida gli incarichi aggiuntivi in base alla professionalita' e, per quanto possibile, secondo criteri di rotazione.

7. Il dirigente svolge la valutazione del personale assegnato alla struttura cui e' preposto con imparzialita' e rispettando le indicazioni ed i tempi prescritti , misurando il raggiungimento dei risultati ed il comportamento organizzativo.(4)

8. Il dirigente intraprende con tempestivita' le iniziative necessarie ove venga a conoscenza di un illecito, attiva e conclude, se competente, il procedimento disciplinare, ovvero segnala tempestivamente l'illecito all'autorita' disciplinare, prestando ove richiesta la propria collaborazione e provvede ad inoltrare tempestiva denuncia all'autorita' giudiziaria penale o segnalazione alla corte dei conti per le rispettive competenze. Nel caso in cui riceva segnalazione di un illecito da parte di un dipendente, adotta ogni cautela di legge affinche' sia tutelato il segnalante e non sia indebitamente rilevata la sua identita' nel procedimento disciplinare, ai sensi dell'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001.

9. Il dirigente, nei limiti delle sue possibilita', evita che notizie non rispondenti al vero quanto all'organizzazione, all'attivita' e ai dipendenti pubblici possano diffondersi. Favorisce la diffusione della conoscenza di buone prassi e buoni esempi al fine di rafforzare il senso di fiducia nei confronti dell'amministrazione.

(1) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

(2) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 2) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

(3)  Comma sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 3) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

(4)  Comma sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 4) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

 

Art. 14  Contratti ed altri atti negoziali

1.  Nella conclusione di accordi e negozi e nella stipulazione di contratti per conto dell'amministrazione, nonché nella fase di esecuzione degli stessi, il dipendente non ricorre a mediazione di terzi, nè corrisponde o promette ad alcuno utilità a titolo di intermediazione, nè per facilitare o aver facilitato la conclusione o l'esecuzione del contratto. Il presente comma non si applica ai casi in cui l'amministrazione abbia deciso di ricorrere all'attività di intermediazione professionale.

2.  Il dipendente non conclude, per conto dell'amministrazione, contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento o assicurazione con imprese con le quali abbia stipulato contratti a titolo privato o ricevuto altre utilità nel biennio precedente, ad eccezione di quelli conclusi ai sensi dell'articolo 1342 del codice civile. Nel caso in cui l'amministrazione concluda contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento o assicurazione, con imprese con le quali il dipendente abbia concluso contratti a titolo privato o ricevuto altre utilità nel biennio precedente, questi si astiene dal partecipare all'adozione delle decisioni ed alle attività relative all'esecuzione del contratto, redigendo verbale scritto di tale astensione da conservare agli atti dell'ufficio.

3.  Il dipendente che conclude accordi o negozi ovvero stipula contratti a titolo privato, ad eccezione di quelli conclusi ai sensi dell'articolo 1342 del codice civile, con persone fisiche o giuridiche private con le quali abbia concluso, nel biennio precedente, contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento ed assicurazione, per conto dell'amministrazione, ne informa per iscritto il dirigente dell'ufficio.

4.  Se nelle situazioni di cui ai commi 2 e 3 si trova il dirigente, questi informa per iscritto il dirigente apicale responsabile della gestione del personale.

5.  Il dipendente che riceva, da persone fisiche o giuridiche partecipanti a procedure negoziali nelle quali sia parte l'amministrazione, rimostranze orali o scritte sull'operato dell'ufficio o su quello dei propri collaboratori, ne informa immediatamente, di regola per iscritto, il proprio superiore gerarchico o funzionale.

Art. 15  Vigilanza, monitoraggio e attività formative

1. Ai sensi dell'articolo 54, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, vigilano sull'applicazione del presente Codice e dei codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni, i dirigenti responsabili di ciascuna struttura, le strutture di controllo interno e gli uffici etici e di disciplina.

2. Ai fini dell'attivita' di vigilanza e monitoraggio prevista dal presente articolo, le amministrazioni si avvalgono dell'ufficio procedimenti disciplinari istituito ai sensi dell'articolo 55-bis, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che svolge, altresi', le funzioni dei comitati o uffici etici eventualmente gia' istituiti.

3. Le attivita' svolte ai sensi del presente articolo dall'ufficio procedimenti disciplinari si conformano alle eventuali previsioni contenute nei piani di prevenzione della corruzione adottati dalle amministrazioni ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 6 novembre 2012, n. 190. L'ufficio procedimenti disciplinari, oltre alle funzioni disciplinari di cui all'articolo 55-bis e seguenti del decreto legislativo n. 165 del 2001, cura l'aggiornamento del codice di comportamento dell'amministrazione, l'esame delle segnalazioni di violazione dei codici di comportamento, la raccolta delle condotte illecite accertate e sanzionate, assicurando le garanzie di cui all'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001. Il responsabile della prevenzione della corruzione cura la diffusione della conoscenza dei codici di comportamento nell'amministrazione, il monitoraggio annuale sulla loro attuazione, ai sensi dell'articolo 54, comma 7, del decreto legislativo n. 165 del 2001, la pubblicazione sul sito istituzionale e della comunicazione all'Autorita' nazionale anticorruzione, di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 6 novembre 2012, n. 190, dei risultati del monitoraggio. Ai fini dello svolgimento delle attivita' previste dal presente articolo, l'ufficio procedimenti disciplinari opera in raccordo con il responsabile della prevenzione di cui all'articolo 1, comma 7, della legge n. 190 del 2012.

4. Ai fini dell'attivazione del procedimento disciplinare per violazione dei codici di comportamento, l'ufficio procedimenti disciplinari puo' chiedere all'Autorita' nazionale anticorruzione parere facoltativo secondo quanto stabilito dall'articolo 1, comma 2, lettera d), della legge n. 190 del 2012.

5. Al personale delle pubbliche amministrazioni sono rivolte attivita' formative in materia di trasparenza e integrita', che consentano ai dipendenti di conseguire una piena conoscenza dei contenuti del codice di comportamento, nonche' un aggiornamento annuale e sistematico sulle misure e sulle disposizioni applicabili in tali ambiti.

5-bis. Le attività di cui al comma 5 includono anche cicli formativi sui temi dell'etica pubblica e sul comportamento etico, da svolgersi obbligatoriamente, sia a seguito di assunzione, sia in ogni caso di passaggio a ruoli o a funzioni superiori, nonché di trasferimento del personale, le cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità.(1)

6. Le Regioni e gli enti locali, definiscono, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, le linee guida necessarie per l'attuazione dei principi di cui al presente articolo.

7. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni provvedono agli adempimenti previsti nell'ambito delle risorse umane, finanziarie, e strumentali disponibili a legislazione vigente.

(1) Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera d), del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

Art. 16  Responsabilità conseguente alla violazione dei doveri del codice

1.  La violazione degli obblighi previsti dal presente Codice integra comportamenti contrari ai doveri d'ufficio. Ferme restando le ipotesi in cui la violazione delle disposizioni contenute nel presente Codice, nonché dei doveri e degli obblighi previsti dal piano di prevenzione della corruzione, dà luogo anche a responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile del pubblico dipendente, essa è fonte di responsabilità disciplinare accertata all'esito del procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni.

2.  Ai fini della determinazione del tipo e dell'entità della sanzione disciplinare concretamente applicabile, la violazione è valutata in ogni singolo caso con riguardo alla gravità del comportamento ed all'entità del pregiudizio, anche morale, derivatone al decoro o al prestigio dell'amministrazione di appartenenza. Le sanzioni applicabili sono quelle previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi, incluse quelle espulsive che possono essere applicate esclusivamente nei casi, da valutare in relazione alla gravità, di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 4, qualora concorrano la non modicità del valore del regalo o delle altre utilità e l'immediata correlazione di questi ultimi con il compimento di un atto o di un'attività tipici dell'ufficio, 5, comma 2, 14, comma 2, primo periodo, valutata ai sensi del primo periodo. La disposizione di cui al secondo periodo si applica altresì nei casi di recidiva negli illeciti di cui agli articoli 4, comma 6, 6, comma 2, esclusi i conflitti meramente potenziali, e 13, comma 9, primo periodo. I contratti collettivi possono prevedere ulteriori criteri di individuazione delle sanzioni applicabili in relazione alle tipologie di violazione del presente codice.

3.  Resta ferma la comminazione del licenziamento senza preavviso per i casi già previsti dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi.

4.  Restano fermi gli ulteriori obblighi e le conseguenti ipotesi di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti previsti da norme di legge, di regolamento o dai contratti collettivi.

 

Art. 17  Disposizioni finali e abrogazioni

1. Le amministrazioni danno la piu' ampia diffusione al presente decreto, pubblicandolo sul proprio sito internet istituzionale e nella rete intranet, nonche' trasmettendolo tramite e-mail a tutti i propri dipendenti e ai titolari di contratti di consulenza o collaborazione a qualsiasi titolo, anche professionale, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione dei vertici politici dell'amministrazione, nonche' ai collaboratori a qualsiasi titolo, anche professionale, di imprese fornitrici di servizi in favore dell'amministrazione. L'amministrazione, contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro o, in mancanza, all'atto di conferimento dell'incarico, consegna e fa sottoscrivere ai nuovi assunti, con rapporti comunque denominati, copia del codice di comportamento.

2. Le amministrazioni danno la piu' ampia diffusione ai codici di comportamento da ciascuna definiti ai sensi dell'articolo 54, comma 5, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001 secondo le medesime modalita' previste dal comma 1 del presente articolo.

2-bis. Alle attività di cui al presente decreto le amministrazioni provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o ulteriori oneri a carico della finanza pubblica(1).

3. Il decreto del Ministro per la funzione pubblica in data 28 novembre 2000 recante "Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile 2001, e' abrogato.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

(1) Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera e), del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

