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Offese rivolte a un docente durante un corso di formazione online: accesso agli atti e procedimento disciplinare...

 23/04/2021
 Personale docente
 
Accesso atti: indagini e investigazioni difensive

#pbb #procedimento #formatore #docente #avvocato #scrivere #ruggine #accesso #istigare #offendere #epiteto
Domanda
Un docente (A) ne ha offeso (senza esser stato minimamente istigato) un altro (B) pubblicamente durante un corso di formazione online su xxx, continuando con epiteti del tipo "xxx" per qualche minuto ad audio e telecamere aperte (il tutto sulla base di "ruggini" antecedenti di sei mesi….. Il DS non era presente in nessuna delle due occasioni).
Il docente B mi chiede per iscritto di fare qualcosa come DS e si riserva vie legali (anche se mi ha detto di persona che preferirebbe non adire in tal senso).
Il DS chiede relazione sui fatti al formatore che teneva il corso ed al docente A con posta certificata e numero di protocollo (testo: xxxxxxxxxxx).
Il docente A, resosi probabilmente conto di aver ecceduto, va dal suo avvocato, che gli fa chiedere accesso agli atti per sapere cosa ha scritto il docente B e premette che risponderà al sottoscritto solo dopo aver ricevuto quanto richiesto e averlo sottoposto al suo avvocato.
a- Devo garantire accesso anche in questa fase in cui non ho ancora iniziato alcun procedimento ?
b- E’ mio diritto come datore di lavoro, e visto che il fatto si è svolto durante l’orario di servizio, avere comunque una relazione scritta sui fatti da parte del docente A, indipendentemente da quanto mi ha scritto o mi dovesse scrivere il docente B?
c- Cosa potrei scrivergli e a quali normative potrei appellarmi per ottenere comunque quanto al punto b) senza del quale ogni mia iniziativa sarebbe inibita o quasi?
Risposta
Per quanto riguarda il quesito sub a): in base all’art. 22, c. 1, lettera d), legge n. 241/1990, per "documento amministrativo" si intende ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.
La richiesta rivolta dal docente B costituisce dunque documento ai sensi della disposizione citata: anche se in questo momento non fa parte di uno specifico procedimento, essa concerne un’attività di pubblico interesse poiché – a quanto si evince – segnala comportamenti di un collega potenzialmente rilevanti sul piano disciplinare.
Si consiglia dunque di consentire l’accesso agli atti richiesto dal docente A. Del resto, la giurisprudenza sostiene che si possa procedere all’oscuramento del nominativo del “segnalante” quando vi è il pericolo di comportamenti ritorsivi da parte del segnalato: in questo caso, una simile cautela sembra inutile, posto che il docente A pare già conoscere l’esistenza di un documento redatto dal docente B e chiede l’accesso proprio ad esso.
Per quanto riguarda i quesiti sub b) e c): a fronte della possibilità di ottenere elementi istruttori – in vista dell’avvio di un procedimento disciplinare – sia da parte del docente B che del formatore presente nel momento in cui si è verificato l’episodio oggetto del quesito, non pare opportuno pretendere chiarimenti scritti dal dipendente. Quest’ultimo infatti si trova in qualche modo a “difendersi” da addebiti non definiti (perché non puntualmente contestati) senza le garanzie del procedimento disciplinare (l’audizione con l’assistenza di un avvocato o di un rappresentante sindacale).
In altri termini, a fronte degli elementi già acquisiti (richiesta del docente B) e di quelli che lo possono essere (relazione del formatore), il dirigente scolastico avrebbe potuto operare una valutazione circa la necessità di avviare un procedimento disciplinare oppure no. Nel primo caso, il docente A avrebbe conosciuto con esattezza quali fatti gli venivano addebitati e avrebbe potuto difendersi pienamente, nel corso di un’audizione convocata con almeno 20 giorni di preavviso e con l’assistenza di un avvocato o di un rappresentante sindacale. Così, invece, il dipendente non sa cosa aspettarsi poiché si è al di fuori dell’alveo segnato dall’art. 55-bis D.Lgs. n. 165/2001 e, rispondendo alla richiesta di chiarimenti scritti, potrebbe vedere pregiudicato il proprio diritto di difesa in un successivo eventuale procedimento disciplinare. Rispondendo alla richiesta del dirigente scolastico al di fuori di questo infatti, “cristallizzerebbe” una ricostruzione dei fatti che poi potrebbe risultare difficile superare nel successivo procedimento.
Il datore di lavoro può chiedere chiarimenti ai propri dipendenti, i quali sono tenuti a prestargli la loro collaborazione (obbligo insito, questo, secondo la giurisprudenza nell’obbligo di diligenza di cui all’art. 2104 c.c.). Nel caso in questione, tuttavia, si sconsiglia di imporlo, magari a mezzo di ordine di servizio, per i motivi sopra illustrati. Si suggerisce anzi, se se ne ravvisano gli estremi, di avviare tempestivamente un procedimento disciplinare. Se invece detti estremi non sono rinvenibili, si consiglia comunque di non insistere nella richiesta di chiarimenti al docente A, là dove questi non adempia volontariamente.
Non è vero, infatti, che in loro assenza, il dirigente non può intraprendere alcuna iniziativa. Si ripete che bastano gli elementi rinvenibili nelle relazioni dei presenti (in particolare il docente offeso e il formatore) per comprendere se è necessario esercitare l’azione disciplinare oppure no. Sarà all'interno del procedimento disciplinare, eventualmente avviato, che il docente coinvolto darà i suoi chiarimenti.
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Approfondimenti

Decreto del Presidente della Repubblica 16/04/2013 n° 62 Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Normativa

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l'articolo 87, quinto comma, della Costituzione;

Visto l'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche";

Visto, in particolare, l'articolo 54 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come sostituito dall'articolo 1, comma 44, della legge 6 novembre 2012, n. 190, che prevede l'emanazione di un Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico;

Visto il decreto del Ministro per la funzione pubblica 28 novembre 2000, recante "Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile 2001;

Vista l'intesa intervenuta in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nella seduta del 7 febbraio 2013;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'Adunanza del 21 febbraio 2013;

Ritenuto di non poter accogliere le seguenti osservazioni contenute nel citato parere del Consiglio di Stato con le quali si chiede: di estendere, all'articolo 2, l'ambito soggettivo di applicazione del presente Codice a tutti i pubblici dipendenti, in considerazione del fatto che l'articolo 54 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come modificato dall'articolo 1, comma 44, della legge n. 190 del 2012, trova applicazione soltanto ai pubblici dipendenti il cui rapporto di lavoro è regolato contrattualmente; di prevedere, all'articolo 5, la valutazione, da parte dell'amministrazione, della compatibilità dell'adesione o dell'appartenenza del dipendente ad associazioni o ad organizzazioni, in quanto, assolto l'obbligo di comunicazione da parte del dipendente, l'amministrazione non appare legittimata, in via preventiva e generale, a sindacare la scelta associativa; di estendere l'obbligo di informazione di cui all'articolo 6, comma 1, ai rapporti di collaborazione non retribuiti, in considerazione del fatto che la finalità della norma è quella di far emergere solo i rapporti intrattenuti dal dipendente con soggetti esterni che abbiano risvolti di carattere economico; di eliminare, all'articolo 15, comma 2, il passaggio, agli uffici di disciplina, anche delle funzioni dei comitati o uffici etici, in quanto uffici non più previsti dalla vigente normativa;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dell'8 marzo 2013;

Sulla proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione;

Emana

il seguente regolamento:

Art. 1  Disposizioni di carattere generale

1.  Il presente codice di comportamento, di seguito denominato "Codice", definisce, ai fini dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare.

2.  Le previsioni del presente Codice sono integrate e specificate dai codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni ai sensi dell'articolo 54, comma 5, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001.

Art. 2  Ambito di applicazione

1.  Il presente codice si applica ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il cui rapporto di lavoro è disciplinato in base all'articolo 2, commi 2 e 3, del medesimo decreto.

2.  Fermo restando quanto previsto dall'articolo 54, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le norme contenute nel presente codice costituiscono principi di comportamento per le restanti categorie di personale di cui all'articolo 3 del citato decreto n. 165 del 2001, in quanto compatibili con le disposizioni dei rispettivi ordinamenti.

3.  Le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta previsti dal presente codice a tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché nei confronti dei collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione. A tale fine, negli atti di incarico o nei contratti di acquisizioni delle collaborazioni, delle consulenze o dei servizi, le amministrazioni inseriscono apposite disposizioni o clausole di risoluzione o decadenza del rapporto in caso di violazione degli obblighi derivanti dal presente codice.

4.  Le disposizioni del presente codice si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto delle attribuzioni derivanti dagli statuti speciali e delle relative norme di attuazione, in materia di organizzazione e contrattazione collettiva del proprio personale, di quello dei loro enti funzionali e di quello degli enti locali del rispettivo territorio.

Art. 3  Principi generali

1.  Il dipendente osserva la Costituzione, servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. Il dipendente svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l'interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui è titolare.

2.  Il dipendente rispetta altresì i principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e agisce in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi.

3.  Il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione. Prerogative e poteri pubblici sono esercitati unicamente per le finalità di interesse generale per le quali sono stati conferiti.

4.  Il dipendente esercita i propri compiti orientando l'azione amministrativa alla massima economicità, efficienza ed efficacia. La gestione di risorse pubbliche ai fini dello svolgimento delle attività amministrative deve seguire una logica di contenimento dei costi, che non pregiudichi la qualità dei risultati.

5.  Nei rapporti con i destinatari dell'azione amministrativa, il dipendente assicura la piena parità di trattamento a parità di condizioni, astenendosi, altresì, da azioni arbitrarie che abbiano effetti negativi sui destinatari dell'azione amministrativa o che comportino discriminazioni basate su sesso, nazionalità, origine etnica, caratteristiche genetiche, lingua, religione o credo, convinzioni personali o politiche, appartenenza a una minoranza nazionale, disabilità, condizioni sociali o di salute, età e orientamento sessuale o su altri diversi fattori.

6.  Il dipendente dimostra la massima disponibilità e collaborazione nei rapporti con le altre pubbliche amministrazioni, assicurando lo scambio e la trasmissione delle informazioni e dei dati in qualsiasi forma anche telematica, nel rispetto della normativa vigente.

Art. 4  Regali, compensi e altre utilità

1.  Il dipendente non chiede, nè sollecita, per sè o per altri, regali o altre utilità.

2.  Il dipendente non accetta, per sè o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore effettuati occasionalmente nell'ambito delle normali relazioni di cortesia e nell'ambito delle consuetudini internazionali. In ogni caso, indipendentemente dalla circostanza che il fatto costituisca reato, il dipendente non chiede, per sè o per altri, regali o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti all'ufficio, nè da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell'ufficio ricoperto.

3.  Il dipendente non accetta, per sè o per altri, da un proprio subordinato, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore. Il dipendente non offre, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità a un proprio sovraordinato, salvo quelli d'uso di modico valore.

4.  I regali e le altre utilità comunque ricevuti fuori dai casi consentiti dal presente articolo, a cura dello stesso dipendente cui siano pervenuti, sono immediatamente messi a disposizione dell'Amministrazione per la restituzione o per essere devoluti a fini istituzionali.

5.  Ai fini del presente articolo, per regali o altre utilità di modico valore si intendono quelle di valore non superiore, in via orientativa, a 150 euro, anche sotto forma di sconto. I codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni possono prevedere limiti inferiori, anche fino all'esclusione della possibilità di riceverli, in relazione alle caratteristiche dell'ente e alla tipologia delle mansioni.

6.  Il dipendente non accetta incarichi di collaborazione da soggetti privati che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all'ufficio di appartenenza.

7.  Al fine di preservare il prestigio e l'imparzialità dell'amministrazione, il responsabile dell'ufficio vigila sulla corretta applicazione del presente articolo.

Art. 5  Partecipazione ad associazioni e organizzazioni

1.  Nel rispetto della disciplina vigente del diritto di associazione, il dipendente comunica tempestivamente al responsabile dell'ufficio di appartenenza la propria adesione o appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell'attività dell'ufficio. Il presente comma non si applica all'adesione a partiti politici o a sindacati.

2.  Il pubblico dipendente non costringe altri dipendenti ad aderire ad associazioni od organizzazioni, nè esercita pressioni a tale fine, promettendo vantaggi o prospettando svantaggi di carriera.

Art. 6  Comunicazione degli interessi finanziari e conflitti d'interesse

1.  Fermi restando gli obblighi di trasparenza previsti da leggi o regolamenti, il dipendente, all'atto dell'assegnazione all'ufficio, informa per iscritto il dirigente dell'ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni, precisando:

a)  se in prima persona, o suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione;

b)  se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o decisioni inerenti all'ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate.

2.  Il dipendente si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall'intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici.

Art. 7  Obbligo di astensione

1.  Il dipendente si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza.

Art. 8  Prevenzione della corruzione

1.  Il dipendente rispetta le misure necessarie alla prevenzione degli illeciti nell'amministrazione. In particolare, il dipendente rispetta le prescrizioni contenute nel piano per la prevenzione della corruzione, presta la sua collaborazione al responsabile della prevenzione della corruzione e, fermo restando l'obbligo di denuncia all'autorità giudiziaria, segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell'amministrazione di cui sia venuto a conoscenza.

 

Art. 9  Trasparenza e tracciabilità

1.  Il dipendente assicura l'adempimento degli obblighi di trasparenza previsti in capo alle pubbliche amministrazioni secondo le disposizioni normative vigenti, prestando la massima collaborazione nell'elaborazione, reperimento e trasmissione dei dati sottoposti all'obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale.

2.  La tracciabilità dei processi decisionali adottati dai dipendenti deve essere, in tutti i casi, garantita attraverso un adeguato supporto documentale, che consenta in ogni momento la replicabilità.

Art. 10  Comportamento nei rapporti privati

1.  Nei rapporti privati, comprese le relazioni extralavorative con pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni, il dipendente non sfrutta, nè menziona la posizione che ricopre nell'amministrazione per ottenere utilità che non gli spettino e non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all'immagine dell'amministrazione.

Art. 11  Comportamento in servizio

1.  Fermo restando il rispetto dei termini del procedimento amministrativo, il dipendente, salvo giustificato motivo, non ritarda nè adotta comportamenti tali da far ricadere su altri dipendenti il compimento di attività o l'adozione di decisioni di propria spettanza.

2.  Il dipendente utilizza i permessi di astensione dal lavoro, comunque denominati, nel rispetto delle condizioni previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi.

3.  Il dipendente utilizza il materiale o le attrezzature di cui dispone per ragioni di ufficio e i servizi telematici e telefonici dell'ufficio nel rispetto dei vincoli posti dall'amministrazione. Il dipendente utilizza i mezzi di trasporto dell'amministrazione a sua disposizione soltanto per lo svolgimento dei compiti d'ufficio, astenendosi dal trasportare terzi, se non per motivi d'ufficio.

Articolo 11 bis Utilizzo delle tecnologie informatiche (1)

1. L'amministrazione, attraverso i propri responsabili di struttura, ha facoltà di svolgere gli accertamenti necessari e adottare ogni misura atta a garantire la sicurezza e la protezione dei sistemi informatici, delle informazioni e dei dati. Le modalità di svolgimento di tali accertamenti sono stabilite mediante linee guida adottate dall'Agenzia per l'Italia Digitale, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. In caso di uso di dispositivi elettronici personali, trova applicazione l'articolo 12, comma 3-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

2. L'utilizzo di account istituzionali è consentito per i soli fini connessi all'attività lavorativa o ad essa riconducibili e non può in alcun modo compromettere la sicurezza o la reputazione dell'amministrazione. L'utilizzo di caselle di posta elettroniche personali è di norma evitato per attività o comunicazioni afferenti il servizio, salvi i casi di forza maggiore dovuti a circostanze in cui il dipendente, per qualsiasi ragione, non possa accedere all'account istituzionale.

3. Il dipendente è responsabile del contenuto dei messaggi inviati. I dipendenti si uniformano alle modalità di firma dei messaggi di posta elettronica di servizio individuate dall'amministrazione di appartenenza. Ciascun messaggio in uscita deve consentire l'identificazione del dipendente mittente e deve indicare un recapito istituzionale al quale il medesimo è reperibile.

4. Al dipendente è consentito l'utilizzo degli strumenti informatici forniti dall'amministrazione per poter assolvere alle incombenze personali senza doversi allontanare dalla sede di servizio, purché l'attività sia contenuta in tempi ristretti e senza alcun pregiudizio per i compiti istituzionali.

5. È vietato l'invio di messaggi di posta elettronica, all'interno o all'esterno dell'amministrazione, che siano oltraggiosi, discriminatori o che possano essere in qualunque modo fonte di responsabilità dell'amministrazione.

(1) Articolo inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera a) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

Articolo 11 ter Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media (1)

1. Nell'utilizzo dei propri account di social media, il dipendente utilizza ogni cautela affinché le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza.

2. In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale.

3. Al fine di garantirne i necessari profili di riservatezza le comunicazioni, afferenti direttamente o indirettamente il servizio non si svolgono, di norma, attraverso conversazioni pubbliche mediante l'utilizzo di piattaforme digitali o social media. Sono escluse da tale limitazione le attività o le comunicazioni per le quali l'utilizzo dei social media risponde ad una esigenza di carattere istituzionale.

4. Nei codici di cui all'articolo 1, comma 2, le amministrazioni si possono dotare di una "social media policy" per ciascuna tipologia di piattaforma digitale, al fine di adeguare alle proprie specificità le disposizioni di cui al presente articolo. In particolare, la "social media policy" deve individuare, graduandole in base al livello gerarchico e di responsabilità del dipendente, le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni.

5. Fermi restando i casi di divieto previsti dalla legge, i dipendenti non possono divulgare o diffondere per ragioni estranee al loro rapporto di lavoro con l'amministrazione e in difformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 33, e alla legge 7 agosto 1990, n. 241, documenti, anche istruttori, e informazioni di cui essi abbiano la disponibilità.

(1) Articolo inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera a) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023

Art. 12  Rapporti con il pubblico

1. Il dipendente in rapporto con il pubblico si fa riconoscere attraverso l'esposizione in modo visibile del badge od altro supporto identificativo messo a disposizione dall'amministrazione, salvo diverse disposizioni di servizio, anche in considerazione della sicurezza dei dipendenti, opera con spirito di servizio, correttezza, cortesia e disponibilita' e, nel rispondere alla corrispondenza, a chiamate telefoniche e ai messaggi di posta elettronica, opera nella maniera piu' completa e accurata possibile e, in ogni caso, orientando il proprio comportamento alla soddisfazione dell'utente. Qualora non sia competente per posizione rivestita o per materia, indirizza l'interessato al funzionario o ufficio competente della medesima amministrazione. Il dipendente, fatte salve le norme sul segreto d'ufficio, fornisce le spiegazioni che gli siano richieste in ordine al comportamento proprio e di altri dipendenti dell'ufficio dei quali ha la responsabilita' od il coordinamento. Nelle operazioni da svolgersi e nella trattazione delle pratiche il dipendente rispetta, salvo diverse esigenze di servizio o diverso ordine di priorita' stabilito dall'amministrazione, l'ordine cronologico e non rifiuta prestazioni a cui sia tenuto con motivazioni generiche. Il dipendente rispetta gli appuntamenti con i cittadini e risponde senza ritardo ai loro reclami.(1)

2. Salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell'amministrazione o che possano nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale.(2)

3. Il dipendente che svolge la sua attivita' lavorativa in un'amministrazione che fornisce servizi al pubblico cura il rispetto degli standard di qualita' e di quantita' fissati dall'amministrazione anche nelle apposite carte dei servizi. Il dipendente opera al fine di assicurare la continuita' del servizio, di consentire agli utenti la scelta tra i diversi erogatori e di fornire loro informazioni sulle modalita' di prestazione del servizio e sui livelli di qualita'.

4. Il dipendente non assume impegni ne' anticipa l'esito di decisioni o azioni proprie o altrui inerenti all'ufficio, al di fuori dei casi consentiti. Fornisce informazioni e notizie relative ad atti od operazioni amministrative, in corso o conclusi, nelle ipotesi previste dalle disposizioni di legge e regolamentari in materia di accesso, informando sempre gli interessati della possibilita' di avvalersi anche dell'Ufficio per le relazioni con il pubblico. Rilascia copie ed estratti di atti o documenti secondo la sua competenza, con le modalita' stabilite dalle norme in materia di accesso e dai regolamenti della propria amministrazione.

5. Il dipendente osserva il segreto d'ufficio e la normativa in materia di tutela e trattamento dei dati personali e, qualora sia richiesto oralmente di fornire informazioni, atti, documenti non accessibili tutelati dal segreto d'ufficio o dalle disposizioni in materia di dati personali, informa il richiedente dei motivi che ostano all'accoglimento della richiesta. Qualora non sia competente a provvedere in merito alla richiesta cura, sulla base delle disposizioni interne, che la stessa venga inoltrata all'ufficio competente della medesima amministrazione.

(1) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera b), numero 1 del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

(2) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera b), numero 1 del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

Art. 13  Disposizioni particolari per i dirigenti

1. Ferma restando l'applicazione delle altre disposizioni del Codice, le norme del presente articolo si applicano ai dirigenti, ivi compresi i titolari di incarico ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 e dell'articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ai soggetti che svolgono funzioni equiparate ai dirigenti operanti negli uffici di diretta collaborazione delle autorita' politiche, nonche' ai funzionari responsabili di posizione organizzativa negli enti privi di dirigenza.

2. Il dirigente svolge con diligenza le funzioni ad esso spettanti in base all'atto di conferimento dell'incarico, persegue gli obiettivi assegnati e adotta un comportamento organizzativo adeguato per l'assolvimento dell'incarico.

3. Il dirigente, prima di assumere le sue funzioni, comunica all'amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possano porlo in conflitto di interessi con la funzione pubblica che svolge e dichiara se ha parenti e affini entro il secondo grado, coniuge o convivente che esercitano attivita' politiche, professionali o economiche che li pongano in contatti frequenti con l'ufficio che dovra' dirigere o che siano coinvolti nelle decisioni o nelle attivita' inerenti all'ufficio. Il dirigente fornisce le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e le dichiarazioni annuali dei redditi soggetti all'imposta sui redditi delle persone fisiche previste dalla legge.

4. Il dirigente assume atteggiamenti leali e trasparenti e adotta un comportamento esemplare , in termini di integrità, imparzialità, buona fede e correttezza, parità di trattamento, equità, inclusione e ragionevolezza e imparziale nei rapporti con i colleghi, i collaboratori e i destinatari dell'azione amministrativa. Il dirigente cura, altresi', che le risorse assegnate al suo ufficio siano utilizzate per finalita' esclusivamente istituzionali e, in nessun caso, per esigenze personali(1).

4-bis. Il dirigente cura la crescita professionale dei collaboratori, favorendo le occasioni di formazione e promuovendo opportunità di sviluppo interne ed esterne alla struttura di cui è responsabile(2)

5. Il dirigente cura, compatibilmente con le risorse disponibili, il benessere organizzativo nella struttura a cui è preposto, favorendo l'instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori, nonché di relazioni, interne ed esterne alla struttura, basate su una leale collaborazione e su una reciproca fiducia e assume iniziative finalizzate alla circolazione delle informazioni, all'inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere, di età e di condizioni personali.(3)

6. Il dirigente assegna l'istruttoria delle pratiche sulla base di un'equa ripartizione del carico di lavoro, tenendo conto delle capacita', delle attitudini e della professionalita' del personale a sua disposizione. Il dirigente affida gli incarichi aggiuntivi in base alla professionalita' e, per quanto possibile, secondo criteri di rotazione.

7. Il dirigente svolge la valutazione del personale assegnato alla struttura cui e' preposto con imparzialita' e rispettando le indicazioni ed i tempi prescritti , misurando il raggiungimento dei risultati ed il comportamento organizzativo.(4)

8. Il dirigente intraprende con tempestivita' le iniziative necessarie ove venga a conoscenza di un illecito, attiva e conclude, se competente, il procedimento disciplinare, ovvero segnala tempestivamente l'illecito all'autorita' disciplinare, prestando ove richiesta la propria collaborazione e provvede ad inoltrare tempestiva denuncia all'autorita' giudiziaria penale o segnalazione alla corte dei conti per le rispettive competenze. Nel caso in cui riceva segnalazione di un illecito da parte di un dipendente, adotta ogni cautela di legge affinche' sia tutelato il segnalante e non sia indebitamente rilevata la sua identita' nel procedimento disciplinare, ai sensi dell'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001.

9. Il dirigente, nei limiti delle sue possibilita', evita che notizie non rispondenti al vero quanto all'organizzazione, all'attivita' e ai dipendenti pubblici possano diffondersi. Favorisce la diffusione della conoscenza di buone prassi e buoni esempi al fine di rafforzare il senso di fiducia nei confronti dell'amministrazione.

(1) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

(2) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 2) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

(3)  Comma sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 3) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

(4)  Comma sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 4) del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

 

Art. 14  Contratti ed altri atti negoziali

1.  Nella conclusione di accordi e negozi e nella stipulazione di contratti per conto dell'amministrazione, nonché nella fase di esecuzione degli stessi, il dipendente non ricorre a mediazione di terzi, nè corrisponde o promette ad alcuno utilità a titolo di intermediazione, nè per facilitare o aver facilitato la conclusione o l'esecuzione del contratto. Il presente comma non si applica ai casi in cui l'amministrazione abbia deciso di ricorrere all'attività di intermediazione professionale.

2.  Il dipendente non conclude, per conto dell'amministrazione, contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento o assicurazione con imprese con le quali abbia stipulato contratti a titolo privato o ricevuto altre utilità nel biennio precedente, ad eccezione di quelli conclusi ai sensi dell'articolo 1342 del codice civile. Nel caso in cui l'amministrazione concluda contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento o assicurazione, con imprese con le quali il dipendente abbia concluso contratti a titolo privato o ricevuto altre utilità nel biennio precedente, questi si astiene dal partecipare all'adozione delle decisioni ed alle attività relative all'esecuzione del contratto, redigendo verbale scritto di tale astensione da conservare agli atti dell'ufficio.

3.  Il dipendente che conclude accordi o negozi ovvero stipula contratti a titolo privato, ad eccezione di quelli conclusi ai sensi dell'articolo 1342 del codice civile, con persone fisiche o giuridiche private con le quali abbia concluso, nel biennio precedente, contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento ed assicurazione, per conto dell'amministrazione, ne informa per iscritto il dirigente dell'ufficio.

4.  Se nelle situazioni di cui ai commi 2 e 3 si trova il dirigente, questi informa per iscritto il dirigente apicale responsabile della gestione del personale.

5.  Il dipendente che riceva, da persone fisiche o giuridiche partecipanti a procedure negoziali nelle quali sia parte l'amministrazione, rimostranze orali o scritte sull'operato dell'ufficio o su quello dei propri collaboratori, ne informa immediatamente, di regola per iscritto, il proprio superiore gerarchico o funzionale.

Art. 15  Vigilanza, monitoraggio e attività formative

1. Ai sensi dell'articolo 54, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, vigilano sull'applicazione del presente Codice e dei codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni, i dirigenti responsabili di ciascuna struttura, le strutture di controllo interno e gli uffici etici e di disciplina.

2. Ai fini dell'attivita' di vigilanza e monitoraggio prevista dal presente articolo, le amministrazioni si avvalgono dell'ufficio procedimenti disciplinari istituito ai sensi dell'articolo 55-bis, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che svolge, altresi', le funzioni dei comitati o uffici etici eventualmente gia' istituiti.

3. Le attivita' svolte ai sensi del presente articolo dall'ufficio procedimenti disciplinari si conformano alle eventuali previsioni contenute nei piani di prevenzione della corruzione adottati dalle amministrazioni ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 6 novembre 2012, n. 190. L'ufficio procedimenti disciplinari, oltre alle funzioni disciplinari di cui all'articolo 55-bis e seguenti del decreto legislativo n. 165 del 2001, cura l'aggiornamento del codice di comportamento dell'amministrazione, l'esame delle segnalazioni di violazione dei codici di comportamento, la raccolta delle condotte illecite accertate e sanzionate, assicurando le garanzie di cui all'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001. Il responsabile della prevenzione della corruzione cura la diffusione della conoscenza dei codici di comportamento nell'amministrazione, il monitoraggio annuale sulla loro attuazione, ai sensi dell'articolo 54, comma 7, del decreto legislativo n. 165 del 2001, la pubblicazione sul sito istituzionale e della comunicazione all'Autorita' nazionale anticorruzione, di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 6 novembre 2012, n. 190, dei risultati del monitoraggio. Ai fini dello svolgimento delle attivita' previste dal presente articolo, l'ufficio procedimenti disciplinari opera in raccordo con il responsabile della prevenzione di cui all'articolo 1, comma 7, della legge n. 190 del 2012.

4. Ai fini dell'attivazione del procedimento disciplinare per violazione dei codici di comportamento, l'ufficio procedimenti disciplinari puo' chiedere all'Autorita' nazionale anticorruzione parere facoltativo secondo quanto stabilito dall'articolo 1, comma 2, lettera d), della legge n. 190 del 2012.

5. Al personale delle pubbliche amministrazioni sono rivolte attivita' formative in materia di trasparenza e integrita', che consentano ai dipendenti di conseguire una piena conoscenza dei contenuti del codice di comportamento, nonche' un aggiornamento annuale e sistematico sulle misure e sulle disposizioni applicabili in tali ambiti.

5-bis. Le attività di cui al comma 5 includono anche cicli formativi sui temi dell'etica pubblica e sul comportamento etico, da svolgersi obbligatoriamente, sia a seguito di assunzione, sia in ogni caso di passaggio a ruoli o a funzioni superiori, nonché di trasferimento del personale, le cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità.(1)

6. Le Regioni e gli enti locali, definiscono, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, le linee guida necessarie per l'attuazione dei principi di cui al presente articolo.

7. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni provvedono agli adempimenti previsti nell'ambito delle risorse umane, finanziarie, e strumentali disponibili a legislazione vigente.

(1) Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera d), del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

Art. 16  Responsabilità conseguente alla violazione dei doveri del codice

1.  La violazione degli obblighi previsti dal presente Codice integra comportamenti contrari ai doveri d'ufficio. Ferme restando le ipotesi in cui la violazione delle disposizioni contenute nel presente Codice, nonché dei doveri e degli obblighi previsti dal piano di prevenzione della corruzione, dà luogo anche a responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile del pubblico dipendente, essa è fonte di responsabilità disciplinare accertata all'esito del procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni.