Keywords
#valutazione del personale#dipendente #articolo #amministrazione #ufficio #codice #comportamento #decreto #comma #utilità #collaborazione
Il servizio presso scuole paritarie non può essere valutato nella ricostruzione di carriera - Tribunale BOLOGNA - Lavoro Sentenza 20/07/2017 n° 773
Giurisprudenza
Dagli artt. 1 della legge 62/2000 e 2, comma 2, d.lvo 255/ si evince che il principio di equivalenza tra il servizio d'insegnamento svolto nelle scuole Statali e quello svolto nelle scuole paritarie può essere riconosciuto solo ai fini dell'inserimento nelle GAE, di assoluto favore per gli insegnanti delle scuole paritarie. Si tratta, infatti, di due datori di lavoro diversi, con la conseguenza che, anche a voler dare applicazione del principio di cui all'art. 4 dell'Accordo quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE, il servizio reso presso le scuole paritarie non può essere valutato ai fini della ricostruzione di carriera. (Nel caso di specie il Tribunale ha rigettato la domanda con cui una docente aveva richiesto il riconoscimento del servizio svolto presso una scuola paritaria nel periodo 2008-2015, nell'ambito delle operazioni di mobilità del personale docente per l'anno 2016/2017. La giurisprudenza sul punto è controversa).
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#concorso a pubblico impiego e procedure selettive del personale#personale docente#incluso #porcaro #mater #bazzoni #riconosciutole #assunta
T.A.R. LAZIO - LATINA - Sezione Prima Sentenza 11/02/2015 n° 134
Giurisprudenza
E’ legittima la sanzione dell’allontanamento dell’alunno dalla comunità scolastica (con l’ammissione allo scrutinio finale) quando, come nel caso di specie, i fatti commessi hanno un’indubbia incidenza sulla dignità e sul rispetto della persona umana. Non sussiste disparità di trattamento per avere il Consiglio d’Istituto punito uno solo dei partecipanti all’episodio, in quanto la responsabilità disciplinare è personale (e la responsabilità dell’alunno sanzionato è indiscutibile, avendo lo stesso ammesso la propria partecipazione) e l’atto di contestazione rientra nell’esercizio del potere discrezionale riservato al Consiglio d’istituto. (Nel caso di specie la sanzione disciplinare in questione era stata applicata ad uno studente per aver orinato nella bottiglietta d’acqua posta sul banco di una compagna di classe. Il Giudice Amministrativo, ha ritenuto non irragionevole la qualificazione data all’episodio dal Consiglio d’Istituto quale fatto lesivo delle dignità e del rispetto della persona umana ed ha affermato l’adeguatezza e proporzionalità della sanzione alla gravità del fatto.)
Keywords
#istruzione secondaria di secondo grado#studenti: azione disciplinare#orinare #bottiglietta #marra #lucchese
La ripresa di un colloquio informale fra i partecipanti a una riunione, durante la sospensione dei lavori, non è ostensibile con l'accesso pubblico generalizzato - Consiglio di Stato - Sezione Sesta Sentenza 25/06/2018 n° 3907
Giurisprudenza
L’accesso pubblico generalizzato di cui all’art. 5 d. lgs. n.33/2013, che ha per oggetto dati e documenti detenuti dall'Amministrazione, non può essere utilizzato per ottenere la copia della ripresa in streaming di una riunione che non sia stata conservata agli atti, poiché si tratta di documento non più detenuto dalla P.A. L’accesso pubblico generalizzato di cui all’art. 5 d. lgs. n.33/2013 ha l’esclusiva finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, non già di rendere pubblici colloqui privati -inavvertitamente fatti oggetto di registrazione- che esulano dall'esercizio di funzioni istituzionali. Ne segue che è legittimo il provvedimento con cui l’amministrazione procede alla cancellazione di parte della registrazione di una riunione concernente i colloqui tra i partecipanti alla riunione stessa, intrattenuti durante la sospensione dei lavori per la pausa pranzo e inavvertitamente filmati, in quanto documentazione multimediale non pertinente ai lavori della riunione, e relativa alla manifestazione del pensiero fra persone che (in quel particolare momento) non rivestono né esercitano funzioni pubbliche e il cui trattamento è escluso, in mancanza di un interesse pubblico, dall’art. 11 d. lgs. n. 296/03.
Keywords
#registrazione #accesso #colloquio #riunione #video #generalizzare #ripresa #lgs #inaf #pausa
Tribunale BOLOGNA - Sezione Terza Sentenza 01/04/2016 n° 867
Giurisprudenza
L’Istituzione scolastica autonoma, pur dotata di personalità giuridica, è priva di legittimazione passiva in ordine alla domanda risarcitoria riferita ad attività del personale dipendente dallo Stato nell’esercizio del servizio pubblico dell’istruzione facente capo allo Stato (fattispecie relativa a domanda di risarcimento del danno relativo a un infortunio subito da un alunno a scuola e ascritto a omessa vigilanza del personale scolastico, c.d. infortunio scolasatico). Ai fini della configurabilità di una responsabilità dell'amministrazione scolastica per un infortunio incorso a uno studente durante lo svolgimento di attività fisica a scuola, ai sensi dell'art. 2048 c.c., è necessario che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente, (quindi che lo studente infortunato abbia subito il danno perché fatto segno di una azione colposa da parte di altro studente impegnato nella partita), e inoltre che non siano state predisposte tutte le misure atte a consentire che l'insegnante, sotto la cui guida si svolgeva il gioco, fosse stato posto in grado di evitare il fatto. Ne segue che non è da considerare illecita la condotta di gioco di un alunno che ha provocato il danno ad altro alunno, se è stata tenuta in una fase di gioco quale normalmente si presenta nel corso della partita, si è tradotta in un comportamento normalmente praticato per risolverla e è non stata, in concreto, connotata da un grado di violenza e irruenza incompatibili col contesto ambientale e con l'età e la struttura fisica delle persone partecipanti al gioco, quando, cioè, non è stat riscontrata particolare animosità o violenza di gioco, svolto tra ragazzi coetanei e dopo che l'insegnante aveva loro raccomandato il rispetto delle regole , di giocare piano e di essere corretti (fattispecie relativa a infortunio subito per un colpo ricevuto durante uno scontro di gioco connaturato alla partita e non per effetto di un’azione autonoma del compagno che lo ha colpito, non essendo stato, comunque, provato che l’azione sia stata concretamente caratterizzata da un grado di violenza ed irruenza incompatibili col contesto ambientale e con le persone che vi partecipavano). Il dovere di sorveglianza degli insegnanti nei confronti degli alunni deve essere adeguato all’età e al normale grado di valutazione dei minori loro affidati, in relazione alle circostanze del caso concreto: è, infatti, evidente che il grado di sorveglianza è inversamente proporzionale all’avvicinarsi della maggiore età, e, dunque, al crescere della capacità di discernimento, anche in relazione alla acquisita maggiore autonomia e indipendenza. Ne segue che, in presenza di un contesto di gioco organizzato, e svolto secondo le regole, l’insegnante, se ne ha raccomandato il rispetto, e ha invitato a giocare piano ed essere corretti, nulla può fare per impedire il contrasto della singola azione di gioco, indubbiamente caratterizzato da repentinità, posto che il gioco del calcio comporta rapidità di movimenti, contrasti e concentrazione di più giocatori nella stessa parte del campo.
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#infortunio scolastico#responsabilità civile#questioni processuali: legittimazione delle scuole e degli altri organi#irruenza #infortunare #raccomandato #calcetto #pollicoro #sud #collaterale #gamba
Assoluzione in sede penale: quali effetti spiega nel giudizio di responsabilità innanzi la Corte dei Conti - Corte dei Conti - Terza sezione centrale d’appello Sentenza 24/10/2017 n° 503
Giurisprudenza
L’art. 652 c.p.p., nel testo novellato dall'art. 9 della legge n. 97/2001, prevede che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che “il fatto non sussiste”, che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile. La suddetta norma va riferita anche ai procedimenti per responsabilità erariale dinanzi alla Corte dei conti. Tuttavia, l’osservanza dell’art. 652 c.p.p. non comporta alcun automatismo applicativo tra l’assoluzione e l’efficacia extra-penale del giudicato, ciò sul presupposto che la formula assolutoria "perché il fatto non sussiste” non necessariamente sta a significare l’insussistenza del fatto materiale, ma può semplicemente esprimere la mancanza di questo o quell’elemento che compone la fattispecie delittuosa. Infatti pur avendo ad oggetto i medesimi fatti materiali, sussiste rispetto a quest’ultimi una pluriqualificazione giuridica ( penale ed amministrativo contabile) che rende i giudizi (penale e contabile) reciprocamente autonomi ed indipendenti. Ne consegue che, in presenza di un giudicato assolutorio pronunciato in seguito a dibattimento, l’applicazione dell’art. 652 c.p.p. non può prescindere dall’autonoma valutazione che il giudice contabile è chiamato a svolgere sui fatti e sulle circostanze emergenti dalla motivazione della sentenza penale con lo scopo di accertare se la dichiarazione di non sussistenza del fatto a sua volta comporti anche l’insussistenza dell’evento dannoso (condotta/danno) ai fini della pronuncia erariale. Pertanto, la sentenza penale di assoluzione può fare stato nel giudizio contabile solo quanto alla materialità dei fatti accertati ovvero esclusi, mentre di per sé l’eventuale liceità penale non esclude anche l’illiceità contabile. In definitiva, in applicazione dell’art. 652 c.p.p., il giudicato penale ha effetto preclusivo solo ove contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza del fatto o della partecipazione dell’imputato; non altrettanto nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall'accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o in ordine all’attribuibilità del fatto all'imputato. ( Nel caso di specie la Corte dei Conti Centrale d'Appello ha accolto l'appello di una docente che era stata condannata dalla Sezione Regionale al pagamento della somma di euro 1.228,42 per aver svolto attività libero professionale di guida turistica nei giorni in cui aveva richiesto ed ottenuto permessi retribuiti per assentarsi dal lavoro a causa di malattia, infortunio o motivi di famiglia. Stante l'assoluzione in sede penale della docente, la Corte di Appello, ha affermato l'applicazione dell'art. 652 del c.p.p. in quanto il fatto reato coincide con gli stessi fatti che hanno determinato l’insorgere del giudizio di responsabilità presso la Corte dei conti. Nella sentenza penale era stato accertato che la docente non svolgeva attività di guida, con materiale accompagnamento dei turisti nei luoghi da visitare, e svolgeva invece dal proprio domicilio attività di coordinamento, a mezzo del telefono o della posta elettronica, della altrui attività di accompagnamento dei turisti. Inoltre, sempre in sede penale, era stato accertato che le date delle fatture emesse dalla prof.sa nei confronti delle agenzie turistiche non coincidevano, se non casualmente, con la data delle prestazioni svolte giacchè esse facevano riferimento, ad es., alla data di arrivo delle navi da crociera che trasportavano i turisti da accompagnare nelle città d'arte della Toscana. Infine, la sentenza penale di appello, anche a seguito della audizione dei medici che hanno assistito la docente nel corso degli anni, ha affermato che tutte le assenze per malattia risultavano ben giustificate).
Keywords
#reato#responsabilità amministrativa#assoluzione #fatto #cpp #sentenza #turista #conte #giudicato #attività #svolgere #appello
Alunni disabili e istruzione: non tutte le prestazioni devono essere gratuite - Corte di Cassazione - Sezione Terza Sentenza 17/09/2013 n° 21166
Giurisprudenza
Con riferimento alla gratuità dell’istruzione obbligatoria, ivi inclusa quella dei disabili, le norme lasciano ampi margini di discrezionalità alle amministrazioni nel contemperare il principio di gratuità con la disponibilità di risorse e con i vincoli di bilancio, autorizzando a distinguere tra prestazioni e situazioni da ritenersi completamente gratuite e prestazioni soggette a un contributo da parte delle famiglie. Lo Stato, infatti, è tenuto ad assumersi gli oneri economici dell’offerta formativa di base, ma non vi sono disposizioni specifiche che impongano la gratuità anche di tutte le prestazioni supplementari e aggiuntive rispetto all’offerta formativa di base, specie laddove la famiglia sia nella condizione economica di potervi contribuire.
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#studenti: integrazione e disabilità#gratuità #prestazione #contributo #disabile #diritto #istruzione #onere #assistenza #scuola
Accesso civico delle OOSS e bonus premiale - T.A.R. VENETO - Sezione Prima Sentenza 10/05/2017 n° 463
Giurisprudenza
L’accesso civico di cui al D.Lgs n. 33 del 2013 come modificato dal D.Lgs. n. 97 del 2016 differisce dall’accesso di cui alla L. n. 241 del 1990 per ratio e finalità. La L. n. 241 del 1990 prevede e regola l’accesso agli atti amministrativi da parte di soggetti che abbiano un interesse personale e diretto alla conoscenza di atti in possesso di un’amministrazione pubblica al fine di meglio tutelare la loro personale posizione soggettiva. Per tale accesso valgono i casi di esclusione previsti dall’art. 24 della L. n. 241 del 1990, fra i quali vi è la tutela della riservatezza. L’accesso civico di cui al D.Lgs n. 33 del 2013 è strumentale ai principi di trasparenza, intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all'attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche. Costituisce comunque limite di tale diritto la tutela di peculiari interessi privati e tra questi la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina vigente in materia con riferimento all’art. 24 della L. n. 241 del 1990. L’accesso civico non può essere utilizzato per superare, in materia di interessi personali e dei principi della riservatezza, i limiti imposti dalla L. n. 241 del 1990. Non sussiste il diritto di una Organizzazione sindacale di accedere al prospetto analitico dei compensi erogati al personale docente e dei beneficiari del FIS, perché l’art. 24 della L. n. 241 del 1990 esclude dall’accesso i documenti riguardanti la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono: tutto ciò che concerne il trattamento economico/retributivo rientra in pieno in tale ipotesi di tutela della riservatezza. (A ulteriore supporto del principio affermato, il TAR Veneto ricorda le disposizioni in materia di privacy di cui al D.Lgs n. 196 del 2003 “sulle quali è intervenuto il Garante con un proprio parere del 13.10.2014 nel quale esclude che le informazioni possano riguardare i compensi riferiti ai singoli lavoratori individuali, potendosi solo consentire l’accesso ai dati sui compensi solo in forma aggregata. Analoga conclusione può trarsi con riferimento proprio al c.d. accesso civico regolato dal dec. lgs n. 33 del 14.3.2013 per quanto concerne gli atti per i quali vi è l’obbligo della pubblicazione: l’art. 20 di tale decreto, in particolare, prevede che la pubblicazione dei dati riguardanti l’ammontare complessivo dei premi collegati alla performance stanziati e l’ammontare dei premi effettivamente distribuiti possa avvenire solo in maniera complessiva e in forma aggregata”)
Keywords
#accesso agli atti amministrativi#privacy e trattamento dei dati personali#relazioni sindacali#accesso civico#fis #sulle #mof #olivo
Incompatibilità dei dipendenti pubblici che lavorano presso cooperative - Corte di Cassazione - Lavoro Sentenza 26/09/2016 n° 18861
Giurisprudenza
Il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 60, richiamato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, sancisce che "l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, nè alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del ministro competente". Il successivo art. 61 nel delimitare l'incompatibilità statuisce che "il divieto di cui all'articolo precedente non si applica nei casi di società cooperative (...)". Il combinato disposto delle due norme pone in evidenza come l'esclusione della incompatibilità con riguardo alle società cooperative sia riferito all'assunzione della qualità di socio delle stesse e non alla prestazione di lavoro presso le medesime. Pertanto, allorchè la richiesta di autorizzazione del dipendente non riguardi la qualità di socio di una cooperativa ma l' attività lavorativa prestata presso la stessa, non è stabilita dal legislatore alcuna deroga al regime delle incompatibilità.
Keywords
#personale dipendente: cumulo di impieghi e incompatibilità#distretto #rsa #infermiera #dpgp #apss #orfano #caposala #intimatole #supplire #riformulazione
Appalti: ancora sull'autotutela - T.A.R. PUGLIA - LECCE - Sezione Terza Sentenza 01/08/2017 n° 1351
Giurisprudenza
Le modifiche alla lex specialis di una gara indetta dalla P.A. devono seguire la regola del contrarius actus; tale principio si applica a maggior ragione qualora non si tratti di mere rettifiche formali della lex specialis di gara, ma di modifiche di natura sostanziale che incidono sui requisiti rilevanti ai fini della partecipazione alla procedura, tali da poter determinare un ampliamento della platea dei soggetti potenzialmente interessati all’affidamento dell’appalto. Le modifiche sostanziali alle regole di una gara di appalto, in quanto comportano una estensione dei possibili concorrenti, richiedono una riapertura dei termini per la presentazione delle offerte, non essendo sufficiente una mera proroga del termine originario al fine di evitare discriminazioni partecipative e distorsioni della concorrenza, in violazione del principio fondamentale di tutte le procedure concorsuali consistente nella tutela della par condicio. (Il principio ha carattere generale: si ricorda che l'annullamento d'ufficio in autotutela è disciplinato dall'art. 21 nonies e dall'art. 7 della Legge n. 241/1990. È necessario quindi fare ricorso a queste regole -a comunicare dalla previa comunicazione di avvio del procedimento di annullamento a tutti i partecipanti alla gara- allorché l'istituzione scolastica si accorga di avere posto in essere degli atti di gara con vizi di legittimità).
Keywords
#appalti e contratti pubblici (in generale)#autotutela#appalti e contratti pubblici: selezione delle offerte e questioni relative alla gara#lex #specialis #distorsione #imballaggio #cassone #smaltimento #presupposizione #salva #classificata
Il giudice non può sostituirsi alla amministrazione nelle scelte contenute nel PDP - T.A.R. LAZIO - ROMA - Sezione Terza Bis Sentenza 05/01/2018 n° 67
Giurisprudenza
Il Giudice Amministrativo non può spingersi fino a censurare le scelte compiute nella predisposizione del PDP, in quanto si tratta di scelte di merito della scuola rispetto alle quali il GA non ha sindacato pieno né la normativa di riferimento fissa i contenuti necessari e una modalità di stesura obbligatoria del PDP. E’ legittima la bocciatura di uno studente affetto da DSA che abbia riportato 6 insufficienze e la votazione di 6 in condotta, in quanto è dimostrato che il PDP era stato tempestivamente adottato e condiviso con i genitori, mentre il suo aggiornamento era stato ritardato per mancata disponibilità della famiglia, ed in quanto i genitori non potevano dirsi non informati del rischio di non ammissione alla classe successiva, in considerazione degli esiti già preoccupanti dello scrutinio del I quadrimestre.
Keywords
#studenti: integrazione e disabilità#studenti: valutazione degli apprendimenti ed esami#pdp #quadrimestre #predisposizione #classe #scrutinio #genitore #studente #stesura #ammissione
T.A.R. VENETO - Sezione Terza Sentenza 12/11/2008 n° 330
Giurisprudenza
Spetta alla giurisdizione del giudice amminsitrativo la decisione sull'impugnazione, da parte della Regione, della determinazione dell'Istituzione scolastica di modificare, per quanto attiene all'ambito della scuola, il calendario scolatico regionale, essendo fatta valere, dalla Regione, l'incompetenza realtiva dell'Istituzione scolastica e non il difetto assoluto di attribuzione e vertendosi, così, in fattispecie di annullabilità del provvedimento e non di nullità dello stesso, ai sensi dell'art. 21 septies l. n. 241/90. La Regione è titolare di un interesse concreto ed attuale ad agire in giudizio, per ristabilire la propria competenza nella cura degli interessi pubblici, che le è demandata dal legislatore, proponendo un’azione d’annullamento a tutela della propria sfera d’attribuzioni, incisa dall’emanazione, da parte dell'Istituzione scolastica, di un provvedimento di modifica del calendario regionale, che la Regione assuma rientrare nella sua esclusiva competenza. Le istituzioni scolastiche sono rigorosamente vincolate a rispettare i giorni d’attività didattica annuale previsti dalla legge e la distribuzione dell’attività didattica in non meno di cinque giorni settimanali; per il resto, le previsioni del calendario regionale sono suscettibili di adattamenti che ciascuna istituzione scolastica adotterà legittimamente se –come stabilisce, l'art. 21 al comma 8 della l. n. 59/97- siano finalizzati alla realizzazione “della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, all’integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale”. Il potere di adattamento del calendario scolastico (se non intacca il minimo di 200 giorni di effettiva attività d’aula) correalto all’autonomia organizzativa riconosciuta alle Istituzioni scolastiche dall’art. 5 del D.P.R. 275/1999, è funzionale alla migliore attuazione del piano dell’offerta formativa, e si può manifestare anche con una mera trasposizione (scambio) delle giornate di vacanza, giustificata da specifiche situazioni di carattere locale rilevanti sull’attività didattica, quale la festività locale: il carattere vincolante del calendario regionale riguarda ciò che l'art. 138 d. lgs. n. 112/98 prescrive inderogabilmente (come il numero minimo annuo di lezioni di 200 giorni), ma non quanto costituisca legittimo adattamento alle puntuali esigenze dei singoli Istituti scolastici nel regime dell'autonomia. L’assegnazione, sulla base del calendario regionale di un dato numero di giorni liberamente utilizzabili da ciascuna istituzione scolastica impone alle scuole di effettuare i propri adattamenti tenendo tale circostanza in costante considerazione, ma non permette di affermare che un adattamento sia illegittimo solo perché non ne usufruisca, totalmente o parzialmente, se ciò risponda, nel caso specifico, a logicità e ragionevolezza, e sia adeguatamente motivato. Non si realizza violazione dell’art. 138 d. lgs. 112/98, da parte di un Istituto scolastico che eserciti il proprio potere d’adattamento del calendario regionale nell'ambito delle finalità stabilite dall’art. 21 l. n. 89/97, e, comunque, nel rispetto dei comuni principi di logicità e ragionevolezza, in relazione alla situazione di fatto esistente, ove sia fornita una adeguata motivazione della circostanza che deve essere tanto più approfondita, quanto più ci si discosti dalle disposizioni del calendario scolastico regionale, che si presumere rappresenti le normali esigenze delle istituzioni scolastiche, anche per le svariate interconnessioni esistenti tra le stesse e gli altri soggetti pubblici e privati presenti sul territorio (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la legittimità della deliberazione del Consiglio d'Istituto di Istituzione scolatica che, in deroga alle prevsione del calendario regionale, aveva stabilito che l’Istituto non avrebbe svolto attività scolastica il venerdì e il sabato nel periodo di carnevale -poiché l’ultimo venerdì di Carnevale si tenevano nella località sede della scuola numerosi festeggiamenti pubblici e privati-, e, nello stesso tempo, temendo di non raggiungere il limite minimo di 200 giorni d’attività didattica, a causa d’avvenimenti imprevisti -in particolare, una consultazione elettorale, che fu poi effettivamente indetta– aveva disposto, per uno dei due giorni festivi appena stabiliti, di impiegare uno dei tre riconosciuti dal calendario scolastico, e, per compensare la seconda festività, di svolgere attività scolastica il mercoledì successivo -le ceneri-, in contrasto con quanto disposto dal calendario regionale).
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Tempestività della conclusione del procedimento disciplinare: non rileva la comunicazione al dipendente del provvedimento sanzionatorio - Corte di Cassazione - Lavoro Sentenza 04/12/2017 n° 28975
Giurisprudenza
La comunicazione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare si pone fuori del termine previsto per la conclusione del procedimento disciplinare. Infatti, la comunicazione all'interessato dell'atto sanzionatorio, per sua natura recettizio, riguarda esclusivamente la fase, successiva, di perfezionamento e di efficacia nei confronti del destinatario della sanzione medesima, e non assume rilievo ai fini del rispetto dell'anzidetto termine di decadenza. ( In senso conforme cfr Cass. 9390/2017, 5317/2017, 19183/2016, 16900/2016) I suesposti principi trovano applicazione anche nei casi in cui viene rilievo la questione della tempestività della conclusione del procedimento disciplinare e, dunque, della decadenza della pubblica amministrazione, datrice di lavoro, dall'azione disciplinare, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, in quanto nessuna delle disposizioni contenute in detta norma prevede che la decadenza dall'esercizio dell'azione disciplinare sia impedita non già dall'adozione del provvedimento sanzionatorio bensì dal fatto che essa sia portata a conoscenza dell'interessato entro il termine di decadenza. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, nel disporre che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, prevede che, in caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. Nei casi in cui è contestata in sede disciplinare la violazione del suddetto divieto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, la Pubblica Amministrazione datrice di lavoro, sulla quale, a norma della L. n. 604 del 1966, art. 5, grava l'onere della prova della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, può limitarsi a provare, nel caso in cui la giusta causa sia costituita dalla violazione del divieto di espletare incarichi privi dell'autorizzazione, l'avvenuto espletamento di incarichi non autorizzati nella loro oggettività. Grava, invece sul pubblico dipendente, che, ai fini del giudizio di proporzionalità deduca la scarsa rilevanza dell'inadempimento, l'onere di allegare e dimostrare, secondo la regola generale in tema di onere probatorio, la durata, la consistenza in termini quantitativi e qualitativi dell'impegno richiesto dall'espletamento degli incarichi non autorizzati. (Nel caso di specie la Suprema Corte ha confermato il licenziamento disciplinare irrogato nei confronti di un dipendente pubblico che aveva svolto una serie di incarichi extraistituzionali senza autorizzazione dell'Amministrazione di appartenenza; trattavasi, nello specifico, di incarichi di formazione e di docenza svolti in favore di pubblici dipendenti prima della introduzione, ad opera della L. n. 43 del 2005, della lett. f bis) all'art. 53, comma 6 -che ha previsto, per l'appunto, che per detti incarichi non è richiesta la preventiva autorizzazione- nonché di incarichi svolti nei confronti di terzi soggetti privati)
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Se un alunno cade a scuola, questa non è sempre responsabile - Corte di Cassazione - Sezione Terza Sentenza 29/09/2017 n° 22800
Giurisprudenza
Sono ormai consolidati i principi di diritto in materia di responsabilità contrattuale dell’Amministrazione pubblica scolastica e di responsabilità da “contatto sociale” dell’insegnante, in base ai quali la prima è tenuta ad assicurare l'assenza di pericoli nei luoghi ove si svolge l'attività scolastica in tutte le sue espressioni ed il secondo ad adempiere agli obblighi di vigilanza tanto più intensi quanto è minore la età degli allievi. Con riferimento al riparto dell'onere della prova in giudizio, spetta danneggiato (nella specie, i genitori dell'alunno in minore età) la prova del titolo del rapporto giuridico (oltre che l'affidamento del minore alla custodia della scuola) e l'allegazione dell'inadempimento; spetta al debitore (Amministrazione pubblica; insegnante) la prova della impossibilità della prestazione per causa ad esso non imputabile. Il Dirigente Scolastico può rendere prova testimoniale in giudizio sulla pericolosità dei luoghi in cui si è verificato l’infortunio. La sua deposizione non può avere valore di confessione in quanto egli non rappresenta l’Amministrazione statale, che sta in giudizio in persona del Ministro. Egli può pertanto trovarsi nella condizione processuale del testimone, obbligato a dichiarare la verità senza reticenze, diversamente incorrendo nel reato di falsa testimonianza, non potendo disporre del diritto controverso e prestare confessione. La confessione, infatti, intesa come dichiarazione resa con la consapevolezza di riconoscere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte, deve provenire dal soggetto che ha il potere rappresentativo dell’ente. (Nel caso in esame, i giudici hanno ritenuto che la caduta accidentale di una alunna, che si era ferita urtando contro una ringhiera del cordolo in cemento della rampa per disabili mentre si trovava in cortile durante la ricreazione, si era verificata in modo del tutto improvviso e repentino, sicchè alcuna omissione di intervento poteva addebitarsi all'insegnate presente. Inoltre, non era ravvisabile responsabilità della Amministrazione statale per la presenza in cortile della rampa munita di ringhiera, sia in quanto la struttura era prevista per legge, sia in quanto il manufatto non presentava "evidenze morfologiche di pericolosità" per gli allievi, sia ancora in quanto non era risultato provato che la minore avesse urtato contro la ringhiera anziché contro il cordolo in cemento. I giudici, quindi, hanno ritenuto raggiunta la prova liberatoria dell’Amministrazione scolastica affermando che la “repentinità” dell’evento incide sulla “inevitabilità” del fatto ed escludendo la configurabilità di una condotta omissiva negligente da parte dell'insegnante in quanto impossibilitato ad un intervento eziologicamente efficace ad impedire la caduta dell'allieva, considerato che il cortile in cui gli allievi venivano condotti per la ricreazione e la struttura della rampa per disabili in esso situata "non presentano alcuna particolare evidenza morfologica di pericolosità per gli allievi". Né la struttura per disabili (dotata di ringhiera proprio per prevenire cadute accidentali dalla rampa) è risultata pericolosa secondo una valutazione di prevedibilità ex ante. Afferma la Corte che "non può, evidentemente, ritenersi pericoloso qualsiasi elemento strutturale conformativo del luogo-cortile in cui si svolge l'attività ricreativa solo perché in astratta e remota ipotesi potrebbe assumere, eccezionalmente, un ruolo di concausa dell' "eventum damni": l'adozione delle misure precauzionali deve, infatti, essere commisurata a quegli eventi che appaiono prevedibili secondo uno schema di normalità rapportata ad una serie di circostanze che debbono essere valutate complessivamente, quali la struttura dei locali, le modalità di utilizzo dei luoghi, l'età ed il numero degli allievi, ecc." Nella specie non è risultato che gli alunni e l'infortunata stessero eseguendo attività inappropriate all'uso dei luoghi, né che la struttura del luogo, ed in particolare la rampa, presentasse specifiche anomalie quanto ad elementi e materiali costruttivi, dimensione, o collocazione).
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La maestra che non denuncia i maltrattamenti posti in essere dalle colleghe concorre nel reato di maltrattamenti in famiglia - Corte di Cassazione - Penale Sentenza 09/03/2018 n° 10763
Giurisprudenza
Il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. può essere realizzato anche mediante concorso per omissione in condotte commissive ed è configurabile anche in assenza di un rapporto diretto tra reo e vittima. L'elemento soggettivo richiesto per la configurabilità del reato è costituito dal dolo generico, da ravvisarsi nella coscienza e nella volontà di sottoporre la persona ad un'abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza. E', pertanto, irrilevante valutare le specifiche motivazioni che inducono l'agente ad assumere il comportamento rilevante: del resto, proprio sul presupposto della sufficienza del dolo generico, il reato di maltrattamenti in famiglia é configurabile anche quando l'intento perseguito consiste nella volontà di agire esclusivamente per finalità educative. Nè i motivi che orientano la volontà dell'agente diventano rilevanti quando il reato è commesso mediante omissione, stante l'assenza di puntuali disposizioni o di principi generali in tale senso. Inoltre, il reato di omessa denuncia può essere fonte di responsabilità civile, ma richiede che si accerti l'esistenza di un nesso causale tra l'inadempimento dell'obbligo ed il fatto dannoso, e che quest'ultimo si ponga come conseguenza immediata e diretta dell'illecito Ciò premesso, concorre nel reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. l' educatrice di asilo che, ricoprendo tra l'altro il ruolo di referente del Comune all'interno del nido, non ha denunciato i maltrattamenti posti in essere dalle colleghe ed ha negato espressamente di essere a conoscenza diretta o per sentito dire di tali episodi. ( La Cassazione, in riforma della Sentenza della Corte di Appello, ha affermato che non esclude il reato di cui all'art. 572 c.p., il fatto che la condotta della maestra era caratterizzata dall' intento omertoso di tutelare prima di tutto se stessa, le proprie coadiutrici ed i minori a lei direttamente affidati e non, invece, dalla volontà di coadiuvare le illecite azioni delle colleghe. Infatti, la valorizzazione dell'intento specificamente perseguito dalla educatrice, operata dalla sentenza impugnata, non rileva in quanto ai fini dell'elemento psicologico necessario per l'integrazione della fattispecie di cui all'art. 572 c.p., anche nella forma del concorso nel reato commissivo mediante omissione, è sufficiente il dolo generico, per la cui sussistenza sono irrilevanti i motivi della condotta del soggetto agente).
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La scuola on demand: se i genitori vogliono che il figlio ripeta l’anno.... - T.A.R. MARCHE - Sezione Prima Sentenza 19/10/2017 n° 792
Giurisprudenza
E’ legittimo il verbale dello scrutinio di un Istituto scolastico, nella parte in cui si è deliberata l’ammissione un’alunna alla classe successiva (nella specie, alla seconda elementare), a nulla rilevando che i genitori abbiano chiesto la sua bocciatura sulla base di alcuni pareri di professionisti privati, che avevano in osservazione la bambina da non più di due mesi. Infatti la scuola, in presenza di alunni della scuola primaria con livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione, attiva, di regola, specifiche strategie di miglioramento nell’ambito dell’autonomia didattica ed organizzativa riconosciutale, e solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione, i docenti, con decisione presa all’unanimità, possono decidere di non ammettere l’alunno alla classe successiva. (Nel caso in esame, pur in assenza di una certificazione medica proveniente da centri specialistici pubblici o accreditati -che la famiglia aveva ottenuto soltanto al termine delle lezioni e dopo il giudizio di ammissione- la scuola, a fronte delle difficoltà della bambina riscontrate nel corso dell’anno, ha individuato quest’ultima come alunna con bisogni educativi speciali (BES), redigendo un Piano didattico personalizzato (PDP) concordato con la famiglia, in cui sono state individuate misure dispensative e compensative volte a favorire l’apprendimento e il raggiungimento degli obiettivi programmati, conformemente a quanto stabilito dalla normativa di riferimento (in particolare, DPR n. 275 del 1999, legge n. 244 del 2010 e d.lgs. n. 62 del 2017). Il legislatore, quindi, da un lato, sottolinea la natura discrezionale delle scelte e delle valutazioni operate dalla scuola, anche in merito alle strategie da approntare, dall’altro, evidenzia la mera eventualità, peraltro giustificata dall’eccezionalità del caso e da comprovati motivi, della decisione di non ammissione. Nella fattispecie concreta, si è pertanto affermato che la scuola non è comunque tenuta ad uniformarsi al consiglio degli specialisti, essendo piuttosto vincolata alle strategie e agli obiettivi fissati nel PDP, come peraltro stabilito dall’art. 3 del d.lgs. n. 62 del 2017; né può dirsi che nella specie il giudizio di ammissione non fosse stato motivato, essendo la motivazione contenuta nel documento di valutazione relativo all’alunna - in cui si fa riferimento al parziale raggiungimento degli obiettivi programmati (ossia non quelli generali, bensì quelli personali specificamente individuati) e al legame costruito dalla minore con alcuni compagni e con le insegnanti - oltre che desumibile per relationem dai diversi atti adottati nel corso dell’intero anno scolastico e riguardanti l’alunna in parola (verbali, relazioni, piani, ecc.).
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#istruzione primaria#studenti: valutazione degli apprendimenti ed esami#alunna #strategia #bambina #marca #scuola #specialista #pdp #ammissione #datare #piano
Ancora sulle differenze tra accesso civico e accesso documentale: no alla pubblicazione integrale delle delibere degli oo.cc. - T.A.R. VENETO - Sezione Prima Sentenza 15/02/2018 n° 171
Giurisprudenza
L’accesso civico regolato dal D.Lgs n. 33 del 2013 non riconduce a sé e assorbe ogni regolamentazione in materia di accesso agli atti a superamento anche dalla disciplina normativa dettata dalla legge 241 del 1990, essendo diversa la ratio e le finalità delle due normative. Quella dettata dalla legge 241 del 1990 prevede e regola l’accesso agli atti amministrativi da parte di soggetti che abbiano un interesse personale e diretto alla conoscenza di atti in possesso di un’amministrazione pubblica al fine di meglio tutelare la loro personale posizione soggettiva. Si tratta di atti che normalmente attengono all’istruttoria procedimentale o anche a provvedimenti conclusivi della stessa, i quali in qualche modo interessano il soggetto che intenda acquisirli e la cui conoscenza possa essere utile allo stesso e che per questo l’interessato deve motivare la propria richiesta. Per tale accesso valgono i casi di esclusione previsti dall’art. 24 della legge 241 del 1990 e fra questi vi è la tutela della riservatezza. L’istituto dell’accesso civico risponde, invece, a esigenze diverse, delineate chiaramente dall’art. 1 del dec. lgv n. 33 del 2013 laddove richiama i principi di trasparenza, intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all'attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche. Il riferimento ai cittadini e all’utilizzo delle risorse pubbliche evidenzia la diversa caratterizzazione dell’interesse generale, e per questo non soggetto ad alcuna formalità motivazionale, rispetto a quello personale. Ciò è meglio chiarito dal riferimento all’obbligo della pubblicazione nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni dei documenti, delle informazioni e dei dati concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni stesse con particolare riferimento alle risorse pubbliche (art. 4 bis). In tale specifica ratio e connotazione vanno letti i casi di esclusione regolati dall’art. 5 bis nel quale, non a caso al 1° comma, si fa riferimento, come limiti all’accesso civico, esclusivamente agli interessi pubblici specificamente indicati e quelli a tutela di peculiari interessi privati che il comma 2° individua e tra questi la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina vigente in materia e che il comma 3° ribadisce con riferimento all’art. 24 della legge 241 del 1990, a conferma della netta distinzione esistente fra l’accesso civico e l’”ordinario” accesso agli atti amministrativi. In sostanza, l’accesso civico non può essere utilizzato per superare, in particolare in materia di interessi personali e dei principi della riservatezza, i limiti imposti dalla legge 241 del 1990. (Nel caso di specie l’Amministrazione aveva rifiutato di inserire nella Sezione di Amministrazione trasparente la pubblicazione di atti non meglio specificati negli estremi quali ordini del giorno, verbali delibere dei vari organi collegiali ai quali il ricorrente, docente dell'Istituzione intendeva esercitare l’accesso civico generalizzato. Afferma il TAR che una domanda di accesso civico non può estendersi ad atti per i quali non solo non vi è obbligo di pubblicazione, ma che non rientrano fra quelli che rispondono alla tipologia di determinazioni indicate dal dc.lgs. n. 33 del 2013 in base ai principi esposti dalla legge stessa: "Ciò vale sia per le delibere del consiglio di amministrazione, contenendo esse una varietà di determinazioni a contenuto diversificato che può anche riguardare situazioni rientranti nelle ipotesi di esclusione indicati dall’art. 5 bis, sia a maggior ragione per gli ordini del giorno, i verbali e le delibere del consiglio accademico e del consiglio di scuola di scenografia, che riguardano prevalentemente atti interni all’istituzione afferenti l’attività organizzativa dei corsi e didattica che possono interessare il ricorrente non come cittadino, ma come docente" Sentenza resa nei confronti di una istituzione AFAM, esportabile nel contesto scolastico).
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T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI - Sezione Quarta Sentenza 09/03/2016 n° 1363
Giurisprudenza
Per il caso degli alunni con D.S.A. (dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia) che siano in possesso «di una diagnosi (…) rilasciata da una struttura privata», la circolare ministeriale n. 8 del 6.3.2013 raccomanda agli istituti nelle more del rilascio della certificazione da parte di strutture sanitarie pubbliche o accreditate, di adottare preventivamente le misure previste dalla Legge 170/2010, qualora il Consiglio di classe o il team dei docenti ravvisino e riscontrino, sulla base di considerazioni psicopedagogiche e didattiche, carenze fondatamente riconducibili al disturbo. Ciò in considerazione dei tempi lunghi in cui, solitamente, pervengono le certificazioni pubbliche in merito a simili status patologici. Nei casi diversi dai D.S.A., invece, le istruzioni ministeriali non contemplano la necessità di una certificazione, prevedendo espressamente la tutela dei alunni con bisogni educativi speciali (B.E.S.) anche se sforniti di qualsivoglia diagnosi o certificazione. In particolare, attraverso il Piano Didattico Personalizzato. Inoltre, è espressamente posto a carico del Consiglio di classe di rendere un’espressa motivazione in merito all’adozione (o alla mancata adozione) degli strumenti previsti per personalizzare l’offerta formativa in ragione dei B.E.S. eventualmente manifestati dagli allievi a prescindere dal possesso della relativa certificazione. La successiva circolare ministeriale n. 2563 del 22.11.2013, ha stabilito che, anche in presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato diritto alla certificazione di disabilità o di D.S.A., il Consiglio di classe è autonomo nel decidere se formulare o non formulare un Piano Didattico Personalizzato (P.D.P.), avendo cura di verbalizzare le motivazioni della decisione, avendo tale organo collegiale la facoltà di individuare casi specifici per i quali si renda utile attivare percorsi di studio individualizzati e personalizzati. Pertanto, anche in mancanza di qualsivoglia richiesta, certificazione o diagnosi la scuola ha comunque il compito di individuare i casi di bisogni educativi speciali (pur non dovendo certificarli) e la competenza è individuata in capo al Collegio dei docenti che ha facoltà di attivare le opportune misure. Nel caso in esame, era stata impugnata la non ammissione alla classe seconda della scuola primaria per un minore, con richiesta di riformulazione della motivazione della bocciatura, in quanto, nel giudizio conclusivo non si era dato conto delle ragioni patologiche alla base dei comportamenti e dello scarso rendimento che hanno condotto alla non ammissione alla classe successiva. Ciò anche poiché la scuola era stata messa tempestivamente a conoscenza dei referti dei medici privati, e del percorso terapeutico intrapreso dal bambino, al quale tuttavia, visti i tempi lunghi per la diagnosi, non era stato possibile ottenere una certificazione pubblica della patologia. I Giudici, dunque, hanno accolto il ricorso dei genitori stabilendo che il Consiglio di classe avrebbe dovuto valutare immediatamente se attivare le procedure per sopperire ai B.E.S., essendo la scuola a conoscenza del fatto che ne sussistevano i presupposti, senza richiedere una certificazione pubblica, ritenuta non necessaria dalla normativa di settore.
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Iscrizione alla scuola dell'infanzia: è legittimo richiedere le vaccinazioni obbligatorie - Consiglio di Stato - Sezione Terza Sentenza 14/02/2018 n° 962
Giurisprudenza
L’obbligo di vaccinazione è stato imposto con L. 6/6/1939 n. 893 con riferimento al vaccino contro la difterite, con L.5/3/1963 n. 292 per il vaccino contro il tetano, con L. 4/2/1966 n. 51 per il vaccino contro la poliomielite e con L. 27/5/1991 n. 165 per il vaccino contro l’epatite virale B. Tutte queste leggi prevedono l’obbligo di presentazione del certificato di vaccinazione, al momento dell’iscrizione, presso le scuole dell’obbligo; esse, inoltre, prevedono espressamente che l’obbligo di presentazione di analogo certificato si applichi per l’ammissione a tutte le collettività infantili, di qualunque tipologia, e pertanto anche agli asili nido e alle scuole dell’infanzia. Trattandosi di requisito di ammissione, ne deriva logicamente la sua obbligatorietà. La disposizione di cui all’art. 1 del D.P.R. n. 335/1999, secondo cui la mancata vaccinazione “non comporta il rifiuto di ammissione dell’alunno alla scuola dell’obbligo o agli esami”, si applica esclusivamente all’ambito della scuola dell’obbligo e non è estensibile analogicamente alla scuola dell’infanzia. Del resto, se si analizza la disposizione derogatoria sopra citata, si comprende che essa è stata introdotta a seguito di un bilanciamento tra opposti interessi, entrambi di rilevanza costituzionale: quello all’istruzione e quello alla salute, bilanciamento che può essere svolto dal solo legislatore, rientrando tale scelta nella sua propria ed esclusiva discrezionalità. In tale valutazione discrezionale, il legislatore ha tenuto conto non solo del differente regime normativo esistente tra la scuola dell’obbligo e l’educazione pre-scolare, che si svolge presso gli asili nido e le scuole dell’infanzia, ma ha valutato anche la condizione soggettiva differente esistente tra i bambini di età superiore ai sei anni, e quelli da zero a sei anni. Questi ultimi, infatti, sono molto più fragili, e come tali necessitano di maggiori di misure di precauzione e prevenzione. I rischi di contagio più elevati si registrano, infatti, tra i bambini che frequentano, per l’appunto, i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia o che comunque frequentino luoghi in cui vi sia la presenza contemporanea di bambini di più famiglie. Ne deriva che la situazione sia giuridica che fattuale in cui versano i bambini che devono iscriversi alla scuola dell’obbligo, e quelli relativi alla fascia 0-6 anni, presenta tali differenze da non consentire l’estensione della normativa derogatoria prevista per i bambini più grandi a quelli di età ricompresa tra i 0-6 anni. Del resto la diversità di regime è stata ribadita anche nella normativa sopravvenuta: in merito all’ammissione alle strutture educative, il D.L. n. 73/2017, convertito con modificazioni in L. n. 119/2017, opera al comma 3 dell’art. 3, una distinzione: nei servizi educativi per l’infanzia e nelle scuole dell’infanzia, la presentazione della documentazione costituisce requisito di accesso; in tutte le altre scuole, la mancata presentazione non impedisce né la frequenza, né gli esami. E’ pertanto legittima la delibera impugnata dai genitori con la quale il Consiglio Comunale di Trieste ha previsto quale requisito d’accesso ai servizi educativi (nido, scuola materna, spazi gioco, servizi integrativi, sperimentali e ricreativi) l’assolvimento degli obblighi vaccinali previsti dalla normativa vigente, poiché la delibera si limita a riprodurre la disposizione contenuta nelle leggi sopra richiamate. Occorre sottolineare, infatti, che gli asili nido e le scuole dell’infanzia comunali non costituiscono “scuole dell’obbligo” e che tali strutture sono organizzate e gestite dal Comune come servizi facoltativi resi alla popolazione residente. Trattandosi di servizi facoltativi organizzati dallo stesso Comune, legittimamente il Consiglio Comunale, nell’esercizio del suo potere regolamentare, ha provveduto a disciplinare l’organizzazione delle strutture, richiedendo determinati requisiti di accesso. (Nella sentenza, inoltre, i giudici hanno richiamato il parere reso dalla Commissione Speciale del Consiglio di Stato n. 2065 del 26.9.2017 in merito all’interpretazione degli artt. 3 e 3 bis della L. n. 119/2017 di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 73/2017 che affrontano la problematica in esame. La Commissione Speciale ha ritenuto “che la previsione della copertura vaccinale sia funzionale all’adempimento di un generale dovere di solidarietà che pervade e innerva tutti i rapporti sociali e giuridici. Senza entrare in valutazioni di carattere epidemiologico che dovrebbero essere riservate agli esperti (e che certamente non spettano ai giuristi), risulta infatti evidente - sulla base delle acquisizioni della migliore scienza medica e delle raccomandazioni delle organizzazioni internazionali - che soltanto la più ampia vaccinazione dei bambini costituisca misura idonea e proporzionata a garantire la salute di altri bambini e che solo la vaccinazione permetta di proteggere, proprio grazie al raggiungimento dell’obiettivo dell’”immunità di gregge”, la salute delle fasce più deboli, ossia di coloro che, per particolari ragioni di ordine sanitario, non possano vaccinarsi. Porre ostacoli di qualunque genere alla vaccinazione (la cui “appropriatezza” sia riconosciuta dalla più accreditata scienza medico-legale e dalle autorità pubbliche, legislative o amministrative, a ciò deputate) può risolversi in un pregiudizio per il singolo individuo non vaccinato, ma soprattutto vulnera immediatamente l’interesse collettivo, giacché rischia di ledere, talora irreparabilmente, la salute di altri soggetti deboli. (…). La mancata considerazione di siffatto dovere di solidarietà rischierebbe, peraltro, di minare alla base anche l’eguaglianza sostanziale tra i cittadini sulla quale poggia la stessa democrazia repubblicana, atteso che i bambini costretti a frequentare classi in cui sia bassa l’immunità di gregge potrebbero essere esposti a pericoli per la loro salute, rischi ai quali invece non andrebbero incontro bambini appartenenti a famiglie stanziate in altre parti del territorio nazionale. La discriminazione tra bambini e bambini, tra cittadini sani e cittadini deboli, non potrebbe essere più eclatante”. Alla luce di tali considerazioni, il principio di precauzione invocato dai genitori ricorrenti (i quali non avrebbero ricevuto dalle competenti autorità sanitarie una completa informazione sul rapporto rischi/benefici delle vaccinazioni) non può essere interpretato nel senso che lo Stato dovrebbe astenersi dall’imporre l’obbligo vaccinale giacché le vaccinazioni implicherebbero un inevitabile rischio di reazioni avverse o di più gravi pregiudizi dell’integrità fisica dei soggetti vaccinati. Esso va correttamente interpretato (si tratta del resto di un principio di origine internazionale e sovranazionale) anche alla luce della comunicazione interpretativa della Commissione europea del 2 febbraio 2000 - COM/2000/01, e non confligge affatto con il quadro normativo sopra delineato. Premesso, infatti, che a nessuna condotta umana si correla un “rischio zero”, il principio di precauzione impone al decisore pubblico (legislatore o amministratore) di prediligere, tra più soluzioni ipotizzabili, quella che renda possibile il bilanciamento tra la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei vantaggi, attraverso l’individuazione, sulla base di un test di proporzionalità, di una soglia di pericolo accettabile; la selezione di tale soglia, tuttavia, può compiersi unicamente sulla base di una conoscenza completa e, soprattutto, accreditata dalla migliore scienza disponibile. Al principio di precauzione si accompagna poi quello di prevenzione, considerato che la massima efficacia della minimizzazione del rischio, nei sensi sopra indicati, si ottiene, in genere, attraverso un intervento sulle cause della possibile insorgenza del pericolo. Ebbene, non vi è dubbio che il sistema della vaccinazioni obbligatorie sia informato anche a questo principio giuridico, complementare a quello di precauzione e altrettanto rilevante. Si osserva, infine, che la legge n. 119/2017 ha superato il vaglio di legittimità da parte della Corte Costituzionale con sentenza 18.1.2018, n. 5).
Keywords
#istruzione dell’infanzia#scuola e salute#vaccinazione #bambino #precauzione #vaccinare #infanzia #salute #rischio #vaccino #obbligo #scuola
L'attività di promotore finanziario, avendo natura imprenditoriale, non è compatibile con il rapporto di pubblico impiego - Corte dei Conti EMILIA ROMAGNA - BOLOGNA Sentenza 06/02/2018 n° 37
Giurisprudenza
Nell’ambito del rapporto d’impiego pubblico il sistema costituzionale prevede, in linea di principio, l’esclusività della prestazione lavorativa (a mente dell’art. 98, I comma, Cost.: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.”). Peraltro detto principio conosce delle significative eccezioni, come emerge dall’art. 53 del D.L.vo n. 165/2001 che, al primo comma, enuncia le ipotesi per le quali sussiste l’incompatibilità assoluta del dipendente pubblico, rinviando nel concreto alle ipotesi previste dagli artt. 60 e ss. D.P.R. n. 3/1957 (esercizio del commercio, industria, libera professione, incarichi presso privati, ecc...). Dal suddetto quadro normativo si ricava che, se intende svolgere altri incarichi retribuiti, il pubblico dipendente deve richiedere l'autorizzazione per consentire di verificare la sussistenza, anche potenziale, di conflitti d'interesse. Per alcune tipologie di attività lavorative parallele, ed in particolare per le professioni che non si possono considerare incarichi a tempo determinato, ma attività strutturate e continuative, vale il divieto assoluto, sanzionato con la decadenza dall'impiego previa diffida a cessare la situazione d'incompatibilità (art. 63 D.P.R. n. 3/1957). E', quindi, incompatibile, in costanza di rapporto d'impiego pubblico, l'esercizio della attività di promotore finanziario, in quanto trattasi di attività imprenditoriale assoggettabile alle procedure fallimentari. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità ( cfr Corte di Cassazione Sent. m. 18135/2002) è sufficiente, ai fini dell'assunzione della qualità d'imprenditore del promotore finanziario, l'esercizio della professione mediante una propria autonoma organizzazione di mezzi e a proprio rischio, con conseguente inquadramento nelle attività ausiliare ex art. 2195 n. 5 c.c., e che costituisce, a tutti gli effetti, un’impresa commerciale assoggettabile alle procedure fallimentari. La connotazione spiccatamente imprenditoriale dell'attività di promotore finanziario in contemporanea con l'attività di docente consente di inquadrare la fattispecie al di fuori del perimetro delle attività compatibili con il pubblico impiego previa autorizzazione (tra cui rientrano, ad esempio, gli incarichi presso altra pubblica amministrazione o la partecipazione a società semplici), e rientra, di fatto, nell'ambito delle attività assolutamente incompatibili con il pubblico impiego (art. 60 D.P.R. n. 3/1957). ( La Corte dei Conti non ha aderito alla tesi difensiva dell'inquadramento dell'attività di promotore finanziario nell'ambito delle professioni intellettuali, atteso che elemento caratterizzante dell'attività è proprio l'autonoma organizzazione del lavoro, con il mantenimento del rischio d'impresa. Inoltre, l'istituzione dell'albo dei consulenti finanziari, istituito con la legge di stabilità per il 2016 (L. n. 208/2015) non influisce sulla fattispecie in questione, trattandosi di contestazioni della Procura Contabile, nei confronti di un docente di istituto secondario di secondo grado, per condotte precedenti a tale data. E' stata ravvisata la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa grave, atteso che l'evidente natura imprenditoriale dell'attività di promotore finanziario, connessa al rischio d'impresa che da questa inevitabilmente deriva, avrebbe dovuto indurre il docente ad attivarsi per verificare l'effettiva liceità della particolare situazione lavorativa in cui si trovava ad operare. Inoltre, ad avviso della Corte, le richieste di autorizzazione presentate al Dirigente Scolastico di riferimento non attenuano l'elemento soggettivo della colpa grave, in considerazione della palese violazione delle disposizioni normative che il docente convenuto, in quanto pubblico dipendente, avrebbe avuto il dovere di conoscere).
Keywords
#personale dipendente: cumulo di impieghi e incompatibilità#personale docente#promotore #attività #autorizzazione #impiego #professione #incarico #convenuto #retribuire #euro
Diritto all'educazione ed all'istruzione - Decreto legislativo 16/04/1994 n° 297 n° 314
Normativa

1.  È garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna e nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.
2.  L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione.
3.  L'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap.
4.  All'individuazione dell'alunno come persona handicappata ed all'acquisizione della documentazione risultante dalla diagnosi funzionale fa seguito un profilo dinamico-funzionale, ai fini della formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori della persona handicappata, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale docente specializzato della scuola con la partecipazione del docente operatore psico-pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal Ministro della pubblica istruzione. Il profilo indica le caratteristiche fisiche, psichiche, sociali ed affettive dell'alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona handicappata.
5.  Alla elaborazione del profilo dinamico-funzionale iniziale seguono, con il concorso degli operatori delle unità sanitarie locali, della scuola e delle famiglie, verifiche per controllare gli effetti dei diversi interventi e l'influenza esercitata dall'ambiente scolastico.
6.  I compiti attribuiti alle unità sanitarie locali dai commi 4 e 5 sono svolti secondo le modalità indicate con apposito atto di indirizzo e coordinamento emanato ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
7.  Il profilo dinamico-funzionale è aggiornato a conclusione della scuola materna, della scuola elementare e della scuola media e durante il corso di istruzione secondaria superiore.
8.  Ai minori handicappati soggetti all'obbligo scolastico, temporaneamente impediti per motivi di salute a frequentare la scuola, sono comunque garantite l'educazione e l'istruzione scolastica. A tal fine il provveditore agli studi, d'intesa con le unità sanitarie locali e i centri di recupero e di riabilitazione, pubblici e privati, convenzionati con i Ministeri della sanità e del lavoro e della previdenza sociale, provvede alla istituzione, per i minori ricoverati, di classi ordinarie quali sezioni staccate della scuola statale. A tali classi possono essere ammessi anche i minori ricoverati nei centri di degenza, che non versino in situazioni di handicap e per i quali sia accertata l'impossibilità della frequenza della scuola dell'obbligo per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione. La frequenza di tali classi, attestata dall'autorità scolastica mediante una relazione sulle attività svolte dai docenti in servizio presso il centro di degenza, è equiparata ad ogni effetto alla frequenza delle classi alle quali i minori sono iscritti.
9.  Negli ospedali, nelle cliniche e nelle divisioni pediatriche gli obiettivi di cui al presente articolo possono essere perseguiti anche mediante l'utilizzazione di personale in possesso di specifica formazione psico-pedagogica che abbia una esperienza acquisita presso i nosocomi o segua un periodo di tirocinio di un anno sotto la guida di personale esperto.