2.  Ai fini della determinazione del tipo e dell'entità della sanzione disciplinare concretamente applicabile, la violazione è valutata in ogni singolo caso con riguardo alla gravità del comportamento ed all'entità del pregiudizio, anche morale, derivatone al decoro o al prestigio dell'amministrazione di appartenenza. Le sanzioni applicabili sono quelle previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi, incluse quelle espulsive che possono essere applicate esclusivamente nei casi, da valutare in relazione alla gravità, di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 4, qualora concorrano la non modicità del valore del regalo o delle altre utilità e l'immediata correlazione di questi ultimi con il compimento di un atto o di un'attività tipici dell'ufficio, 5, comma 2, 14, comma 2, primo periodo, valutata ai sensi del primo periodo. La disposizione di cui al secondo periodo si applica altresì nei casi di recidiva negli illeciti di cui agli articoli 4, comma 6, 6, comma 2, esclusi i conflitti meramente potenziali, e 13, comma 9, primo periodo. I contratti collettivi possono prevedere ulteriori criteri di individuazione delle sanzioni applicabili in relazione alle tipologie di violazione del presente codice.

3.  Resta ferma la comminazione del licenziamento senza preavviso per i casi già previsti dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi.

4.  Restano fermi gli ulteriori obblighi e le conseguenti ipotesi di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti previsti da norme di legge, di regolamento o dai contratti collettivi.

 

Art. 17  Disposizioni finali e abrogazioni

1. Le amministrazioni danno la piu' ampia diffusione al presente decreto, pubblicandolo sul proprio sito internet istituzionale e nella rete intranet, nonche' trasmettendolo tramite e-mail a tutti i propri dipendenti e ai titolari di contratti di consulenza o collaborazione a qualsiasi titolo, anche professionale, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione dei vertici politici dell'amministrazione, nonche' ai collaboratori a qualsiasi titolo, anche professionale, di imprese fornitrici di servizi in favore dell'amministrazione. L'amministrazione, contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro o, in mancanza, all'atto di conferimento dell'incarico, consegna e fa sottoscrivere ai nuovi assunti, con rapporti comunque denominati, copia del codice di comportamento.

2. Le amministrazioni danno la piu' ampia diffusione ai codici di comportamento da ciascuna definiti ai sensi dell'articolo 54, comma 5, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001 secondo le medesime modalita' previste dal comma 1 del presente articolo.

2-bis. Alle attività di cui al presente decreto le amministrazioni provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o ulteriori oneri a carico della finanza pubblica(1).

3. Il decreto del Ministro per la funzione pubblica in data 28 novembre 2000 recante "Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile 2001, e' abrogato.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

(1) Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera e), del D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in vigore dal 14 luglio 2023.

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Studenti e azione disciplinare: la sanzione è illegittima se manca il contraddittorio a difesa - T.A.R. LOMBARDIA - MILANO - Sezione Terza Sentenza 13/06/2018 n° 1494
Giurisprudenza
Nella irrogazione delle sanzioni disciplinari a carico degli studenti, la scuola deve rispettare l’art. 4, terzo comma, del d.P.R. 24 giugno 1998, n. 249 (Regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria) che stabilisce espressamente che "Nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni". E' pertanto illegittima l'irrogazione della sanzione disciplinare dell'ammonizione scritta irrogata senza avere la scuola previamente inviato all’interessata alcuna contestazione degli addebiti e non avendo, a maggior ragione, provveduto ad acquisire, nel corso del procedimento, le ragioni dell’incolpata. (Nel caso di specie, si trattava di ammonizione scritta correlata nel Regolamento di disciplina della scuola all'uso di telefoni cellulari, registratori e riproduttori audio-video o attrezzature informatiche in assenza di autorizzazione del docente. Evidenzia il T.A.R: "Va poi osservato, da un punto di vista sostanziale, che la sanzione è stata applicata in quanto l’alunna è risultata essere protagonista di un breve filmato, poi postato sui social network. Come osservato in sede cautelare, l’Amministrazione ha però omesso di accertare se la ricorrente fosse consenziente all’effettuazione delle riprese ed alla successiva pubblicazione del video. Elementi questi che avrebbero dovuto e potuto essere accertati acquisendo innanzitutto, in sede procedimentale, una ricostruzione dei fatti dalla diretta interessata. E’ pertanto opinione del Collegio che l’omessa attivazione delle garanzia partecipative non sia risolta in una violazione meramente formale, ma abbia anche determinato una insufficiente ricostruzione fattuale della vicenda, ciò che costituisce una ulteriore causa di illegittimità del provvedimento sanzionatorio avversato". La sentenza, come la coeva sentenza del T.A.R. Lazio n. 6557/2018##798L, consente di confermare che i principi generali del procedimento amministrativo di cui alla L. n. 241/1990 - obbligo di contraddittorio procedimentale e obbligo di motivazione- valgono anche per l'azione disciplinare nei confronti degli studenti, in quanto azione di natura amministrativa).
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Licenziamento disciplinare: sono valutabili dal giudice gli atti assunti nel corso delle indagini preliminari - Corte di Cassazione - Lavoro Sentenza 02/03/2017 n° 5317
Giurisprudenza
Nel procedimento disciplinare, la comunicazione al dipendente dell'atto sanzionatorio, per sua natura recettizio, si colloca al di fuori del procedimento medesimo, riguardando esclusivamente la fase, successiva, di perfezionamento e di efficacia nei confronti del destinatario della sanzione medesima, e non assume rilievo ai fini del rispetto dell'anzidetto termine di decadenza. Infatti, la normativa sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, di cui agli artt. 55 bis e seguenti del D.Lgs. n. 165 del 2001, non prevede che la sanzione debba essere portata a conoscenza dell'interessato entro il termine di decadenza, per cui l'effetto impeditivo si produce con la formazione dell'atto, a prescindere dalla sua successiva comunicazione. Nell'accertamento della sussistenza di determinati fatti e della loro idoneità a costituire giusta causa di licenziamento, il giudice del lavoro può fondare il suo convincimento sugli atti assunti nel corso delle indagini preliminari, ivi comprese le intercettazioni telefoniche, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, giacchè la parte può sempre contestare, nell'ambito del giudizio civile, i fatti acquisiti in sede penale. (Nel caso di specie la Corte di Cassazione, nel confermare la sentenza della Corte di Appello, ha ritenuto tempestiva l' adozione della sanzione disciplinare, rilevando che l'UPD aveva acquisito la notizia il 27 aprile 2012 ed aveva irrogato il licenziamento il 23 agosto 2012, nel rispetto, quindi, del termine perentorio di legge, non avendo a tal fine rilievo la data della successiva comunicazione all'interessato).
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E' diffamazione e non ingiuria aggravata l'invio di una missiva a contenuto denigratorio ad una pluralità di destinatari - Corte di Cassazione - Penale Sentenza 10/10/2016 n° 42771
Giurisprudenza
La missiva a contenuto diffamatorio diretta ad una pluralità di destinatari non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, ma quello di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa. Non è invocabile l’esimente di cui all’art. 598 c.p. nell’ipotesi in cui le espressioni denigratorie, rivolte nei confronti di una docente a seguito di un sinistro stradale causato dall’imputata, siano contenute in una lettera, indirizzata dall’imputata stessa all’istituto scolastico e alla compagnia assicuratrice nell’ambito della procedura di risarcimento danni, al fine di offrire la propria ricostruzione dei fatti. Tale esimente, applicazione del più generale principio di cui all’art. 51 c.p. e riconducibile al diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., secondo la quale non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunziati dalle parti o dai loro patrocinatori innanzi alla autorità giudiziaria, non è applicabile al caso di specie in quanto l’istituto scolastico è intervenuto quale parte in causa, e non come autorità amministrativa, così come parte in causa è la compagnia assicuratrice, la quale, società di diritto privato, è certamente priva di qualsivoglia funzione amministrativa.
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Tribunale BOLOGNA - Lavoro Sentenza 29/09/2010 n° 334
Giurisprudenza
La normativa applicabile alla sanzione della censura, irrogata nel 2007 nei confronti di un docente di diritto iscritto all’albo degli avvocati, per avere assunto la difesa in giudizio di una insegnante in un procedimento penale in cui l’amministrazione scolastica era parte offesa (ancorchè non costituita), va rintracciata negli articoli da 492 a 508 del d.lgs. 297/1994 e, per effetto del rinvio contenuto nell’articolo 507, negli articoli da 78 a 123 del d.P.R. 3/1957. Tale conclusione è evincibile dal testo dell’articolo 55 d.lgs. 165/2001, vigente prima della modifica ad esso apportata dal d.lgs. 150/2009, e dall’articolo 91 del CCNL Scuola 2007. Inoltre, occorre considerare che le norme contenute nel d.P.R. 3/1957 hanno cessato di avere efficacia a seguito della sottoscrizione del CCNL Scuola 1994-1997 limitatamente al personale ATA e, dunque, con esclusione dei docenti. La tempestività dell’avvio dell’iter disciplinare rispetto alla notizia del fatto va intesa in senso relativo, dovendo aversi riguardo alla complessità della struttura organizzativa dell’Amministrazione datrice di lavoro e alla esigenza di pervenire ad una più completa ed esauriente conoscenza dei fatti possibile. Stante l’inapplicabilità dell’art. 55 d.lgs. 165/2001 e l’operatività, invece, dell’art. 101 del d.p.r. 3/1957, nel caso di specie non doveva farsi luogo alla convocazione del dipendente, ma, come correttamente accaduto, ad un procedimento semplificato in cui il contraddittorio è scritto. La ratio dell’art. 1 comma 56-bis l. 662/1996 è quella di evitare il formarsi di situazioni di conflitto, in particolare, con riguardo all’attività forense, tra l’esigenza di difesa della parte privata, da un lato, e gli obblighi di lealtà e fedeltà gravanti sui dipendenti pubblici, dall’altro. La norma in questione va interpretata nel senso che, dovendo prevalere l’interesse pubblico alla lealtà dei dipendenti della PA, sono vietate le situazioni di conflitto anche solo potenziali, nelle quali l’assunzione della difesa può pregiudicare l’interesse di cui la PA è portatrice. (In applicazione dei principi sopra esposti è stata ritenuta tempestiva la contestazione a distanza di circa tre mesi da quando la PA ebbe formale comunicazione che il dipendente aveva assunto la difesa dell’insegnante imputato. Inoltre, per quanto sopra riferito, il termine finale per la conclusione del procedimento è stato individuato in quello indicato dall’art. 120 del d.P.R. 3/1957, vale a dire “novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto”. In senso conforme Corte d'Appello di Bologna sentenza 648/2014##399L334)
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Corte di Cassazione - Lavoro Sentenza 09/01/2017 n° 209
Giurisprudenza
A seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici, essendo divenuto inapplicabile l'art. 117 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (cfr. allegato a, sub VI, "Scuola", del d.lgs. n. 165 del 2001), che stabiliva il divieto di avvio di un procedimento disciplinare in pendenza di quello penale, all'amministrazione è data facoltà in ogni tempo di scegliere se avviare il procedimento disciplinare o attendere l'esito del giudizio penale (v., Cass., n. 9458 del 2009). Nella vigenza del regime di pubblico impiego "privatizzato" la regola è costituita dalla possibilità -e non più dall'obbligo- di attendere l'esito del processo penale in ordine all'accertamento dei fatti prima di avviare il procedimento disciplinare, così come è facoltà dell'Amministrazione sospendere il procedimento già avviato in attesa dell'esito del giudizio penale: una volta optato per l'attesa dell'esito definitivo, la fattispecie resta regolata dalla stessa disciplina contrattuale per tutta la durata del procedimento, senza che possa incidere sulla situazione così determinatasi il sopravvenire delle nuove regole introdotte dal d.lgs. 150 del 2009, che non prevedono una disciplina transitoria. Ne segue che deve trovare applicazione il generale principio per cui i procedimenti sono regolati dalla normativa del tempo in cui gli atti sono posti in essere, non esclusa, ovviamente, quella che consentiva di differire la contestazione disciplinare all'esito del giudizio penale (cfr. Cass. n. 21032 del 2006). La disciplina procedurale dettata dal d.lgs. 150 del 2009, che, all'art. 55-ter (rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale), ha definitivamente soppresso la regola della pregiudizialità penale in favore di quella della autonomia dei due procedimenti, prevedendo che il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, "è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale" si applica a tutti i fatti disciplinarmente rilevanti per i quali la notizia dell'infrazione sia acquisita dagli organi dell'azione disciplinare dopo l'entrata in vigore della riforma, ossia dal 16 novembre 2009 e restano regolati dalla disciplina previgente al d.lgs. n. 150 del 2009 i casi in cui la notizia dell'infrazione è stata acquisita anteriormente. In tema di licenziamento per giusta causa, anche in materia di pubblico impiego contrattualizzato è da escludere qualunque sorta di automatismo a seguito dell'accertamento dell'illecito disciplinare, sussistendo l'obbligo per il giudice di valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, e, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta (In applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la legittimità del licenziamento in presenza di fatti specificamente indicati connotati da grave disvalore disciplinare morale e sociale, tale da non potersi ipotizzabire l'eventuale futuro affidamento di minori per finalità di istruzione, educazione, vigilanza e custodia).
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Nel consiglio di classe il docente sottoposto a procedimento disciplinare si deve astenere sul voto in condotta - Corte di Cassazione - Penale Sentenza 20/04/2018 n° 17913
Giurisprudenza
In un collegio perfetto tutti debbono poter esprimere le proprie valutazioni, senza che nessuno si assenti. In sede di consiglio di docenti l'esigenza della partecipazione riguarda il contributo specifico del singolo professore nella disciplina di competenza, che altrimenti verrebbe a mancare. Pertanto, un conto è l'impossibilità di omettere il voto di matematica o italiano, laddove l'unico a poterlo esprimere è l'insegnante di quella materia; ben altro è il voto concernente la condotta dello studente, su cui tutti possono interloquire senza pretese di esclusività. Ne consegue, in ordine alla configurabilità del delitto di abuso d'ufficio, l'obbligo di astensione di un docente allorchè il medesimo non rilevi semplicemente come membro di un organo collegiale perfetto, tale da poter assumere atti formali alla necessaria presenza di tutti i suoi componenti, ma anche come membro che sapeva di essere sottoposto a procedimenti disciplinari, od almeno immaginava a ragion veduta che ciò sarebbe inevitabilmente accaduto di lì a poco. (La fattispecie oggetto della Sentenza concerne il procedimento inerente un docente di disegno di liceo artistico aduso a comportamenti con allusioni sessuali nei confronti delle alunne, fino ad avere egli stesso tratteggiato il profilo di un fallo a mo' di commento sul disegno di una ragazza Il suddetto episodio aveva portato non solo alla denuncia penale, ma anche all'apertura del procedimento disciplinare nei confronti del docente il quale, successivamente, aveva omesso di astenersi in occasione degli scrutini del primo quadrimestre proponendo nella circostanza di assegnare la votazione di "6" in condotta a una diversa allieva che, sul foglio del suddetto disegno, aveva scritto l'epiteto di "pervertito" rivolto a lui. All'esito della discussione, tuttavia, alla studentessa il Consiglio dava la votazione di 7 in condotta. Ad avviso della Cassazione si configura il reato di tentativo di abuso d'ufficio nella condotta del docente non già perchè, quale protagonista di un episodio suscettibile di valutazione nei riguardi di una studentessa, egli non potesse dire la propria, al limite per riferirne doverosamente ai colleghi; ma, appunto in relazione alla specifica iniziativa da lui intrapresa in occasione degli scrutini con tanto di proposta di un inusitato e certamente rarissimo "6" in condotta, perchè l'obiettivo era quello di strumentalizzare l'operato del consiglio, al fine di ottenere un deliberato utile alle sue ragioni; tentativo poi non riuscito perche il Collegio si è espresso in maniera difforme rispetto alla sua proposta).
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T.A.R. TORINO - Sezione Seconda Sentenza 27/11/2015 n° 1642
Giurisprudenza
I giudici amministrativi hanno ritenuto corretto il giudizio di non ammissione alla classe successiva (con insufficienza in quattro materie) dello studente affetto da disturbi dell’apprendimento (DSA), in favore del quale la scuola aveva approntato gli strumenti compensativi e dispensativi previsti dalla normativa vigente. Infatti, i giudizi espressi dai docenti di non promozione alla classe successiva sono connotati da discrezionalità tecnica, poiché il livello di maturità e preparazione raggiunto dai singoli alunni costituisce espressione di una valutazione rimessa dalla legge al suddetto organo collegiale, il cui giudizio riflette le specifiche competenze da esso possedute: pertanto, al giudice amministrativo spetta esclusivamente di verificare se il procedimento, a conclusione del quale tale giudizio è stato formulato, sia conforme al parametro normativo ovvero ai criteri deliberati previamente dal collegio stesso e non risulti inficiato da vizi di manifesta illogicità, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti. In caso di studente affetto da disturbi specifici dell’apprendimento la scuola è tenuta ad adottare appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione, in modo da garantire il recupero e lo sviluppo degli apprendimenti, e deve altresì garantire, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto concerne gli esami di Stato. Tuttavia, tali misure non sono finalizzate a creare percorsi immotivatamente facilitati, che non conducono al reale successo formativo degli studenti con disturbo; esse, inoltre, debbono essere sempre calibrate in vista dell'effettiva incidenza del disturbo sulle prestazioni richieste, in modo tale da non differenziare, in ordine agli obiettivi, il percorso di apprendimento dell'alunno o dello studente in questione. Per tali ragioni, la valutazione degli insegnanti deve, correttamente, discriminare fra ciò che è espressione diretta del disturbo e ciò che esprime l'impegno dell'allievo e le conoscenze effettivamente acquisite.
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Azione disciplinare e dimissioni del dipendente antecedenti all'avvio del procedimento - Corte di Cassazione - Lavoro Sentenza 24/08/2016 n° 17307
Giurisprudenza
Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 9, prevede che nelle ipotesi di sospensione cautelare dal servizio e di infrazione disciplinare di natura e gravità tale da giustificare il licenziamento, l'azione disciplinare nei confronti del dipendente dimessosi debba essere iniziata e/o proseguita, nel rispetto dei termini di cui allo stesso art. 55 bis, non rilevando che le dimissioni siano intervenute in epoca antecedente all'avvio del procedimento. Infatti, sussiste per l'Amministrazione la necessità di accertare se sussista o meno la responsabilità disciplinare per impedire, in caso di accertamento positivo, che il dipendente dimessosi possa essere riammesso in servizio, possa partecipare a successivi concorsi pubblici o possa fare valere il rapporto dì impiego come titolo per il conferimento di incarichi da parte della P.A.. Non rileva, inoltre, in alcun modo il motivo per il quale la facoltà di recesso sia stata esercitata dal dipendente, poichè la Pubblica Amministrazione ha il potere/dovere di accertarne la responsabilità, ai fini di cui sopra, non solo quando le dimissioni siano state strumentalmente presentate per evitare l'iniziativa disciplinare, ma anche nella ipotesi in cui le determinazioni del singolo prescindano da detto intento.
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Il genitore che denigra e diffama ripetutamente l'insegnante deve risarcire i danni - Corte di Cassazione - Sezione Terza Ordinanza 12/04/2018 n° 9059
Giurisprudenza
In presenza di una pluralità di fatti storici, ciascuno portatore di una propria, singola valenza indiziaria, il giudice non può procedere alla relativa valutazione attraverso un procedimento logico di scomposizione atomistica di ciascuno di essi, per poi svalutarne, singolarmente e frammentatamente, la relativa efficacia dimostrativa. Secondo tali principi va valutata la condotta denigratoria di un genitore nei confronti di un'insegnante allorchè questa si dipani diacronicamente attraverso una serie di atti e comportamenti univocamente e pervicacemente intesi a ledere l'onore, il prestigio e la stessa dignità dell'insegnante. Ciò premesso, le conseguenze, gravissime, della condotta tenuta da un genitore — quali l'essere stata l'insegnante sottoposta a visita psichiatrica; l'essere stata imputata di gravi reati; l'essere stata sospesa dal servizio; l'essere stata trasferita ad altra sede - le cui accuse si sono poi dissolte in una pronuncia del giudice penale di insussistenza dei fatti contestati non sono scriminate né sminuite, né dalla circostanza che anche altri soggetti avrebbero contribuito alla verificazione degli eventi né dalla accertata diacronia delle condotte - il cui dipanarsi nel tempo costituisce non una scriminante ma, di converso, un aggravante della condotta stessa - né tantomeno da una dimensione collettiva e pubblica dei fatti, ovvero dalla autonoma risonanza che la vicenda avrebbe assunto con lo scorrere del tempo. (Nel caso di specie la Suprema Corte, in riforma dei precedenti gradi di giudizio, ha affermato la responsabilità di un genitore per aver violato la reputazione, l'onore e la dignità di una insegnante. Più specificamente il genitore, nel corso di una riunione e alla presenza di altri genitori, l’aveva descritta come “mostro” e “soggetto poco raccomandabile”. Il genitore, inoltre, aveva inviato numerose lettere alla direttrice didattica dell’Istituto, in cui attribuiva all’insegnante comportamenti particolarmente gravi nei confronti dei bambini. L’insegnante aveva anche ricevuto un fax a firma dell'alunno, anche se evidentemente attribuibile al genitore, contenente accuse pesanti: infatti il bambino accusava la maestra di avergli dato del pazzo, di averlo umiliato di fronte agli altri bambini, di essere bugiarda e di dire le parolacce. In conseguenza delle reiterate affermazioni diffamatorie, la docente era stata sottoposta sia a valutazione psichiatrica medico-legale che a procedimento penale per i reati di cui agli artt. 572 e 582 c.p. - reati da cui era stata poi assolta per insussistenza del fatto. Nel corso di tale procedimento, era stata sottoposta alla misura interdittiva della sospensione dal pubblico servizio e sempre a causa di tali vicende, cui era stato dato ampio risalto anche da parte della stampa locale, era stata trasferita d'ufficio in un'altra sede. La Suprema Corte ha altresì affermato che in sede di rinvio la Corte di Appello dovrà procedere alla liquidazione del danno sul piano equitativo, valutando tutte le circostanze emerse nel corso del giudizio, che hanno inevitabilmente cagionato un grave e duraturo sentimento, sul piano sia emotivo che relazionale, di disistima, di vergogna e di sofferenza nel soggetto leso).
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Corte di Appello EMILIA ROMAGNA - BOLOGNA - Lavoro Sentenza 15/05/2014 n° 648
Giurisprudenza
Alla sanzione disciplinare della censura applicata nel 2007 nei confronti di un docente, non si applica l’art. 55 del d.lgs. 165/2001 stante il disposto dell’art. 72 del medesimo decreto, che fa decorrere l’effetto disapplicativo degli articoli da 100 a 123 del DPR 3/57 dalla stipulazione dei Contratti Collettivi di settore, e dell’art. 91 del CCNL, all’epoca dei fatti vigente, che prevede la perdurante applicazione al personale educativo e docente del titolo I capo IV parte III del d.lgs. 297/94. La tempestività dell’avvio dell’iter disciplinare rispetto alla notizia del fatto va intesa in senso relativo, dovendo aversi riguardo alla complessità della struttura organizzativa dell’Amministrazione datrice di lavoro e alla esigenza di pervenire ad una più completa ed esauriente conoscenza dei fatti possibile. Il divieto per i dipendenti pubblici iscritti in albi professionali di assumere il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una PA non viene meno nell’ipotesi in cui la PA non si costituisca nel relativo giudizio, essendo sufficiente un interesse che possa legittimare la presenza della PA stessa nel procedimento patrocinato dal dipendente. (Trattasi di fattispecie risalente ad epoca anteriore all'entrata in vigore della l. 150/2009 e concernente un docente di diritto iscritto all’albo degli avvocati, che aveva assunto la difesa in giudizio di una dirigente scolastica per fatti riguardanti l’esercizio delle pubbliche funzioni presso una scuola pubblica.)
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L'accettazione della supplenza, da parte dei docenti individuati, non può essere subordinata a condizioni o riserve - Corte di Cassazione - Lavoro Ordinanza 13/03/2018 n° 6050
Giurisprudenza
Ai sensi dell'art. 8 del D.M. 13.6.2007, n. 131 il docente, una volta accettata la supplenza, ha l'obbligo di prendere immediato servizio presso la scuola di destinazione, allo scopo di consentire il rapido svolgimento delle procedure di copertura dei posti ed il regolare avvio dell'anno scolastico. Infatti, la normativa regolamentare, proprio perché finalizzata a garantire la tempestiva copertura dei posti vacanti, non ammette che l'accettazione della supplenza possa essere subordinata a condizioni o a riserve ed in tal senso deve essere interpretato il comma 4 dell'art. 3 del suddetto D.M. nella parte in cui richiama «l'accettazione in forma scritta e priva di riserve» e dalla stessa fa derivare la definitività delle operazioni di conferimento. Pertanto, la riserva risulta essere logicamente incompatibile con un sistema nel quale sono tutti predeterminati dalla fonte regolamentare i casi in cui è consentito al docente di rinunciare o di non accettare l'incarico senza subire conseguenze pregiudizievoli, casi che pacificamente non ricorrono nella fattispecie. In tal senso il comma 4 dell'art. 8, deve essere interpretato tenendo conto della giuridica impossibilità di condizionare l'accettazione, sicché «i giustificati motivi suffragati da obiettiva documentazione» vanno ravvisati solo in presenza di circostanze oggettive che prescindono dalla volontà del docente, perché altrimenti si finirebbe per introdurre per altra via la possibilità di un'accettazione condizionata e ne risulterebbe compromessa l'intera funzionalità del sistema. Inoltre, la giuridica impossibilità per il supplente di condizionare l'accettazione o la rinuncia, non può essere ritenuta lesiva del diritto di difesa del docente che sia stato illegittimamente estromesso dal conferimento di altro incarico, perché resta impregiudicata la possibilità di agire in giudizio a tutela dei propri diritti e di ottenere, in caso di fondatezza dell'azione, il risarcimento del danno ed il riconoscimento a fini giuridici dell'incarico illegittimamente non attribuito. ( Nel caso di specie una docente aveva scelto autonomamente di rinunciare alla supplenza conferita da un Istituto Tecnico confidando nel buon esito di altra iniziativa giudiziaria sebbene, come ribadito dalla Cassazione, il provvedimento cautelare emesso in fase sommaria ed inaudita altera parte non fosse idoneo a far sorgere alcuna legittima aspettativa, in quanto la sua efficacia risulta per legge temporalmente limitata al breve arco temporale compreso fra l'adozione del decreto e l'udienza prevista dall'art. 669 sexies cod.proc. civ.)
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Contratti della PA: ammesso il rinnovo automatico se è previsto espressamente salvo disdetta - Corte di Cassazione - Sezione Terza Sentenza 10/06/2005 n° 12323
Giurisprudenza
La volontà di obbligarsi della P.A. non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l'atto scritto " ad substantiam", e pertanto nei confronti di essa non è configurabile il rinnovo tacito del contratto né rileva, per la formazione del contratto stesso, un mero comportamento concludente, anche se protrattosi per anni. Tuttavia, quando la rinnovazione dell'originario contratto stipulato in forma scritta sia prevista da apposita clausola e sia subordinata al mancato invio della disdetta del contratto entro un termine prestabilito, la rinnovazione tacita a mezzo dell'omesso invio della disdetta deve reputarsi ammissibile, in quanto la previsione della clausola per un verso non elude la necessità della forma scritta e, per altro verso, attesa la predeterminazione della durata del periodo di rinnovazione, consente agli organi della P.A. di considerare l'opportunità di disdire o meno nel termine contrattuale il contratto stesso. Massima ufficiale (Nella specie, la Corte di Cassazione ha escluso che potesse invocarsi a sostegno della pattuizione della rinnovazione tacita una clausola della convenzione stipulata tra il privato e la p.a. nella quale si prevedeva la possibilità di disdire la convenzione con effetto immediato a giudizio insindacabile dell'ente pubblico competente per territorio, in quanto tale clausola non prevedeva il tacito rinnovo ma, al contrario, la facolta della p.a. di sciogliersi unilateralmente dal contratto anche prima della scadenza concordata).
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#appalti e contratti pubblici (in generale)#convenzione #arricchimento #domanda #albergo #implicito #verso #prefettura #riproporre #manifestare #tacitare
T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI - Sezione Quarta Sentenza 29/06/2011 n° 3480
Giurisprudenza
in base al combinato disposto degli artt. 2 comma 3 del DL 137/2008 e 5 comma 7 del D.lgs. 297/1994, l ’assegnazione del voto in condotta è materia di competenza esclusiva del Consiglio di Classe in composizione ristretta ai soli docenti. Il voto in condotta può essere il frutto di una valutazione collettiva, che riguardi, cioè, una pluralità di alunni per uno o più episodi espressione di uno scarso senso del rispetto delle regole del vivere civile e può riguardare anche il comportamento assunto dagli alunni durante attività ed interventi educativi realizzati dalla scuola anche fuori dalla propria sede. A differenza del voto delle singole materie che, esprimendo un giudizio didattico, sul processo di apprendimento, deve essere giustificato e sorretto da una motivazione riferibile all’avvenuta acquisizione delle nozioni prevista dai programmi, il voto in condotta è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale del Consiglio di Classe ed esprime un giudizio più ampio, che investe la maturità personale complessiva della persona, intesa come capacità di interazione con l’ambiente e come inserimento nel sistema di valori fonanti la società ed il vivere civile. Non sono invocabili le norme riguardanti i procedimenti disciplinari poiché l’assegnazione del voto di sette in condotta non rappresenta una sanzione disciplinare, ma una valutazione del comportamento. (Fattispecie nella quale il Consiglio di Classe aveva deciso di attribuire il voto di sette in condotta esclusivamente agli studenti che avevano partecipato al viaggio di istruzione, a causa del comportamento irresponsabile e gravemente indisciplinato tenuto durante il viaggio, e di confermare il voto del secondo trimestre per gli studenti che non avevano partecipato al viaggio in questione.)
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#istruzione secondaria di secondo grado#studenti: azione disciplinare#viaggi di istruzione#studenti: valutazione del comportamento#setta #pasanisi #assiduità #riviera #rileggere
T.A.R. LAZIO - Sezione Terza Bis Sentenza 25/08/2010 n° 31634
Giurisprudenza
Negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, mentre il singolo docente ha la competenza per la valutazione in itinere degli apprendimenti dell’alunno in relazione alla propria materia, le competenze relative alla valutazione periodica e finale dell’attività didattica e degli apprendimenti degli alunni spettano al Consiglio di classe, con la presenza della sola componente docente nella sua interezza, ai sensi dell’art. 5, comma 7, del D.Lgs.16.04.1994, n. 297. Pertanto, i voti di profitto e di condotta degli alunni, ai fini della promozione alle classi successive alla prima, sono deliberati dal consiglio di classe al termine delle lezioni, con la sola presenza dei docenti, ai sensi dell’art. 193, comma 1, del D.Lgs.16.04.1994, n. 297. Il Consiglio di classe, costituito da tutti i docenti della classe, è presieduto dal Dirigente scolastico. Nell'attività valutativa opera come un collegio perfetto e come tale deve operare con la partecipazione di tutti i suoi componenti, essendo richiesto il quorum integrale nei collegi con funzioni giudicatrici. Pertanto, qualora un docente sia impedito a partecipare per giustificati motivi, il Dirigente scolastico deve affidare l'incarico di sostituirlo ad un altro docente della stessa materia in servizio presso la stessa scuola. Il Dirigente scolastico può delegare la presidenza del Consiglio ad un docente che faccia parte dello stesso organo collegiale. La delega a presiedere il Consiglio deve risultare da provvedimento scritto (è sufficiente l'indicazione anche nell'atto di convocazione dell'organo) e deve essere inserita a verbale. Nella fattispecie concreta, è stato dichiarato illegittimo, e annullato, il provvedimento di non ammissione alla classe successiva deliberato dal Consiglio di classe senza la presenza dei due docenti di spagnolo e di informatica, presenza necessaria pur trattandosi di materie extracurricolari essendo tali materie inserite nel giudizio finale con le rispettive votazioni, che hanno oltretutto fatto media.
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#atto e documento amministrativo#istruzione secondaria di secondo grado#organi collegiali#procedimento amministrativo#ginnasio #quorum #scoliosi
E' legittima la dispensa per incapacità didattica in caso di scarsa ed inadeguata preparazione del docente - Tribunale VENEZIA - Lavoro Ordinanza 05/12/2016 n° 7181
Giurisprudenza
L’istituto della dispensa per incapacità didattica, disciplinato dall’art. 512 del Dlgs 297/94, costituisce una fattispecie autonoma rispetto al licenziamento per motivi disciplinari in quanto la dispensa è prevista in situazioni che prescindono totalmente da una colpevole responsabilità del docente quale la inidoneità fisica o, per l'appunto, la inidoneità didattica. Ciò comporta la inapplicabilità delle norme di cui al D.lgs 165/01 artt. 55 e ss che regolano il procedimento disciplinare quanto ad organo competente alla adozione dei provvedimenti disciplinari e quanto ai termini e alla regolamentazione delle varie fasi procedimentali. Infatti, spetta al dirigente dell'istituzione scolastica, ove il dipendente presta lavoro, il potere di dispensarlo dal servizio per incapacità didattica, dovendosi escludere che tale competenza rientri tra quelle rimaste riservate all'amministrazione centrale o periferica, attesa, da un lato, la tacita abrogazione dell'art. 513 del d.lgs. n. 297 del 1994 per incompatibilità con la disposizione generale di cui al combinato disposto degli artt. 14 del d.P.R. n. 275 del 1999 e 25, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001 (che attribuisce al dirigente scolastico la competenza ad adottare i provvedimenti di gestione delle risorse e del personale) e, dall'altro, l'assenza di ulteriori specifiche disposizioni derogatorie. (Nel caso di specie il Tribunale ha confermato il provvedimento di dispensa per incapacità didattica di una docente emanato sulla base di una relazione ispettiva dalla quale erano emerse molte inadeguatezze dell’insegnante riconducibili alla scarsa preparazione culturale e didattica. Più specificamente i fatti accertati erano i seguenti: correzioni non fatte, mancanza di chiarezza nell’assegnazione dei compiti, mancanza di logica e linearità negli argomenti trattati; eloquio di difficile comprensione con uso di espressioni dialettali; errori di lingua italiana ortografici, grammaticali, sintattici e impostazione didattica solo trasmissiva senza sufficiente interazione con gli alunni né verifiche di quanto essi avessero compreso né spazio ai loro interventi; rigidità e contraddittorietà nella gestione della classe) e difficoltà di comunicazione.)
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#personale dipendente: licenziamento o risoluzione del rapporto di lavoro#personale docente#dispensa #incapacità #provvedimento #dlgs #licenziamento #inidoneità #incompatibilità #dirigente #sospensione #istituto
T.A.R. LAZIO - ROMA - Sezione Terza Bis Sentenza 24/03/2015 n° 4506
Giurisprudenza
Va annullata la sanzione disciplinare dell’allontanamento e conseguente esclusione dallo scrutinio finale e non ammissione all’esame di Stato, in quanto la motivazione del provvedimento impugnato non contiene alcun riferimento all’iter logico che ha indotto ad applicare la più pesante delle sanzioni ipotizzabili con riguardo, in particolare, alla gravità del reato ovvero al permanere della situazione di pericolo per l’incolumità dei docenti o degli studenti fino alla fine dell’anno scolastico, elementi cui la sanzione disciplinare deve essere commisurata per espressa previsione normativa, essendo, peraltro, contemplata dalla normativa di riferimento la possibilità di applicare, quale alternativa, nei casi meno gravi, la sanzione del solo allontanamento fino al termine dell’anno scolastico. (Nel caso di specie l’episodio che ha dato origine al provvedimento disciplinare impugnato era consistito in una discussione, alla quale aveva preso parte anche la madre dello studente all’epoca minorenne, culminata nell’aggressione verbale del D.S. e nell’aggressione fisica di un docente – con lesioni refertate in 3 giorni - da parte dello studente stesso. Il Collegio, pur non sminuendo la gravità dell’accaduto e pur nella consapevolezza che il giudizio di commisurazione della sanzione attiene a valutazioni tecnico/discrezionali dell’amministrazione, come tali escluse dal sindacato giurisdizionale, salvo le ipotesi di travisamento dei fatti o delle disposizioni normative applicabili, rileva e censura il mancato riferimento in motivazione alle ragioni che hanno indotto ad applicare la più grave delle sanzioni disciplinari, senza aver considerato la possibilità della sanzione alternativa del solo allontanamento fino al termine dell’anno scolastico, anche nella considerazione che i fatti accaduti, ove formalizzati in una imputazione, avrebbero potuto tradursi nei reati di ingiuria, minacce e lesioni personali perseguibili a querela di parte.)
Keywords
#istruzione secondaria di secondo grado#studenti: azione disciplinare#disprezzo #pentimento #istigare #costatare
T.A.R. LAZIO - ROMA - Sezione Terza Bis Sentenza 21/05/2015 n° 7350
Giurisprudenza
E’ legittima la motivazione per relationem di un provvedimento disciplinare, purchè l’atto richiamato sia esattamente indicato negli estremi e reso disponibile, ossia accessibile, all’interessato attraverso il diritto di accesso documentale ex art. 22 e segg. l. 241/1990. Quanto ai presupposti della sanzione, sebbene il regolamento di istituto risulti lacunoso quanto alla specifica indicazione dei comportamenti disciplinarmente rilevanti e delle relative sanzioni, nel piano dell’offerta formativa dell’istituto per l’a.s. di riferimento vi è una parte dedicata alle “infrazioni e sanzioni” in cui sono indicate le condotte censurabili, fra le quali sono riconducibili anche gli episodi verificatisi. La gravità della sanzione appare, peraltro, commisurata alla gravità dei fatti, consistiti in condotte configurabili come reati. La misura della partecipazione ad attività di volontariato applicata in concomitanza con l’allontanamento dalla scuola è misura accessiva che non ha natura di sanzione disciplinare, ma mira a realizzare il recupero dello studente attraverso attività di natura sociale in ossequio al disposto dell’art. 4 comma 2 d.P.R, 249/1998. (La presente pronuncia va collegata alla sentenza del Tar Lazio n. 4506/2015 in quanto resa a seguito dell’impugnazione del nuovo provvedimento emesso dall’amministrazione a seguito dell’annullamento della precedente sanzione disciplinare appunto per effetto della sentenza del Tar Lazio 4506/2015. Il Giudice Amministrativo rileva che, nel caso di specie, non assume rilievo né il mancato esperimento di interventi di reinserimento del responsabile nella comunità scolastica, in quanto il comportamento del ricorrente successivo ai fatti di causa denotava una impossibilità di reinserimento proficuo nell’anno scolastico in corso, posto che lo stesso si è sempre sottratto anche semplicemente alla presentazione delle proprie scuse per l’accaduto alla D.S. e al docente ferito, né il mancato coinvolgimento della famiglia in quanto, in ragione dell’atteggiamento di rivalsa assunto dalla stessa in seguito ai fatti contestati, non era effettivamente ipotizzabile una collaborazione con l’istituto.)
Keywords
#istruzione secondaria di secondo grado#studenti: azione disciplinare#caritas #ris #notificatogli #sanzioni #ostia #infrazioni #quiligotti #sostenimento #contestatigli #requisizione
Corte di Appello BOLOGNA - Lavoro Sentenza 29/04/2016 n° 343
Giurisprudenza
La sospensione cautelare dal servizio, strumentale all’esercizio del potere disciplinare, costituisce una naturale espressione del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, cosicché l’eventuale assenza di una specifica disposizione di legge o contrattuale non inibisce alla pubblica amministrazione di esercitare il relativo potere ricorrendovi i presupposti. Per quanto riguarda il personale docente, l’art.91 del CCNL Comparto Scuola 2007, nel richiamare le norme di cui al Titolo I, Capo IV della Parte III dei D.L.vo n. 297 del 1994, rende evidente la volontà delle parli sociali di mantenere in vita, recependola, la legge previgente la c.d. privatizzazione del pubblico impiego. L’adozione del provvedimento di sospensione cautelare del personale docente non è pertanto condizionata dall’ulteriore requisito dell’esercizio dell’azione penale (rinvio a giudizio) richiesto per il personale ATA. Non osta a tale conclusione il fatto che l’art. 91 rinvii alle norme disciplinari, posto che la sospensione cautelare è strumentale all’esercizio del potere disciplinare. (Nel caso di specie la Corte, riformando la sentenza del Tribunale di Ferrara -che aveva ritenuto applicabile all’istituto della sospensione cautelare del docente la sola disciplina rinvenuta nella contrattazione collettiva con riferimento al personale ATA- ha confermato la legittimità della sospensione cautelare dal servizio di un docente disposta sulla base della mera apertura di un procedimento penale).
Keywords
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Il Consiglio di Stato dubita della legittimità costituzionale di alcune procedure concorsuali per il reclutamento dei dirigenti scolastici - Consiglio di Stato - Sezione Sesta Ordinanza 21/06/2017 n° 3008
Giurisprudenza
Con la presente ordinanza, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato aderisce all’istanza delle ricorrenti e solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, cc. 87-90 della l. 107/2015 e dell’«intero intervento legislativo in questione» per presunta violazione degli artt. 3, 51, c. 1 prima parte, 97, c. 4 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le norme in questione disciplinano il regime del reclutamento dei dirigenti scolastici, stabilendo le modalità di svolgimento di un corso intensivo di formazione e della relativa prova scritta finale e le due categorie di soggetti destinatari, da una parte i già vincitori ovvero coloro i quali risultino utilmente collocati nelle graduatorie (a) e, dall’altra, coloro i quali abbiano avuto una sentenza favorevole ovvero non abbiano avuto una sentenza definitiva alla data di entrata in vigore della legge in esame (cc. 87, 88) (b). Il c. 89 invece disciplina le graduatorie regionali: queste restano aperte sino alla conclusione della procedura straordinaria ovvero restano aperte le graduatorie ex art. 17, c. 1-bis del d.l. 104/2013 convertito con l. 128/2013 nelle Regioni in cui sono in atto contenziosi relativi al concorso ordinario per il reclutamento dei dirigenti scolastici. Infine, il c. 90 predispone una sessione speciale di esame per una specifica categoria di soggetti. Per il Collegio, tali disposizioni si pongono in contrasto con gli artt. 3, 51, c. 1 prima parte, 97, ult. comma per la disparità di trattamento che viene a crearsi. Inoltre, si tratta di una legge provvedimento che, sebbene in via generale non contraria alla Costituzione, richiede comunque un attento scrutinio di legittimità alla luce del principio di eguaglianza. La normativa in esame si pone in contrasto con l’art. 97, c. 4 Cost perché non rispetta il principio del pubblico concorso, poiché si determina una limitazione irragionevole della possibilità di accesso esterno. Infine, tali disposizioni si pongono in contrasto con il principio dell’equo processo, ex art. 6, par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, giacché il legislatore interviene in via interpretativa su un processo giurisdizionale in corso, senza motivi di interesse pubblico. In via subordinata, il Collegio solleva questione di legittimità del solo c. 88 dell’art. 1 della l. 107/2015 per presunta violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. in relazione al differente trattamento dei soggetti di cui al punto a) e b).
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Competenze in materia di stato giuridico del personale - Decreto legislativo 16/04/1994 n° 297 n° 268
Normativa