Keywords
#scuola in ospedale, scuola domiciliare#studenti: integrazione e disabilità#nosocomio #clinica #staccare #convenzionare
Partecipazione di soggetti pubblici e privati al sistema della formazione italiana nel mondo - Decreto legislativo 13/04/2017 n° 64 n° 9
Normativa

1.  In conformità con il piano triennale dell'offerta formativa, le scuole di cui agli articoli 4, 6 e 7 possono realizzare forme di collaborazione con soggetti pubblici e privati, inclusi gli istituti italiani di cultura, gli enti gestori attivi nella diffusione e promozione della lingua e cultura italiana nel mondo.

2.  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in collaborazione con il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, può avviare forme di cooperazione e di partenariato tra settore pubblico e privato per il funzionamento e la gestione di scuole all'estero.

3.  Nell'ambito delle scuole statali all'estero, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sentito il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, può organizzare, anche in collaborazione con soggetti pubblici o privati italiani o stranieri, scuole o sezioni a ordinamento scolastico misto o locale.

Keywords
#partenariato #lingua
(Diritto all'educazione e all'istruzione) - Legge statale 05/02/1992 n° 104 n° 12
Normativa

1.  Al bambino da 0 a 3 anni handicappato è garantito l'inserimento negli asili nido.
2.  E' garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie.
3.  L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione.
4.  L'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento nè da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap.
5.  All'individuazione dell'alunno come persona handicappata ed all'acquisizione della documentazione risultante dalla diagnosi funzionale, fa seguito un profilo dinamico-funzionale ai fini della formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori della persona handicappata, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante specializzato della scuola, con la partecipazione dell'insegnante operatore psico-pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal Ministro della pubblica istruzione. Il profilo indica le caratteristiche fisiche, psichiche e sociali ed affettive dell'alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona handicappata (1).
6.  Alla elaborazione del profilo dinamico-funzionale iniziale seguono, con il concorso degli operatori delle unità sanitarie locali, della scuola e delle famiglie, verifiche per controllare gli effetti dei diversi interventi e l'influenza esercitata dall'ambiente scolastico.
7.  I compiti attribuiti alle unità sanitarie locali dai commi 5 e 6 sono svolti secondo le modalità indicate con apposito atto di indirizzo e coordinamento emanato ai sensi dell'articolo 5, primo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
8.  Il profilo dinamico-funzionale è aggiornato a conclusione della scuola materna, della scuola elementare e della scuola media e durante il corso di istruzione secondaria superiore.
9.  Ai minori handicappati soggetti all'obbligo scolastico, temporaneamente impediti per motivi di salute a frequentare la scuola, sono comunque garantite l'educazione e l'istruzione scolastica. A tal fine il provveditore agli studi, d'intesa con le unità sanitarie locali e i centri di recupero e di riabilitazione, pubblici e privati, convenzionati con i Ministeri della sanità e del lavoro e della previdenza sociale, provvede alla istituzione, per i minori ricoverati, di classi ordinarie quali sezioni staccate della scuola statale. A tali classi possono essere ammessi anche i minori ricoverati nei centri di degenza, che non versino in situazioni di handicap e per i quali sia accertata l'impossibilità della frequenza della scuola dell'obbligo per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione. La frequenza di tali classi, attestata dall'autorità scolastica mediante una relazione sulle attività svolte dai docenti in servizio presso il centro di degenza, è equiparata ad ogni effetto alla frequenza delle classi alle quali i minori sono iscritti.
10.  Negli ospedali, nelle cliniche e nelle divisioni pediatriche gli obiettivi di cui al presente articolo possono essere perseguiti anche mediante l'utilizzazione di personale in possesso di specifica formazione psico-pedagogica che abbia una esperienza acquisita presso i nosocomi o segua un periodo di tirocinio di un anno sotto la guida di personale esperto. (2)
 
(1) L'art. 2, comma 1, D.L. 27 agosto 1993, n. 324 ha disposto che il presente comma “va interpretato nel senso che l'individuazione dell'alunno come persona handicappata, necessaria per assicurare l'esercizio del diritto all'educazione, all'istruzione ed all'integrazione scolastica di cui agli articoli 12 e 13 della medesima legge, non consiste nell'accertamento previsto dall'articolo 4 della legge stessa, ma è effettuata secondo i criteri stabiliti nell'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 7 dell'anzidetto articolo 12. In attesa dell'adozione dell'atto di indirizzo e coordinamento, al fine di garantire i necessari interventi di sostegno, all'individuazione provvedono, nel rispetto delle relative competenze, uno psicologo, ovvero un medico specialista nella patologia denunciata, in servizio presso l'unità sanitaria locale di residenza dell'alunno”.

(2) Testo in vigore fino al 31/12/2018. A decorrere dal 01/01/2019, secondo quanto disposto dall'art. 19 del d.lgs. 66/2017, troverà applicazione il seguente nuovo testo come modificato dall'art. 5 comma 2 dello stesso d.lgs. 66/2017:

"1. Al bambino da 0 a 3 anni handicappato è garantito l'inserimento negli asili nido.
2. E' garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie.
3. L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione.
4. L'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento nè da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap.
5. Successivamente all'accertamento della condizione di disabilità delle bambine e dei bambini, delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti ai sensi dell'articolo 3, è redatto un profilo di funzionamento secondo i criteri del modello bio-psico-sociale della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) adottata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ai fini della formulazione del progetto individuale di cui all'articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328, nonché per la predisposizione del Piano Educativo Individualizzato (PEI).
[6. ]
[7. ]
[8. ]
9. Ai minori handicappati soggetti all'obbligo scolastico, temporaneamente impediti per motivi di salute a frequentare la scuola, sono comunque garantite l'educazione e l'istruzione scolastica. A tal fine il provveditore agli studi, d'intesa con le unità sanitarie locali e i centri di recupero e di riabilitazione, pubblici e privati, convenzionati con i Ministeri della sanità e del lavoro e della previdenza sociale, provvede alla istituzione, per i minori ricoverati, di classi ordinarie quali sezioni staccate della scuola statale. A tali classi possono essere ammessi anche i minori ricoverati nei centri di degenza, che non versino in situazioni di handicap e per i quali sia accertata l'impossibilità della frequenza della scuola dell'obbligo per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione. La frequenza di tali classi, attestata dall'autorità scolastica mediante una relazione sulle attività svolte dai docenti in servizio presso il centro di degenza, è equiparata ad ogni effetto alla frequenza delle classi alle quali i minori sono iscritti.
10. Negli ospedali, nelle cliniche e nelle divisioni pediatriche gli obiettivi di cui al presente articolo possono essere perseguiti anche mediante l'utilizzazione di personale in possesso di specifica formazione psico-pedagogica che abbia una esperienza acquisita presso i nosocomi o segua un periodo di tirocinio di un anno sotto la guida di personale esperto."

Il Profilo di funzionamento di cui al nuovo comma 5, sempre a decorrere dal 01/01/2019, sarà redatto dall'unità di valutazione multidisciplinare composta secondo le indicazioni dell'art. 5 comma 3 d.lgs. 66/2017 e avrà le caratteristiche di cui al comma 4 del medesimo art. 5 d.lgs. 66/2017. Il PEI di cui al medesimo nuovo comma 5 a decorrere dall'AS 2019/2020 avrà le caratteristiche indicate dall'art. 7 d.lgs. 66/2017.

Keywords
#istruzione dell’infanzia#istruzione primaria#istruzione secondaria di primo grado#istruzione secondaria di secondo grado#scuola in ospedale, scuola domiciliare#studenti: integrazione e disabilità#sezionare #nosocomio #clinica #divisione #influenza #sollecitare
Legge statale 13/07/2015 n° 107 n° 1 COMMA 181
Normativa

181.  I decreti legislativi di cui al comma 180 sono adottati nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, nonché dei seguenti:

a)  riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale di istruzione e formazione attraverso:

1)  la redazione di un testo unico delle disposizioni in materia di istruzione già contenute nel testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, nonché nelle altre fonti normative;

2)  l'articolazione e la rubricazione delle disposizioni di legge incluse nella codificazione per materie omogenee, secondo il contenuto precettivo di ciascuna di esse;

3)  il riordino e il coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni di legge incluse nella codificazione, anche apportando integrazioni e modifiche innovative e per garantirne la coerenza giuridica, logica e sistematica, nonché per adeguare le stesse all'intervenuta evoluzione del quadro giuridico nazionale e dell'Unione europea;

4)  l'adeguamento della normativa inclusa nella codificazione alla giurisprudenza costituzionale e dell'Unione europea;

5)  l'indicazione espressa delle disposizioni di legge abrogate;

b)  riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria, in modo da renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione, mediante:

1)  l'introduzione di un sistema unitario e coordinato che comprenda sia la formazione iniziale dei docenti sia le procedure per l'accesso alla professione, affidando i diversi momenti e percorsi formativi alle università o alle istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica e alle istituzioni scolastiche statali, con una chiara distinzione dei rispettivi ruoli e competenze in un quadro di collaborazione strutturata;

2)  l'avvio di un sistema regolare di concorsi nazionali per l'assunzione, con contratto retribuito a tempo determinato di durata triennale di tirocinio, di docenti nella scuola secondaria statale. L'accesso al concorso è riservato a coloro che sono in possesso di un diploma di laurea magistrale o di un diploma accademico di secondo livello per le discipline artistiche e musicali, coerente con la classe disciplinare di concorso. I vincitori sono assegnati a un'istituzione scolastica o a una rete tra istituzioni scolastiche. A questo fine sono previsti:

2.1)  la determinazione di requisiti per l'accesso al concorso nazionale, anche in base al numero di crediti formativi universitari acquisiti nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e in quelle concernenti le metodologie e le tecnologie didattiche, comunque con il limite minimo di ventiquattro crediti conseguibili sia come crediti curricolari che come crediti aggiuntivi;

2.2)  la disciplina relativa al trattamento economico durante il periodo di tirocinio, tenuto anche conto della graduale assunzione della funzione di docente;

3)  il completamento della formazione iniziale dei docenti assunti secondo le procedure di cui al numero 2) tramite:

3.1)  il conseguimento, nel corso del primo anno di contratto, di un diploma di specializzazione per l'insegnamento secondario al termine di un corso annuale istituito, anche in convenzione con istituzioni scolastiche o loro reti, dalle università o dalle istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, destinato a completare la preparazione degli iscritti nel campo della didattica delle discipline afferenti alla classe concorsuale di appartenenza, della pedagogia, della psicologia e della normativa scolastica;

3.2)  la determinazione degli standard nazionali per la valutazione finalizzata al conseguimento del diploma di specializzazione, nonché del periodo di tirocinio;

3.3)  per i vincitori dei concorsi nazionali, l'effettuazione, nei due anni successivi al conseguimento del diploma, di tirocini formativi e la graduale assunzione della funzione docente, anche in sostituzione di docenti assenti, presso l'istituzione scolastica o presso la rete tra istituzioni scolastiche di assegnazione;

3.4)  la possibilità, per coloro che non hanno partecipato o non sono risultati vincitori nei concorsi nazionali di cui al numero 2), di iscriversi a proprie spese ai percorsi di specializzazione per l'insegnamento secondario di cui al numero 3.1);

4)  la sottoscrizione del contratto di lavoro a tempo indeterminato, all'esito di positiva conclusione e valutazione del periodo di tirocinio, secondo la disciplina di cui ai commi da 63 a 85 del presente articolo;

5)  la previsione che il percorso di cui al numero 2) divenga gradualmente l'unico per accedere all'insegnamento nella scuola secondaria statale, anche per l'effettuazione delle supplenze; l'introduzione di una disciplina transitoria in relazione ai vigenti percorsi formativi e abilitanti e al reclutamento dei docenti nonché in merito alla valutazione della competenza e della professionalità per coloro che hanno conseguito l'abilitazione prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui alla presente lettera;

6)  il riordino delle classi disciplinari di afferenza dei docenti e delle classi di laurea magistrale, in modo da assicurarne la coerenza ai fini dei concorsi di cui al numero 2), nonché delle norme di attribuzione degli insegnamenti nell'ambito della classe disciplinare di afferenza secondo princìpi di semplificazione e di flessibilità, fermo restando l'accertamento della competenza nelle discipline insegnate;

7)  la previsione dell'istituzione di percorsi di formazione in servizio, che integrino le competenze disciplinari e pedagogiche dei docenti, consentendo, secondo princìpi di flessibilità e di valorizzazione, l'attribuzione di insegnamenti anche in classi disciplinari affini;

8)  la previsione che il conseguimento del diploma di specializzazione di cui al numero 3.1) costituisca il titolo necessario per l'insegnamento nelle scuole paritarie; (2)

c)  promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità e riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione attraverso:

1)  la ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno al fine di favorire l'inclusione scolastica degli studenti con disabilità, anche attraverso l'istituzione di appositi percorsi di formazione universitaria;

2)  la revisione dei criteri di inserimento nei ruoli per il sostegno didattico, al fine di garantire la continuità del diritto allo studio degli alunni con disabilità, in modo da rendere possibile allo studente di fruire dello stesso insegnante di sostegno per l'intero ordine o grado di istruzione;

3)  l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali, tenuto conto dei diversi livelli di competenza istituzionale;

4)  la previsione di indicatori per l'autovalutazione e la valutazione dell'inclusione scolastica;

5)  la revisione delle modalità e dei criteri relativi alla certificazione, che deve essere volta a individuare le abilità residue al fine di poterle sviluppare attraverso percorsi individuati di concerto con tutti gli specialisti di strutture pubbliche, private o convenzionate che seguono gli alunni riconosciuti disabili ai sensi degli articoli 3 e 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e della legge 8 ottobre 2010, n. 170, che partecipano ai gruppi di lavoro per l'integrazione e l'inclusione o agli incontri informali;

6)  la revisione e la razionalizzazione degli organismi operanti a livello territoriale per il supporto all'inclusione;

7)  la previsione dell'obbligo di formazione iniziale e in servizio per i dirigenti scolastici e per i docenti sugli aspetti pedagogico-didattici e organizzativi dell'integrazione scolastica;

8)  la previsione dell'obbligo di formazione in servizio per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, rispetto alle specifiche competenze, sull'assistenza di base e sugli aspetti organizzativi ed educativo-relazionali relativi al processo di integrazione scolastica;

9)  la previsione della garanzia dell'istruzione domiciliare per gli alunni che si trovano nelle condizioni di cui all'articolo 12, comma 9, della legge 5 febbraio 1992, n. 104; (3)

d)  revisione dei percorsi dell'istruzione professionale, nel rispetto dell'articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi dell'istruzione e formazione professionale, attraverso:

1)  la ridefinizione degli indirizzi, delle articolazioni e delle opzioni dell'istruzione professionale;

2)  il potenziamento delle attività didattiche laboratoriali anche attraverso una rimodulazione, a parità di tempo scolastico, dei quadri orari degli indirizzi, con particolare riferimento al primo biennio; (4)

e)  istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni, costituito dai servizi educativi per l'infanzia e dalle scuole dell'infanzia, al fine di garantire ai bambini e alle bambine pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali, nonché ai fini della conciliazione tra tempi di vita, di cura e di lavoro dei genitori, della promozione della qualità dell'offerta educativa e della continuità tra i vari servizi educativi e scolastici e la partecipazione delle famiglie, attraverso:

1)  la definizione dei fabbisogni standard delle prestazioni della scuola dell'infanzia e dei servizi educativi per l'infanzia previsti dal Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, prevedendo:

1.1)  la generalizzazione della scuola dell'infanzia;

1.2)  la qualificazione universitaria e la formazione continua del personale dei servizi educativi per l'infanzia e della scuola dell'infanzia;

1.3)  gli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l'infanzia e della scuola dell'infanzia, diversificati in base alla tipologia, all'età dei bambini e agli orari di servizio, prevedendo tempi di compresenza del personale dei servizi educativi per l'infanzia e dei docenti di scuola dell'infanzia, nonché il coordinamento pedagogico territoriale e il riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, adottate con il regolamento di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 16 novembre 2012, n. 254; (1)

2)  la definizione delle funzioni e dei compiti delle regioni e degli enti locali al fine di potenziare la ricettività dei servizi educativi per l'infanzia e la qualificazione del sistema integrato di cui alla presente lettera;

3)  l'esclusione dei servizi educativi per l'infanzia e delle scuole dell'infanzia dai servizi a domanda individuale;

4)  l'istituzione di una quota capitaria per il raggiungimento dei fabbisogni standard, prevedendo il cofinanziamento dei costi di gestione, da parte dello Stato con trasferimenti diretti o con la gestione diretta delle scuole dell'infanzia e da parte delle regioni e degli enti locali al netto delle entrate da compartecipazione delle famiglie utenti del servizio;

5)  l'approvazione e il finanziamento di un piano di azione nazionale per la promozione del sistema integrato di cui alla presente lettera, finalizzato al raggiungimento dei fabbisogni standard delle prestazioni;

6)  la copertura dei posti della scuola dell'infanzia per l'attuazione del piano di azione nazionale per la promozione del sistema integrato anche avvalendosi della graduatoria a esaurimento per il medesimo grado di istruzione come risultante alla data di entrata in vigore della presente legge;

7)  la promozione della costituzione di poli per l'infanzia per bambini di età fino a sei anni, anche aggregati a scuole primarie e istituti comprensivi;

8)  l'istituzione, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, di un'apposita commissione con compiti consultivi e propositivi, composta da esperti nominati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dalle regioni e dagli enti locali;(5)

f)  garanzia dell'effettività del diritto allo studio su tutto il territorio nazionale, nel rispetto delle competenze delle regioni in tale materia, attraverso la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, sia in relazione ai servizi alla persona, con particolare riferimento alle condizioni di disagio, sia in relazione ai servizi strumentali; potenziamento della Carta dello studente, tenuto conto del sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale, al fine di attestare attraverso la stessa lo status di studente e rendere possibile l'accesso a programmi relativi a beni e servizi di natura culturale, a servizi per la mobilità nazionale e internazionale, ad ausili di natura tecnologica per lo studio e per l'acquisto di materiale scolastico, nonché possibilità di associare funzionalità aggiuntive per strumenti di pagamento attraverso borsellino elettronico; (6)

g)  promozione e diffusione della cultura umanistica, valorizzazione del patrimonio e della produzione culturali, musicali, teatrali, coreutici e cinematografici e sostegno della creatività connessa alla sfera estetica, attraverso:

1)  l'accesso, nelle sue varie espressioni amatoriali e professionali, alla formazione artistica, consistente nell'acquisizione di conoscenze e nel contestuale esercizio di pratiche connesse alle forme artistiche, musicali, coreutiche e teatrali, mediante:

1.1)  il potenziamento della formazione nel settore delle arti nel curricolo delle scuole di ogni ordine e grado, compresa la prima infanzia, nonché la realizzazione di un sistema formativo della professionalità degli educatori e dei docenti in possesso di specifiche abilitazioni e di specifiche competenze artistico-musicali e didattico-metodologiche;

1.2)  l'attivazione, da parte di scuole o reti di scuole di ogni ordine e grado, di accordi e collaborazioni anche con soggetti terzi, accreditati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ovvero dalle regioni o dalle province autonome di Trento e di Bolzano anche mediante accordi quadro tra le istituzioni interessate;

1.3)  il potenziamento e il coordinamento dell'offerta formativa extrascolastica e integrata negli ambiti artistico, musicale, coreutico e teatrale anche in funzione dell'educazione permanente;

2)  il riequilibrio territoriale e il potenziamento delle scuole secondarie di primo grado a indirizzo musicale nonché l'aggiornamento dell'offerta formativa anche ad altri settori artistici nella scuola secondaria di primo grado e l'avvio di poli, nel primo ciclo di istruzione, a orientamento artistico e performativo;

3)  la presenza e il rafforzamento delle arti nell'offerta formativa delle scuole secondarie di secondo grado;

4)  il potenziamento dei licei musicali, coreutici e artistici promuovendo progettualità e scambi con gli altri Paesi europei;

5)  l'armonizzazione dei percorsi formativi di tutta la filiera del settore artistico-musicale, con particolare attenzione al percorso pre-accademico dei giovani talenti musicali, anche ai fini dell'accesso all'alta formazione artistica, musicale e coreutica e all'università;

6)  l'incentivazione delle sinergie tra i linguaggi artistici e le nuove tecnologie valorizzando le esperienze di ricerca e innovazione;

7)  il supporto degli scambi e delle collaborazioni artistico-musicali tra le diverse istituzioni formative sia italiane che straniere, finalizzati anche alla valorizzazione di giovani talenti;

8)  la sinergia e l'unitarietà degli obiettivi nell'attività dei soggetti preposti alla promozione della cultura italiana all'estero;(7)

h)  revisione, riordino e adeguamento della normativa in materia di istituzioni e iniziative scolastiche italiane all'estero al fine di realizzare un effettivo e sinergico coordinamento tra il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nella gestione della rete scolastica e della promozione della lingua italiana all'estero attraverso:

1)  la definizione dei criteri e delle modalità di selezione, destinazione e permanenza in sede del personale docente e amministrativo;

2)  la revisione del trattamento economico del personale docente e amministrativo;

3)  la previsione della disciplina delle sezioni italiane all'interno di scuole straniere o internazionali;

4)  la revisione della disciplina dell'insegnamento di materie obbligatorie secondo la legislazione locale o l'ordinamento scolastico italiano da affidare a insegnanti a contratto locale;(8)

i)  adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti, nonché degli esami di Stato, anche in raccordo con la normativa vigente in materia di certificazione delle competenze, attraverso:

1)  la revisione delle modalità di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti del primo ciclo di istruzione, mettendo in rilievo la funzione formativa e di orientamento della valutazione, e delle modalità di svolgimento dell'esame di Stato conclusivo del primo ciclo;

2)  la revisione delle modalità di svolgimento degli esami di Stato relativi ai percorsi di studio della scuola secondaria di secondo grado in coerenza con quanto previsto dai regolamenti di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, nn. 87, 88 e 89. (9)

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 22 novembre-21 dicembre 2016, n. 284 (Gazz. Uff. 28 dicembre 2016, n. 52 – Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale del presente numero.

(2) In attuazione del disposto della presente lettera si veda il D.lgs. 59/2017##286L e il D.lgs. 62/2017##295L.

(3) In attuazione del disposto della presente lettera si veda il D.lgs. 66/2017##285L.

(4) In attuazione del disposto della presente lettera si veda il D.lgs. 61/2017##293L.

(5) In attuazione del disposto della presente lettera si veda il D.lgs. 65/2017##283L.

(6) In attuazione del disposto della presente lettera si veda il D.lgs. 63/2017##296L.

(7) In attuazione del disposto della presente lettera si veda il D.lgs. 60/2017##291L.

(8) In attuazione del disposto della presente lettera si veda il D.lgs. 64/2017##282L.

(9) In attuazione del disposto della presente lettera si veda il D.lgs. 62/2017##295L.

Keywords
#codificazione #ciclo #coreutica #afferenza #talento #coreutici #sinergia #arto #curricolo #nomenclatore
Funzioni e compiti degli Enti locali - Decreto legislativo 13/04/2017 n° 65 n° 7
Normativa

1.  Per l'attuazione del presente decreto, gli Enti locali, singolarmente o in forma associata, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili nei propri bilanci:

a)  gestiscono, in forma diretta e indiretta, propri servizi educativi per l'infanzia e proprie scuole dell'infanzia, tenendo conto dei provvedimenti regionali di cui all'articolo 6 e delle norme sulla parità scolastica e favorendone la qualificazione;

b)  autorizzano, accreditano, vigilano sugli stessi, applicando le relative sanzioni, i soggetti privati per l'istituzione e la gestione dei servizi educativi per l'infanzia, nel rispetto degli standard strutturali, organizzativi e qualitativi definiti dalle Regioni, delle norme sull'inclusione delle bambine e dei bambini con disabilità e dei contratti collettivi nazionali di lavoro di settore;

c)  realizzano attività di monitoraggio e verifica del funzionamento dei servizi educativi per l'infanzia del proprio territorio;

d)  attivano, valorizzando le risorse professionali presenti nel Sistema integrato di educazione e di istruzione, il coordinamento pedagogico dei servizi sul proprio territorio, in collaborazione con le istituzioni scolastiche e i gestori privati, nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, ivi comprese quelle di cui al comma 1 dell'articolo 12;

e)  coordinano la programmazione dell'offerta formativa nel proprio territorio per assicurare l'integrazione ed l'unitarietà della rete dei servizi e delle strutture educative;

f)  promuovono iniziative di formazione in servizio per tutto il personale del Sistema integrato di educazione e di istruzione, in raccordo con il Piano nazionale di formazione di cui alla legge n. 107 del 2015;

g)  definiscono le modalità di coinvolgimento e partecipazione delle famiglie in considerazione della loro primaria responsabilità educativa;

h)  facilitano iniziative ed esperienze di continuità del Sistema integrato di educazione e di istruzione con il primo ciclo di istruzione.

Keywords
#enti locali#infanzia #educazione #unitarietà #bambina
(Gruppi di lavoro per l'integrazione scolastica) - Legge statale 05/02/1992 n° 104 n° 15
Normativa

1.  Presso ogni ufficio scolastico provinciale è istituito un gruppo di lavoro composto da: un ispettore tecnico nominato dal provveditore agli studi, un esperto della scuola utilizzato ai sensi dell'articolo 14, decimo comma, della legge 20 maggio 1982, n. 270, e successive modificazioni, due esperti designati dagli enti locali, due esperti delle unità sanitarie locali, tre esperti designati dalle associazioni delle persone handicappate maggiormente rappresentative a livello provinciale nominati dal provveditore agli studi sulla base dei criteri indicati dal Ministero della pubblica istruzione entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il gruppo di lavoro dura in carica tre anni.
2.  Presso ogni circolo didattico ed istituto di scuola secondaria di primo e secondo grado sono costituiti gruppi di studio e di lavoro composti da insegnanti, operatori dei servizi, familiari e studenti con il compito di collaborare alle iniziative educative e di integrazione predisposte dal piano educativo.
3.  I gruppi di lavoro di cui al comma 1 hanno compiti di consulenza e proposta al provveditore agli studi, di consulenza alle singole scuole, di collaborazione con gli enti locali e le unità sanitarie locali per la conclusione e la verifica dell'esecuzione degli accordi di programma di cui agli articoli 13, 39 e 40, per l'impostazione e l'attuazione dei piani educativi individualizzati, nonché per qualsiasi altra attività inerente all'integrazione degli alunni in difficoltà di apprendimento.
4.  I gruppi di lavoro predispongono annualmente una relazione da inviare al Ministro della pubblica istruzione ed al presidente della giunta regionale. Il presidente della giunta regionale può avvalersi della relazione ai fini della verifica dello stato di attuazione degli accordi di programma di cui agli articoli 13, 39 e 40. (1)

(1) Testo in vigore fino al 31/08/2017. A decorrere dal 01/09/2017, secondo quanto previsto dall'art. 19 del d.lgs. 66/2017 si applicherà il seguente nuovo testo come modificato dall'art. 9 dello stesso d.lgs. 66/2017, con la precisazione che i commi 4, 5, 6 e 7 della nuova formulazione troveranno applicazione a partire dal 01/01/2019 e nelle more continueranno ad applicarsi i commi 1, 2 e 3 dell'art. 15 nel testo previgente all'entrata in vigore del d.lgs. 66/2017 (31/5/2017):

"Art. 15 (Gruppi per l'inclusione scolastica).

1. Presso ogni Ufficio scolastico regionale (USR) è istituito il Gruppo di lavoro interistituzionale regionale (GLIR) con compiti di:
 a) consulenza e proposta all'USR per la definizione, l'attuazione e la verifica degli accordi di programma di cui agli articoli 13, 39 e 40 della presente legge, integrati con le finalità di cui alla legge 13 luglio 2015, n. 107, con particolare riferimento alla continuità delle azioni sul territorio, all'orientamento e ai percorsi integrati scuola-territorio-lavoro;
 b) supporto ai Gruppi per l'inclusione territoriale (GIT);
 c) supporto alle reti di scuole per la progettazione e la realizzazione dei Piani di formazione in servizio del personale della scuola.
 2. Il GLIR è presieduto dal dirigente preposto all'USR o da un suo delegato. Nell'ambito del decreto di cui al comma 3 è garantita la partecipazione paritetica dei rappresentanti delle Regioni, degli Enti locali e delle associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative a livello regionale nel campo dell'inclusione scolastica.
 3. La composizione, l'articolazione, le modalità di funzionamento, la sede, la durata, nonché l'assegnazione di ulteriori funzioni per il supporto all'inclusione scolastica del GLIR, fermo restando quanto previsto al comma 2, sono definite con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili, sentito l'Osservatorio permanente per l'inclusione scolastica istituito presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
 4. Per ciascuno degli ambiti territoriali di cui all'articolo 1, comma 66, della legge 13 luglio 2015, n. 107, è istituito il Gruppo per l'inclusione territoriale (GIT). Il GIT è composto da un dirigente tecnico o scolastico che lo presiede, tre dirigenti scolastici dell'ambito territoriale, due docenti per la scuola dell'infanzia e il primo ciclo di istruzione e uno per il secondo ciclo di istruzione, nominati con decreto dell'USR.
 5. Il GIT riceve dai dirigenti scolastici le proposte di quantificazione delle risorse di sostegno didattico, le verifica e formula la relativa proposta all'USR.
 6. Per lo svolgimento di ulteriori compiti di consultazione e programmazione delle attività nonché per il coordinamento degli interventi di competenza dei diversi livelli istituzionali sul territorio, il GIT è integrato:
 a) dalle associazioni rappresentative delle persone con disabilità nel campo dell'inclusione scolastica;
 b) dagli Enti locali e dalle Aziende sanitarie locali.
 7. Le modalità di funzionamento, la sede, la durata, nonché l'assegnazione di ulteriori funzioni per il supporto all'inclusione scolastica del GIT sono definite dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili, sentito l'Osservatorio permanente per l'inclusione scolastica istituito presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
 8. Presso ciascuna istituzione scolastica è istituito il Gruppo di lavoro per l'inclusione (GLI). Il GLI è composto da docenti curricolari, docenti di sostegno e, eventualmente da personale ATA, nonché da specialisti della Azienda sanitaria locale del territorio di riferimento dell'istituzione scolastica. Il gruppo è nominato e presieduto dal dirigente scolastico ed ha il compito di supportare il collegio dei docenti nella definizione e realizzazione del Piano per l'inclusione nonché i docenti contitolari e i consigli di classe nell'attuazione dei PEI.
 9. In sede di definizione e attuazione del Piano di inclusione, il GLI si avvale della consulenza e del supporto degli studenti, dei genitori e delle associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative del territorio nel campo dell'inclusione scolastica. Al fine di realizzare il Piano di inclusione e il PEI, il GLI collabora con le istituzioni pubbliche e private presenti sul territorio."

Keywords
#studenti: integrazione e disabilità#git #usr #glir #ispettore
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Circolare - Prime indicazioni operative alle istituzioni scolastiche del Sistema nazionale di istruzione per l'applicazione del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 20l7, n. 119,recante "Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci". 16/08/2017 n° 1622
Prassi, Circolari, Note

Ai Direttori degli Uffici Scolastici Regionali

All'Ufficio speciale di lingua slovena

Al Sovrintendente Scolastico per la Scuola in lingua italiana di Bolzano

All'Intendente Scolastico per la Scuola in lingua tedesca di Bolzano

All'Intendente Scolastico per la Scuola delle località ladine di Bolzano

Dirigente del Dipartimento Istruzione per la Provincia di TRENTO

Sovrintendente Scolastico per la Regione Valle D'Aosta

Alle Istituzioni scolastiche statali e paritarie

Alle scuole private non paritarie

ep.c.

Al Capo di Gabinetto

Al Capo Segreteria Tecnica del Ministro

Alle Direzioni Generali del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione

Al Ministero della salute Ufficio di Gabinetto

LORO SEDI

Oggetto: Prime indicazioni operative alle istituzioni scolastiche del Sistema nazionale di istruzione per l'applicazione del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 20l7, n. 119,recante "Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci".

Il decreto-legge in oggetto, come modificato in sede di conversione, intervenendo sull'obbligatorietà delle vaccinazioni, assicura a tutta la popolazione, in maniera omogenea sul territorio nazionale, la prevenzione, il contenimento e la riduzione dei rischi per la salute personale e pubblica. L'estensione della vaccinazione rappresenta, pertanto, un progresso alla cui realizzazione hanno collaborato il Parlamento e il Governo assicurando, fra l'altro, in sede di conversione del decreto-legge, che le istituzioni scolastiche possano contribuire alla tutela della salute collettiva, nell'ambito delle proprie competenze e nel pieno rispetto del diritto all'istruzione.

Come noto il decreto-legge, nella sua legge di conversione, non cambia la normativa vigente in merito all'accesso al servizio dell'istruzione, poiché l'articolo 100 del Testo Unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994già subordinava l'ammissione alla scuola dell'infanzia alla presentazione della certificazione di talune vaccinazioni, inoltre, l'art. 117 del medesimo Testo Unico disponeva che all'atto della prima iscrizione fosse presentata la certificazione delle vaccinazioni allora obbligatorie.

L'articolo 3-bis del decreto-legge, aggiunto in sede di conversione, prevede, inoltre, una importante procedura di semplificazione per cui, a decorrere dall'anno scolastico 2019/2020, le ASL, ricevuto dalle scuole l'elenco degli iscritti sino a sedici anni di età, restituiranno l'indicazione di coloro che eventualmente non risultino in regola con gli adempimenti vaccinali. Le istituzioni scolastiche, pertanto, non dovranno più acquisire, direttamente, per tutti gli iscritti dei vari gradi di istruzione, le certificazioni in merito alle vaccinazioni effettuate.

Sino all'anno scolastico 2018/2019 valgono le modalità transitorie illustrate nel seguito del presente documento, fermo restando che eventuali semplificazioni potranno essere previste, tanto per le famiglie quanto per le istituzioni scolastiche, eventualmente già dall'anno scolastico 2017/2018 a seguito di accordi tra gli Uffici Scolastici Regionali, le Regioni e, per loro tramite, le Aziende Sanitarie Locali, nel rispetto della normativa sulla privacy, previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, e delle disposizioni della legge di conversione del decreto-legge.

Il decreto-legge, come modificato in sede di conversione, all'art. 1 commi l e l-bis, estende a dieci il novero delle vaccinazioni obbligatorie e gratuite per i minori di età compresa tra zero e sedici anni, come da sotto riportato elenco:

• Anti-poliomielitica;

• Anti-difterica

• Anti-tetanica

• Anti-epatite B

• Anti-pertosse

• Anti-Haemophilus injluenzae tipo B

• Anti-morbillo

• Anti-rosolia

• Anti-parotite

• Anti-varicella

Inoltre il decreto, all'art. 1, co. l-quater, dispone l'obbligo per le Regioni di assicurare l'offerta attiva e gratuita, per i minori di età compresa tra O e 16 anni, anche di altre 4 vaccinazioni (1) non obbligatorie.

Ai fini dell'attuazione delle disposizioni del decreto-legge, si ritiene utile fornire le seguenti indicazioni operative.

All'obbligo si adempie secondo le indicazioni contenute nel calendario vaccinale nazionale relativo a ciascuna coorte di nascita. Il calendario vaccinale è reperibile sul sito istituzionale del Ministero della Salute, al link: www.salute.gov.it/vaccini

Le istituzioni scolastiche del Sistema nazionale di istruzione e le scuole private non paritarie acquisiscono la documentazione concernente l'obbligo vaccinale, segnalano all'Azienda Sanitaria Locale (ASL) di competenza l'eventuale mancata presentazione di tale documentazione e adottano le misure relative alla composizione delle classi.

Per completezza di informazione si precisa che tali obblighi sono a carico, oltre che dei dirigenti scolastici, anche dei responsabili dei servizi educativi per l'infanzia, dei centri di formazione professionale regionale.

(1)    Anti-meningococcica B, anti-meningococcica C, anti-pneumococcica, anti-rotavirus

Adempimenti relativi agli obblighi vaccinali

I dirigenti scolastici, all'atto dell'iscrizione, richiedono ai genitori esercenti la responsabilità genitoriale, ai tutori o ai soggetti affidatari dei minori fino a 16 anni, ivi compresi i minori stranieri non accompagnati, la presentazione di dichiarazioni o documenti atti a comprovare l'adempimento degli obblighi vaccinali.

Al fine di attestare l'effettuazione delle vaccinazioni, potrà essere presentata una dichiarazione sostituiva resa ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, da compilare utilizzando l'allegato l.

In alternativa alla dichiarazione sostitutiva sopra citata, potrà essere presentata idonea documentazione comprovante l'effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie (ad es. attestazione delle vaccinazioni effettuate rilasciata dall'ASL competente o certificato vaccinale ugualmente rilasciato dall'ASL competente o copia del libretto vaccinale vidimato dall'ASL, in quest'ultimo caso, i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori o i soggetti affidatari dei minori fino a 16 anni dovranno verificare che la documentazione prodotta non contenga informazioni ulteriori oltre a quelle strettamente indispensabili per attestare l'assolvimento degli adempimenti vaccinali previsti dal decreto-legge). Ancora, con riferimento all'art. 3, commi l e l-bis, potrà essere prodotta copia di formale richiesta di vaccinazione alla ASL territorialmente competente; detta vaccinazione dovrà essere effettuata entro la fine dell'anno scolastico di cui trattasi. La presentazione della richiesta può essere eventualmente dichiarata, in alternativa, avvalendosi dello stesso modello di dichiarazione sostitutiva (allegato l).

In caso, viceversa, di esonero, omissione o differimento delle vaccinazioni, potranno essere presentati uno o più dei seguenti documenti, rilasciati dalle autorità sanitarie competenti:

a) attestazione del differimento o dell'omissione delle vaccinazioni per motivi di salute redatta dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta del Servizio Sanitario Nazionale (art. l, co. 3);

b) attestazione di avvenuta immunizzazione a seguito di malattia naturale rilasciata dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta del SSN o copia della notifica di malattia infettiva rilasciata dalla azienda sanitaria locale competente ovvero verificata con analisi sierologica (art. 1,co. 2);

Per l'anno scolastico 2017-2018, la suddetta documentazione deve essere presentata alle Istituzioni scolastiche, ivi incluse quelle private non paritarie:

- entro il 10 settembre 2017 per le bambine e i bambini della scuola dell'infanzia e delle sezioni primavera;

- entro il 31 ottobre 2017 per tutti gli altri gradi di istruzione.

Si precisa che la documentazione di cui sopra deve essere acquisita, nei tempi sopra indicati, anche per le alunne e gli alunni, le studentesse e gli studenti, già frequentanti l'istituzione scolastica.

La mancata presentazione della documentazione dovrà essere segnalata dai dirigenti scolastici alla ASL territorialmente competente entro 10 giorni dai termini prima indicati.

Per l'anno scolastico 2017-2018, in caso di presentazione della dichiarazione sostitutiva (come da allegato 1) la documentazione comprovante l'adempimento degli obblighi vaccinali dovrà essere consegnata all'Istituzione scolastica, entro il 10 marzo 2018.

La mancata presentazione della documentazione dovrà essere segnalata dai dirigenti scolastici alla ASL territorialmente competente entro 10 giorni dai termini prima indicati.

Per l'anno scolastico 2018-2019, la documentazione dovrà essere prodotta dai genitori, dai tutori o dai soggetti affidatari, all'atto dell'iscrizione del minore; in caso di presentazione della dichiarazione sostitutiva il termine per la consegna della documentazione comprovante l'adempimento degli obblighi vaccinali è fissato al 10 luglio 2018.

Per le iscrizioni alle classi prime dell'a.s. 2018/2019, in occasione dell'emanazione della relativa circolare, verranno fomite specifiche indicazioni operative, anche riguardo alla possibilità di rendere la dichiarazione sostitutiva contestualmente all'iscrizione on line.

Come già detto, a decorrere dall'anno scolastico 2019-2020, per le istituzioni scolastiche la procedura di acquisizione della documentazione vaccinale sarà semplificata attraverso l'invio degli elenchi degli iscritti a scuola alla ASL territorialmente competente come da art. 3-bis del citato decreto.

Scuole dell'infanzia e sezioni primavera ivi incluse quelle private non paritarie

Dall'anno scolastico 2017-18 la presentazione della documentazione vaccinale entro il 10 settembre 2017 (art. 5, co. 1) costituisce requisito di accesso alle scuole dell'infanzia e alle sezioni primavera (art. 3 co. 3).

A norma del combinato disposto dell'art. 1, co. 4 e dell'art. 3, commi l, 2 e 3, decorso tale termine, entro i successivi IO giorni, i dirigenti scolastici, o i responsabili del servizio, comunicano alla ASL la mancata presentazione della idonea documentazione e i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori o i soggetti affidatari dei minori fino a 16 anni saranno invitati a regolarizzare la propria posizione per consentire l'accesso ai servizi.

A decorrere dall'anno scolastico 2019-2020 la mancata presentazione della documentazione nei termini previsti determinerà la decadenza dall'iscrizione delle scuole dell'infanzia e delle sezioni primavera (art. 3-bis, co. 5).

Altri gradi di istruzione

In caso di mancata osservanza della presentazione dell'idonea documentazione entro i termini stabiliti dalla legge sopra richiamati, il dirigente scolastico, o il responsabile del servizio, nei successivi 10 giorni, effettua la segnalazione all'azienda sanitaria locale (art. 3, commi 2 e 3) al fine di attivare quanto previsto dall'art. 1, co. 4. In ogni caso la mancata presentazione della documentazione, nei termini previsti, non determina la decadenza dell'iscrizione né impedisce la partecipazione agli esami.

Formazione delle classi

L'art. 4, co. 1,del decreto-legge prevede che i dirigenti delle istituzioni scolastiche, o i responsabili del servizio, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di formazione delle classi e fatta salva la segnalazione alla ASL competente, inseriscano, di norma, i minori che si trovino nelle condizioni di omissione o differimento delle vaccinazioni per accertato pericolo per la salute, in classi nelle quali siano presenti solo minori vaccinati o immunizzati.

Tale principio generale, a tutela dei minori non vaccinabili per motivi di salute, deve essere applicato tenendo conto delle specifiche problematiche di carattere organizzativo riferibili alla strutturazione dei percorsi di studio, al numero e alla composizione delle classi, alla continuità didattica e pedagogica dei gruppi classe, all'organizzazione dell'offerta formativa, alla distribuzione del servizio sul territorio e a tutti quegli aspetti inerenti la tutela del diritto allo studio.

Ai sensi dell'art. 4, co. 2, del decreto-legge i dirigenti scolastici, o i responsabili del servizio, comunicheranno alla ASL competente, entro il 31 ottobre di ogni anno, i casi in cui nella stessa classe siano presenti più di due minori non vaccinati.

Per l'anno scolastico 2017/2018 per le classi della scuola primaria, secondaria di primo e di secondo grado, tenuto conto che la documentazione comprovante gli adempimenti vaccinali può essere presentata entro il 31 ottobre 2017 e, quindi successivamente alla formazione delle classi, non può trovare applicazione la presente disposizione normativa.

Operatori scolastici

L'art. 3, co. 3-bis, del decreto-legge dispone che, entro il 16 novembre 2017, gli operatori scolastici presentino alle Istituzioni scolastiche presso le quali prestano servizio una dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, comprovante la propria situazione vaccinale, utilizzando il modello di cui all'allegato 2.

Comunicazione con le famiglie e informazione

Data l'imminenza dell'avvio del nuovo anno scolastico, si invitano i dirigenti scolastici, o i responsabili del servizio, a dare tempestiva informazione in merito alla presentazione della documentazione vaccinale, in particolare, circa le indicazioni dettate per l'a.s. 20l7/2018, utilizzando il sito web della scuola ed eventuali altri canali comunemente usati nei rapporti scuola famiglia.

Al fine di informare le famiglie In merito all'applicazione dei nuovi obblighi vaccinali, il Ministero della Salute ha messo a disposizione il numero verde 1500e un'area dedicata sul sito istituzionale all'indirizzo www.salute.gov.it/vaccini

Inoltre, come previsto dall'articolo 2 del decreto-legge, il Ministero della Salute promuove iniziative di comunicazione e informazione istituzionale per illustrare e favorire la conoscenza delle disposizioni concernenti l'obbligo vaccinale.

Il Ministero della Salute e il MIUR, per l'anno scolastico 2017/2018, avvieranno anche iniziative di informazione per il personale scolastico ed educativo nonché di formazione rivolto alle alunne e agli alunni, alle studentesse e agli studenti sui temi della prevenzione sanitaria e in particolare delle vaccinazioni, anche con il coinvolgimento delle associazioni dei genitori e delle associazioni di categoria delle professioni sanitarie. Di tali iniziative si darà tempestiva informazione tramite gli Uffici Scolastici Regionali e gli altri canali istituzionali.

Le istituzioni scolastiche potranno rivolgersi direttamente al Ministero della Salute attraverso un apposito indirizzo mail (infovaccini@sanita.it), tramite il quale personale medico fornirà risposte ai quesiti formulati.

Il MIUR, inoltre, ha istituito il seguente indirizzo mail (infovaccini@istruzione.it) dedicato ai dirigenti scolastici, o ai responsabili del servizio, per eventuali richieste di chiarimenti.

Trattamento dei dati

Le Istituzioni scolastiche del Sistema nazionale di istruzione possono trattare esclusivamente i dati personali, anche sensibili, relativi all'adempimento, differimento, esonero o omissione dell'obbligo vaccinale che siano indicati nella documentazione prevista negli articoli 3, 3-bis e 4 del decreto-legge richiamata nella presente nota. Analogamente, tali dati personali, compreso quelli degli operatori scolastici, possono essere oggetto delle sole operazioni di trattamento e comunicazione strettamente indispensabili per assolvere agli adempimenti previsti dal decreto-legge e, in particolare, a quelli di segnalazione nei confronti delle aziende sanitarie locali. Le modalità e i tempi di acquisizione della comunicazione e del trasferimento diretto, tra amministrazioni, dei dati personali, relativi all'adempimento dell'obbligo vaccinale, devono essere quelli previsti dalla legge di conversione del decreto-legge.

Il Capo Dipartimento

Rosa De Pasquale

Keywords
#scuola e salute#vaccinare #vaccinazione #decretolegge #documentazione #asl #presentazione #anno #istituzione #classe #scuola
(Compiti delle regioni) - Legge statale 05/02/1992 n° 104 n° 39
Normativa

1.  Le regioni possono provvedere, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, ad interventi sociali, educativo-formativi e riabilitativi nell'ambito del piano sanitario nazionale, di cui all'articolo 53 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e successive modificazioni, e della programmazione regionale dei servizi sanitari, sociali e formativo-culturali.
2.  Le regioni possono provvedere, sentite le rappresentanze degli enti locali e le principali organizzazioni del privato sociale presenti sul territorio, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio:
a)  a definire l'organizzazione dei servizi, i livelli qualitativi delle prestazioni, nonché i criteri per l'erogazione dell'assistenza economica integrativa di competenza dei comuni;
b)  a definire, mediante gli accordi di programma di cui all'articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142, le modalità di coordinamento e di integrazione dei servizi e delle prestazioni individuali di cui alla presente legge con gli altri servizi sociali, sanitari, educativi, anche d'intesa con gli organi periferici dell'Amministrazione della pubblica istruzione e con le strutture prescolastiche o scolastiche e di formazione professionale, anche per la messa a disposizione di attrezzature, operatori o specialisti necessari all'attività di prevenzione, diagnosi e riabilitazione eventualmente svolta al loro interno;
c)  a definire, in collaborazione con le università e gli istituti di ricerca, i programmi e le modalità organizzative delle iniziative di riqualificazione ed aggiornamento del personale impiegato nelle attività di cui alla presente legge;
d)  a promuovere, tramite le convenzioni con gli enti di cui all'articolo 38, le attività di ricerca e di sperimentazione di nuove tecnologie di apprendimento e di riabilitazione, nonché la produzione di sussidi didattici e tecnici;
e)  a definire le modalità di intervento nel campo delle attività assistenziali e quelle di accesso ai servizi;
f)  a disciplinare le modalità del controllo periodico degli interventi di inserimento ed integrazione sociale di cui all'articolo 5, per verificarne la rispondenza all'effettiva situazione di bisogno;
g)  a disciplinare con legge, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri relativi all'istituzione e al funzionamento dei servizi di aiuto personale;
h)  ad effettuare controlli periodici sulle aziende beneficiarie degli incentivi e dei contributi di cui all'articolo 18, comma 6, per garantire la loro effettiva finalizzazione all'integrazione lavorativa delle persone handicappate;
i)  a promuovere programmi di formazione di personale volontario da realizzarsi da parte delle organizzazioni di volontariato;
l)  ad elaborare un consuntivo annuale analitico delle spese e dei contributi per assistenza erogati sul territorio anche da enti pubblici e enti o associazioni privati, i quali trasmettono alle regioni i rispettivi bilanci, secondo modalità fissate dalle regioni medesime;
l-bis)  a programmare interventi di sostegno alla persona e familiare come prestazioni integrative degli interventi realizzati dagli enti locali a favore delle persone con handicap di particolare gravità, di cui all'articolo 3, comma 3, mediante forme di assistenza domiciliare e di aiuto personale, anche della durata di 24 ore, provvedendo alla realizzazione dei servizi di cui all'articolo 9, all'istituzione di servizi di accoglienza per periodi brevi e di emergenza, tenuto conto di quanto disposto dagli articoli 8, comma 1, lettera i), e 10, comma 1, e al rimborso parziale delle spese documentate di assistenza nell'ambito di programmi previamente concordati;
l-ter)  a disciplinare, allo scopo di garantire il diritto ad una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione dell'autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici, le modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia.
 

Keywords
#specialista
Diagnosi - Legge statale 08/10/2010 n° 170 n° 3
Normativa

1.  La diagnosi dei DSA è effettuata nell'ambito dei trattamenti specialistici già assicurati dal Servizio sanitario nazionale a legislazione vigente ed è comunicata dalla famiglia alla scuola di appartenenza dello studente. Le regioni nel cui territorio non sia possibile effettuare la diagnosi nell'ambito dei trattamenti specialistici erogati dal Servizio sanitario nazionale possono prevedere, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, che la medesima diagnosi sia effettuata da specialisti o strutture accreditate.
2.  Per gli studenti che, nonostante adeguate attività di recupero didattico mirato, presentano persistenti difficoltà, la scuola trasmette apposita comunicazione alla famiglia.
3.  È compito delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell'infanzia, attivare, previa apposita comunicazione alle famiglie interessate, interventi tempestivi, idonei ad individuare i casi sospetti di DSA degli studenti, sulla base dei protocolli regionali di cui all'articolo 7, comma 1. L'esito di tali attività non costituisce, comunque, una diagnosi di DSA.

Keywords
#studenti: integrazione e disabilità#dsa #infanzia
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Direttiva - STRUMENTI D’INTERVENTO PER ALUNNI CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE PER L’INCLUSIONE SCOLASTICA 27/12/2012
Prassi, Circolari, Note

Premessa

I principi che sono alla base del nostro modello di integrazione scolastica - assunto a punto di riferimento per le politiche di inclusione in Europa e non solo - hanno contribuito a fare del sistema di istruzione italiano un luogo di conoscenza, sviluppo e socializzazione per tutti, sottolineandone gli aspetti inclusivi piuttosto che quelli selettivi.

Forte di questa esperienza, il nostro Paese è ora in grado, passati più di trent’anni dalla legge n.517  del 1977, che diede avvio all’integrazione scolastica, di considerare le criticità emerse e di valutare, con maggiore cognizione, la necessità di ripensare alcuni aspetti dell’intero sistema. 

Gli alunni con disabilità si trovano inseriti all’interno di un contesto sempre più variegato, dove la discriminante tradizionale - alunni con disabilità / alunni senza disabilità - non rispecchia pienamente la complessa realtà delle nostre classi. Anzi, è opportuno assumere un approccio decisamente educativo, per il quale l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla base della eventuale certificazione, che certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in una cornice ristretta.

A questo riguardo è rilevante l’apporto, anche sul piano culturale, del modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni.

In questo senso, ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta.

Va quindi potenziata la cultura dell’inclusione, e ciò anche mediante un approfondimento delle relative competenze degli insegnanti curricolari, finalizzata ad una più stretta interazione tra tutte le componenti della comunità educante.  In tale ottica, assumono un valore strategico i Centri Territoriali di Supporto, che rappresentano l’interfaccia fra l’Amministrazione e le scuole e tra le scuole stesse in relazione ai Bisogni Educativi Speciali.

Essi pertanto integrano le proprie funzioni - come già chiarito dal D.M. 12 luglio 2011 per quanto concerne i disturbi specifici di apprendimento - e collaborano con le altre risorse territoriali nella definizione di una rete di supporto al processo di integrazione, con particolare riferimento, secondo la loro originaria vocazione, al potenziamento del contesto scolastico mediante le nuove tecnologie, ma anche offrendo un ausilio ai docenti secondo un modello cooperativo di intervento.  Considerato, pertanto, il ruolo che nel nuovo modello organizzativo dell’integrazione è dato ai Centri Territoriali di Supporto, la presente direttiva definisce nella seconda parte le modalità di organizzazione degli stessi, le loro funzioni, nonché la composizione del personale che vi opera.

Nella prima parte sono fornite indicazioni alle scuole per la presa in carico di alunni e studenti con Bisogni Educativi Speciali.

1. Bisogni Educativi Speciali (BES)

L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit.

In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse.

Nel variegato panorama delle nostre scuole la complessità delle classi diviene sempre più evidente.  Quest’area dello svantaggio scolastico, che ricomprende problematiche diverse, viene indicata come area dei Bisogni Educativi Speciali (in altri paesi europei: Special Educational Needs).

Vi sono comprese tre grandi sotto-categorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale. Per “disturbi evolutivi specifici” intendiamo, oltre i disturbi specifici dell’apprendimento, anche i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, ricomprendendo – per la comune origine nell’età evolutiva – anche quelli dell’attenzione e dell’iperattività, mentre il funzionamento intellettivo limite può essere considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico. Per molti di questi profili i relativi codici nosografici sono ricompresi nelle stesse categorie dei principali Manuali Diagnostici e, in particolare, del manuale diagnostico ICD-10, che include la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e utilizzata dai Servizi Sociosanitari pubblici italiani. Tutte queste differenti problematiche, ricomprese nei disturbi evolutivi specifici, non vengono o possono non venir certificate ai sensi della legge 104/92, non dando conseguentemente diritto alle provvidenze ed alle misure previste dalla stessa legge quadro, e tra queste, all’insegnante per il sostegno. La legge 170/2010, a tal punto, rappresenta un punto di svolta  poiché apre un diverso canale di cura educativa, concretizzando i principi di personalizzazione dei percorsi di studio enunciati nella legge 53/2003, nella prospettiva della “presa in carico” dell’alunno con BES da parte di ciascun docente curricolare e di tutto il team di docenti coinvolto, non solo dall’insegnante per il sostegno.
 
1.2 Alunni con disturbi specifici 

Gli alunni con competenze intellettive nella norma o anche elevate, che – per specifici problemi - possono incontrare difficoltà a Scuola, devono essere aiutati a realizzare pienamente le loro potenzialità. Fra essi, alunni e studenti con DSA (Disturbo Specifico dell’Apprendimento) sono stati oggetto di importanti interventi normativi, che hanno ormai definito un quadro ben strutturato di norme tese ad assicurare il loro diritto allo studio.

Tuttavia, è bene precisare che alcune tipologie di disturbi, non esplicitati nella legge 170/2010, danno diritto ad usufruire delle stesse misure ivi previste in quanto presentano problematiche specifiche in presenza di competenze intellettive nella norma.

Si tratta, in particolare, dei disturbi con specifiche problematiche nell’area del linguaggio (disturbi specifici del linguaggio o – più in generale- presenza di bassa intelligenza verbale associata ad alta intelligenza non verbale) o, al contrario, nelle aree non verbali (come nel caso del disturbo della coordinazione motoria, della disprassia, del disturbo non-verbale o – più in generale - di bassa intelligenza non verbale associata ad alta intelligenza verbale, qualora però queste condizioni compromettano sostanzialmente la realizzazione delle potenzialità dell’alunno) o di altre problematiche severe che possono compromettere il percorso scolastico (come per es. un disturbo dello spettro autistico lieve, qualora non rientri nelle casistiche previste dalla legge 104).

Un approccio educativo, non meramente clinico – secondo quanto si è accennato in premessa – dovrebbe dar modo di individuare strategie e metodologie di intervento correlate alle esigenze educative speciali, nella prospettiva di una scuola sempre più inclusiva e accogliente, senza bisogno di ulteriori precisazioni di carattere normativo.

Al riguardo, la legge 53/2003 e la legge 170/2010 costituiscono norme primarie di riferimento cui ispirarsi per le iniziative da intraprendere con questi casi.

1.3 Alunni con deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività

Un discorso particolare si deve fare a proposito di alunni e studenti con problemi di controllo attentivo e/o dell’attività, spesso definiti con l’acronimo A.D.H.D. (Attention Deficit Hyperactivity Disorder), corrispondente all’acronimo che si usava per l’Italiano di D.D.A.I. – Deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività.  

L’ADHD si può riscontrare anche spesso associato ad un DSA o ad altre problematiche, ha una causa neurobiologica e genera difficoltà di pianificazione, di apprendimento e di socializzazione con i coetanei.

Si è stimato che il disturbo, in forma grave tale da compromettere il percorso scolastico, è presente in circa l’1% della popolazione scolastica, cioè quasi 80.000 alunni (fonte I.S.S), 

Con notevole frequenza l'ADHD è in comorbilità con uno o più disturbi dell’età evolutiva: disturbo oppositivo provocatorio; disturbo della condotta in adolescenza; disturbi specifici dell'apprendimento; disturbi d'ansia; disturbi dell'umore, etc.    

Il percorso migliore per la presa in carico del bambino/ragazzo con ADHD si attua senz’altro quando è presente una sinergia fra famiglia, scuola e clinica.

Le informazioni fornite dagli insegnanti hanno una parte importante per il completamento della diagnosi e la collaborazione della scuola è un anello fondamentale nel processo riabilitativo. 

In alcuni casi il quadro clinico particolarmente grave – anche per la comorbilità con altre patologie - richiede l’assegnazione dell’insegnante di sostegno, come previsto dalla legge 104/92. Tuttavia, vi sono moltissimi ragazzi con ADHD che, in ragione della minor gravità del disturbo, non ottengono la certificazione di disabilità, ma hanno pari diritto a veder tutelato il loro successo formativo. Vi è quindi la necessità di estendere a tutti gli alunni con bisogni educativi speciali le misure previste dalla Legge 170 per alunni e studenti con disturbi specifici di apprendimento.
 
1.4 Funzionamento cognitivo limite 

Anche gli alunni con potenziali intellettivi non ottimali, descritti generalmente con le espressioni di funzionamento cognitivo (intellettivo) limite (o borderline), ma anche con altre espressioni (per es. disturbo evolutivo specifico misto, codice F83) e specifiche differenziazioni - qualora non rientrino nelle previsioni delle leggi 104 o 170 -  richiedono particolare considerazione.

Si può stimare che questi casi  si aggirino intorno al 2,5% dell’intera popolazione scolastica, cioè  circa 200.000 alunni.

Si tratta di bambini o ragazzi il cui QI globale (quoziente intellettivo) risponde a una misura che va dai 70 agli 85 punti e non presenta elementi di specificità. Per alcuni di loro il ritardo è legato a fattori neurobiologici ed è frequentemente in comorbilità con altri disturbi.

Per altri, si tratta soltanto di una forma lieve di difficoltà tale per cui, se adeguatamente sostenuti  e indirizzati verso i percorsi scolastici più consoni alle loro caratteristiche, gli interessati potranno avere una vita normale. Gli interventi educativi e didattici hanno come sempre ed anche in questi casi un’importanza fondamentale.
 
1.5 Adozione di strategie di intervento per i BES

Dalle considerazioni sopra esposte  si evidenzia, in particolare, la necessità di elaborare un percorso individualizzato e personalizzato per alunni e studenti con bisogni educativi speciali, anche attraverso la redazione di un Piano Didattico Personalizzato, individuale o anche riferito a tutti i bambini della classe con BES, ma articolato, che serva come strumento di lavoro in itinere per gli insegnanti ed abbia la funzione di documentare alle famiglie le strategie di intervento programmate.

Le scuole – con determinazioni assunte dai Consigli di classe, risultanti dall’esame della documentazione clinica presentata dalle famiglie e sulla base di considerazioni di carattere psicopedagogico e didattico – possono avvalersi per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali degli strumenti compensativi e delle misure dispensative previste dalle disposizioni attuative della Legge 170/2010 (DM 5669/2011), meglio descritte nelle allegate Linee guida.
 
1.6 Formazione

Si è detto che vi è una sempre maggiore complessità nelle nostre classi, dove si intrecciano i temi della disabilità, dei disturbi evolutivi specifici, con le problematiche del disagio sociale e dell’inclusione degli alunni stranieri. Per questo è sempre più urgente adottare una didattica che sia ‘denominatore comune’ per tutti gli alunni e che non lasci indietro nessuno: una didattica inclusiva più che una didattica speciale.

Al fine di corrispondere alle esigenze formative che emergono dai nuovi contesti della scuola italiana, alle richieste di approfondimento e accrescimento delle competenze degli stessi docenti e dirigenti scolastici, il MIUR ha sottoscritto un accordo quadro con le Università presso le quali sono attivati corsi di scienze della formazione finalizzato all’attivazione di corsi di perfezionamento professionale  e/o master rivolti al personale della scuola.

A partire dall’anno accademico 2011/2012 sono stati attivati 35 corsi/master in “Didattica e psicopedagogia dei disturbi specifici di apprendimento” in tutto il territorio nazionale. A seguito dei positivi riscontri relativi alla suddetta azione, la Direzione generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione d’intesa con la Direzione Generale per il Personale scolastico – con la quale ha sottoscritto un’apposita convenzione con alcune università italiane mirata alla costituzione di una rete delle facoltà/dipartimenti di scienze della formazione – ha predisposto una ulteriore offerta formativa che si attiverà sin dal corrente anno scolastico su alcune specifiche tematiche emergenti in tema di disabilità, con corsi/master dedicati alla didattica e psicopedagogia per l’autismo, l’ADHD, le disabilità intellettive e i funzionamenti intellettivi limite, l’educazione psicomotoria inclusiva e le disabilità sensoriali. 

L’attivazione dei percorsi di alta formazione dovrà contemperare l’esigenza di rispondere al fabbisogno rilevato ed a requisiti di carattere tecnico-scientifico da parte delle università che si renderanno disponibili a tenere i corsi.  
 
2. Organizzazione territoriale per l’ottimale realizzazione dell’inclusione scolastica
 
2.1 I CTS - Centri Territoriali di Supporto: distribuzione sul territorio 

I Centri Territoriali di Supporto (CTS) sono stati istituiti dagli Uffici Scolastici Regionali in accordo con il MIUR mediante il Progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”.

I Centri sono collocati presso scuole polo e la loro sede coincide con quella dell’istituzione scolastica che li accoglie. È pertanto facoltà degli Uffici Scolastici Regionali integrare o riorganizzare la rete regionale dei CTS, secondo eventuali nuove necessità emerse in ordine alla qualità e alla distribuzione del servizio. 

Si ritiene, a questo riguardo, opportuna la presenza di un CTS almeno su un territorio corrispondente ad ogni provincia della Regione, fatte salve le aree metropolitane che, per densità di popolazione, possono necessitare di uno o più CTS dedicati. 

Un’equa distribuzione sul territorio facilita il fatto che i CTS divengano punti di riferimento per le scuole e coordinino le proprie attività con Province, Comuni, Municipi, Servizi Sanitari, Associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari, Centri di ricerca, di formazione e di documentazione, anche istituiti dalle predette associazioni, nel rispetto di strategie generali eventualmente definite a livello di Ufficio Scolastico Regionale e di Ministero centrale.

Il coordinamento con il territorio assicura infatti ai CTS una migliore efficienza ed efficacia nella gestione delle risorse disponibili e aumenta la capacità complessiva del sistema di offrire servizi adeguati. Sarà cura degli Uffici Scolastici Regionali operare il raccordo tra i CTS e i GLIR, oltre che raccordare  i GLIP con i nuovi organismi previsti nella presente Direttiva. 