1.  Nei riguardi del personale docente, amministrativo, tecnico ed ausiliario, degli assistenti, degli accompagnatori delle Accademie di belle arti, dei conservatori di musica e delle Accademie nazionali di arte drammatica e di danza è attribuita al direttore dell'accademia o del conservatorio la competenza a provvedere:
a)   alla concessione dei congedi straordinari e delle aspettative, per qualsiasi motivo essi siano richiesti;
b)  all'irrogazione delle sanzioni disciplinari dell'avvertimento scritto e della censura;
c)   alle ricostruzioni della carriera ed agli inquadramenti retributivi, anche in conseguenza degli accordi contrattuali, nonché ai riscatti, computi e ricongiunzioni ed al trattamento di quiescenza.
2.  Il dirigente preposto all'istruzione artistica provvede:
a)   alla nomina e conferma in ruolo;
b)  alla concessione dei congedi straordinari e delle aspettative ai direttori ed ai direttori amministrativi delle istituzioni di cui al comma 1, per qualsiasi motivo detti provvedimenti siano richiesti;
c)   alla concessione del prolungamento eccezionale delle aspettative;
d)   all'irrogazione delle sanzioni disciplinari nei riguardi dei direttori e di quelle superiori alla censura nei riguardi del rimanente personale.
3.  Per il periodo di prova del personale docente e del personale ad esso assimilato previsto dal presente articolo, non si applicano le disposizioni del presente testo unico che disciplinano l'anno di formazione.

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#istruzione secondaria di secondo grado#rimanente #conservatorio #accompagnatore
Accesso ai ruoli del personale docente, degli assistenti, degli accompagnatori al pianoforte e dei pianisti accompagnatori - Decreto legislativo 16/04/1994 n° 297 n° 270
Normativa
[1.  L'accesso ai ruoli del personale docente ed assistente, delle assistenti educatrici, degli accompagnatori al pianoforte e dei pianisti accompagnatori dei Conservatori di musica, delle Accademie di belle arti e delle Accademie nazionali di arte drammatica e di danza ha luogo, per il 50 per cento dei posti a tal fine annualmente assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo a graduatorie nazionali permanenti.
2.  Le tipologie delle classi di concorso sono definite con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, per aree disciplinari, nel rispetto dell'esigenza di assicurare una adeguata specializzazione.
3.  Per l'ammissione ai concorsi a posti di assistente si applicano le stesse norme che regolano i concorsi per l'insegnamento delle materie artistiche. Per i concorsi a posti di assistente di storia dell'arte è necessario altresì essere in possesso del titolo di studio richiesto per la partecipazione ai concorsi per l'insegnamento della stessa materia nei licei classici.
4.  I concorsi sono indetti a livello nazionale, ogni quinquennio, dal Ministero della pubblica istruzione. L'indizione è subordinata alla previsione del verificarsi, nel quinquiennio di riferimento, di un'effettiva disponibilità di cattedre e di posti. Nei concorsi per titoli ed esami per l'accesso ai predetti ruoli la valutazione dei titoli culturali, artistici e professionali precede le prove di esame, alle quali sono ammessi coloro che hanno riportato un punteggio superiore a 15/30.
5.  I concorsi per titoli ed esami constano di una o più prove scritte, scrittografiche o pratiche, in relazione agli specifici insegnamenti e di una prova orale.
6.  Ciascuna prova scritta, scrittografica o pratica, è finalizzata all'accertamento della preparazione culturale e delle capacità professionali.
7.  La prova orale è finalizzata all'accertamento della preparazione sulle problematiche e sulle metodologie didattiche, sui contenuti degli specifici programmi d'insegnamento nonché sull'ordinamento generale e sullo stato giuridico del personale cui si riferiscono i posti e le cattedre oggetto del concorso e sull'ordinamento di cui alla parte II, titolo VII, capo I del presente testo unico.
8.  Le commissioni giudicatrici dei concorsi per titoli ed esami dispongono di 100 punti, dei quali 30 per le prove scritte o pratiche, 40 per la prova orale e 30 per i titoli. Superano le prove scritte o pratiche e la prova orale i candidati che abbiano riportato una votazione non inferiore a punti 18 su 30 in ciascuna delle prove scritte o pratiche e a punti 24 su 40 nella prova orale.
9.  Per l'espletamento di particolari prove concorsuali il Ministro della pubblica istruzione provvede, di concerto con il Ministro del tesoro, a stipulare convenzioni per l'utilizzazione di idonee strutture recettive e per quanto altro occorra. La durata di ciascuna prova scritta, scrittografica e pratica, non può superare in ogni caso le 12 ore.
10.  Coloro i quali superano il concorso e sono utilmente collocati in graduatoria rispetto ai posti messi a concorso sono nominati in ruolo e sono ammessi ad un anno di formazione didattico-musicale o didattico-artistica, le cui modalità sono stabilite con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione. Le nomine sono disposte nei limiti dei posti vacanti dopo la riduzione di organico attuata ai sensi dell'art. 265, comma 5; esse non sono, in ogni caso, effettuate su posti dei quali si preveda la soppressione nell'anno scolastico successivo.
10-bis.  Le graduatorie restano valide fino all'entrata in vigore della graduatoria relativa al concorso successivo corrispondente.
11.  L'anno di formazione è valido come periodo di prova.
12.  Fermo quanto disposto dal comma 10, per il personale di cui al presente articolo non si applicano le disposizioni sull'anno di formazione dettate per il personale docente delle altre istituzioni scolastiche.
13.  Per quanto non previsto nel presente articolo si applicano le disposizioni dettate per i concorsi per titoli ed esami e per le graduatorie permanenti relative al personale docente delle altre istituzioni scolastiche.
14.  Il Ministro può, in via eccezionale, conferire i posti di docente a persone che, per opere compiute o per insegnamenti dati, siano venuti in meritata fama di singolare perizia nella loro arte. Il Ministro può esonerare dal periodo di prova il personale così nominato.] (1)
(1) Articolo abrogato, a decorrere dall'anno accademico 2025/2026, dal D.P.R. n. 143/2019, come da ultimo modificato dal D.L. n. 215/2023, convertito con modificazioni dalla Legge n. 18/2024
Keywords
#concorso a pubblico impiego e procedure selettive del personale#istruzione secondaria di secondo grado#fama
Prove d'esame (1) - Decreto legislativo 16/04/1994 n° 297 n° 422
Normativa

1. I concorsi per titoli ed esami a posti di dirigente tecnico con funzioni ispettive constano di due prove scritte e di una prova orale (2) .

2. Le commissioni esaminatrici dispongono di 210 punti, di cui:

a) massimo 70 punti da attribuire a ciascuna delle prove scritte;

b) massimo 60 punti da attribuire alla prova orale;

c) massimo 10 punti da attribuire alla valutazione dei titoli (3) .

[3. Sono ammessi alla prova orale i candidati che abbiano riportato nelle prove scritte una votazione media non inferiore a punti 36 su 45, con non meno di punti 10,50 su 15 in ciascuna di esse. La prova orale si intende superata dai candidati che abbiano riportato una votazione non inferiore a punti 20 su 25.] (4)

[4. Nei concorsi relativi ai contingenti per la scuola dell'infanzia ed primaria, la prima prova scritta verte su problemi pedagogico-didattici con particolare riguardo al tipo di scuola; la seconda su argomenti socio-culturali di carattere generale; la terza sugli ordinamenti scolastici italiani ed esteri, con particolare riguardo a quelli dei Paesi della Comunità europea.] (4)

[5. Nei concorsi relativi ai contingenti per la scuola secondaria di primo grado e per gli istituti di istruzione secondaria superiore, la prima prova scritta verte su problemi pedagogico-didattici; la seconda su argomenti attinenti agli insegnamenti compresi nei relativi settori disciplinari; la terza sugli ordinamenti scolastici italiani ed esteri, con particolare riguardo a quelli dei Paesi della Comunità europea.] (4)

6. La prova orale è intesa ad accertare la capacità di elaborazione personale e di valutazione critica dei candidati, anche mediante la discussione sugli argomenti delle prove scritte, nonché sulla legislazione scolastica italiana.

7. La valutazione dei titoli è effettuata soltanto nei riguardi dei candidati che abbiano superato la prova orale.

[8. Con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, sono stabiliti i programmi delle prove di esame ed i titoli valutabili.] (4)

(1) Articolo abrogato dal D.L. n. 1/2020, convertito con modificazioni dalla Legge n. 12/2020, con la decorrenza di cui al comma 1 dell'articolo 3-bis del medesimo D.L. 1/2020. Successivamente tale articolo è stato sostituito dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.

(2) Comma sostituito dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.

(3) Comma sostituito dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021 e successivamente dal D.L. n. 44/2023, convertito con modificazioni dalla Legge n. 74/2023

(4) Comma abrogato D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.

Keywords
#concorso a pubblico impiego e procedure selettive del personale#valutazione delle istituzioni scolastiche#discussone
Funzione direttiva - Decreto legislativo 16/04/1994 n° 297 n° 396
Normativa

1.  Il personale direttivo assolve alla funzione di promozione e di coordinamento delle attività di circolo o di istituto; a tal fine presiede alla gestione unitaria di dette istituzioni, assicura l'esecuzione delle deliberazioni degli organi collegiali ed esercita le specifiche funzioni di ordine amministrativo, escluse le competenze di carattere contabile, di ragioneria e di economato, che non implichino assunzione di responsabilità proprie delle funzioni di ordine amministrativo.
2.  In particolare, al personale direttivo spetta:
a)  la rappresentanza del circolo o dell'istituto;
b)  presiedere il collegio dei docenti, il comitato per la valutazione del servizio dei docenti, i consigli di intersezione, interclasse, o di classe, la giunta esecutiva del consiglio di circolo o di istituto;
c)  curare l'esecuzione delle deliberazioni prese dai predetti organi collegiali e dal consiglio di circolo o di istituto;
d)  procedere alla formazione delle classi, all'assegnazione ad esse dei singoli docenti, alla formulazione dell'orario, sulla base dei criteri generali stabiliti dal consiglio di circolo o d'istituto e delle proposte del collegio dei docenti;
e)  promuovere e coordinare, nel rispetto della libertà di insegnamento, insieme con il collegio dei docenti, le attività didattiche, di sperimentazione e di aggiornamento nell'ambito del circolo o dell'istituto;
f)  adottare o proporre, nell'ambito della propria competenza, i provvedimenti resi necessari da inadempienze o carenze del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario;
g)  coordinare il calendario delle assemblee di circolo o nell'istituto;
h)  tenere i rapporti con l'amministrazione scolastica nelle sue articolazioni centrali e periferiche, con gli enti locali che hanno competenze relative al circolo e all'istituto e con gli organi del distretto scolastico;
i)  curare i rapporti con gli specialisti che operano sul piano medico e socio-psico-pedagogico;
l)  curare l'attività di esecuzione delle normative giuridiche e amministrative riguardanti gli alunni e i docenti, ivi compresi la vigilanza sull'adempimento dell'obbligo scolastico, l'ammissione degli alunni, il rilascio dei certificati, il rispetto dell'orario e del calendario, la disciplina delle assenze, la concessione dei congedi e delle aspettative, l'assunzione dei provvedimenti di emergenza e di quelli richiesti per garantire la sicurezza della scuola.
3.  Il direttore didattico, sulla base di quanto stabilito dalla programmazione dell'azione educativa, dispone l'assegnazione dei docenti alle classi di ciascuno dei moduli organizzativi di cui all'art. 121 del presente testo unico e l'assegnazione degli ambiti disciplinari ai docenti, avendo cura di garantire le condizioni per la continuità didattica, nonché la migliore utilizzazione delle competenze e delle esperienze professionali, assicurando, ove possibile, una opportuna rotazione nel tempo.
4.  Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano anche ai rettori e vice rettori dei convitti nazionali ed alle direttrici e vicedirettrici degli educandati femminili dello Stato, con gli adattamenti resi necessari dall'organizzazione e dalle finalità proprie di dette istituzioni.
5.  In caso di assenza o di impedimento del titolare, la funzione direttiva è esercitata dal docente scelto dal direttore didattico o dal preside tra i docenti eletti ai sensi dell'art. 7 del presente testo unico.

Keywords
#dirigente scolastico: poteri direttivi e di gestione#istruzione primaria#istruzione secondaria di primo grado#istruzione secondaria di secondo grado#economato
Concorsi a posti di dirigente tecnico con funzioni ispettive (1) (2) - Decreto legislativo 16/04/1994 n° 297 n° 420
Normativa

1. L'accesso alla sezione dei dirigenti tecnici con funzioni ispettive, di cui all'articolo 419, comma 1, si consegue mediante concorsi per titoli ed esami, [distinti a seconda dei contingenti risultanti dalla ripartizione di cui al comma 1 dell'articolo 419] (3).

2. Ai concorsi di cui al comma 1 sono ammessi:

a) i dirigenti scolastici delle istituzioni scolastiche ed educative statali;

b) il personale docente ed educativo delle istituzioni scolastiche ed educative statali che abbia superato il periodo di prova e che abbia maturato un'anzianità complessiva, nel profilo di appartenenza o anche nei diversi profili indicati nel presente comma, di almeno dieci anni  (4) .

2-bis. Per l'ammissione ai concorsi, i soggetti di cui al comma 2 devono essere in possesso di uno tra i seguenti titoli di studio:

a) laurea magistrale;

b) laurea specialistica;

c) diploma di laurea conseguito secondo gli ordinamenti didattici previgenti al decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 2 del 4 gennaio 2000;

d) diploma accademico di secondo livello rilasciato dalle istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica;

e) diploma accademico di vecchio ordinamento congiunto con diploma di istituto secondario superiore (5) .

[3. Per l'ammissione ai concorsi di cui al presente articolo è richiesto il possesso della laurea, salvo i casi in cui, limitatamente all'istruzione artistica, per l'accesso all'insegnamento o a posti di preside, essa non sia prevista.] (6)

[4. Il personale docente ed educativo deve avere una anzianità complessiva di effettivo servizio di ruolo di almeno 9 anni.] (6)

[5. Ai fini dell'ammissione ai concorsi ispettivi, sono da considerare equiparati agli appartenenti ai ruoli del personale docente del tipo di scuola, cui si riferiscono i concorsi medesimi, coloro i quali vi abbiano appartenuto in passato e conservino titolo alla restituzione ai detti ruoli.] (6)

6. I concorsi a posti di dirigente tecnico con funzioni ispettive sono indetti ogni due anni dal Ministero dell'istruzione, nei limiti dei posti vacanti e disponibili [nei contingenti relativi ai vari gradi e tipi di scuola, e tenuto conto dei settori d'insegnamento] (7) .

7. Con decreto del Ministro dell'istruzione e del merito da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono definiti:

a) le modalità di svolgimento del concorso e dell'eventuale preselezione, nonché le modalità di pubblicazione del bando e dei successivi adempimenti informativi;

b) le prove e i programmi concorsuali, nonché i titoli valutabili;

c) le modalità di individuazione e di nomina delle Commissioni esaminatrici di cui all'articolo 421;

d) la valutazione della eventuale preselezione;

e) la valutazione delle prove e dei titoli;

f) la quantificazione e le modalità di versamento da parte dei candidati di un diritto di segreteria da riassegnare al Ministero dell'istruzione e del merito;

g) le modalità attuative delle disposizioni di cui al presente articolo e di cui agli articoli 421, 422, 423 e 430 (8) .

7.1. Le singole prove scritte e la prova orale si intendono superate con una valutazione pari ad almeno sette decimi o equivalente. Il decreto di cui al comma 7 può definire, altresì, una eventuale soglia di superamento della prova preselettiva, anche diversa da quella di cui al primo periodo, nonché un eventuale numero massimo di candidati ammessi alle prove scritte (9) .

7-bis. I bandi di concorso possono prevedere una riserva fino al 10 per cento dei posti messi a concorso per i soggetti che, avendo i requisiti per partecipare al concorso, abbiano ottenuto l'incarico di dirigente tecnico, ai sensi dell'articolo 19, commi 5-bis e 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e abbiano svolto le relative funzioni ispettive per almeno tre anni, entro il termine di presentazione della domanda di partecipazione al concorso, presso gli uffici dell'amministrazione centrale o periferica del Ministero dell'istruzione (10) .

(1) Rubrica modificata dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.

(2) Articolo abrogato dal D.L. n. 1/2020, convertito con modificazioni dalla Legge n. 12/2020, con la decorrenza di cui al comma 1 dell'articolo 3-bis del medesimo D.L. 1/2020. Successivamente tale articolo è stato sostituito dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.

(3) Comma così modificato dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.

(4) Comma sostituito dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021 e successivamente dal D.L. n. 44/2023, convertito con modificazioni dalla Legge n. 74/2023.

(5) Comma inserito dal D.L. n. 44/2023, convertito con modificazioni dalla Legge n. 74/2023.

(6) Comma abrogato dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.

(7) Comma modificato dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.

(8) Comma sostituito  dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021. e successivamente dal D.L. n. 44/2023, convertito con modificazioni dalla Legge n. 74/2023.

(9) Comma inserito per effetto della sostituzione di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), numero 3), del D.L. 22 aprile 2023, n. 44, convertito con modificazioni dalla Legge 21 giugno 2023, n. 74.

(10) Comma aggiunto dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.