Ad un livello territoriale meno esteso, che può coincidere ad esempio con il distretto socio-sanitario, è risultato utile individuare altre scuole polo facenti parte di una rete per l’inclusione scolastica. Tale esperienza è stata già sperimentata con successo in alcune regioni in cui ai CTS, di livello provinciale, sono stati affiancati i CTI-Centri Territoriali per l’Inclusione, di livello distrettuale. 

La creazione di una rete diffusa e ben strutturata tra tutte le scuole ed omogenea nella sua articolazione rende concreta la possibilità per i docenti di avere punti di contatto e di riferimento per tutte le problematiche inerenti i Bisogni Educativi Speciali.

A livello di singole scuole, è auspicabile una riflessione interna che, tenendo conto delle risorse presenti, individui possibili modelli di relazione con la rete dei CTS e dei CTI, al fine di assicurare la massima ricaduta possibile delle azioni di consulenza, formazione, monitoraggio e raccolta di buone pratiche, perseguendo l’obiettivo di un sempre maggior coinvolgimento degli insegnanti curricolari, attraverso – ad esempio – la costituzione di gruppi di lavoro per l’inclusione scolastica.

Occorre in buona sostanza pervenire ad un reale coinvolgimento dei Collegi dei Docenti e dei Consigli di Istituto che porti all’adozione di una politica (nel senso di “policy”) interna delle scuole per l’inclusione, che assuma una reale trasversalità e centralità rispetto al complesso dell’offerta formativa.

L’organizzazione territoriale per l’inclusione prevede quindi:

• i GLH a livello di singola scuola, eventualmente affiancati da Gruppi di lavoro per l’Inclusione; i GLH di rete o distrettuali, 

• i Centri Territoriali per l’Inclusione (CTI) a livello di distretto sociosanitario e  

• almeno un CTS a livello provinciale.  Al fine di consentire un’adeguata comunicazione, a livello regionale, delle funzioni, delle attività e della collocazione geografica dei CTS, ogni Centro o rete di Centri predispone e aggiorna un proprio sito web, il cui link sarà selezionabile anche dal portale dell’Ufficio Scolastico Regionale.

Tali link sono inseriti nel Portale MIUR dei Centri Territoriali di Supporto: www.istruzione.cts.it 

Sul sito dei CTS si possono prevedere pagine web per ciascun CTI ed eventualmente uno spazio per i GLH di rete per favorire lo scambio aggiornato e la conoscenza delle attività del territorio.
 
2.1.2 L’équipe di docenti specializzati (docenti curricolari e di sostegno)

Ferme restando la formazione e le competenze di carattere generale in merito all’inclusione, tanto dei docenti per le attività di sostegno quanto per i docenti curricolari, possono essere necessari interventi di esperti che offrano soluzioni rapide e concrete per determinate problematiche funzionali.

Si fa riferimento anzitutto a risorse interne ossia a docenti che nell’ambito della propria esperienza professionale e dei propri studi abbiano maturato competenze su tematiche specifiche della disabilità o dei disturbi evolutivi specifici.

Possono pertanto fare capo ai CTS équipe di docenti specializzati - sia curricolari sia per il sostegno - che offrono alle scuole, in ambito provinciale, supporto e consulenza specifica sulla didattica  dell’inclusione.

La presenza di docenti curricolari nell’equipe, così come nei GLH di istituto e di rete costituisce un elemento importante nell’ottica di una vera inclusione scolastica.

Può essere preso ad esempio di tale modello lo Sportello Provinciale Autismo attivato in alcuni CTS, che, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale, con i Centri Territoriali per l’Integrazione e le Associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari, valorizzando la professionalità di un gruppo di insegnanti esperti e formati, offre ai docenti di quella provincia una serie di servizi di consulenza – da realizzarsi anche presso la scuola richiedente - per garantire l’efficacia dell’integrazione scolastica degli alunni e degli studenti con autismo.
 
2.2. Funzioni dei Centri Territoriali di Supporto

L’effettiva capacità delle nuove tecnologie di raggiungere obiettivi di miglioramento nel processo di apprendimento – insegnamento, sviluppo e socializzazione dipende da una serie di fattori strategici che costituiscono alcune funzioni basilari dei Centri Territoriali di Supporto.  
 
2.2.1 Informazione e formazione

I CTS informano i docenti, gli alunni, gli studenti e i loro genitori delle risorse tecnologiche disponibili, sia gratuite sia commerciali. Per tale scopo, organizzano incontri di presentazione di nuovi ausili, ne danno notizia sul sito web oppure direttamente agli insegnanti o alle famiglie che manifestino interesse alle novità in materia. 

I CTS organizzano iniziative di formazione sui temi dell’inclusione scolastica e sui BES, nonché nell’ambito delle tecnologie per l’integrazione, rivolte al personale scolastico, agli alunni o alle loro famiglie, nei modi e nei tempi che ritengano opportuni. 

Al fine di una maggiore efficienza della spesa, i CTS organizzano  le iniziative di formazione anche in rete con altri Centri Territoriali di Supporto, in collaborazione con altri organismi. 

I CTS valutano e propongono ai propri utenti soluzioni di software freeware a partire da quelli realizzati mediante l’Azione 6 del Progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”  
 
2.2.2 Consulenza

Oltre ad una formazione generale sull’uso delle tecnologie per l’integrazione rivolta agli insegnanti, è necessario, per realizzare a pieno le potenzialità offerte dalle tecnologie stesse, il contributo di un esperto che individui quale sia l’ausilio più appropriato da acquisire, soprattutto per le situazioni più complesse.

I CTS offrono pertanto consulenza in tale ambito, coadiuvando le scuole nella scelta dell’ausilio e accompagnando gli insegnanti nell’acquisizione di competenze o pratiche didattiche che ne rendano efficace l’uso.

La consulenza offerta dai Centri non riguarda solo l’individuazione dell’ausilio più appropriato per l’alunno, ma anche le modalità didattiche da attuare per inserire il percorso di apprendimento dello studente che utilizza le tecnologie per l’integrazione nel più ampio ambito delle attività di classe e le modalità di collaborazione con la famiglia per facilitare le attività di studio a casa.

La consulenza si estende gradualmente a tutto l’ambito della disabilità e dei disturbi evolutivi specifici, non soltanto alle tematiche connesse all’uso delle nuove tecnologie.
 
2.2.3 Gestione degli ausili e comodato d’uso

I CTS acquistano ausili adeguati alle esigenze territoriali per svolgere le azioni previste nei punti 2.1. e 2.2 e per avviare il servizio di comodato d’uso dietro presentazione di un progetto da parte delle scuole.

Grazie alla loro dotazione, possono consentire, prima dell’acquisto definitivo da parte della scuola o della richiesta dell’ausilio al CTS, di provare e di verificare l’efficacia, per un determinato alunno, dell’ausilio stesso. 

Nel caso del comodato d’uso di ausilio di proprietà del CTS, questo deve seguire l’alunno anche se cambia scuola nell’ambito della stessa provincia, soprattutto nel passaggio di ciclo.

In alcune province, in accordo con gli Uffici Scolastici Regionali, alcuni CTS gestiscono l’acquisto degli ausili e la loro distribuzione agli alunni sul territorio di riferimento, anche assegnandoli in comodato d’uso. 

I CTS possono definire accordi con le Ausilioteche e/o Centri Ausili presenti sul territorio al fine di una condivisa gestione degli ausili in questione, sulla base dell’Accordo quadro con la rete nazionale dei centri di consulenza sugli ausili.
 
2.2.4 Buone pratiche e attività di ricerca e sperimentazione

I CTS raccolgono le buone pratiche di inclusione realizzate dalle istituzioni scolastiche e, opportunamente documentate, le condividono con le scuole del territorio di riferimento, sia mediante l’attività di informazione, anche attraverso il sito internet, sia nella fase di formazione o consulenza.

Promuovono inoltre ogni iniziativa atta a stimolare la realizzazione di buone pratiche nelle scuole di riferimento, curandone la validazione e la successiva diffusione.

I CTS sono inoltre Centri di attività di ricerca didattica e di sperimentazione di nuovi ausili, hardware o software, da realizzare anche mediante la collaborazione con altre scuole o CTS, Università e Centri di Ricerca e, in particolare, con l’ITD-CNR di Genova, sulla base di apposita convenzione.
 
2.2.5 Piano annuale di intervento 

Per ogni anno scolastico, i CTS, autonomamente o in rete, definiscono il piano annuale di intervento relativo ad acquisti e iniziative di formazione.

Nel piano, quindi, sono indicati gli acquisti degli ausili necessari, nei limiti delle risorse disponibili e a ciò destinate, su richiesta della scuola e assegnati tramite comodato d’uso.

È opportuno che l’ausilio da acquistare sia individuato da un esperto operatore del CTS, con l’eventuale supporto – se necessario - di esperti esterni indipendenti.

Periodicamente, insieme ai docenti dell’alunno, è verificata l’efficacia dell’ausilio medesimo.

Sono pianificati anche gli interventi formativi, tenendo conto dei bisogni emergenti dal territorio e delle strategie e priorità generali individuate dagli Uffici Scolastici Regionali e dal MIUR.


2.2.6 Risorse economiche

Ogni anno il CTS riceve i fondi dal MIUR per le azioni previste ai punti 2.2.1 e 2.2.2 (informazione e formazione condotta direttamente dagli operatori e/o esperti), 2.2.3 (acquisti ausili) e per il funzionamento del CTS (spese di missione, spese per attività di formazione/autoformazione degli operatori).

Altre risorse possono essere messe a disposizione dagli Uffici Scolastici Regionali.
 
2.2.7 Promozione di intese territoriali per l’inclusione

I CTS potranno farsi promotori, in rete con le Istituzioni scolastiche, di intese e accordi territoriali con i servizi sociosanitari del territorio finalizzati all’elaborazione condivisa di procedure per l’integrazione dei servizi in ambito scolastico, l’utilizzo concordato e condiviso di risorse professionali e/o finanziarie e l’avvio di progetti finalizzati al miglioramento del livello di inclusività delle scuole e alla prevenzione/contrasto del disagio in ambito scolastico
 
2.3  Regolamento dei CTS

Ogni CTS si dota di un proprio regolamento in linea con la presente direttiva.
 
2.4 Organizzazione interna dei CTS
 
2.4.1 Il Dirigente Scolastico

I CTS sono incardinati in istituzioni scolastiche, pertanto il Dirigente della scuola ha la responsabilità amministrativa per quanto concerne la gestione e l’organizzazione del Centro.

Coerentemente con il suo profilo professionale  il Dirigente ha il compito - possibilmente previa formazione sulle risorse normative, materiali ed umane in riferimento ai bisogni educativi speciali - di promuovere i rapporti del  CTS con il territorio e di garantirne il miglior funzionamento, l’efficienza e l’efficacia.
 
2.4.2 Gli Operatori. Équipe  di  docenti curricolari e di sostegno specializzati

In ogni CTS dovrebbero essere presenti tre operatori, di cui almeno uno specializzato sui Disturbi Specifici di Apprendimento, come previsto dall’art. 8 del Decreto 5669/2011.

Si porrà attenzione a che le competenze sulle disabilità siano approfondite ed ampie, dalle disabilità intellettive a quelle sensoriali.

È opportuno individuare gli operatori fra i docenti curricolari e di sostegno, che possono garantire continuità di servizio, almeno per tre anni consecutivi. 

Gli operatori possono essere in servizio nelle scuole sede di CTS o in altre scuole, tuttavia anche in questo secondo caso deve essere assicurato il regolare funzionamento della struttura. 

Gli operatori sono tenuti a partecipare a momenti formativi in presenza (tale formazione viene riconosciuta a tutti gli effetti come servizio) in occasione di eventi organizzati dagli stessi CTS o di iniziative a carattere regionale e nazionale rilevanti in tema di inclusione, ma anche on line attraverso il portale nazionale di cui al punto 2.4.6.

Inoltre, sempre nell’ottica di formare e dare strumenti operativi adeguati alle diverse problematiche nonché di specializzare i docenti dell’équipe, gli USR provvedono a riservare un adeguato numero di posti per gli operatori dei CTS nei corsi/master promossi dal MIUR.

Nel momento in cui un operatore formato ed esperto modifichi la sede di servizio e non possa pertanto svolgere la propria attività nel CTS, verrà sostituito da un altro docente che sarà formato dagli operatori presenti e da appositi corsi di formazione, anche in modalità e-learning, che saranno resi disponibili dal MIUR e dagli Uffici Scolastici Regionali.

La procedura per la sostituzione degli operatori avviene con le stesse modalità della selezione del personale comandato.

Si istituisce presso ogni Ufficio Scolastico Regionale una commissione, all’interno della quale devono essere presenti alcuni operatori CTS.
 
2.4.3 Il Comitato Tecnico Scientifico 

I CTS possono dotarsi di un Comitato Tecnico Scientifico al fine di definire le linee generali di intervento - nel rispetto delle eventuali priorità assegnate a livello di Ministero e Ufficio Scolastico Regionale - e le iniziative da realizzare sul territorio a breve e medio termine. 

Il Comitato Tecnico Scientifico redige il Piano Annuale di Intervento di cui al punto 2.4. Fanno parte del Comitato Tecnico Scientifico il Dirigente Scolastico, un rappresentante degli operatori del CTS, un rappresentante designato dall’U.S.R., e, ove possibile, un rappresentante dei Servizi Sanitari. È auspicabile che partecipino alle riunioni o facciano parte del Comitato anche i referenti CTI, i rappresentanti degli Enti Locali, delle Associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari, nonché esperti in specifiche tematiche connesse con le tecnologie per l’integrazione.
 
2.4.4 Referente regionale dei CTS 

Per ogni regione gli operatori del CTS individuano un referente rappresentante dei CTS a livello regionale. Tale rappresentante resta in carica due anni.

I referenti regionali dei CTS, in collaborazione con il referente per la Disabilità /DSA dell’Ufficio Scolastico Regionale – possibilmente individuato tra personale dirigente e ispettivo - hanno compiti di raccordo, consulenza e coordinamento delle attività, nonché hanno la funzione di proporre nuove iniziative da attuare a livello regionale o da presentare al Coordinamento nazionale di cui al punto successivo.   
 
2.4.5 Coordinamento nazionale dei CTS

Presso la Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione del MIUR è costituito il Coordinamento nazionale dei CTS. 

Lo scopo di tale organismo è garantire il migliore funzionamento della rete nazionale dei CTS. Esso ha compiti di consulenza, programmazione e monitoraggio, nel rispetto delle prerogative dell’Amministrazione centrale e degli Uffici Scolastici Regionali, comunque rappresentati nel Coordinamento stesso.  Fanno parte del Coordinamento nazionale:

- Un rappresentante del MIUR

- I referenti per la Disabilità/DSA degli Uffici Scolastici Regionali 

- I referenti regionali CTS 

- Un rappresentante del Ministero della Salute

- Un rappresentante del Ministero delle politiche sociali e del lavoro

- Eventuali rappresentanti della FISH e della FAND 

- Docenti universitari o esperti nelle tecnologie per l’integrazione.

Il Coordinamento nazionale si rinnova ogni due anni.  Il Comitato tecnico è costituito dal rappresentante del MIUR, che lo presiede, e da una rappresentanza di 4 referenti CTS e 4 referenti per la disabilità/DSA degli Uffici Scolastici Regionali.
 
2.4.6 Portale

Viene predisposto un portale come ambiente di apprendimento–insegnamento e scambio di informazioni e consulenza.    All’interno del portale sono ricompresi i siti Handytecno ed Essediquadro, rispettivamente dedicati agli ausili ed al servizio di documentazione dei software didattici. 

È inoltre presente una mappa completa dei CTS e dei CTI, con eventuali siti ad essi collegati. Una pagina web è dedicata alle Associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari, completa di indirizzi e link ai vari siti, oltre ai link diretti alle sezioni del sito MIUR relative a disabilità e DSA.

Infine, sono previste le seguenti aree:

- formazione, con percorsi dedicati alle famiglie ed al personale della scuola, dove trovare video lezioni e web conference oltre che materiale didattico in formato digitale; 

- forum per scambi di informazioni tra operatori, famiglie, associazioni, operatori degli altri enti; 

- News per le novità di tutto il territorio nazionale ed europeo, anche in collaborazione con la European Agency for special needs education;

- un’Area Riservata per scambi di consulenze, confronti su problematiche, su modalità operative dove trovarsi periodicamente. Il portale rispetta i requisiti previsti dalla Legge n. 4/2004 sull’accessibilità dei siti web.  
 
 
Roma, 27 dicembre 2012
IL MINISTRO  f.to  Francesco Profumo

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Divieto di adibire al lavoro le donne (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4, comma 1 e 4) - Decreto legislativo 26/03/2001 n° 151 n° 16
Normativa

1.  E' vietato adibire al lavoro le donne:

a)  durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo 20;

b)  ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;

c)  durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all'art. 20; (1)

d)  durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite complessivo di cinque mesi.

1-bis.  Nel caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall'inizio della gestazione, nonché in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, le lavoratrici hanno facoltà di riprendere in qualunque momento l'attività lavorativa, con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla loro salute.

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 4-7 aprile 2011, n. 116 (pubblicata nella Gazz. Uff. 13 aprile 2011, n. 16 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della presente lettera, nella parte in cui non consente, nell'ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d'ingresso del bambino nella casa familiare.

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Consiglio di Stato - Parere - L'obbligo vaccinale è immediatamente applicabile 26/09/2017 n° 2065
Prassi, Circolari, Note

Numero 02065/2017 e data 26/09/2017 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Adunanza della Commissione speciale del 20 settembre 2017

NUMERO AFFARE 01614/2017

OGGETTO:

Regione Veneto.

Richiesta di parere del Presidente della Regione Veneto sull’interpretazione degli articoli 3 e 3-bis della legge 31 luglio 2017, n. 119, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, in ordine all’applicazione delle sanzioni a carico dei genitori, dei tutori o comunque delle figure esercenti la potestà parentale dei bambini che frequentano le scuole d’infanzia o che ricevono servizi educativi per l’infanzia, ivi inclusi quelli privati non paritari, e con particolare riguardo alle determinazioni conseguenti alla mancata presentazione della documentazione che dimostri l’adempimento agli obblighi vaccinali per i minori da zero a sedici anni di età previsto dalla predetta legge.

LA SEZIONE

Vista la nota dell’8 settembre 2017, con la quale il Presidente della Regione Veneto ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Gabriele Carlotti;

PREMESSO E CONSIDERATO

Sommario: I.) La richiesta di parere (quesito). – II.) La vicenda e il contesto normativo di riferimento. – II.A) Il decreto-legge n. 73/2017. – II.B) La circolare congiunta dei Ministeri del 1° settembre 2017. – II.C) Il decreto n. 111 del 4 settembre 2017 del Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto. – II.D) La lettera delle Ministre della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca al Presidente della Regione Veneto del 6 settembre 2017; il decreto n. 114 del 6 settembre 2017 del Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto del Direttore e la lettera del Presidente della Regione Veneto del 7 settembre 2017. – III.) La funzione consultiva del Consiglio di Stato. – IV.) La risposta al quesito.

I.) La richiesta di parere (quesito).

1.) Con nota dell’8 settembre 2017 il Presidente della Regione Veneto ha indirizzato alla Seconda Sezione consultiva di questo Consiglio la richiesta di parere in oggetto.

Il Presidente ha riferito di un recente contrasto interpretativo, insorto tra la Regione e i Ministeri della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca (d’ora in poi: i Ministeri), in ordine all’applicazione degli articoli 3, comma 3, e 3-bis, comma 5, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119. In particolare, il Presidente ritiene che le previsioni sopra richiamate non si prestino a un’esegesi univoca e che occorra un chiarimento in merito alle conseguenze della mancata presentazione della documentazione che dimostri l’avvenuto adempimento agli obblighi vaccinali. Più in dettaglio, il Presidente ha chiesto a questo Consiglio di precisare, sulla base dell’interpretazione del plesso normativo sopra richiamato, se già con decorrenza dall’anno scolastico corrente, ossia dall’anno scolastico 2017/2018, si debba ritenere preclusa la frequenza scolastica ai minori i cui rappresentanti legali, ancorché tenuti a dimostrare nei modi e nei tempi stabiliti dalla fonte primaria l’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale, non abbiano presentato la documentazione occorrente.

Il dubbio ermeneutico oggetto del quesito poggia sulla considerazione che i Ministeri, con circolare congiunta del 1° settembre 2017, hanno diramato indicazioni operative per l’attuazione del citato decreto-legge n. 73/2017 con le quali si è previsto che i minori, i cui genitori (o tutori o affidatari) non abbiano presentato entro l’11 settembre 2017 la documentazione prescritta, non possano frequentare i servizi educativi per l’infanzia né le scuole dell’infanzia, pur rimanendo comunque iscritti, con possibilità di essere nuovamente ammessi ai servizi stessi, una volta assolto l’obbligo di presentare la ridetta documentazione.

In difformità rispetto a quanto stabilito con la predetta circolare congiunta, nella Regione Veneto si è disposto, invece, con atto amministrativo a carattere generale (v. infra), che nell’anno scolastico 2017/2018, ai bambini già iscritti si applichi un “regime transitorio”, senza preclusione della frequenza fino all’anno scolastico 2019/2020 anche in mancanza di prova documentale dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale. Secondo tale ricostruzione, il comma 5 dell’articolo 3-bis prevedrebbe la decadenza dall’iscrizione, quale conseguenza della mancata presentazione della surricordata documentazione, soltanto a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020.

Sostiene il Presidente della Regione Veneto che la riferita interpretazione applicativa del combinato disposto degli articoli 3 e 3-bis del decreto-legge n. 73/2017 sia quella corretta dal momento che, diversamente opinando, si determinerebbe l’esito paradossale di impedire la frequenza a bambini già iscritti e considerati tali (ossia, come iscritti) ai fini dell’erogazione dei servizi e della programmazione scolastica.

Sulla base di tali argomentazioni il Presidente della Regione Veneto ha formulato il seguente quesito: “La disposizione di cui al comma 5 dell’art. 3-bis della Legge 31 luglio 2017, n. 119, deve intendersi che la mancata presentazione della documentazione di cui al comma 3 dello stesso articolo nei termini previsti comporta la decadenza dall’iscrizione alle scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, e ai servizi educativi per l’infanzia e con decorrenza dall’anno scolastico 2019/2020, come previsto dallo stesso articolo o con decorrenza dall’anno scolastico 2017/2018, come deducibile dal contenuto del comma 3 dell’art. 3 che dichiara che la presentazione della documentazione che dimostra il soddisfacimento dell’obbligo vaccinale di cui al comma 1 dello stesso art. 3 costituisce requisito di accesso, fino al punto di non consentire la frequenza, agli stessi servizi educativi per l’infanzia e scuole dell’infanzia?”.

La richiesta del Presidente della Regione Veneto – alla quale è stata allegata una scheda di approfondimento giuridico, proveniente dall’Avvocatura regionale veneta – si conclude con la raccomandazione di una celere espressione del parere a tutela delle esigenze di garanzia della corretta e completa erogazione delle prestazioni scolastiche e del loro contemperamento con il diritto alla salute, nonché nell’interesse degli alunni, delle famiglie, degli istituti e degli operatori scolastici, stante il recente avvio della frequenza presso le scuole dell’infanzia e i servizi educativi per l’infanzia.

2.) Con il decreto indicato nelle premesse, il Presidente del Consiglio di Stato, stante la rilevanza del quesito e la portata generale delle questioni giuridiche sollevate, ha stabilito di affidare l’esame della richiesta di parere a questa Commissione Speciale, come consentito dall’articolo 22 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato).

3.) In vista dell’adunanza della Commissione Speciale, fissata per il giorno 20 settembre 2017, la Ministra della salute e la Ministra dell’istruzione dell’università e della ricerca hanno fatto pervenire una nota, a firma congiunta, del 18 settembre 2017, recante in allegato una relazione – sottoscritta dai rispettivi Capi di Gabinetto – sul tema investito dal quesito. Nella citata relazione sono stati dedotti argomenti giuridici contrari all’interpretazione del dettato legislativo, siccome patrocinata dal Presidente della Regione Veneto.

Con la predetta nota le Ministre si sono comunque rimesse alle valutazioni che, in merito al quesito, saranno espresse da questo Consiglio, facendo così propria la richiesta di un parere dell’Istituto.

4.) Nell’adunanza del 20 settembre 2017 la Commissione Speciale si è riunita e ha deliberato sul quesito, esprimendo il presente parere.

Si anticipa fin d’ora che la risposta al quesito – sorretta dalle motivazioni che seguono – si rinviene nel susseguente dispositivo.

II.) La vicenda e il contesto normativo di riferimento.

5.) La Commissione Speciale, prima di esaminare le questioni sottoposte al vaglio consultivo, ritiene opportuno, ai fini di una migliore e generale intelligenza delle medesime questioni, ricostruire la vicenda sulla quale si è innestato l’interrogativo del Presidente della Regione Veneto.

II.A) Il decreto-legge n. 73/2017.

6.) Con il decreto-legge n. 73/2017 il Governo ha ravvisato la necessità di emanare, in via d’urgenza, disposizioni per:

– garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette alla prevenzione, al contenimento e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica;

– assicurare il costante mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale;

– garantire il rispetto degli obblighi assunti e delle strategie concordate a livello europeo e internazionale e degli obiettivi comuni fissati nell’area geografica europea.

Le ragioni della straordinaria necessità e urgenza del provvedimento sono state ravvisate, in particolare, nella tendenza, di recente riscontrata nelle statistiche epidemiologiche, alla riduzione, in Italia, delle coperture vaccinali al di sotto della soglia del 95%, obiettivo percentuale raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per impedire la circolazione e la trasmissione degli agenti patogeni.

7.) A questi fini, con l’articolo 1 del decreto-legge, nel testo risultante dalla conversione, si è stabilito, tra l’altro, che i minori di età compresa tra 0 e 16 anni siano sottoposti a 10 vaccinazioni obbligatorie e gratuite. Di tali 10 vaccinazioni 6 sono state previste in via permanente (anti-poliomelitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse e anti-Haemophilus influenzae tipo b) e le residue 4 (anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite e anti-varicella) soltanto per tre anni, decorrenti dal 6 agosto 2017 (data di entrata in vigore della legge n. 119/2017, di conversione del decreto-legge), qualora la loro somministrazione non sia confermata con apposito decreto del Ministro della salute, a seguito di uno specifico monitoraggio.

L’obbligatorietà delle vaccinazioni, secondo il medesimo articolo 1, è esclusa unicamente in due casi, ossia:

a.) in presenza di un’avvenuta immunizzazione, in conseguenza di malattia naturale, se comprovata dalla notifica effettuata dal medico curante o dagli esiti dell’analisi sierologica (comma 2);

b.) al ricorrere di un’ipotesi di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta (comma 3).

Prevede poi il comma 4 dell’articolo 1 del decreto-legge che, in caso di mancata osservanza dell’obbligo vaccinale, i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori o i soggetti affidatari siano convocati dall’azienda sanitaria locale territorialmente competente per un colloquio al fine di fornire ulteriori informazioni sulle vaccinazioni e di sollecitarne l’effettuazione. In caso di perdurante inosservanza dell’obbligo vaccinale, nei confronti dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, dei tutori o dei soggetti affidatari è irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100 a euro 500, salvo che i medesimi soggetti, a seguito di contestazione da parte dell’azienda sanitaria locale territorialmente competente, provvedano, nel termine indicato nell’atto di contestazione, a far somministrare al minore il vaccino (o la prima dose, ove si tratti di ciclo vaccinale e a condizione del completamento del ciclo previsto).

8.) Il quesito del Presidente della Regione Veneto riguarda, tuttavia, gli articoli 3 e 3-bis del decreto-legge, entrambi in materia di adempimenti vaccinali per l’iscrizione scolastica.

In sintesi, l’articolo 3 dispone, al comma 1, che i dirigenti scolastici, all’atto dell’iscrizione del minore di età compresa tra 0 e 16 anni, sono tenuti a richiedere ai genitori (o ai tutori o ai soggetti affidatari) di presentare, entro il termine di scadenza dell’iscrizione, in alternativa:

a.) la documentazione idonea a comprovare l’effettuazione delle 10 vaccinazioni obbligatorie o la condizione che giustifichi l’esonero (o l’omissione o il differimento delle vaccinazioni);

b.) la formale richiesta di vaccinazione all’azienda sanitaria locale territorialmente competente, che eseguirà le vaccinazioni obbligatorie secondo la schedula vaccinale prevista in relazione all’età, entro la fine dell’anno scolastico o la conclusione del calendario annuale dei servizi educativi per l’infanzia e dei corsi per i centri di formazione professionale regionale.

Precisa, però, l’articolo 3 che la presentazione della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni (di cui alla precedente lettera a) può essere sostituita dal deposito di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio e che, in questo caso, la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni potrà essere presentata entro il 10 luglio di ogni anno (anteriore a quello a cui si riferisce l’iscrizione).

La mancata presentazione della documentazione nei termini previsti è segnalata, entro i successivi 10 giorni, dai dirigenti scolastici all’azienda sanitaria locale che, ove non si sia già attivata, provvede agli adempimenti di competenza e, se del caso, alla convocazione dei genitori (o dei tutori o dei soggetti affidatari) e all’eventuale sanzione degli stessi, in caso di perdurante inottemperanza.

Il comma 3 dell’articolo 3 del decreto-legge – una delle disposizioni della quale è chiesta l’interpretazione – stabilisce che: “Per i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, la presentazione della documentazione di cui al comma 1 costituisce requisito di accesso. Per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale regionale, la presentazione della documentazione di cui al comma 1 non costituisce requisito di accesso alla scuola o, al centro ovvero agli esami.”.

L’articolo 3-bis, introdotto in sede di conversione del decreto-legge onde recepire le osservazioni della Conferenza Stato-regioni e autonomie locali, verte sempre in materia di adempimenti vaccinali per l’iscrizione scolastica, ma si applica a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020 e, soprattutto, allo scopo ridurre gli oneri amministrativi a carico dei genitori (o dei tutori o dei soggetti affidatari), introduce una disciplina semplificata rispetto a quella regolata dall’articolo 3. In particolare, l’articolo 3-bis non prevede un obbligo di iniziale attivazione dei genitori (o dei tutori o dei soggetti affidatari) al fine di presentare la documentazione relativa all’obbligo vaccinale. Al contrario, si stabilisce che:

– i dirigenti scolastici trasmettano alle aziende sanitarie locali territorialmente competenti, entro il 10 marzo di ogni anno, l’elenco degli iscritti per l’anno scolastico di età compresa tra 0 e 16 anni (comma 1);

– una volta avvenuta tale trasmissione, le aziende sanitarie locali restituiscano, entro il 10 giugno di ogni anno, gli elenchi inviati dai dirigenti scolastici, completandoli con l’indicazione dei soggetti che risultino non in regola con gli obblighi vaccinali, che non ricadano nelle condizioni di esonero, omissione o differimento delle vaccinazioni e che non abbiano presentato formale richiesta di vaccinazione all’azienda sanitaria locale (comma 2);

– nei 10 giorni successivi all’acquisizione degli elenchi così completati dalle aziende sanitarie locali, i dirigenti debbano invitare i genitori (o i tutori o i soggetti affidatari) a depositare, entro il 10 luglio di ogni anno, la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni ovvero l’esonero, l’omissione o il differimento delle stesse o la presentazione della formale richiesta di vaccinazione all’azienda sanitaria locale (comma 3);

– entro il 20 luglio di ogni anno, i dirigenti scolastici trasmettano la documentazione pervenuta, ovvero ne comunichino l’eventuale mancato deposito, alla azienda sanitaria locale che, ove non si sia già attivata, dovrà provvedere agli adempimenti di competenza e, se del caso, alla convocazione dei genitori (o dei tutori o dei soggetti affidatari) e all’eventuale sanzione degli stessi, in caso di perdurante inottemperanza (comma 4).

La semplificazione correlata al descritto meccanismo si avvale delle funzionalità assicurate dallo scambio di dati tra gli istituti scolastici e le aziende sanitarie (senza alcun onere per i genitori degli alunni), di guisa che le scuole, invece di richiedere ai genitori la documentazione occorrente, si limiteranno, come accennato, a trasmettere alle aziende sanitarie, nell’anno precedente a quello di effettiva frequenza, l’elenco degli iscritti per l’anno scolastico successivo e spetterà poi alle aziende sanitarie verificare d’ufficio – attraverso l’incrocio dei dati in loro possesso con i predetti elenchi – se l’obbligo vaccinale sia stato, o no, rispettato. Postulando, tuttavia, la procedura appena descritta l’avvenuta costituzione e l’efficiente funzionamento di anagrafi vaccinali informatizzate presso le aziende sanitarie locali, il decreto-legge ha ragionevolmente posticipato all’anno scolastico 2019/2020 l’avvio del nuovo sistema.

Infine il comma 5 dell’articolo 3-bis – l’altra disposizione sulla cui interpretazione il Presidente della Regione Veneto ha chiesto di conoscere l’avviso di questo Consiglio – stabilisce che: “Per i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, la mancata presentazione della documentazione di cui al comma 3 nei termini previsti comporta la decadenza dall’iscrizione. Per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale regionale, la mancata presentazione della documentazione dì cui al comma 3 nei termini previsti non determina la decadenza dall’iscrizione né impedisce la partecipazione agli esami.”.

9.) Il decreto-legge equipara, ai fini dell’applicazione delle richiamate disposizioni, la situazione del minore da 0 a 16 anni a quella del minore straniero non accompagnato e, come sopra ripetuto, quella del genitore (che eserciti la potestà genitoriale) a quella dei tutori e dei soggetti affidatari dei minori.

10.) Per completezza di esposizione va segnalato che il decreto-legge n. 73/2017 reca disposizioni transitorie e finali nel successivo articolo 5, il cui comma 1 prevede: “Per l’anno scolastico 2017/2018 e per il calendario dei servizi educativi per l’infanzia e dei corsi per i centri di formazione professionale regionale 2017/2018, la documentazione di cui all’articolo 3, comma 1, deve essere presentata entro il 10 settembre 2017 presso i servizi educativi e le scuole per l’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, ed entro il 31 ottobre 2017 presso le istituzioni del sistema nazionale di istruzione e i centri di formazione professionale regionale. La documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie può essere sostituita dalla dichiarazione resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445; in tale caso, la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie deve essere presentata entro il 10 marzo 2018.”.

Allo scopo di agevolare l’adempimento dell’obbligo vaccinale il comma 1-bis del suddetto articolo 5 introduce poi modalità semplificate per prenotare le vaccinazioni.

11.) Occorre, infine, incidentalmente ricordare che la Regione Veneto ha proposto un ricorso per questione di legittimità costituzionale (in relazione a vari parametri), depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 21 luglio 2017, contro il decreto-legge n. 73/2017 e, in particolare, contro gli articoli 1 (commi 1, 2, 3, 4 e 5), 3, 4, 5 e 7. Tale ricorso, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Speciale – Corte Costituzionale, n. 32 del 9 agosto 2017, reca altresì un’incidentale istanza di sospensione delle disposizioni impugnate.

II.B) La circolare congiunta dei Ministeri del 1° settembre 2017.

12.) In data 16 agosto 2017 i Ministeri, con proprie circolari (rispettivamente, prot. n. 1622, del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca e, n. 25233, del Ministero della salute), fornirono le prime indicazioni operative per l’applicazione delle disposizioni del decreto-legge n. 73/2017.

Successivamente, con circolare congiunta del 1° settembre 2017, rivolta a numerose autorità (tra le quali – primi in indirizzo – gli Assessorati regionali alla sanità), i Ministeri hanno diramato ulteriori indicazioni operative, con particolare riferimento all’anno scolastico 2017/2018, anche in relazione agli articoli 3 e 5 del decreto.

13.) Giova riportare, per quanto d’interesse ai fini della risposta al quesito, alcuni stralci di quest’ultima circolare. Invero, nel paragrafo I, intitolato “Documentazione da presentare ai servizi educativi per l’infanzia, alle istituzioni del sistema nazionale di istruzione, ai centri di formazione professionale regionale e alle scuole private non paritarie”, è dato leggere quanto segue:

“Per l’anno scolastico e il calendario annuale 2017/2018, atteso che il decreto-legge è entrato in vigore quando era già conclusa la procedura per l’iscrizione ai servizi educativi per l’infanzia, alle scuole dell’infanzia, alle istituzioni del sistema nazionale di istruzione e ai centri di formazione professionale regionale, i genitori/tutori/affidatari dei minori di età compresa tra 0 a 16 anni dovranno presentare la documentazione richiesta:

– ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, entro l’11 settembre 2017, atteso che il termine indicato dal decreto-legge (10 settembre 20 I 7) è un giorno festivo;

– alle altre istituzioni del sistema nazionale di istruzione, ai centri di formazione professionale regionale e alle scuole private non paritarie, entro il 31 ottobre 2017.

In luogo della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni … i genitori/tutori/affidatari potranno presentare una dichiarazione sostitutiva ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, entro i termini di cui sopra. In tal caso, la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni dovrà comunque essere prodotta entro il 10 marzo 2018.”.

Nel paragrafo II della circolare, rubricato “Accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie”, è scritto che: “La presentazione della documentazione di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto-legge (paragrafo I della presente circolare) costituisce requisito di accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie.

Ciò significa che, già per l’anno scolastico e il calendario annuale 2017/2018, a decorrere dal 12 settembre 2017, non potranno avere accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia i minori i cui genitori/tutori/affidatari non abbiano presentato entro l’11 settembre 2017 la documentazione di cui al paragrafo I. …

Nel caso in cui i genitori/tutori/affidatari presentino entro l’11 settembre 2017 la dichiarazione sostitutiva, il minore avrà accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alla scuola dell’infanzia; tuttavia, nel caso in cui, entro il 10 marzo 2018, i genitori/tutori/affidatari non facciano pervenire idonea documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie (paragrafo I, lettera a), della presente circolare), il minore sarà escluso dall’accesso ai servizi.

Nelle ipotesi di mancata presentazione della idonea documentazione nei termini sopra indicati, il diniego di accesso ai servizi sarà reso noto ai genitori/tutori/affidatari del minore mediante comunicazione formale adeguatamente motivata.

Va precisato che ove il genitore/tutore/affidatario non abbia presentato la documentazione richiesta entro l’11 settembre 2017 o, nell’ipotesi di previa presentazione della dichiarazione sostitutiva della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni, entro il 10 marzo 2018, il minore non in regola con gli adempimenti vaccinali ed escluso dall’accesso ai servizi rimarrà iscritto ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia.

Il minore sarà nuovamente ammesso ai servizi, successivamente alla presentazione della documentazione richiesta.

In ogni caso, la mancata presentazione della documentazione nei richiamati termini sarà segnalata, entro i successivi dieci giorni, dai dirigenti scolastici delle istituzioni del sistema nazionale di istruzione e dai responsabili dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole private non paritarie alla ASL territorialmente competente che, ove la medesima o altra ASL non si siano già attivate per la medesima violazione, avvierà la procedura prevista per il recupero dell’inadempimento, di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto-legge …”.

II.C) Il decreto n. 111 del 4 settembre 2017 del Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto.

14.) Tre giorni dopo la diramazione della circolare dei Ministri, del cui contenuto si è dato succintamente conto, il Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto (nel prosieguo: Direttore generale) ha adottato il decreto n. 111 del 4 settembre 2017, con oggetto: “Regime transitorio di applicazione della legge 119/2017 in attesa dell’esito della richiesta di sospensione contenuta nel ricorso alla Corte Costituzionale”.

15.) Con tale decreto il Direttore generale ha dichiaratamente inteso fornire indicazioni operative regionali, in regime transitorio, per l’attuazione del decreto-legge n. 73/2017, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119/2017.

16.) Il provvedimento in discorso poggia, tra l’altro, su motivazioni delle quali – anche in questo caso – è utile riportare alcuni stralci per esteso: “CONSIDERATO quanto espresso nella Legge n. 119/2017, che ha convertito il D.L. 7 giugno 2017, la quale all’articolo 3 comma 3, recita … e quanto espresso all’articolo 3 bis che descrive le misure per l’anno scolastico 2019/2020 dove al comma 5, recita … II contenuto degli articoli sopracitati non rende chiaro se le misure di restrizione alla frequenza scolastica siano applicabili sin dall’anno scolastico 2017/2018 e per l’anno scolastico 2018/2019, peri bambini già iscritti alla frequenza dei servizi educativi per l’infanzia ed alle scuole dell’infanzia prima dell’entrata in vigore della legge.

… DATO ATTO che la Regione del Veneto, al fine di rendere più semplice la gestione degli adempimenti previsti dalla Legge in oggetto ed agevolare le famiglie e le scuole, mette in atto sin dal corrente anno scolastico 2017/18 quanto disposto dall’Art. 3 bis comma 1 e 2 per l’anno scolastico 2019/20, anticipandone i tempi di attuazione. … La scelta è giustificata ed immediatamente applicabile grazie al percorso che Ia Regione ha già fatto in attuazione alla DGR 1935/2016.”.

17.) Sulla scorta di siffatte argomentazioni e dopo aver preso atto (nel preambolo del decreto) della sola circolare del Ministero della salute, prot. n. 17892, del 12 giugno 2017, il Direttore generale ha, tra l’altro, decretato, nel punto 2 del dispositivo, “di dare atto che in attesa di eventuali ulteriori chiarimenti ministeriali per quanto riguarda la frequenza dei servizi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia dall’anno scolastico 2017/2018 per i bambini già iscritti si applicherà il regime transitorio fino al 2019/2020 anno che prevede invece, la decadenza dall’iscrizione …”.

II.D) La lettera delle Ministre della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca al Presidente della Regione Veneto del 6 settembre 2017; il decreto n. 114 del 6 settembre 2017 del Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto del Direttore e la lettera del Presidente della Regione Veneto del 7 settembre 2017.

18.) A seguito dell’adozione del decreto n. 111/2017, le Ministre della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in data 6 settembre 2017, hanno indirizzato al Presidente della Regione Veneto una lettera a firma congiunta, sollecitando un riesame, da parte della Regione, del contenuto del predetto decreto del Direttore generale, tanto in ragione della ritenuta assenza di qualunque opacità precettiva della fonte di rango primario e dell’intervenuta diramazione dei chiarimenti ministeriali, con la sunnominata circolare del 1° settembre 2017.

19.) Successivamente il Direttore generale, interpellato dal Presidente della Regione Veneto, ha ritenuto, all’insegna del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, di sospendere l’esecuzione del proprio decreto n. 111/2017; in particolare, con il decreto n. 114 del 6 settembre 2017, il Direttore generale – preso atto della succitata lettera delle Ministre – ha disposto l’immediata (ossia a decorrere dal 6 settembre 2017) sospensione dell’esecuzione delle misure temporanee di cui al decreto n. 111/2017, peraltro senza fissare alcun termine finale di efficacia della sospensione.

Il Presidente della Regione Veneto ha quindi formulato il quesito in esame, reputando necessario un approfondimento giuridico da parte di questo Consiglio.

III.) La funzione consultiva del Consiglio di Stato.

20.) Tanto premesso, la Commissione Speciale esprime innanzi tutto l’avviso che l’approdo a questo Consiglio della vicenda sopra tratteggiata rappresenti un esempio virtuoso di gestione dei conflitti, effettivi o potenziali, tra le amministrazioni della Repubblica. Il clamore mediatico che ancor oggi accompagna le, talora vibrate, contestazioni dell’obbligo vaccinale non deve infatti oscurare, sul versante strettamente amministrativo, l’importanza della scelta di sana e prudente gestione degli interessi pubblici compiuta dal Presidente della Regione Veneto; parimenti deve essere apprezzata l’altrettanto responsabile condotta delle Ministre. Ed invero, in presenza di un contrasto (sfociato anche nell’instaurazione di un giudizio pendente avanti alla Corte costituzionale) circa l’interpretazione di alcune disposizioni di una legge dello Stato sia il Presidente della Regione Veneto sia le Ministre, tenuto conto del rilievo e della delicatezza degli interessi coinvolti (ossia la salute e l’istruzione dei bambini del Veneto), hanno richiesto il parere di questo Consiglio, nell’auspicio di una rapida soluzione del conflitto (almeno per gli aspetti di carattere amministrativo).

21.) Il quesito in esame offre allora l’occasione di svolgere alcune considerazioni di carattere generale sulla natura e sulla fisionomia della funzione consultiva del Consiglio di Stato e sulle utilità che le amministrazioni pubbliche possono trarre dai pareri resi dall’Istituto.

22.) La funzione consultiva esercitata dal Consiglio di Stato trova fondamento nell’articolo 100, primo comma, della Costituzione, secondo cui: “Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione.”.

Nonostante la particolare collocazione di tale disposizione nell’ambito della topografia normativa della Carta Fondamentale (nella Sezione III del Titolo III, dedicata agli “Organi ausiliari” del “Governo”), il Consiglio di Stato ha costantemente ricordato, anche di recente (v., tra i molti, i pareri n. 515/2016 e n. 1458/2017), che la funzione consultiva non è mai esercitata dall’Istituto nell’interesse dello Stato-Governo né di quello dello Stato-Amministrazione, ma esclusivamente nell’interesse dello Stato-Comunità. Il Consiglio di Stato, dunque, può rendere pareri anche a favore di enti e soggetti pubblici differenti dallo Stato strettamente inteso, quali le Autorità amministrative indipendenti e le Regioni (a tal riguardo, correttamente il Presidente della Regione Veneto ha richiamato il parere n. 30/1980, reso dall’Adunanza generale di questo Consiglio, nell’adunanza del 24 aprile 1980 e spedito il 12 maggio 1980).

23.) In concreto, l’esercizio della funzione consultiva si estrinseca nell’espressione di pareri, taluni dei quali debbono essere richiesti obbligatoriamente (dallo Stato) e altri possono essere resi sulla base di una richiesta facoltativa proveniente dalle amministrazioni pubbliche.

Le ipotesi in cui è prevista la richiesta obbligatoria di un parere del Consiglio di Stato sono poco numerose e sono tassativamente previste dall’articolo 17, comma 25, della legge 15 maggio 1997, n. 127. Si tratta dei pareri richiesti: a) per l’emanazione degli atti normativi del Governo e dei singoli ministri, ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, nonché per l’emanazione di testi unici; b) per la decisione dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica; c) sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri. Tali pareri, pur presentando il tratto comune della obbligatorietà della relativa richiesta (sicché l’eventuale omissione comporta l’illegittimità dell’atto conclusivo del relativo procedimento), seguono differenziati regimi giuridici. Il parere del Consiglio di Stato su un ricorso straordinario, ad esempio, è ormai sostanzialmente equiparato quoad effectum a una decisione giurisdizionale, specialmente dopo la riforma attuata dall’articolo 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69.

24.) Esistono poi i pareri facoltativi, definiti “quesiti”, che le amministrazioni a loro discrezione possono richiedere al Consiglio di Stato per risolvere un dubbio relativo all’interpretazione o all’applicazione del diritto, anche in vista dell’adozione di un determinato atto (ovviamente solo per questioni o atti di particolare rilievo). Si tratta di pareri espressi in “funzione di ausilio tecnico-giuridico indispensabile per indirizzare nell’alveo della legittimità e della buona amministrazione l’attività di amministrazione attiva” (così il citato parere dell’Adunanza generale n. 30/1980).

25.) In questa sede occorre soffermarsi a considerare che, dal punto di vista teleologico, la funzione consultiva – a prescindere dalla sua estrinsecazione sotto forma di pareri obbligatori o facoltativi – può assumere due distinte connotazioni, a seconda delle esigenze sottese alle relative richieste di parere.

Talora, infatti, la richiesta di parere soddisfa il bisogno dell’amministrazione di ottenere (da parte dell’Istituto) un chiarimento circa l’esatta interpretazione del diritto vigente o la conformità all’ordinamento giuridico di atti normativi in formazione: tipicamente assolvono a quest’ultima finalità le richieste (obbligatorie) di parere, rivolte alla Sezione consultiva per gli atti normativi, su schemi di regolamento o di decreti legislativi delegati o di testi unici; ad analogo scopo mirano i quesiti che le amministrazioni sottopongono al Consiglio di Stato nell’ambito di un procedimento, quando sia necessario ricevere una qualificata opinione di carattere giuridico su un tema di interesse generale.

In altri casi, invece, la richiesta di parere, sebbene sempre sorretta dalla necessità di sciogliere un dubbio di ordine giuridico, punta anche a risolvere una controversia, attuale o potenziale, tra amministrazioni e cittadini o imprese oppure tra amministrazioni. Al ricorrere di queste ipotesi la funzione consultiva assolve a una diversa finalità, di tipo “giustiziale”, in linea con la missione che il sopra richiamato articolo 100 della Costituzione assegna al Consiglio di Stato. Eloquente manifestazione della funzione consultiva di natura “giustiziale” è il parere obbligatorio che l’Istituto rende su ogni ricorso straordinario. Possono, tuttavia, presentare una connotazione latamente “giustiziale” anche i pareri sui quesiti che le amministrazioni rivolgano al Consiglio di Stato.

26.) A ben vedere, infatti, anche la risposta ai quesiti è uno strumento che in talune circostanze concorre a prevenire i conflitti e a deflazionare il contenzioso giurisdizionale in maniera teleologicamente assimilabile ai metodi di ADR (Alternative dispute resolution). Anzi, il ricorso ai quesiti dovrebbe essere promosso presso le amministrazioni pubbliche, giacché – almeno nei casi di controversie tra soggetti pubblici legittimati a richiedere l’avviso del Consiglio di Stato – tale istituto offre alcuni significativi vantaggi (sui quali, v. infra). Soprattutto un maggiore utilizzo dei quesiti potrebbe consentire di attenuare il tasso di giurisdizionalizzazione dei conflitti tra le amministrazioni pubbliche, canalizzando in via preventiva i contrasti sul terreno consultivo. A questo proposito si è pure osservato che, de jure condendo, specialmente sulle “questioni generali di maggior rilievo economico-sociale, si potrebbe prevedere – anche in chiave deflattiva di contenziosi seriali – la proposizione di quesiti di massima, secondo un procedimento che consenta la partecipazione dei soggetti interessati in veste collaborativa, al fine di determinare indirizzi esegetici di carattere generale che possano servire come elemento di certezza del diritto e di indirizzo applicativo su questioni incerte” (così il parere di questo Consiglio n. 515/2016).

27.) Si è sopra accennato alle utilità che possono ritrarsi da un quesito rivolto al Consiglio di Stato. Al riguardo si segnala, in particolare, che:

a.) il quesito conduce all’espressione di un parere non vincolante – che, dunque, può essere motivatamente disatteso dai richiedenti – la cui autorevolezza è dovuta semmai alla competenza giuridica dell’Organo che lo rende;

b.) il relativo procedimento è gratuito e si conclude in tempi molto brevi;

c.) nell’esprimere il parere il Consiglio di Stato non è soggetto ai vincoli propri dell’esercizio della funzione giurisdizionale quali le limitazioni derivanti dal principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato o dai ristretti confini della cognizione incidentale (in conseguenza delle regole di riparto della giurisdizione); sicché, in risposta a quesiti, il Consiglio di Stato può pronunciarsi anche su aspetti connessi a quelli sui quali poggi la richiesta di parere, allorquando tali aspetti risultino rilevanti, e può anche affrontare questioni giuridiche che esulino dall’ambito della giurisdizione amministrativa.

28.) In ordine poi al profilo generale dell’ammissibilità dei quesiti, si registrano pronunce di questo Consiglio (ad esempio, sez. I, n. 3006/2013 e sez. II, n. 1589/2011), in cui si trova affermato che, in presenza di contrasti interpretativi già insorti, la richiesta di parere sarebbe inammissibile. Espressa in termini così categorici, una posizione del genere non potrebbe essere condivisa, dal momento che ogni quesito sottende sempre un contrasto interpretativo, potenziale o reale, di tal che negare in questi casi la possibilità per il Consiglio di Stato di esprimere un parere equivarrebbe a negare in radice lo stessa ragion d’essere della funzione consultiva prevista a livello costituzionale.

In realtà, negli stessi pareri testé richiamati, si è inteso enunciare una diversa regola che discende dalla sopra ricordata disciplina costituzionale della funzione consultiva. Si è difatti condivisibilmente stabilito che “(n)ell’esercizio dell’attività consultiva, il Consiglio di Stato, quale organo di consulenza imparziale e terzo dello Stato-ordinamento e non dello Stato-apparato, non è destinato, …, a supportare le scelte decisionali delle Amministrazioni, quante volte esse ritengano, a loro discrezione, di avvalersi della consulenza del Consiglio stesso, dal momento che la funzione consultiva svolta nell’interesse non dell’ordinamento generale, ma dell’Amministrazione assistita, compete all’Avvocatura dello Stato. Il Consiglio di Stato fornisce il proprio parere solo su questioni di massima, la cui soluzione potrà guidare la successiva azione amministrativa nel suo concreto, futuro esplicarsi” (così Cons. Stato, sez. II, n. 1589/2011).Questo Consiglio, dunque, non è tenuto a rendere pareri su aspetti minuti che attengano a “un ordinario segmento del procedimento amministrativo” (v. il parere della sez. I, n. 1/2012), non potendo l’Istituto sostituirsi all’amministrazione nel dovere di quest’ultima di provvedere e nemmeno potendo invadere il campo riservato alla (differente) consulenza prestata alle pubbliche amministrazioni dall’Avvocatura dello Stato, anche in vista della difesa in giudizio.

Analoghe considerazioni valgono anche in riferimento al caso, peraltro ricorrente nella fattispecie, in cui il quesito pervenga al Consiglio di Stato dopo l’avvenuta proposizione di una questione di legittimità costituzionale, promossa in via principale o incidentale. Invero la risposta a un quesito, quand’anche esso investa l’esegesi di fonti di rango primario, non è interdetta dalla pendenza di un giudizio costituzionale avente ad oggetto le medesime fonti, giacché la funzione consultiva concerne l’interpretazione del diritto vigente (fermo restando che, nel caso di specie, l’eventuale futura dichiarazione di incostituzionalità del decreto-legge n. 73/2017 supererebbe il presente parere).

29.) Alla luce dei superiori rilievi possono pertanto comprendersi le ragioni dell’apprezzamento manifestato da questa Commissione Speciale per la scelta, compiuta dal Presidente della Regione Veneto e dalle Ministre della salute e dell’istruzione dell’università e della ricerca, di percorrere la via del quesito condiviso per risolvere in tempi rapidi un conflitto interpretativo potenzialmente foriero di pesanti ricadute negative sulla salute e sull’istruzione della popolazione minorile italiana in Veneto.

IV.) La risposta al quesito.

30.) Muovendo dal quadro di principi sopra delineato è ora possibile rispondere all’interrogativo, sollevato dal Presidente della Regione Veneto, interrogativo che, come chiarito, attiene all’esatta interpretazione di disposizioni di una legge dello Stato.

Occorre in primo luogo osservare che la richiesta di parere si sofferma, essenzialmente, sul tema della frequenza dei servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie e, quindi, riguarda il primo periodo del comma 3 dell’articolo 3 e il primo periodo del comma 5 dell’articolo 3-bis del decreto-legge n. 73/2017. Difatti i successivi commi 2 di entrambe le richiamate disposizioni, per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale regionale, prevedono, rispettivamente, che la presentazione della documentazione non costituisca requisito di accesso alla scuola, al centro o agli esami e che la mancata presentazione della medesima documentazione nei termini non determini, a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020, la decadenza dall’iscrizione né impedisca la partecipazione agli esami.

La ragione di siffatta disciplina differenziata riposa sulla considerazione che i rischi di contagio più elevati si registrano tra i bambini che frequentano, per l’appunto, i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia (anche private non paritarie) o che comunque frequentino luoghi in cui vi sia la presenza contemporanea di bambini di più famiglie. Si tratta, pertanto, dei minori compresi nella fascia di età da 0 a 6 anni.

31.) Riducendo il quesito all’essenziale, la Regione Veneto chiede se già a decorrere dall’anno scolastico 2017/2018 (ossia quello da poco iniziato) si applichi la regola, stabilita dal comma 3 dell’articolo 3 del decreto-legge, secondo cui la mancata presentazione della documentazione relativa all’adempimento degli obblighi vaccinali preclude l’accesso alla scuola. Questa è, infatti, la posizione espressa dai Ministeri.

32.) La diversa tesi propugnata dalla Regione Veneto (v. la scheda proveniente dall’Avvocatura regionale) si basa invece sulla considerazione che soltanto il comma 5 dell’articolo 3-bis del medesimo decreto-legge, che si applica a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020, configura la mancata presentazione della documentazione come causa di decadenza dall’iscrizione, sicché – così la conclusione della Regione Veneto – per l’anno 2017/2018, almeno nei casi in cui l’iscrizione sia avvenuta prima dell’entrata in vigore della legge n. 119/2017, non sarebbe prevista alcuna interdizione dell’accesso ai servizi e alle scuole dell’infanzia, anche in assenza della prova dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale.

33.) Tale esegesi del dato positivo, posta a supporto motivazionale del decreto del Direttore generale n. 111/2017, sarebbe ulteriormente corroborata, ad avviso dell’Avvocatura regionale veneta, dai seguenti argomenti:

a.) nella Regione Veneto, la DGR (delibera di Giunta regionale) n. 1935/2016 avrebbe già consentito di conseguire l’obiettivo di garantire la c.d. “immunità di gregge”, altrimenti detta herd immunity (v. infra), ossia una copertura vaccinale in misura non inferiore al 95% (quest’ultima circostanza è, però, contestata dai Ministeri; v. a pag. 3, penultimo paragrafo, della relazione allegata alla nota del 18 settembre 2017, ove si afferma che nel Veneto non sarebbe stata raggiunta la herd immunity), vigendo il divieto di costituire classi per le quale tale soglia percentuale non sia assicurata;

b.) premesso che nella Regione Veneto i servizi scolastici all’infanzia sono in larga parte erogati da strutture private, l’esegesi applicativa sostenuta dai Ministeri condurrebbe a negative conseguenze, ritenute paradossali, per i genitori di bambini già iscritti alle scuole dell’infanzia; costoro, infatti, rimarrebbero obbligati civilmente a pagare le rette delle scuole private (permanendo negli anni scolastici 2017/2018 e 2018/2019 l’iscrizione ai servizi) pur non potendo far accedere i propri figli ai servizi educativi offerti dalle stesse scuole. Inoltre una soluzione del genere condurrebbe anche al blocco delle graduatorie di accesso.

34.) La Commissione Speciale ritiene che le perplessità esternate dal Presidente della Regione Veneto non possano essere condivise. La trama prescrittiva del decreto-legge n. 73/2017 è chiaramente riconoscibile, intrinsecamente coerente e agevolmente interpretabile. I dubbi nutriti dalla Regione Veneto originano, apparentemente, nella mancata considerazione dell’articolo 5 del decreto-legge. Ed invero, un’esegesi che consideri sinotticamente le tre disposizioni (articolo 3, articolo 3-bis e articolo 5) consente di cogliere appieno il senso del complessivo intervento del Legislatore statale.

In sintesi, il plesso normativo testé richiamato stabilisce tre differenti regimi, rispettivamente, per gli anni scolastici 2017/2018, 2018/2019 e 2019/2020 (quest’ultimo regime varrà anche per gli anni scolastici successivi).

Nell’anno scolastico 2017/2018 si applicano gli articoli 3 e 5 del decreto-legge, sicché vale già nel corrente anno scolastico il divieto di accesso nel caso di mancata presentazione della documentazione idonea a comprovare l’adempimento dell’obbligo vaccinale. L’unica particolarità è che il decreto-legge n. 73/2017 è intervenuto a procedure di iscrizione già perfezionatesi, sicché si è reso necessario stabilire uno specifico regime transitorio, regolato dal sunnominato articolo 5, relativo ai termini (differenti da quelli fissati dall’articolo 3, comma 1) per la presentazione della documentazione sopra richiamata. Nel caso della mancata prova dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, le iscrizioni – già avvenute – rimarranno pertanto efficaci, ma al minore sarà interdetto l’accesso ai servizi; a detti servizi il minore potrà essere nuovamente ammesso soltanto successivamente alla presentazione della documentazione da parte dei soggetti a ciò tenuti.

Nell’anno scolastico 2018/2019 si applicherà unicamente l’articolo 3 e, quindi, i genitori (e le figure a questi equiparate) dovranno produrre la prescritta documentazione all’atto dell’iscrizione del minore (ossia entro il termine di scadenza dell’iscrizione o entro il successivo 10 luglio, qualora si opti per l’iniziale presentazione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio), fermo restando la regola del divieto di accesso nell’ipotesi in cui la suddetta documentazione non sia tempestivamente prodotta.

Infine, nell’anno scolastico 2019/2020 e nei successivi anni scolastici, si applicherà soltanto l’articolo 3-bis, recante il meccanismo semplificato e informatizzato del quale si è dato sopra conto, con la conseguenza che, qualora dal controllo effettuato sulle banche di dati delle aziende sanitarie locali risulti l’inadempimento dell’obbligo vaccinale, si produrrà l’effetto automatico della decadenza dall’iscrizione dell’alunno e, quindi, a maggior ragione varrà anche il divieto dell’accesso ai servizi scolastici.

La diversità dei regimi giuridici, sopra succintamente ricostruiti, spiega dunque la ragione dell’uso, unicamente nell’articolo 3-bis, del termine “decadenza”. La disciplina recata da tale articolo non indica dunque alcun termine finale di una pretesa fase transitoria destinata a durare fino all’anno scolastico 2019/2020, come opinato dalla Regione Veneto, ma più semplicemente individua la futura regolamentazione a valere dall’anno scolastico 2019/2020 e per gli anni scolastici successivi.

35.) Non conducono a differenti conclusioni i due argomenti spesi dall’Avvocatura regionale sopra riferiti. Si tratta, in realtà, di argomenti che non attengono in senso stretto all’interpretazione del raccordo normativo tra i predetti articoli; piuttosto sono diretti contro le scelte compiute dal Legislatore statale e, in particolare, contro la decisione di percorrere la via della “imposizione” (per legge) delle vaccinazioni in luogo del “metodo della persuasione”, al quale si sarebbe conformata l’azione della Regione Veneto.

Nondimeno, fermo restando quello che sarà il giudizio della Corte costituzionale e tenuto conto di quanto sopra osservato sulla funzione consultiva del Consiglio di Stato, questa Commissione, ai fini della risposta al quesito, ben può prendere posizione su detti argomenti.

36.) In primo luogo la circostanza che la Regione Veneto abbia intrapreso un percorso normativo e amministrativo, basato sul consenso informatico e sull’alleanza terapeutica, in grado di assicurare il prodursi dell’effetto di “immunità di gregge” (effetto derivante dal raggiungimento di una soglia critica di soggetti vaccinati tale da mettere al sicuro anche i bambini che non possano essere vaccinati perché immunodepressi, affetti da gravi patologie croniche o da tumori) è un elemento che – ove confermato dai dati epidemiologici ufficiali – certamente va a merito del Governo regionale. Nondimeno il raggiungimento di tale risultato non esonera la Regione Veneto dal rispetto di una legge dello Stato (almeno fino a quando tale legge non venga abrogata o dichiarata incostituzionale) che si proponga l’obiettivo di rendere omogenee su tutto il territorio nazionale le condizioni di sicurezza epidemiologica, anche in termini di copertura vaccinale. Se lo scopo è l’omogeneità, allora inevitabilmente le previsioni del decreto-legge n. 73/2017 debbono riguardare la popolazione italiana nella sua interezza, sia essa stanziata in Regioni virtuose (come afferma di essere la Regione Veneto) o in altre (v., infra, le considerazioni sulla competenza legislativa dello Stato e delle Regioni in materia di tutela della salute).

37.) Un profilo di specifico interesse della Regione Veneto si coglie invece nel secondo argomento. È certamente ragionevole e comprensibile che il Presidente di una Regione i cui servizi educativi per l’infanzia siano prevalentemente gestiti da scuole private si preoccupi delle conseguenze di un provvedimento legislativo che, ove male interpretato, interferisca sulla gestione dei rapporti tra utenti e istituzioni scolastiche.

Tale argomento, che colora uno specifico profilo del diritto all’istruzione, apre, tuttavia, ad alcune considerazioni di ordine giuridico in ordine alla prevalenza, o no, della preoccupazione manifestata dalla Regione Veneto rispetto a contrapposti interessi-valori.

38.) Il tema della copertura vaccinale nella scuola dell’infanzia presenta, invero, profili di particolare delicatezza che intercettano plurimi e fondamentali valori costituzionali quali, tra i principali, il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione), l’universalità dell’accesso scolastico (articolo 34 della Costituzione) e il principio autonomistico regionale (articolo 117 della Costituzione).

Ancor prima, tuttavia, il tema delle vaccinazioni obbligatorie va riguardato attraverso la lente di valori giuridici che si collocano nei Principi Fondamentali della Carta costituzionale e, in particolare, nell’articolo 2, là dove è scritto che la Repubblica, oltre a riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo, richiede al contempo l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economia e sociale, e nell’articolo 3, il cui comma secondo assegna alla Repubblica il compito di rimuovere tutti “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Orbene, ad avviso di questa Commissione Speciale, le vicende della copertura vaccinale vanno esaminate proprio sul versante della loro dimensione solidaristica e di fattore primario di eguaglianza sostanziale.