Keywords
#concorso a pubblico impiego e procedure selettive del personale#valutazione del personale#istitutore #istitutrice
Commissioni esaminatrici (1) - Decreto legislativo 16/04/1994 n° 297 n° 421
Normativa

1. Le commissioni dei concorsi a posti di dirigente tecnico con funzioni ispettive sono nominate con decreto del dirigente generale competente e sono composte da:

a) tre membri scelti tra i dirigenti appartenenti ai ruoli del Ministero dell'istruzione e del merito che ricoprano o abbiano ricoperto un incarico di funzioni dirigenziali generali ovvero tra i professori di prima e di seconda fascia di università statali e non statali, i magistrati amministrativi, i magistrati ordinari, i magistrati contabili, gli avvocati dello Stato e i prefetti;

b) due membri scelti fra i dirigenti non generali del comparto funzioni centrali appartenenti ai ruoli del Ministero dell'istruzione e del merito;

[c) i membri di cui alle lettere a) e b), nonché quelli eventualmente previsti nell'ambito del decreto di cui all'articolo 420, comma 7, possono essere nominati anche fra soggetti collocati in quiescenza da non più di quattro anni alla data di pubblicazione del bando di concorso] (2) .

1-bis. I membri di cui alle lettere a) e b) del comma 1 del presente articolo nonché quelli eventualmente previsti nell'ambito del decreto di cui all'articolo 420, comma 7, possono essere nominati anche fra soggetti collocati in quiescenza da non più di quattro anni alla data di pubblicazione del bando di concorso (3) .

[2. Almeno un terzo dei componenti della commissione esaminatrice deve essere di sesso femminile, salvo motivata impossibilità.] (4)

[3. Per i concorsi relativi al contingente per gli istituti d'arte e i licei artistici, i membri di cui alla lettera a) sono scelti, a seconda del tipo di concorso, anche tra i direttori ed i docenti delle accademie di belle arti, dei conservatori di musica, dell'Accademia nazionale di danza e dell'Accademia nazionale d'arte drammatica.] (4)

4. Il presidente è nominato tra i membri di cui alla lettera a) del comma 1.

[5. Sino a quando non saranno modificate le norme di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 gennaio 1956, n. 5, ai componenti le commissioni giudicatrici previste dal presente articolo sono corrisposti i compensi stabiliti dal predetto decreto del Presidente della Repubblica e successive modificazioni, in misura triplicata.] (4)

(1) Articolo abrogato dal D.L. n. 1/2020, convertito con modificazioni dalla Legge n. 12/2020, con la decorrenza di cui al comma 1 dell'articolo 3-bis del medesimo D.L. 1/2020. Successivamente tale articolo è stato sostituito dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.

(2) Comma modificato dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021 e successivamente dal D.L. n. 44/2023, convertito con modificazioni dalla Legge n. 74/2023.

(3) Comma inserito dal D.L. n. 44/2023, convertito con modificazioni dalla Legge n. 74/2023.

(4) Comma abrogato dal D.L. n. 73/2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.

Keywords
#concorso a pubblico impiego e procedure selettive del personale#valutazione delle istituzioni scolastiche#valutazione del personale#ispettore #professare #sesso #danza #liceo
Integrazione scolastica - Decreto legislativo 16/04/1994 n° 297 n° 315
Normativa

1.  L'integrazione scolastica della persona handicappata nelle sezioni e nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado si realizza, fermo restando quanto previsto dagli articoli 322 e seguenti anche attraverso:
a)  la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi e con altre attività sul territorio gestite da enti pubblici o privati. A tale scopo gli enti locali, gli organi scolastici e le unità sanitarie locali, nell'ambito delle rispettive competenze, stipulano gli accordi di programma di cui all'art. 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Con decreto del Ministro della pubblica istruzione, d'intesa con i Ministri per gli affari sociali e della sanità, sono fissati gli indirizzi per la stipula degli accordi di programma. Tali accordi di programma sono finalizzati alla predisposizione, attuazione e verifica congiunta di progetti educativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati, nonché a forme di integrazione tra attività scolastiche e attività integrative extrascolastiche. Negli accordi sono altresì previsti i requisiti che devono essere posseduti dagli enti pubblici e privati ai fini della partecipazione alle attività di collaborazione coordinate;
b)  la dotazione alle scuole di attrezzature tecniche e di sussidi didattici nonché di ogni altra forma di ausilio tecnico, ferma restando la dotazione individuale di ausili e presidi funzionali all'effettivo esercizio del diritto allo studio, anche mediante convenzioni con centri specializzati, aventi funzione di consulenza pedagogica, di produzione e adattamento di specifico materiale didattico;
c)  la sperimentazione di cui agli articoli 276 e seguenti da realizzare nelle classi frequentate da alunni con handicap.
2.  Nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 e successive modificazioni, l'obbligo per gli enti locali di fornire l'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l'assegnazione di docenti specializzati.
[3. (1)]
4.  Nella scuola media e nella scuola secondaria superiore sono garantite attività didattiche di sostegno, con priorità per le iniziative sperimentali di cui al comma 1, lettera c), realizzate con docenti di sostegno specializzati, nelle aree disciplinari individuate sulla base del profilo dinamico-funzionale e del conseguente piano educativo individualizzato.
5.  I docenti di sostegno assumono la contitolarità delle sezioni e delle classi in cui operano, partecipano alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di intersezione, di interclasse, di classe e dei collegi dei docenti.
 (1) Comma abrogato per effetto dell'art. 40 , comma 1, L. 27 dicembre 1997, n. 449.

Keywords
#istruzione primaria#istruzione secondaria di primo grado#istruzione secondaria di secondo grado#studenti: integrazione e disabilità#contitolarità #socializzazione #intersezione #interclasse #handicappare
(Validità, efficacia e utilizzabilità nel procedimento giudiziario di atti, documenti e provvedimenti basati sul trattamento di dati personali non conforme a disposizioni di legge o di Regolamento) - Decreto legislativo 30/06/2003 n° 196 n° 160-bis
Normativa

1.   La validità, l'efficacia e l'utilizzabilità nel procedimento giudiziario di atti, documenti e provvedimenti basati sul trattamento di dati personali non conforme a disposizioni di legge o di Regolamento restano disciplinate dalle pertinenti disposizioni processuali. (1)

(1) Articolo aggiunto dal d.lgs. 101/2018 con effetto a decorrere dal 19 settembre 2018.

Keywords
#utilizzabilità #validità #basare #efficacia #procedimento #documento #provvedimento #regolamento #atto #disposizione
Consiglio di Stato - Parere - Reclutamento DS: ecco il parere del CdS 17/07/2017 n° 1684
Prassi, Circolari, Note

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Consultiva per gli Atti Normativi

Adunanza di Sezione del 22 giugno 2017

NUMERO AFFARE 01056/2017

OGGETTO:

Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca.

Schema di decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca recante regolamento per la definizione delle modalità di svolgimento delle procedure concorsuali per l’accesso ai ruoli della dirigenza scolastica, la durata del corso e le forme di valutazione dei candidati ammessi al corso, ai sensi dell’articolo 29 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dall’articolo 1, comma 217 della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

LA SEZIONE

Vista la relazione con la quale il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Giancarlo Luttazi.

Premesso e considerato:

1.- L’articolo 29 del decreto-legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come sostituito, da ultimo, dall’articolo 1, comma 217, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, nel disciplinare il reclutamento dei dirigenti scolastici conferma il carattere di specialità di questa dirigenza nel contesto della dirigenza pubblica; specialità ribadita nell’articolo 11, lettera b), n. 1), della legge 7 agosto 2015, n. 124, il quale ha delegato il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della citata legge n. 124/2017, uno o più decreti legislativi in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici uffici (sul relativo schema di decreto legislativo, recante “Disciplina della dirigenza della Repubblica” questo Consiglio di Stato ha espresso il parere 14 ottobre 2016, n. 2113), e prevedendo l’esclusione della dirigenza scolastica dai ruoli unici della dirigenza statale ne fa salva la disciplina speciale in materia di reclutamento e inquadramento.

Il citato articolo 29 del decreto-legislativo n. 165/2001 (già articolo 28-bis del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, aggiunto dall’art. 1 del decreto legislativo 6 marzo 1998, n. 59), più volte modificato, prevede nel testo vigente:

1. Il reclutamento dei dirigenti scolastici si realizza mediante corso-concorso selettivo di formazione bandito dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze, per tutti i posti vacanti nel triennio, fermo restando il regime autorizzatorio in materia di assunzioni di cui all’articolo 39, comma 3-bis, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni. Al corso-concorso possono essere ammessi candidati in n. superiore a quello dei posti, secondo una percentuale massima del 20 per cento, determinata dal decreto di cui all’ultimo periodo del presente comma. Al concorso per l’accesso al corso-concorso può partecipare il personale docente ed educativo delle istituzioni scolastiche ed educative statali in possesso del relativo diploma di laurea magistrale ovvero di laurea conseguita in base al previgente ordinamento, che abbia maturato un’anzianità complessiva nel ruolo di appartenenza di almeno cinque anni. E’ previsto il pagamento di un contributo, da parte dei candidati, per le spese della procedura concorsuale. Il concorso può comprendere una prova preselettiva e comprende una o più prove scritte, cui sono ammessi tutti coloro che superano l’eventuale preselezione, e una prova orale, a cui segue la valutazione dei titoli. Il corso-concorso si svolge in giorni e orari e con metodi didattici compatibili con l’attività didattica svolta dai partecipanti, con eventuale riduzione del loro carico didattico. Le spese di viaggio e alloggio sono a carico dei partecipanti. Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sono definite le modalità di svolgimento delle procedure concorsuali, la durata del corso e le forme di valutazione dei candidati ammessi al corso”.

Lo schema di regolamento attua questa normativa primaria.

– Si osserva preliminarmente che il presente schema fa seguito a uno schema di Regolamento trasmesso a questo Consiglio di Stato con relazione ministeriale datata 16 settembre 2016 e sul quale è stato espresso il parere n. 2190/2016 (affare n. 1738/2016); e che il nuovo schema ha recepito per la quasi totalità le indicazioni di quel parere n. 2190/2016.

Ciò premesso, si rileva quanto segue.

3.1 – La relazione tecnica esamina e indica, ove esistenti, gli effetti finanziari di ciascun articolo del decreto; e quantifica il totale degli oneri del provvedimento in € 5.174.812,00 e la relativa sommatoria delle disponibilità in € 5.454.210,00. Ciò in aumento rispetto al precedente schema (la relazione tecnica sul precedente schema indicava il totale degli oneri del provvedimento in € 3.271.200,00 e la relativa sommatoria delle disponibilità in € 3.300.000,00).

3.2 – L’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) ribadisce i rilievi e i punti caratterizzanti della riforma già esposti nell’AIR del precedente schema oggetto del citato parere n. 2190/2016.

3.3.1 – Relativamente alle premesse del nuovo schema esse danno atto che per quest’ultimo (diversamente dal precedente) sono state acquisite previamente (n.d.r.: su invito, in data 2 dicembre 2016, del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri) le osservazioni formulate dal Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione e le osservazioni formulate dal Ministero dell’economia e delle finanze (in prosieguo, per brevità anche “MEF”) ; e che il Ministero redigente ha ritenuto “di poter accogliere alcune proposte modificative indicate nelle su richiamate note”.

La locuzione non reca altre indicazioni. Si ritiene che invece le premesse dell’emanando Regolamento, con adeguata motivazione, debbano farsi carico dei rilievi di cui sopra, specie se disattesi nell’articolato.

3.3.2 – Si osserva altresì che le premesse recano cenno al citato precedente parere di questo Consiglio di Stato n. 2190/2016, ma lo fanno – diversamente dal riferimento pure fatto al precedente parere del Consiglio superiore della pubblica istruzione (in prosieguo, per brevità, anche “CSPI”) del 13 luglio 2016, citato ampiamente nelle premesse – in modo insufficiente e senza recarne gli estremi (indicati soltanto nella parte finale delle premesse: “RITENUTO altresì di acquisire nuovamente il parere del Consiglio superiore della pubblica istruzione e del Consiglio di Stato, in considerazione delle modifiche introdotte successivamente al rilascio dei rispettivi pareri”), a discapito della chiarezza. Si ritiene pertanto che le premesse siano da integrare sul punto.

Si segnala che la rilevanza costituzionale di questo Istituto richiede che nei testi normativi esso sia citato prima e non dopo il Consiglio superiore della pubblica istruzione.

3.3.3 – Il Consiglio superiore della pubblica istruzione ha dunque nuovamente espresso il proprio parere nella seduta del 10 maggio 2017, formulando, come pure indicato nelle premesse del decreto, richieste di modifica. Sulle richieste di modifica non recepite le premesse dell’attuale articolato, recependo le indicazioni del citato precedente parere n. 2190/2016, si sono soffermate motivando la mancata recezione.

– Relativamente ai singoli articoli si rileva quanto segue.

4.1 – Sull’articolo 1 (“Oggetto”) non si hanno osservazioni: esso riproduce l’articolo 1 dello schema oggetto del precedente parere n. 2190/2016.

Sul presente articolo 1 sono stati formulati rilievi dal Ragioniere generale dello Stato (“Andrebbe specificato l’anno scolastico di decorrenza del regolamento in questione, specie per i riflessi potenziali, in termini di posti da riservarvi, su disposizioni di legislazione vigente comportanti procedure semplificate e successiva immissione in ruolo a beneficio di altri soggetti destinatari di norme in materia di dirigenza scolastica, evidentemente controinteressati al regolamento di che trattasi”), i quali sono stati recepiti nelle disposizioni transitorie di cui al successivo articolo 25 dello schema e nelle successive disposizioni sulla entrata in vigore, di cui all’articolo 26 (v. i successivi capi 4.25 e 4.26).

4.2 – L’articolo 2 (“Definizioni”) ha recepito i rilievi del parere n. 2190/2016 sull’articolo 2 del precedente schema, finalizzati a una migliore intellegibilità dei testi normativi citati.

L’articolo inoltre aggiunge la definizione dell’acronimo della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane («CRUI»), organo poi citato nel successivo articolo 17 (“Svolgimento del corso di formazione dirigenziale e tirocinio”) dell’attuale schema, già articolo 18 dello schema precedente (v. anche in proposito il successivo capo 4.17 del presente parere).

4.3 – Sull’articolo 3 (“Articolazione in fasi del corso-concorso”) non si hanno osservazioni: esso riproduce l’articolo 3 dello schema oggetto del precedente parere n. 2190/2016.

4.4 – Nella redazione dell’articolo 4 (“Determinazione del contingente dei posti del concorso e del corso di formazione”) e dei successivi articoli 14 (“Graduatoria del concorso e ammissione al corso di formazione dirigenziale”; già articolo 15 del precedente schema: v. il successivo capo 4.14) e 25 (“Disposizioni transitorie”; articolo di nuova stesura: v. il successivo capo 4.25) l’Amministrazione redigente ha tenuto conto dei rilievi espressi nel parere n. 2190/2016, e relativi alla intellegibilità dei richiami normativi con riferimento alle definizione di situazioni pregresse, e alla opportunità che le relative disposizioni fossero inserite in una apposita partizione del nuovo Regolamento, dedicata alle norme transitorie, che ricomprendesse anche la disciplina transitoria pure contenuta nei successivi articoli 14 e 15, comma 2, dello schema precedente (v. infra il citato capo 4.25).

Il nuovo articolo 4, pertanto, non reca più quei richiami normativi e quella disciplina di situazioni pregresse, ora inseriti e meglio esposti nel nuovo articolo 25.