Ritiene, invero, questa Commissione Speciale che la previsione della copertura vaccinale sia funzionale all’adempimento di un generale dovere di solidarietà che pervade e innerva tutti i rapporti sociali e giuridici. Senza entrare in valutazioni di carattere epidemiologico che dovrebbe essere riservate agli esperti (e che certamente non spettano ai giuristi), risulta infatti evidente – sulla base delle acquisizioni della migliore scienza medica e delle raccomandazioni delle organizzazioni internazionali – che soltanto la più ampia vaccinazione dei bambini costituisca misura idonea e proporzionata a garantire la salute di altri bambini e che solo la vaccinazione permetta di proteggere, proprio grazie al raggiungimento dell’obiettivo dell’”immunità di gregge”, la salute delle fasce più deboli, ossia di coloro che, per particolari ragioni di ordine sanitario, non possano vaccinarsi. Porre ostacoli di qualunque genere alla vaccinazione (la cui “appropriatezza” sia riconosciuta dalla più accreditata scienza medico-legale e dalle autorità pubbliche, legislative o amministrative, a ciò deputate) può risolversi in un pregiudizio per il singolo individuo non vaccinato, ma soprattutto vulnera immediatamente l’interesse collettivo, giacché rischia di ledere, talora irreparabilmente, la salute di altri soggetti deboli.

Del resto lo stesso articolo 32 della Costituzione enfatizza la dimensione solidaristica del diritto alla salute e il tema del possibile conflitto tra diritto individuale e interesse collettivo nell’ambito delle vaccinazioni obbligatorie è stato approfondito autorevolmente dalla Corte costituzionale (tra l’altro, nelle sentenze del 22 giugno 1990, n. 307, del 23 giugno 1994, n. 258 e del 18 aprile 1996, n. 118). Si è infatti affermato (nella sentenza n. 258 del 23 giugno 1994, sopra menzionata) che: “…la norma del citato art. 32 Cost. postul[a] il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto negativo di non assoggettabilità a trattamenti sanitari non richiesti od accettati) con il coesistente e reciproco diritto di ciascun individuo (sent. n. 218 del 1994) e con la salute della collettività (sent. n. 307 del 1990); nonché, nel caso in particolare di vaccinazioni obbligatorie, “con l’interesse del bambino”, che esige “tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai compiti inerenti alla cura del minore” (sent. n. 132 del 1992). Su questa linea si è ulteriormente precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.:

a) “se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale (cfr. sent. n. 307 del 1990);

b) se vi sia “la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili” (ivi);

c) se nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – sia prevista comunque la corresponsione di una “equa indennità” in favore del danneggiato (cfr. sent. n. 307 del 1992 cit. e v. … legge n. 210 del 1992). E ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria, la quale “trova applicazione tutte le volte che le concrete forme di attuazione della legge impositiva del trattamento o di esecuzione materiale di esso non siano accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla sua natura” (sulla base dei titoli soggettivi di imputazione e con gli effetti risarcitori pieni previsti dall’art. 2043 c.c.: sent. n. 307 del 1990 cit.”.

La Costituzione, dunque, contrariamente a quanto divisato dai sostenitori di alcune interpretazioni riduzionistiche del diritto alla salute, non riconosce un’incondizionata e assoluta libertà di non curarsi o di non essere sottoposti trattamenti sanitari obbligatori (anche in relazione a terapie preventive quali sono i vaccini), per la semplice ragione che, soprattutto nelle patologie ad alta diffusività, una cura sbagliata o la decisione individuale di non curarsi può danneggiare la salute di molti altri esseri umani e, in particolare, la salute dei più deboli, ossia dei bambini e di chi è già ammalato.

L’articolo 32 – è bene ricordarlo – recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”.

Alla stregua della riferita disposizione la salute non è solo oggetto di un diritto (variamente declinabile come diritto alla cura e diritto di non curarsi e comunque ad esprimere un consenso informato alla cura), ma è anche un interesse della collettività; sicché, come ricordato dalla Corte costituzionale nella sentenza del 2 giugno 1994, n. 218, la tutela della salute implica anche il “dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri”; il tutto nel rispetto del limite della normale tollerabilità (limite la cui individuazione è rimessa alla discrezionalità del Legislatore statale; v. infra) delle conseguenze per chi sia soggetto a “determinati” trattamenti sanitari imposti per legge (e solo per legge, stante la relativa riserva) e sulla base di un rapporto di proporzionalità con le esigenze di tutela della salute altrui.

Invero, tali simmetriche posizioni di diritto e dovere “… dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell’interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari. Situazioni di questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose … Salvaguardata in ogni caso la dignità della persona, …, l’art. 32 della Costituzione prevede un contemperamento del coesistente diritto alla salute di ciascun individuo; implica inoltre il bilanciamento di tale diritto con il dovere di tutelare il diritto dei terzi che vengono in necessario contatto conla persona per attività che comportino un serio rischio, non volontariamente assunto, di contagio.” (così la succitata sentenza n. 218/1994).

Sulla base del riferito disposto costituzionale, dunque, la copertura vaccinale può non essere oggetto dell’interesse di un singolo individuo, ma sicuramente è d’interesse primario della collettività e la sua obbligatorietà – funzionale all’attuazione del fondamentale dovere di solidarietà rispetto alla tutela dell’altrui integrità fisica – può essere imposta ai cittadini dalla legge, con sanzioni proporzionate e forme di coazione indiretta variamente configurate, fermo restando il dovere della Repubblica (anch’esso fondato sul dovere di solidarietà) di indennizzare adeguatamente i pochi soggetti che dovessero essere danneggiati dalla somministrazione del vaccino (e a ciò provvede la legge 25 febbraio 1992, n. 210) e di risarcire i medesimi soggetti, qualora il pregiudizio a costoro cagionato dipenda da colpa dell’amministrazione.

La mancata considerazione di siffatto dovere di solidarietà rischierebbe, peraltro, di minare alla base anche l’eguaglianza sostanziale tra i cittadini sulla quale poggia la stessa democrazia repubblicana, atteso che i bambini costretti a frequentare classi in cui sia bassa l’immunità di gregge potrebbero essere esposti a pericoli per la loro salute, rischi ai quali invece non andrebbero incontro bambini appartenenti a famiglie stanziate in altre parti del territorio nazionale. La discriminazione tra bambini e bambini, tra cittadini sani e cittadini deboli, non potrebbe essere più eclatante. Il servizio sanitario e il servizio scolastico, da chiunque gestiti, debbono quindi garantire alti e omogenei livelli di copertura vaccinale in tutto il Paese, dal momento che la stessa ragion d’essere di tali servizi è quella di rendere effettivi, all’insegna del buon andamento amministrativo e della leale collaborazione tra i vari livelli di governo, i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione e, tra questi, in primo luogo il diritto alla vita e alla salute, quali indefettibili precondizioni per un pieno sviluppo della persona umana, pure in quella particolare formazione sociale che è la scuola.

39.) Si è sopra riferito che l’articolo 32 della Costituzione assegna alla Repubblica il compito, da attuare in via legislativa e amministrativa, di tutelare la salute. Ove letta la previsione sia letta insieme ad altre disposizioni dello stesso testo costituzionale, si evince che tale compito è essenzialmente ripartito tra lo Stato e le Regioni, posto che la “tutela della salute” rientra nell’elenco di materie che l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione assegna alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, conservando tuttavia allo Stato la fissazione dei principi fondamentali. Inoltre il medesimo compito di tutela è altresì riconducibile, per taluni aspetti, alla sola potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dello stesso articolo 117, secondo comma, lettere m) e q), allorquando si tratti di assicurare la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” o di disporre in tema di “profilassi internazionale”.

Orbene, prescindendo in questa sede dalle competenze esclusive dello Stato in materia di ambiente (di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione) che pure interferiscono con quelle in tema di tutela della salute (sotto il profilo dell’esistenza di diritto a un ambiente salubre), la Commissione ritiene, sulla base di quanto sopra osservato, che le norme di legge sulle vaccinazioni obbligatorie (e, comunque, quelle relative all’individuazione di tali vaccinazioni) siano ascrivibili al novero dei principi fondamentali alla cui osservanza è tenuta la legislazione regionale concorrente sia, soprattutto, all’ambito della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni socio-sanitarie che, per le elementari esigenze di uguaglianza prima ricordate, debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, nel rispetto degli obblighi internazionali relativi alla profilassi (anch’essi poggianti sulla solidarietà tra gli Stati e le popolazioni di altri Paesi).

40.) Non confligge con il quadro appena delineato – e, anzi, lo rafforza – il principio di precauzione applicato al settore della salute. Non ignora difatti questa Commissione che in talune argomentazioni giuridiche dirette contro l’obbligo vaccinale ricorra sovente l’invocazione del suddetto principio. Di esso però è offerta un’interpretazione secondo la quale, in sintesi, lo Stato dovrebbe astenersi dall’imporre l’obbligo vaccinale giacché le vaccinazioni implicherebbero un inevitabile rischio di reazioni avverse o di più gravi pregiudizi dell’integrità fisica dei soggetti vaccinati; in altri termini, sarebbe assente una condizione di c.d. “rischio zero”. Ebbene, premesso che a nessuna condotta umana si correla un “rischio zero”, appare evidente che la riferita concezione del principio di precauzione impedirebbe in radice qualunque sviluppo delle scienze medico-chirurgiche (e di qualunque altra scienza). Inoltre le tesi, testé richiamate, tendono travisare il senso e il finalismo del principio di precauzione la cui dinamica applicativa, lungi dal fondarsi su un pregiudizio antiscientifico, postula più di qualunque altro principio del diritto una solida base scientifica.

Il principio di precauzione non vive, infatti, in una dimensione prevalentemente assiologica (esso cioè non presuppone una precisa scelta di valori-fine) né opera in un’unica direzione (segnatamente, in quella dell’interdizione delle decisioni pubbliche “rischiose”). Al contrario, il principio di precauzione vige in una dimensione essenzialmente metodologica ed è bidirezionale. Non a caso è stato sostenuto in dottrina che il principio di precauzione non offra “regole per decidere”, ma soltanto “regole per procedere”, poiché permette di individuare il percorso di procedimentalizzazione delle decisioni delle autorità pubbliche in situazioni di incertezza, consentendo una gestione collettiva del rischio. In altri termini, il principio di precauzione non obbliga affatto alla scelta del “rischio zero”, semmai impone al decisore pubblico (legislatore o amministratore), in contesti determinati, di prediligere, tra le plurime ipotizzabili, la soluzione che renda possibile il bilanciamento tra la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei vantaggi, attraverso l’individuazione, sulla base di un test di proporzionalità, di una soglia di pericolo accettabile; la selezione di tale soglia, tuttavia, può compiersi unicamente sulla base di una conoscenza completa e, soprattutto, accreditata dalla migliore scienza disponibile. Sicché il principio di precauzione può, talora, condurre le autorità pubbliche a non agire oppure, in altri casi, può spingerle ad attivarsi, adottando misure proporzionate al livello di protezione prescelto (cioè adeguate rispetto alla soglia di pericolo accettabile). Che questa sia l’interpretazione corretta del principio di precauzione è confermato dalla giurisprudenza amministrativa nazionale che si è occupata del tema (tra i molti precedenti, si richiama la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana 3 settembre 2015, n. 581) e, specialmente, dalla comunicazione interpretativa della Commissione europea del 2 febbraio 2000 – COM/2000/01 def. (va ricordato infatti che il principio di precauzione è di origine internazionale e sovranazionale), nella quale si è chiarito che “(l)’attuazione di una strategia basata sul principio di precauzione dovrebbe iniziare con una valutazione scientifica, quanto più possibile completa, identificando, ove possibile, in ciascuna fase il grado d’incertezza scientifica.”.

41.) La base scientifica del principio di precauzione rappresenta anche un presidio di garanzia della ragionevolezza delle scelte pubbliche e rafforza conseguentemente la compliance delle regole positive (su di esso fondate) che impongano obblighi di comportamento per i consociati. La consapevolezza, invero, che il decisore pubblico sia tenuto a seguire una strategia valutativa (di problem solving) poggiante sulle verificabili e verificate acquisizioni della miglior scienza del momento (e sul rigore del relativo metodo) concorre ad escludere il sospetto di arbitrarietà inevitabilmente connesso a ogni epifania dell’autoritatività, specialmente quando quest’ultima si manifesti sotto forma di biopotere (ossia di esercizio della politicità, in questo caso estrinsecantesi in cogenza normativa, nella gestione del corpo umano).

42.) A quello di precauzione si accompagna poi il principio di prevenzione, atteso che la massima efficacia della minimizzazione del rischio, nei sensi sopra indicati, si ottiene, in genere, attraverso un intervento sulle cause della possibile insorgenza del pericolo. Ebbene, non vi è dubbio che il sistema della vaccinazioni obbligatorie sia informato anche a questo principio giuridico, complementare a quello di precauzione e altrettanto rilevante.

43.) Le precedenti considerazioni portano a concludere che, al cospetto dei profili costituzionali sopra esaminati, si presentino inconferenti e non assumano rilievo, perché recessivi rispetto alla tutela della salute pubblica, gli argomenti di natura “civilistica” volti a valorizzare l’interesse economico dei genitori dei bambini non vaccinati a non sostenere inutilmente l’onere economico di rette scolastiche e pure l’interesse a far frequentare ai propri figli un determinato istituto scolastico privato.

P.Q.M.

In risposta al quesito formulato dal Presidente della Regione Veneto, si esprime il parere che, in base al diritto vigente, già a decorrere dall’anno scolastico 2017/2018 (in corso), si applichi, anche nella Regione Veneto, la norma, ricavabile dal combinato disposto degli articoli 3, comma 1, e 5, comma 1, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119, secondo cui la presentazione della documentazione attestante l’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale costituisce requisito di accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia.

L’ESTENSORE                         IL PRESIDENTE
Gabriele Carlotti                  Gianpiero Paolo Cirillo

IL SEGRETARIO Roberto Mustafà

Keywords
#scuola e salute#istruzione dell’infanzia#vaccinare #regione #infanzia #documentazione #quesito #vaccinazione #decretolegge #parere #anno #salute
Misure di semplificazione degli adempimenti vaccinali per l'iscrizione alle istituzioni del sistema nazionale di istruzione, ai servizi educativi per l'infanzia, ai centri di formazione professionale regionale e alle scuole private non paritarie, a decorrere dall'anno 2019 - Legge di conversione 31/07/2017 n° 119 n° 3-bis
Normativa

1.   A decorrere dall'anno scolastico 2019/2020 nonché dall'inizio del calendario dei servizi educativi per l'infanzia e dei corsi per i centri di formazione professionale regionale 2019/2020, i dirigenti scolastici delle istituzioni del sistema nazionale di istruzione ed i responsabili dei servizi educativi per l'infanzia, dei centri di formazione professionale regionale e delle scuole private non paritarie sono tenuti a trasmettere alle aziende sanitarie locali territorialmente competenti, entro il 10 marzo, l'elenco degli iscritti per l'anno scolastico o per il calendario successivi di età compresa tra zero e sedici anni e minori stranieri non accompagnati.

2.   Le aziende sanitarie locali territorialmente competenti provvedono a restituire, entro il 10 giugno, gli elenchi di cui al comma 1, completandoli con l'indicazione dei soggetti che risultano non in regola con gli obblighi vaccinali, che non ricadono nelle condizioni di esonero, omissione o differimento delle vaccinazioni in relazione a quanto previsto dall'articolo 1, commi 2 e 3, e che non abbiano presentato formale richiesta di vaccinazione all'azienda sanitaria locale competente.

3.  Nei dieci giorni successivi all'acquisizione degli elenchi di cui al comma 2, i dirigenti delle istituzioni del sistema nazionale di istruzione e i responsabili dei servizi educativi per l'infanzia, dei centri di formazione professionale regionale e delle scuole private non paritarie invitano i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori o i soggetti affidatari dei minori indicati nei suddetti elenchi a depositare, entro il 10 luglio, la documentazione comprovante l'effettuazione delle vaccinazioni ovvero l'esonero, l'omissione o il differimento delle stesse, in relazione a quanto previsto dall'articolo 1, commi 2 e 3, o la presentazione della formale richiesta di vaccinazione all'azienda sanitaria locale territorialmente competente.

4.   Entro il 20 luglio i dirigenti scolastici delle istituzioni del sistema nazionale di istruzione e i responsabili dei servizi educativi per l'infanzia, dei centri di formazione professionale regionale e delle scuole private non paritarie trasmettono la documentazione di cui al comma 3 pervenuta, ovvero ne comunicano l'eventuale mancato deposito, alla azienda sanitaria locale che, qualora la medesima o altra azienda sanitaria non si sia già attivata in ordine alla violazione del medesimo obbligo vaccinale, provvede agli adempimenti di competenza e, ricorrendone i presupposti, a quello di cui all'articolo 1, comma 4.

5.   Per i servizi educativi per l'infanzia e le scuole dell'infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, la mancata presentazione della documentazione di cui al comma 3 nei termini previsti comporta la decadenza dall'iscrizione. Per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale regionale, la mancata presentazione della documentazione dì cui al comma 3 nei termini previsti non determina la decadenza dall'iscrizione né impedisce la partecipazione agli esami. (1)

(1) Articolo inserito dalla legge di conversione n. 119/2017 con effetto a decorrere dal 6 agosto 2017.

Keywords
#infanzia #centro #azienda #formazione #vaccinare #vaccinazione #iscrizione #scuola #istruzione #servizio
Svolgimento dell'attività di medico competente - Decreto legislativo 09/04/2008 n° 81 n° 39
Normativa

1.  L'attività di medico competente è svolta secondo i principi della medicina del lavoro e del codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH).
2.  Il medico competente svolge la propria opera in qualità di:
a)  dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata, convenzionata con l'imprenditore;
b)  libero professionista;
c)  dipendente del datore di lavoro.
3.  Il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di medico competente.
4.  Il datore di lavoro assicura al medico competente le condizioni necessarie per lo svolgimento di tutti i suoi compiti garantendone l'autonomia.
5.  Il medico competente può avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne sopporta gli oneri.
6.  Nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi d'imprese nonché qualora la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità, il datore di lavoro può nominare più medici competenti individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento.
 

Keywords
#sicurezza sul lavoro (in generale)#convenzionare #specialista #medicina
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Decreto - Linee guida disturbi specifici di apprendimento. 12/07/2011 n° 5669
Prassi, Circolari, Note

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

IL MINISTRO

VISTO l’ articolo 34 della Costituzione;

VISTA la Legge 8 ottobre 2010, n. 170, recante Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico;

VISTO il Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297, relativo al Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione;

VISTA la Legge 2 agosto 1999, n. 264, recante Norme in materia di accessi ai corsi universitari;

VISTA la Legge 15 marzo 1997, n. 59, di delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa, e, in particolare, l’ articolo 21;

VISTO il Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, avente a oggetto Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59;

VISTO il Decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122, avente a oggetto Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni, e, in particolare, l’ art. 10;

VISTO il Decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89, sul riordino della Scuola dell’Infanzia e del primo ciclo di istruzione;

VISTI i decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010 n. 87, 15 marzo 2010 n. 88, e 15 marzo 2010 n. 89, sul riordino degli Istituti Tecnici e Professionali e dei Licei;

VISTE le Indicazioni Nazionali allegate al Decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, e le Indicazioni per il curricolo di cui al Decreto ministeriale del 31 luglio 2007;

VISTI il Decreto Interministeriale 7 ottobre 2010, n. 211, concernente gli obiettivi specifici di apprendimento per i percorsi liceali, la Direttiva 15 luglio 2010, n. 57, e la Direttiva 28 luglio 2010, n. 65, per il passaggio al nuovo ordinamento degli Istituti Tecnici e Professionali;

VISTO il Decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270, avente a oggetto Modifiche al regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509;

VISTO il C.C.N.L. del personale docente, quadriennio giuridico 2006-09 e 1° biennio economico 2006-07, ed in particolare l’art. 27, concernente il profilo professionale docente;

RITENUTO necessario ed urgente procedere all’emanazione del decreto di cui all’art. 7, comma 2 della Legge 170/2010, al fine di dare attuazione, a partire dall’anno scolastico 2011/2012, alle norme ivi previste;

TENUTO CONTO del lavoro istruttorio svolto dal Comitato tecnico scientifico di cui all’art. 7, comma 3, della Legge 8 ottobre 2010, n. 170;

DECRETA

 

Articolo 1  Finalità del decreto

1.  Il presente decreto individua, ai sensi dell’art. 7, comma 2, della Legge 170/2010, le modalità di formazione dei docenti e dei dirigenti scolastici, le misure educative e didattiche di supporto utili a sostenere il corretto processo di insegnamento/apprendimento fin dalla scuola dell’infanzia, nonché le forme di verifica e di valutazione per garantire il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento (di seguito “DSA”), delle scuole di ogni ordine e grado del sistema nazionale di istruzione e nelle università.

 

Articolo 2  Individuazione di alunni e studenti con DSA

1.  Ai fini di cui al precedente articolo, le istituzioni scolastiche provvedono a segnalare alle famiglie le eventuali evidenze, riscontrate nelle prestazioni quotidiane in classe e persistenti nonostante l’applicazione di adeguate attività di recupero didattico mirato, di un possibile disturbo specifico di apprendimento, al fine di avviare il percorso per la diagnosi ai sensi dell’art. 3 della Legge 170/2010.

2.  Al fine di garantire agli alunni e agli studenti con disturbi specifici di apprendimento di usufruire delle misure educative e didattiche di supporto di cui all’articolo 5 della Legge 170/2010, gli Uffici Scolastici Regionali attivano tutte le necessarie iniziative e procedure per favorire il rilascio di una certificazione diagnostica dettagliata e tempestiva da parte delle strutture preposte.

3.  La certificazione di DSA viene consegnata dalla famiglia ovvero dallo studente di maggiore età alla scuola o all’università, che intraprendono le iniziative ad essa conseguenti.

 

Articolo 3  Linee guida

1.  Gli Uffici Scolastici Regionali, le Istituzioni scolastiche e gli Atenei, per l’attuazione delle disposizioni del presente decreto, tengono conto delle indicazioni contenute nelle allegate Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento, che sono parte integrante del presente decreto.

 

Articolo 4  Misure educative e didattiche

1.  Le Istituzioni scolastiche, tenendo conto delle indicazioni contenute nelle allegate Linee guida, provvedono ad attuare i necessari interventi pedagogico-didattici per il successo formativo degli alunni e degli studenti con DSA, attivando percorsi di didattica individualizzata e personalizzata e ricorrendo a strumenti compensativi e misure dispensative.

2.  I percorsi didattici individualizzati e personalizzati articolano gli obiettivi, compresi comunque all’interno delle indicazioni curricolari nazionali per il primo e per il secondo ciclo, sulla base del livello e delle modalità di apprendimento dell’alunno e dello studente con DSA, adottando proposte di insegnamento che tengano conto delle abilità possedute e potenzino anche le funzioni non coinvolte nel disturbo.

3.  In un’ottica di prevenzione dei DSA, gli insegnanti adottano metodologie didattiche adeguate allo sviluppo delle abilità di letto-scrittura e di calcolo, tenendo conto, nel rispetto della libertà d’insegnamento, delle osservazioni di carattere scientifico contenute al riguardo nelle allegate Linee guida

4.  Le Istituzioni scolastiche assicurano l’impiego degli opportuni strumenti compensativi, curando particolarmente l’acquisizione, da parte dell’alunno e dello studente, con DSA delle competenze per un efficiente utilizzo degli stessi.

5.  L’adozione delle misure dispensative è finalizzata ad evitare situazioni di affaticamento e di disagio in compiti direttamente coinvolti dal disturbo, senza peraltro ridurre il livello degli obiettivi di apprendimento previsti nei percorsi didattici individualizzati e personalizzati.

 

Articolo 5  Interventi didattici individualizzati e personalizzati

1.  La scuola garantisce ed esplicita, nei confronti di alunni e studenti con DSA, interventi didattici individualizzati e personalizzati, anche attraverso la redazione di un Piano didattico personalizzato, con l’indicazione degli strumenti compensativi e delle misure dispensative adottate.

  

Articolo 6  Forme di verifica e di valutazione

1.  La valutazione scolastica, periodica e finale, degli alunni e degli studenti con DSA deve essere coerente con gli interventi pedagogico-didattici di cui ai precedenti articoli.

2.  Le Istituzioni scolastiche adottano modalità valutative che consentono all’alunno o allo studente con DSA di dimostrare effettivamente il livello di apprendimento raggiunto, mediante l’applicazione di misure che determinino le condizioni ottimali per l’espletamento della prestazione da valutare - relativamente ai tempi di effettuazione e alle modalità di strutturazione delle prove - riservando particolare attenzione alla padronanza dei contenuti disciplinari, a prescindere dagli aspetti legati all’abilità deficitaria.

3.  Le Commissioni degli esami di Stato, al termine del primo e del secondo ciclo di istruzione, tengono in debita considerazione le specifiche situazioni soggettive, le modalità didattiche e le forme di valutazione individuate nell’ambito dei percorsi didattici individualizzati e personalizzati. Sulla base del disturbo specifico, anche in sede di esami di Stato, possono riservare ai candidati tempi più lunghi di quelli ordinari. Le medesime Commissioni assicurano, altresì, l’utilizzazione di idonei strumenti compensativi e adottano criteri valutativi attenti soprattutto ai contenuti piuttosto che alla forma, sia nelle prove scritte, anche con riferimento alle prove nazionali INVALSI previste per gli esami di Stato, sia in fase di colloquio.

4.  Le Istituzioni scolastiche attuano ogni strategia didattica per consentire ad alunni e studenti con DSA l’apprendimento delle lingue straniere. A tal fine valorizzano le modalità attraverso cui il discente meglio può esprimere le sue competenze, privilegiando l’espressione orale, nonché ricorrendo agli strumenti compensativi e alle misure dispensative più opportune. Le prove scritte di lingua straniera sono progettate, presentate e valutate secondo modalità compatibili con le difficoltà connesse ai DSA.

5.  Fatto salvo quanto definito nel comma precedente, si possono dispensare alunni e studenti dalle prestazioni scritte in lingua straniera in corso d’anno scolastico e in sede di esami di Stato, nel caso in cui ricorrano tutte le condizioni di seguito elencate:

-  certificazione di DSA attestante la gravità del disturbo e recante esplicita richiesta di dispensa dalle prove scritte;

-  richiesta di dispensa dalle prove scritte di lingua straniera presentata dalla famiglia o dall’allievo se maggiorenne;

-  approvazione da parte del consiglio di classe che confermi la dispensa in forma temporanea o permanente, tenendo conto delle valutazioni diagnostiche e sulla base delle risultanze degli interventi di natura pedagogico-didattica, con particolare attenzione ai percorsi di studio in cui l’insegnamento della lingua straniera risulti caratterizzante (liceo linguistico, istituto tecnico per il turismo, ecc.).

In sede di esami di Stato, conclusivi del primo e del secondo ciclo di istruzione, modalità e contenuti delle prove orali - sostitutive delle prove scritte - sono stabiliti dalle Commissioni, sulla base della documentazione fornita dai consigli di classe.

I candidati con DSA che superano l’esame di Stato conseguono il titolo valido per l’iscrizione alla scuola secondaria di secondo grado ovvero all’università.

6.  Solo in casi di particolari gravità del disturbo di apprendimento, anche in comorbilità con altri disturbi o patologie, risultanti dal certificato diagnostico, l’alunno o lo studente possono - su richiesta delle famiglie e conseguente approvazione del consiglio di classe - essere esonerati dall’insegnamento delle lingue straniere e seguire un percorso didattico differenziato.

In sede di esami di Stato, i candidati con DSA che hanno seguito un percorso didattico differenziato e sono stati valutati dal consiglio di classe con l’attribuzione di voti e di un credito scolastico relativi unicamente allo svolgimento di tale piano, possono sostenere prove differenziate, coerenti con il percorso svolto, finalizzate solo al rilascio dell'attestazione di cui all'art. 13 del D.P.R. n. 323/1998.

7.  In ambito universitario, gli Atenei assicurano agli studenti con DSA l’accoglienza, il tutorato, la mediazione con l’organizzazione didattica e il monitoraggio dell’efficacia delle prassi adottate.

8.  Per le prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale programmati a livello nazionale o da parte delle università, sono previsti tempi aggiuntivi, ritenuti congrui in relazione alla tipologia di prova e comunque non superiori al 30% in più rispetto a quelli stabiliti per la generalità degli studenti, assicurando altresì l’uso degli strumenti compensativi necessari in relazione al tipo di DSA.

9.  La valutazione degli esami universitari di profitto è effettuata anche tenendo conto delle indicazioni presenti nelle allegate Linee guida. 

Articolo 7  Interventi per la formazione

1.  Le attività di formazione in servizio degli insegnanti e dei dirigenti scolastici, di cui all’art. 4 della Legge 170/2010, riguardano in particolare i seguenti ambiti:

a)  Legge 8 ottobre 2010, n. 170;

b)  caratteristiche delle diverse tipologie di DSA;

c)  principali strumenti per l’individuazione precoce del rischio di DSA;

d)  strategie educativo-didattiche di potenziamento e di aiuto compensativo;

e)  gestione della classe in presenza di alunni con DSA;

f)  forme adeguate di verifica e di valutazione;

g)  indicazioni ed esercitazioni concernenti le misure educative e didattiche di cui all’art. 4;

h)  forme di orientamento e di accompagnamento per il prosieguo degli studi in ambito universitario, dell’alta formazione e dell’istruzione tecnica superiore;

i)  esperienze di studi di caso di alunni con DSA, per implementare buone pratiche didattiche.

2.  Il Ministero predispone appositi piani di formazione - le cui direttive sono riportate nelle allegate Linee guida - anche in convenzione con università, enti di ricerca, società scientifiche, associazioni e servizi sanitari territoriali. In particolare, gli Uffici Scolastici Regionali, fatte salve le convenzioni e le intese già in atto, possono stipulare appositi accordi con le facoltà di Scienze della Formazione, nell’ambito dell’Accordo quadro sottoscritto tra il MIUR e la Conferenza nazionale permanente dei Presidi di Scienze della Formazione, per l’attivazione presso le stesse di corsi di perfezionamento o master in didattica e psicopedagogia per i disturbi specifici di apprendimento, rivolti a docenti e dirigenti scolastici delle scuole di ogni ordine e grado.

3.  In conformità alle norme sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, le medesime possono attivare, in base alle necessità ed alle risorse, interventi formativi in materia.

 

Art. 8  Centri Territoriali di Supporto

1.  Al fine di garantire l’attuazione delle disposizioni contenute nel presente decreto, le Istituzioni scolastiche attivano tutte le necessarie iniziative e misure per assicurare il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con DSA. In particolare, le istituzioni scolastiche possono avvalersi del supporto tecnico-scientifico fornito dalla rete predisposta dal MIUR, anche attraverso i Centri Territoriali di Supporto (CTS) istituiti con il progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”. I CTS possono essere impiegati come centri di consulenza, formazione, collegamento e monitoraggio ed essere interconnessi telematicamente. Gli operatori dei Centri, opportunamente formati, possono a loro volta essere soggetti promotori di azioni di formazione e aggiornamento. 

Art. 9  Gruppo di lavoro nazionale

1.  Con successivo decreto del Ministro è istituito un Gruppo di lavoro nazionale con il compito di monitorare l’attuazione delle norme della Legge 170/2010 e delle disposizioni contenute nel presente decreto, nonché con compiti di supporto tecnico all’attività di coordinamento delle iniziative in materia di DSA. Il suddetto Gruppo di lavoro avrà anche compiti consultivi e propositivi, con particolare riguardo:

-  alla formulazione di eventuali proposte di revisione delle presenti disposizioni e delle allegate Linee guida, sulla base dei progressi della ricerca scientifica, degli esiti dei monitoraggi e dell’evoluzione normativa in materia;

-  alla sperimentazione e innovazione metodologico-didattica e disciplinare.

2.  Le funzioni di Presidente del Gruppo di lavoro nazionale sui DSA sono svolte dal Direttore Generale per lo Studente, la Partecipazione, l’Integrazione e la Comunicazione o da un suo delegato.

3.  Le funzioni di Segreteria tecnica sono svolte dall’Ufficio settimo della Direzione Generale sopracitata.

4.  Ai membri del Gruppo di lavoro nazionale non spetta alcun compenso.

Art. 10  Disapplicazione di precedenti disposizioni in materia

1.  Con l'entrata in vigore del presente Decreto si intendono non più applicabili le disposizioni impartite con la Circolare ministeriale n. 28 del 15 marzo 2007 e con la Nota ministeriale n. 4674 del 10 maggio 2007.

Keywords
#studenti: integrazione e disabilità#studenti: valutazione degli apprendimenti ed esami#dsa #disturbo #apprendimento #personalizzare #lingua #ateneo #dispensa #insegnamento #vistare #didattica
USR LAZIO - Linea Guida - Percorso integrato per la somministrazione dei farmaci in ambito ed orario scolastico 31/01/2018
Prassi, Circolari, Note

PROTOCOLLO D'INTESA TRA MIUR - UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL LAZIO E REGIONE LAZIO
Percorso integrato per la somministrazione dei farmaci
in ambito ed orario scolastico


Il Ministero dell'Istruzione, dell’Università e della Ricerca Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, con sede legale in Roma via Giorgio Ribotta, 41 00144 Roma, Codice Fiscale n. 97248840585, rappresentato dal Direttore Generale Dott. Gildo De Angelis, di seguito indicato come USR Lazio

e

la Regione Lazio, C.F. 80143490581, con sede in Roma, Via Rosa Raimondi Garibaldi n. 7, rappresentata ai fini del presente Protocollo d’Intesa dal:
Segretario Generale della Giunta Regionale pro tempore, con il potere di adozione di atti e di provvedimenti amministrativi
inerenti la Direzione Regionale Salute e Politiche Sociali, Dott. Andrea Tardiola, Direttore della Direzione Regionale formazione, ricerca e innovazione, scuola e università, diritto allo studio della Regione Lazio, Dott.ssa Elisabetta Longo

VISTO il Decreto Ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 “Regolamento recante disposizioni sul pronto soccorso aziendale, in attuazione dell'articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni”;
VISTO il provvedimento del 25 novembre 2005 "Atto di Raccomandazioni contenente le Linee - Guida per la definizione di interventi finalizzati all'assistenza di studenti che necessitano di somministrazione di farmaci in orario scolastico", predisposto dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca d'intesa con il Ministero della Salute;
VISTO il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” e successive modificazioni e integrazioni;
VISTA la Legge 13 luglio 2015, n. 107 “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”;
VISTA la DGR n. 71/2012 "Percorso per favorire l'inserimento a scuola del bambino con diabete. Approvazione delle Linee di indirizzo”;
VISTA la Deliberazione del Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio del 16.02.2017, n. 65 concernente la costituzione per l’anno 2017 del Gruppo di Lavoro Interistituzionale Regionale per l’Integrazione Scolastica (GLIR);
VISTA la richiesta, avanzata dal Presidente del suddetto GLIR, di definire un percorso integrato per la somministrazione dei farmaci in ambito ed orario scolastico;
CONSIDERATO CHE l’essere affetti da una specifica patologia non deve costituire fattore di emarginazione per lo studente;
CONSIDERATO CHE l’assistenza specifica agli alunni che esigono la somministrazione di farmaci si configura generalmente
come attività che non richiede il possesso di cognizioni specialistiche di tipo sanitario, né l'esercizio di discrezionalità tecnica da parte dell'adulto che interviene;
CONSIDERATO CHE tale attività di assistenza specifica agli alunni che esigono la somministrazione di farmaci rientra nel protocollo terapeutico stabilito dal Medico curante, la cui omissione può causare danni alla persona;
CONSIDERATO CHE, nei casi in cui l’assistenza all’alunno debba essere prestata da personale in possesso di cognizioni specialistiche o laddove sia necessario esercitare discrezionalità tecnica, il Distretto sanitario territorialmente competente individuerà le modalità atte a garantire l’assistenza sanitaria qualificata durante l’orario scolastico, predisponendo il Piano di Assistenza Individuale, di concerto con il medico curante dell’alunno, la sua famiglia e la scuola o istituzioni scolastiche e formative;
CONSIDERATO CHE, al fine di regolamentare in modo unitario i percorsi di intervento e di formazione nei casi in cui in
ambito ed orario scolastico si registri la necessità di somministrazione di farmaci;
VISTA infine, la Deliberazione di Giunta Regionale 17 ottobre 2017, n. 649 “Approvazione della proposta di Protocollo d’Intesa “Percorso integrato per la somministrazione dei farmaci in ambito ed orario scolastico” tra Regione Lazio e Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio”;
CONVENGONO QUANTO SEGUE
Art.1 - Oggetto del Protocollo d’intesa
Nel presente Protocollo sono definiti criteri, procedure, competenze, azioni, interventi e responsabilità connessi alle necessità della somministrazione di farmaci agli alunni con p atologie croniche o assimilabili (1) che frequentano le scuole di ogni ordine e grado, comprese le agenzie formative accreditate presso la Regione Lazio, a tutela della salute e della sicurezza in orario scolastico o formativo (2) e della regolare frequenza.
Il presente Protocollo costituisce il quadro di riferimento a livello regionale cui si attengono tutti gli attori coinvolti, ferme restando le procedure già in essere per la somministrazione dei farmaci in caso di malattia diabetica (3).
La premessa e gli allegati n. 1,2,3,4 costituiscono parte essenziale e integrante del presente Protocollo.

Art. 2-Condizioni generali per la somministrazione dei farmaci a scuola
I farmaci a scuola devono essere somministrati soltanto su richiesta scritta dei Genitori o Esercenti la potestà genitoriale sostenuta da prescrizione del Medico curante, in caso di assoluta necessità della somministrazione durante l’orario
scolastico e in assenza di discrezionalità tecnica nella somministrazione.
Qualora la somministrazione dei farmaci sia effettuata da personale scolastico o educativo, è necessario che non sia
richiesto il possesso di abilitazioni specialistiche di tipo sanitario (4).

Art. 3-Soggetti che possono effettuare la somministrazione del farmaco a scuola
A seguito della richiesta scritta dei Genitori o Esercenti la potestà genitoriale, il Dirigente scolastico verifica le condizioni e i soggetti per la somministrazione del farmaco in ambito e orario scolastico, che può essere effettuata:
(a) dai Genitori o Esercenti la potestà genitoriale, se da loro richiesto;
(b) dall’alunno stesso, se maggiorenne, o autorizzato dai Genitori, se minore;
(c) dalle persone che agiscono su delega formale dei Genitori stessi, quali familiari o persone esterne identificate dalla famiglia o personale delle istituzioni scolastiche e formative che abbia e spresso per iscritto la propria disponibilità, e
che sia stato informato sul singolo caso specifico;
(d) dal personale sanitario del SSR, su richiesta d’intervento, in relazione alla particolarità della condizione dell’alunno che non dovesse consentire la somministrazione di farmaci da parte di personale non sanitario.

Art. 4-Carenza delle condizioni per la somministrazione di farmaci in orario scolastico
Nel caso in cui non si rilevino le condizioni per la somministrazione dei farmaci (disponibilità del personale scolastico o educativo, locali,...), il Dirigente scolastico o il Responsabile della struttura formativa ne dà comunicazione ai Genitori o Esercenti la potestà genitoriale nonché alle strutture territoriali di riferimento (Distretto sanitario della ASL ed Ente locale)
per la definizione concordata di un programma d’intervento atto a superare la criticità.

Art.5-Informazione e Formazione
Al personale scolastico o formativo sono rivolti momenti Informativi e Formativi secondo piani di intervento concordati tra ASL territorialmente competenti e Istituzioni scolastiche e formative, anche in rete.
Le iniziative informative e formative generali sono finalizzate a favorire la conoscenza delle più frequenti patologie riscontrabili in ambito scolastico o educativo o formativo e a promuovere la cultura dell’accoglienza nonché a consentire l’acquisizione di conoscenze utili a garantire la sicurezza dell’alunno con determinate condizioni cliniche in relazione ai suoi bisogni.
Alle suddette iniziative partecipano anche le associazioni di tutela (familiari di alunni con specifiche patologie) per garantire l’apporto di contenuti operativi e di corretta relazione con gli alunni.
La formazione in situazione si connota, invece, come formazione rivolta al personale scolastico o educativo individuato per la gestione del singolo caso, quotidiana e/o al bisogno (manifestazioni specifiche della patologia, attenzioni particolari, aspetti
psicologici e relazionali, ecc.); essa è realizzata dal Distretto sanitario, di concerto con il medico curante dell’alunno, su richiesta del Dirigente scolastico o Responsabile struttura formativa e in accordo con i Genitori o Esercenti la potestà genitoriale.

Art.6-Ruolo e Azioni dei Genitori o Esercenti la potestà genitoriale
I G enitori o Esercenti la potestà genitoriale sono i primi responsabili della salute e del benessere del proprio figlio nell’assunzione di tutte le decisioni.
Essi possono chiedere al Dirigente scolastico o Responsabile della struttura formativa:
-di individuare, tra il personale scolastico o formativo, gli incaricati ad effettuare la somministrazione del farmaco;
-di accedere direttamente alle sedi scolastiche per somministrare il farmaco al proprio figlio/a;
-di consentire l’accesso di altri soggetti esterni alla scuola appositamente delegati alla somministrazione del farmaco.
L’azione di delega dei Genitori o Esercenti la potestà genitoriale, nei confronti di altri soggetti presuppone sempre un rapporto di fiducia delegato
- delegante e non esclude, comunque la responsabilità dei Genitori o Esercenti la potestà genitoriale stessi, nella realizzazione degli interventi concordati.
I Genitori o Esercenti la potestà genitoriale:
(a) forniscono tutte le informazioni necessarie e utili alla gestione generale e quotidiana del minore con patologia cronica necessitante di somministrazione di farmaci, in termini di sicurezza, appropriatezza ed efficacia;
(b) depositano presso la scuola uno o più recapiti telefonici dove garantiscono la reperibilità per ogni evenienza;
(c) comunicano tempestivamente ai servizi coinvolti e alla scuola qualsiasi notizia possa riflettersi, in termini di appropriatezza della somministrazione e di ricadute organizzative, producendo le relativa documentazione (es.modifiche del piano terapeutico, assenze del bambino, riduzione dell’orario scolastico o formativo, eventuali cambiamenti di residenza,domicilio,recapiti telefonici,ecc.);
(d) assicurano, concordandola, la loro presenza nella formazione in situazione del personale scolastico o formativo cui è affidata la somministrazione del farmaco al proprio figlio/a;
(e) trasmettono alla scuola, nel caso si rendesse necessario effettuare variazioni estemporanee della terapia somministrata dal personale scolastico o formativo, dichiarazione medica dalla quale si evince l’idoneità dei genitori stessi a variare o
adeguare la terapia, in considerazione del grado di competenza e addestramento raggiunto;
(f) garantiscono la fornitura dei presidi sanitari e/o dei farmaci necessari -in confezione integra e in corso di validità -
nonché la sostituzione tempestiva degli stessi alla data di scadenza;
(g) assicurano direttamente, o attraverso una persona appositamente delegata, la somministrazione nei casi di necessità (ad es. in assenza del personale scolastico o formativo cui è affidato l’intervento).

Art. 7 - Procedura per la somministrazione di farmaci in orario scolastico
7.1. I Genitori o Esercenti la potestà genitoriale di alunni affetti da patologi e croniche o assimilabili presentano al Dirigente scolastico o al Responsabile delle strutture formative la richiesta di accedere direttamente alla sede scolastica per la somministrazione dei farmaci oppure di far accedere persona da loro delegata oppure di individuare ilpersonale scolastico o
formativo per l’effettuazione della prestazione, autorizzandone l’operato e sollevandolo da qualsiasi responsabilità (Allegato 1); la richiesta è sempre accompagnata dalla prescrizione del Medico curante;
7.2. I medici curanti nel rilascio della prescrizione hanno cura di specificare se trattasi di farmaco salvavita o indispensabile;
nella prescrizione essi si attengono ai seguenti criteri:
- assoluta necessità,
- indispensabilità della somministrazione in orario scolastico,
- non discrezionalità di chi somministra il farmaco né in relazione all’individuazione degli eventi in cui occorre somministrare il farmaco, né in relazione ai tempi e modalità di somministrazione e di conservazione del farmaco,
- somministrabilità da parte di personale non sanitario.
Il modulo di prescrizione (Allegato 2) deve contenere esplicitati, in modo chiaramente leggibile, senza possibilità di equivoci
e/o errori:
- nome e cognome dell’alunno
- patologia dell’alunno
- nome commerciale del farmaco
- dose da somministrare e modalità di somministrazione
- modalità di conservazione del farmaco
- durata della terapia
- effetti collaterali
- indicazioni operative per interventi ed eventuali specifiche somministrazioni per la prima gestione delle urgenze prevedibili per le singole patologie croniche
- capacità o meno dell’alunno ad effettuare l’auto-somministrazione del farmaco.
7.3. Il Dirigente scolastico o il Responsabile della struttura formativa verifica la disponibilità del personale (docente e non docente), preferenzialmente quel o individuato ai sensi del D.M. 388/2003 e s.m.i., ad effettuare la somministrazione di farmaci preventivamente consegnati dai Genitori o Esercenti la potestà genitoriale e custoditi a scuola come richiesto dalla famiglia, previa opportuna formazione specifica, effettuata dal Distretto sanitario coinvolgendo anche il Medico curante e la famiglia.
La disponibilità del personale, dichiarata in forma scritta al Dirigente scolastico o al Responsabile della struttura formativa, è
portata a conoscenza dei Genitori o Esercenti la potestà genitoriale.
Il Dirigente scolastico o il Responsabile della struttura formativa si fa garante dell’organizzazione di quanto previsto per la corretta esecuzione ed attuazione della procedura per la somministrazione del farmaco, compresa la tenuta del “registro di somministrazione” relativo alla somministrazione dei farmaci per ciascun alunno ove sia attestata ogni somministrazione e il nome dell’adulto che ha provveduto alla somministrazione o assistito alla medesima.
7.4. Gli Enti Locali, proprietari degli immobili in cui hanno sede le istituzioni scolastiche e formative, individuano di concerto con i rispettivi Dirigenti o Responsabili, in ciascun plesso uno spazio adeguato per consentire la somministrazione dei farmaci in modo riservato e per garantire l’adeguata conservazione degli stessi.
Gli Enti Locali, d’intesa con le Istituzioni scolastiche e formative, valutano con il capitale sociale del territorio, la possibilità di fornire collaborazione in materia di somministrazione di farmaci in ambito e orario scolastico (es. organizzazioni di volontariato, personale sanitario in pensione, ecc.).
7.5. Il Dirigente scolastico o il Responsabile della struttura formativa invia la documentazione al direttore del Distretto della
ASL di riferimento territoriale, includendo le informazioni circa:
-la presenza di un locale per l’effettuazione dell’intervento;
- la destinazione di un locale e/o di appositi spazi idonei per la conservazione dei farmaci e delle attrezzature necessari per l’intervento e della documentazione contenente dati sensibili dell’alunno, nel rispetto della normativa vigente;
- la presenza dell’attrezzatura necessaria (armadietto, frigorifero, ecc.) per la conservazione dei farmaci;
- la richiesta di formazione in situazione del personale scolastico e formativo individuato.
7.6. Il Direttore del Distretto sanitario di competenza territoriale, avvalendosi del personale e delle strutture aziendali competenti in materia, prende accordi con il Dirigente scolastico o con il Responsabile della struttura formativa per la realizzazione della formazione in situazione, nel corso della quale viene compilata e sottoscritta dai vari attori un’apposita scheda (Allegato3).
Il personale delegato è tenuto ad annotare gli interventi eseguiti secondo le specifiche prescrizioni mediche sul “registro di somministrazione” di cui al punto 7.3.
7.7. Il Distretto sanitario di competenza territoriale, di concerto con l’Istituzione scolastica o formativa e l’Ente locale territorialmente competente, definisce e partecipa all’attuazione del Piano di Assistenza Individuale, in caso di alunni con
particolari condizioni cliniche per le quali è opportuno prevedere specifici percorsi di pronto soccorso (ad es. informazione preventiva agli operatori del 118 e del triage).

Art.8-Auto-somministrazione
Qualora l’alunno minorenne abbia raggiunto una parziale autonomia nella gestione della propria terapia farmacologica, i Genitori o Esercenti la potestà genitoriale segnalano la necessità che il personale scolastico o formativo effettui “vigilanza” o
“affiancamento”(5) al minore.
Se viene richiesto l’affiancamento, si applicano le specifiche di cui agli artt. 3, 5 e 7.
Qualora l’alunno minorenne abbia raggiunto una completa autonomia (6) nella gestione della propria terapia farmacologica, i
Genitori o Esercenti la potestà genitoriale ne trasmettono apposita dichiarazione al dirigente scolastico o al Responsabile della struttura formativa.
Lo studente maggiorenne comunica al Dirigente scolastico o al Responsabile della struttura formativa l’auto-somministrazione del farmaco onde consentire la gestione di eventuali situazioni di emergenza (Allegato 4).
Art.9-Gestione dell’emergenza
Nei casi in cui si presenti una situazione di emergenza, resta prescritto il ricorso al Pronto Soccorso. Pertanto l’istituzione scolastica o formativa:
-ricorre al Servizio Emergenza (118)
- informa i Genitori o Esercenti la potestà genitoriale.
Quanto sopra, fatti salvi gli interventi di primo soccorso e quelli per la somministrazione dei farmaci come da protocollo
terapeutico autorizzato dal Medico curante.

Art.10-Integrazione tra diritto alla salute e diritto alla riservatezza
Nell’applicazione del presente Protocollo, il trattamento dei dati personali e sensibili e tutte le azioni connesse alla somministrazione dei farmaci sono eseguiti nel rispetto della D.Lgs. 196/2003 e s.m.i.

Art. 11-Passaggio dell’alunno ad altro Istituto
In caso di passaggio o trasferimento dell’alunno ad altro Istituto o ad altro Comune, il Dirigente scolastico o il Responsabile
della struttura formativa “inviante” comunica alla famiglia che è compito della stessa:
- informare il Dirigente scolastico o il Responsabile della struttura formativa ricevente e il Distretto sanitario del territorio di riferimento;
- fornire la necessaria documentazione.

Art. 12-Monitoraggio
Per verificare la corretta attuazione a livello locale del presente Protocollo d’intesa e l’eventuale necessità di aggiornamento
in relazione a specifiche necessità o in conseguenza di modifiche normative, è prevista un’azione di monitoraggio per valutare:
- entità del fenomeno (quantitativo e qualitativo);
- età degli alunni;
- tipologia di scuole;
- tipologia di formazione erogata al personale scolastico;
- segnalazione di eventuali criticità.
Il coordinamento e il monitoraggio dell’attuazione del presente protocollo è in capo all’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio.

Art. 13- Durata del Protocollo
Il presente Protocollo ha validità tre anni a partire dalla data della firma.
Almeno sei mesi prima della naturale scadenza del primo triennio, le parti si impegnano a verificare i risultati del Protocollo
e a ridefinire eventualmente i termini degli impegni ed il successivo periodo di validità.

Roma,
_________________
REGIONE LAZIO
Il Segretario Generale
Della Giunta Regionale
Dott. Andrea Tardiola
REGIONE LAZIO
Il Direttore Regionale
Formazione, ricerca e innovazione,
scuola e università, diritto allo studio
Dott.ssa Elisabetta Longo
UFFICIO SCOLASTICO
REGIONALE
Il Direttore Generale
Dott. Gildo De Angelis

(1) Patologie croniche o assimilabili = patologie che non guariscono e che richiedono terapie di mantenimento o che, se non trattate, possono comportare manifestazioni acute non prevedibili (ad esempio: asma, allergie, epilessia, fibrosi cistica).
(2) Per orario scolastico s’intende la frequenza scolastica complessiva, comprendente l’orario di lezione come stabilito dagli
ordinamenti scolastici e tutte le attività opzionali/aggiuntive o di ampliamento dell’offerta formativa organizzate dalla scuola o dall’agenzia formativa, che si svolgono sia all’interno che all’esterno degli edifici scolastici (es.: gite scolastiche).
(3) DGR n. 71/2012 “Percorso per favorire l'inserimento a scuola del bambino con diabete". Approvazione delle Linee di indirizzo” e s.m.i.
(4) Cfr. raccomandazioni Ministero dell’Istruzione e Ministero della Salute del 25.11.2005.
(5) Per vigilanza si intende la sorveglianza generica sull’avvenuta auto-somministrazione da parte dell’alunno, l’affiancamento comprende, invece, anche il controllo delle modalità della sua esecuzione.
(6) Il momento della raggiunta completa autonomia del minore nell’auto-somministrazione del farmaco deriverà dalla valutazione congiunta della famiglia, del medico curante e/o specialista di riferimento.

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#studenti: somministrazione farmaci#scuola e salute#farmaco #alunno #esercente #orario #genitore #protocollo #potestà #personale #struttura #dirigente
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Linea Guida - PIANO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE AL RISPETTO 27/10/2017
Prassi, Circolari, Note

RISPETTA LE DIFFERENZE

PIANO NAZIONALE PER L’EDUCAZIONE AL RISPETTO

MIUR

INTRODUZIONE

Il “Piano nazionale per l’educazione al rispetto” è finalizzato a promuovere nelle istituzioni scolastiche

di ogni ordine e grado un insieme di azioni educative e formative volte ad assicurare l’acquisizione e lo sviluppo di competenze trasversali, sociali e civiche, che rientrano nel più ampio concetto di educazione alla cittadinanza attiva e globale.

L’impianto complessivo del Piano è ispirato ai principi espressi dall’art. 3 della Carta Costituzionale.

Il Piano promuoverà azioni specifiche per un uso consapevole del linguaggio e per la diffusione della

cultura del rispetto, con l’obiettivo di arrivare a un reale superamento delle disuguaglianze e dei pregiudizi,

coinvolgendo le studentesse e gli studenti, le e i docenti, le famiglie.

Il Piano nazionale per l’educazione al rispetto rappresenta l’avvio di un percorso di sensibilizzazione attiva e

trasversale in continua crescita e sviluppo con la collaborazione di tutto il mondo della scuola.

 

 

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione; di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

 

E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

 

Articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana

 

 

LE AZIONI DEL PIANO NAZIONALE PER L’EDUCAZIONE EDUCAZIONE AL RISPETTO

IL PORTALE NOISIAMOPARI.IT

 

In occasione del lancio del Piano nazionale per l’educazione al rispetto partirà il rinnovo e l’ampliamento del portale www.noisiamopari.it, realizzato dal MIUR per raccogliere contributi, materiali didattici e proposte di nuovi percorsi formativi pensati per le insegnanti e gli insegnanti, per le studentesse e gli studenti e per le famiglie, con la finalità di avviare attività di contrasto agli stereotipi e alle discriminazioni. Il portale sarà anche un utile strumento per la condivisione di buone pratiche proposte dalle istituzioni scolastiche e

dalle associazioni aderenti ai Forum e agli Osservatori istituzionali istituiti presso il MIUR.

 

LINEE GUIDA NAZIONALI (ART. 1 COMMA 16 L. 107/2015)

 

Messe a punto da un gruppo di lavoro istituito presso il MIUR, le Linee guida previste dal comma 16 art. 1 della legge 107/2015 per promuovere nelle scuole “l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le altre discriminazioni” sono un documento di indirizzo che fornirà alle scuole spunti di riflessione per approfondire i valori e principi per una corretta “educazione al rispetto” ispirati dall’art. 3 della Costituzione.

Le scuole, nel rispetto della propria autonomia, saranno chiamate, attraverso un percorso di condivisione

interna e a seguito di un aperto confronto con tutta la comunità scolastica, ad integrare il loro Piano Triennale

dell’Offerta Formativa in ragione dei principi guida della parità tra i sessi, del contrasto alla violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione, proprio come prevede il comma 16 della legge 107/2015.

 

LINEE DI ORIENTAMENTO PER LA PREVENZIONE E IL CONTRASTO AL CYBERBULLISMO

 

In attuazione della legge n. 71/2017 recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, il MIUR adotta le Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo.

Il documento ha lo scopo di dare continuità alle Linee Guida già emanate nell’aprile del 2015, apportando

le integrazioni e le modifiche necessarie in linea con i recenti interventi normativi.

Le Linee Guida saranno uno strumento flessibile e aggiornabile per rispondere alle nuove sfide educative e

pedagogiche legate alla costante e veloce evoluzione delle nuove tecnologie.

Al MIUR spetta il coordinamento delle diverse azioni di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyber bullismo nelle scuole, in sinergia con gli Enti e le Istituzioni previsti dalla legge n.71/2017.

Il portale di riferimento del MIUR per le azioni di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo è: www.generazioniconnesse.it. Sul portale saranno pubblicati anche i materiali di supporto per le docenti e i docenti referenti per il contrasto del bullismo e del cyber bullismo individuati presso le singole istituzioni scolastiche.

 

PROMOZIONE DELL’EDUCAZIONE AL RISPETTO NELLE SCUOLE

 

Saranno messi a disposizione delle scuole 5,9 milioni di euro. Di questi, 5 milioni saranno risorse a valere sul

PON “Per la Scuola” 2014-2020 per la promozione e la realizzazione di iniziative sull’educazione al rispetto, con il coinvolgimento di almeno 200 scuole che potranno rappresentare una rete permanente di riferimento su questi temi.

Altri 900.000 euro saranno inseriti nel decreto per l’ampliamento dell’offerta formativa (ex legge 440) per

azioni finalizzate al superamento delle disuguaglianze e dei pregiudizi.

Le scuole saranno chiamate a programmare interventi innovativi per l’attuazione delle indicazioni fornite dal

Piano nazionale per l’educazione al rispetto.

 

CALENDARIO DELLE RELIGIONI

 

Il 4 Ottobre di ogni anno viene celebrata la “Giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse”. Inoltre, con la legge n. 110/2015 la Repubblica Italiana ha riconosciuto, nella medesima giornata, il «Giorno del dono», quale momento di riflessione “al fine di offrire ai cittadini l’opportunità di acquisire una maggiore consapevolezza del contributo che le scelte e le attività donative possono recare alla crescita della società italiana, ravvisando in esse una forma di impegno e di partecipazione nella quale i valori primari della libertà e della solidarietà affermati dalla Costituzione trovano un’espressione altamente degna di essere riconosciuta e promossa”.

Anche per questa ragione, è stato realizzato “Il calendario del Dialogo e delle feste delle Comunità”, per una scuola aperta e democratica e, come tale, in grado di assicurare la convivenza di culture diverse e di cooperazione per  arrivare alla reciproca conoscenza e al senso di comune appartenenza.

Il calendario è disponibile sul sito www.noisiamopari.it.

 

LOTTA AL DISCORSO D’ODIO

 

Il 14 settembre 2017 il MIUR ha siglato il Protocollo d’intesa con l’ATS Parole Ostili, per promuovere una

cultura della Rete non ostile, finalizzata a una maggiore consapevolezza dell’utilizzo degli strumenti digitali per la costruzione di un vero e proprio diritto alla cittadinanza digitale.

L’obiettivo è quello di sviluppare congiuntamente iniziative di sensibilizzazione sui temi della  comunicazione non ostile e di promozione di una cittadinanza digitale attiva e consapevole, attraverso la realizzazione di specifici momenti formativi rivolti alle docenti e ai docenti, alle studentesse e agli studenti sul territorio nazionale.

Per favorire il percorso di riflessione sul tema dell’odio online, il MIUR, d’intesa con la Camera dei deputati, ha emanato, per l’anno scolastico 2017/2018, il bando di concorso nazionale “La Camera e i giovani contro i fenomeni d’odio”, rivolto alle scuole secondarie di secondo grado.

Dallo scorso anno il MIUR, in collaborazione con la Delegazione italiana presso l’Assemblea del Consiglio

d’Europa, ha avviato un’azione di sensibilizzazione e informazione sul tema dell’istigazione all’odio online

promuovendo in tutte le scuole secondarie di secondo grado la conoscenza e l’approfondimento dei contenuti

del Vademecum, sintesi del lavoro edito dal Consiglio d’Europa “No hate speech”.

 

FORMAZIONE DOCENTI

 

Il Piano prevede un’azione specifica per la formazione del personale docente sulle tematiche relative al superamento delle diseguaglianze e dei pregiudizi: vengono stanziati 3 milioni di euro per la formazione di almeno una docente o un docente per ciascuna scuola. Le risorse sono a valere sul PON “Per la Scuola” 2014-2020.

 

DISTRIBUZIONE DELLA COSTITUZIONE NELLE SCUOLE

 

In raccordo con le iniziative per le celebrazioni dei 70 anni dall’entrata in vigore della Costituzione Italiana,

al fine di divulgarne e promuoverne i valori fondanti di democrazia, libertà, solidarietà e pluralismo culturale, il MIUR, in accordo con il Quirinale e con il Senato della Repubblica, curerà la distribuzione di una copia del testo alle studentesse e agli studenti delle Istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.

Ma non solo, il MIUR ha sottoscritto molteplici Accordi e Protocolli d’intesa con le principali Istituzioni e gli Enti di riferimento per trasmettere a tutta la comunità scolastica i valori fondanti della nostra Carta Costituzionale.

Tutti i Protocolli sono disponibili su: www.miur.gov.it e www.noisiamopari.it.

 

OSSERVATORI NAZIONALI

 

Al fine di monitorare, integrare e rafforzare il “Piano nazionale per l’educazione al rispetto” con ulteriori

interventi, il MIUR si avvarrà del lavoro di una serie di Osservatori costituiti da rappresentanti di Enti,

Istituzioni e Associazioni impegnati nel promuovere politiche di inclusione.

Gli Osservatori attivati sono: l’Osservatorio per l’integrazione degli alunni stranieri e l’intercultura,

l’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica e l’Osservatorio nazionale per il monitoraggio e la

promozione delle iniziative in ambito educativo e formativo sui temi della parità tra i sessi e della violenza contro le donne.

A questi si aggiunge il costante confronto su tutte le tematiche proposte con il Forum nazionale delle

associazioni degli studenti e dei genitori.

 

VERSO UN NUOVO PATTO DI CORRESPONSABILITA’ EDUCATIVA

 

È stato istituito presso il MIUR un gruppo di lavoro con l’obiettivo di potenziare la rappresentanza di studentesse, studenti e famiglie nella vita della scuola.

Inoltre, a 10 anni dall’emanazione del primo Patto di Corresponsabilità, istituito con il DPR 235/2007, il

prossimo 21 novembre sarà presentato il testo di modifica del medesimo DPR e condiviso con tutta la comunità scolastica il nuovo “Patto di Corresponsabilità Educativa” per rinsaldare il rapporto tra la scuola e la famiglia e per assicurare la massima partecipazione alla vita della scuola da parte di tutte le componenti della comunità scolastica.

 

RISPETTA LE DIFFERENZE

LA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE

 

Nell’ambito della presentazione del Piano nazionale per l’educazione al rispetto verrà lanciata la campagna di sensibilizzazione “Rispetta le differenze” che, partendo dall’articolo 3 della Costituzione, vuole affermare con forza l’uguaglianza tra tutte le studentesse e gli studenti e il rispetto delle loro differenze.

Alcune delle azioni comunicative della campagna di sensibilizzazione saranno:

• video realizzato con le studentesse e gli studenti dell’IC “Via N.M. Nicolai” di Roma in collaborazione con il laboratorio teatrale integrale Piero Gabrielli;

• contributi video di testimonial;

• campagna social con relativi materiali (cartoline, infografiche, video) che partirà dalla diffusione e dal

rilancio dell’hashtag #rispettaledifferenze;

• utilizzo del portale www.noisiamopari.it come piattaforma di riferimento del Piano.

La campagna di sensibilizzazione verrà diffusa sui canali di comunicazione del Ministero dell’Istruzione,

dell’Università e della Ricerca e su quelli dei partner che aderiranno all’iniziativa.

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#studenti: bullismo e cyberbullismo#miur #educazione #scuola #piano #rispetto #osservatorio #contrasto #studentessa #studente #azione
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Obblighi di pubblicazione per i Dirigenti scolastici: le nuove Linee Guida ANAC
Comunicazione ANAC inerente gli obblighi di pubblicazione per i Dirigenti scolastici di cui all’art. 14 del D.Lgs. 33/2013.
L'ANAC ha fornito indicazioni sugli obblighi di pubblicazione per i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali
Keywords
#anac #obblighi
Aggiornamento dati Alternanza scuola-lavoro
Comunicazione MIUR inerente l'aggiornamento dei dati dei percorsi di Alternanza scuola-lavoro.
Il MIUR ha comunicato che a partire dal 23 maggio sono attive sulla Piattaforma per la gestione dell'alternanza scuola-lavoro le funzioni per la comunicazione dei dati a consuntivo per l'anno scolastico in corso
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Alunno con disabilità: la sua documentazione può essere trasmessa allo specialista privato che lo segue?

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