È stata invece mantenuta la disposizione del precedente comma 7, ora comma 5 (“Alla frequenza del corso di formazione dirigenziale sono ammessi candidati in numero superiore a quello dei posti determinati ai sensi dei commi 2, 3 e 4, nella percentuale del venti per cento in più. L’eventuale frazione di posto è arrotondata all’unità intera superiore”) relativamente alla quale il parere n. 2190/2016 aveva condiviso l’opzione ministeriale di non recepire la diversa proposta del CSPI (v. il capo 4.4 del precedente parere n. 2190/2016).

Relativamente al comma 2 del presente articolo 4 la citata nota prot. 95968 del 14 dicembre 2016, a firma del Ragioniere generale dello Stato ha espresso rilievi critici; e su di essi si espressa diffusamente, con rilievi che appaiono condivisibili, la Relazione illustrativa allo schema. Ma si ritiene che di quei rilievi MEF le premesse dello schema debbano farsi carico, motivando (v. il precedente capo 3.3.1).

4.5 – L’articolo 5 (“Bando di concorso per l’ammissione al corso di formazione dirigenziale”) riproduce l’articolo 5 dello schema precedente, dal quale però, conformemente ai rilievi del parere n. 2190/2016, è stata espunta, e trasferita nel comma 2 del successivo articolo 25, la disposizione di natura transitoria sulla riserva di posti per il primo corso-concorso da bandire ai sensi del nuovo regolamento (“Limitatamente al primo corso-concorso bandito ai sensi del presente regolamento, il Bando indica altresì il numero di posti riservati ai sensi dell’articolo 14”).

Su questo articolo 5 non si hanno osservazioni, tranne il rilievo che anche su di esso le premesse dello schema dovrebbero farsi carico di pronunciarsi sul relativo rilievo formulato dall’Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione (v. il precedente capo 3.3.1).

4.6 – Analogo invito a farsi carico del relativo rilievo dell’Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione va fatto relativamente all’articolo 6 (“Requisiti di ammissione”).

Per il resto non si hanno osservazioni sull’articolo, che riproduce l’articolo 6 dello schema precedente, sul quale pure il precedente parere n. 2190/2016 ha solo preso atto, condividendo, che la disposizione, come precisato nelle premesse del decreto in itinere, ha interpretato la fonte primaria – laddove quell’articolo 29, comma 1, del decreto legislativo n.165/2001 nel testo vigente prevede, al terzo periodo “al concorso per l’accesso al corso-concorso può partecipare il personale docente [che abbia maturato un’anzianità complessiva nel ruolo di appartenenza di almeno cinque anni” – in senso conforme alla interpretazione data alla clausola 4 della Direttiva 1999/70/CE – sull’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE (Unione delle industrie della Comunità europea), dal CEEP (Centre européen de l’entreprise publique) e dal CES (Confederazione europea dei sindacati) – dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (con le pronunce 8 settembre 2011, n. C 177/10 e 18 ottobre 2012) e dalla sentenza di questo Consiglio di Stato – Sezione VI 18 settembre 2014, n. 4724 (di conferma dell’illegittimità del bando di concorso per il reclutamento di dirigenti scolastici emanato con decreto direttoriale del 13 luglio 2011, nella parte in cui prescriveva che il requisito del servizio di insegnamento effettivamente prestato dovesse essere maturato dopo la nomina in ruolo); vale a dire nel senso che il requisito dell’anzianità di servizio richiesta per la partecipazione al concorso sia da intendersi nel senso che i cinque anni di servizio possono essere maturati anche precedentemente all’entrata in ruolo, ferma restando la necessità della conferma in ruolo.

4.7 – Sull’articolo 7 (“Istanza di partecipazione al concorso”) non si hanno osservazioni, tranne il prendere atto che rispetto all’analogo articolo 7 del precedente schema è stata espunta la previsione (pur possibile nel Bando in base ai principi generali) che l’istanza di partecipazione al concorso dovesse indicare, a pena di esclusione, “l’ordine di preferenza tra tutte le regioni, nessuna esclusa, ai soli fini dell’individuazione della sede del corso di formazione dirigenziale e dell’istituzione scolastica nella quale svolgere il tirocinio”; espunzione sulla quale pure non si hanno osservazioni da formulare.

4.8 – L’articolo 8 (“Prova preselettiva”) riproduce l’articolo 8 dello schema precedente, sostituendo però al precedente comma 6 (“Nel caso in cui la prova preselettiva dovesse essere suddivisa in più sessioni, sono predisposti, ai sensi del successivo articolo 13 ed antecedentemente all’inizio della prima sessione, un numero di test pari al numero delle sessioni previste per la convocazione dei candidati incrementato di due. Prima di ciascuna sessione sono estratti i test da somministrare, tra quelli così predisposti. I test estratti non sono disponibili per le estrazioni pertinenti le sessioni successive”) una disposizione che non prevede l’ipotesi di più sessioni e disciplina invece una banca dati dei quesiti e la sua pubblicità prima dell’avvio della prova (“6. I quesiti di cui al comma 4 sono estratti da una banca dati resa nota tramite pubblicazione sul sito del Ministero almeno 20 giorni prima dell’avvio della prova”).

Sulla modifica in sé, non evidenziata nella Relazione illustrativa, non si hanno rilievi da formulare.

Si osserva però che:

– mentre le premesse dell’emanando Regolamento hanno – con adeguata motivazione – rilevato di non poter accogliere la richiesta, espressa dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione nella seduta del 10 maggio 2017, di modificare il citato comma 6 (“Si fa notare che la scelta di una prova con quesiti tratti da una banca dati di migliaia ha determinato una lunga serie di contenziosi. Pertanto, proprio alla luce della negativa pregressa esperienza in relazione al concorso per dirigente scolastico, si propone di adottare la soluzione dei 1 00 quesiti proposti contemporaneamente a tutti i candidati”), allegando ragioni organizzative (“in quanto la proposta non consente di assicurare la contemporaneità della prova in caso di un numero di candidati superiore alle postazioni disponibili per l’espletamento della prova medesima”);

– per contro le stesse premesse non si fanno carico di pronunciarsi (come invero fatto nella Relazione tecnica nella esposizione sull’articolo 8) sui rilievi che sul presente comma 6 ha espresso il Ministero dell’economia e delle finanze nella citata nota prot. 95968 del 14 dicembre 2016 (v. il precedente capo 3.3.1).

4.9. – L’articolo 9 (“Prove di esame”) riproduce il testo dell’articolo 9 dello schema precedente (“Le prove di esame del concorso pubblico per l’ammissione al corso di formazione dirigenziale e tirocinio si articolano in una prova scritta e una prova orale.”), aggiungendovi l’inciso che la prova scritta è “computer based”, così uniformandosi alla prassi, diffusa nella tecnica normativa dell’ordinamento italiano, di utilizzare termini in lingua inglese.

Su questo articolo non si hanno osservazioni.

4.10 – L’articolo 10 (“Prova scritta”) modifica parzialmente l’articolo 10 del precedente schema quanto alla conoscenza linguistica, che viene valorizzata: eliminando la previsione del precedente comma 2 (“Delle cinque domande a risposta aperta, una, relativa alle materie di cui al comma 1, lettere d) o i), è formulata ed è svolta nella lingua straniera prescelta dal candidato tra inglese, francese, tedesco e spagnolo, al fine della verifica della conoscenza al livello B2 del CEF.”); introducendo al comma 1 la previsione che “La prova scritta consiste in cinque quesiti a risposta aperta e in due quesiti in lingua straniera di cui al comma 3” e al suddetto comma 3 la previsione “Ciascuno dei due quesiti in lingua straniera è articolato in cinque domande a risposta chiusa, volte a verificare la comprensione di un testo nella lingua prescelta dal candidato tra inglese, francese, tedesco e spagnolo. Detti quesiti, che vertono sulle materie di cui al comma 2, lettere d) o i), sono formulati e svolti dal candidato nella lingua straniera prescelta, al fine della verifica della relativa conoscenza al livello B2 del CEF.”.

In proposito non si hanno osservazioni.

4.11. – Relativamente all’articolo 11 (“Prova orale”), identico all’articolo 11 del schema oggetto del precedente parere n. 2190/2016, non si hanno osservazioni.

4.12 – Relativamente all’articolo 12 (“Valutazione delle prove e dei titoli”), comma 3, primo periodo (“Al colloquio sulle materie d’esame, all’accertamento della conoscenza dell’informatica e all’accertamento della conoscenza della lingua straniera prescelta dal candidato, nell’ambito della prova orale, la Commissione del concorso attribuisce un punteggio nel limite massimo rispettivamente di 82, 6 e 12”) l’Amministrazione, modificando il testo precedente (“Al colloquio sulle materie d’esame, all’accertamento della conoscenza dell’informatica e all’accertamento della conoscenza della lingua straniera prescelta dal candidato, nell’ambito della prova orale, la Commissione del concorso attribuisce un punteggio nel limite massimo rispettivamente di 84, 4 e 12”) ha per un verso disatteso la proposta CSPI di correggere il peso di quei punteggi massimi e di suddividerne i 100 punti complessivi, disponibili ai sensi del comma 1, come segue: conoscenza delle materie d’esame 84 punti; conoscenza dell’informatica 8 punti; conoscenza della lingua straniera 8 punti; ma per altro verso ha sia pur parzialmente recepito il citato parere di questo Consiglio di Stato n. 2190/2016, il quale aveva suggerito– alla luce dell’attuale contesto di aumento esponenziale della informatizzazione e della globalizzazione – di non penalizzare troppo, rispetto all’elevato punteggio massimo sulla conoscenza delle materie d’esame, il punteggio massimo sulla conoscenza informatica e sulla lingua straniera, invitando l’Amministrazione redigente a valutare una sia pur moderata modifica dei punteggi massimi che tenesse conto di quanto testé rilevato, conferendo maggiore importanza relativa anche alla conoscenza informatica.

Il successivo comma 4 (“La Commissione del concorso determina il punteggio da riconoscere ai titoli soltanto per i candidati che hanno superato la prova orale. Sono valutabili i titoli professionali e culturali indicati, con il punteggio attribuibile a ciascuno di essi, nella tabella A allegata che costituisce parte integrante e sostanziale del presente regolamento”) è stato riformulato conformemente ai rilievi del parere n. 2190/2016.

Le premesse del parere si fanno carico di precisare che l’Amministrazione redigente ha ritenuto di non poter accogliere due richieste di modifica del presente articolo 12 formulate dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione nella seduta del 10 maggio 2017.

Segnatamente le premesse all’articolato precisano, senza vizi logici, che:

– la richiesta di modifica dell’articolo 12, comma 2, con riferimento alla possibilità di assegnare un punteggio negativo alle risposte errate ai quesiti formulati in lingua straniera non è stata accolta in quanto detta valutazione negativa sarebbe a diminuzione di quella effettivamente conseguita da ciascun candidato nelle materie disciplinari del concorso;

– la richiesta di modificare l’articolo 12, comma 3, con riferimento al punteggio massimo attribuibile in sede di colloquio, non è stata accolta perché si è ritenuto il diverso peso attribuito alla valutazione della conoscenza della lingua straniera rispetto a quella dell’informatica congruo e coerente con le esigenze di reclutamento di cui al presente regolamento.

Invece le premesse dello schema nulla dicono con riferimento al rilievo formulato dall’Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, secondo il quale la valutazione delle prove e dei titoli disciplinata dall’articolo 12 in esame sarebbe in contrasto con l’articolo 8 del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 497 e con i principi ivi declinati, che secondo quel Ministero imporrebbero anche nella presente fattispecie la predeterminazione, a partire dal Bando, dei titoli e del punteggio complessivo che a questi si può attribuire. Si rinvia in proposito a quanto rilevato nel precedente capo 3.3.1.

4.13 – L’articolo 13 (“Predisposizione delle prove”) ha recepito le indicazioni del citato parere n. 2190/2016, il quale aveva rilevato la mancanza di maggiori dati sul Comitato tecnico scientifico da istituire per la predisposizione delle prove; e reca ora pertanto, al comma 2, una disciplina della composizione e della nomina di quel Collegio: “Il Comitato Tecnico Scientifico di cui al comma 1 è nominato per ogni tornata concorsuale ed è composto da soggetti di comprovata qualificazione nelle materie oggetto del concorso, scelti tra docenti universitari, avvocati di Stato, magistrati della Corte dei conti, dirigenti scolastici, dirigenti amministrativi di ruolo e dirigenti tecnici di ruolo. Il Comitato può comprendere anche soggetti collocati in quiescenza da non più di tre anni dalla data di pubblicazione del Bando. Al Comitato sono aggregati componenti esperti per ciascuna delle lingue straniere prescelte dai candidati, designati tra docenti universitari, docenti di ruolo abilitati all’insegnamento per le classi di concorso della relativa lingua”.

Il nuovo testo dell’articolo 13 reca anche l’ulteriore comma 4, il quale recependo una delle citate osservazioni formulate dal Ministero dell’economia e delle finanze ha, condivisibilmente, escluso per i componenti del Comitato Tecnico Scientifico “compensi, indennità, emolumenti o gettoni di presenza comunque denominati”.

Su questo nuovo articolo 13 non si hanno rilievi da formulare.

4.14 – L’articolo 14 (“Graduatoria del concorso e ammissione al corso di formazione dirigenziale”), interrompe la serie di articoli aventi identica rubricazione dei corrispondenti articoli da 1 a 13 del precedente schema oggetto del parere n. 2190/2016.

Ciò in quanto, come già rilevato nel precedente capo, le disposizioni di natura transitoria contenute nell’articolo 14 (“Riserva”) e in disposizioni interne agli articoli 4 (“Determinazione del contingente dei posti del concorso e del corso di formazione”) e 15 (“Graduatoria del concorso e ammissione al corso di formazione dirigenziale”) del precedente schema, sono state inserite, recependo indicazioni del parere n. 2190/2016, nell’articolo 25 (“Disposizioni transitorie”) dell’attuale schema (v. il precedente capo 4.4 e il successivo capo 4.25).

L’attuale articolo 14 recepisce, emendato della disposizione transitoria (“tenuto conto della riserva di cui all’articolo 14”) ora collocata in altra sede, il testo dell’articolo 15 dello schema precedente.

Non si hanno, sul presente articolo 14, osservazioni da formulare.

4.15 – L’articolo 15 (“Commissione del concorso”) riproduce, con alcune integrazioni, il testo dell’articolo 16 dello schema precedente.

Le integrazioni al testo del precedente articolo 16 – le quali hanno tenuto conto anche dei rilievi espressi nel parere n. 2190/2016 – sono le seguenti:

– il precedente comma 3, primo periodo (“Il presidente è scelto tra magistrati amministrativi, ordinari, contabili, avvocati dello Stato, dirigenti di amministrazioni pubbliche che ricoprano o abbiano ricoperto un incarico di direzione di uffici dirigenziali generali, professori di prima fascia di università statali o equiparate.”) è nel presente articolo 15 così sostituto: “Il presidente è scelto tra magistrati amministrativi, ordinari, contabili, avvocati e procuratori dello Stato, dirigenti di amministrazioni pubbliche, ove possibile diverse dal Ministero, che ricoprano o abbiano ricoperto un incarico di direzione di uffici dirigenziali generali, professori di prima fascia di università statali e non statali”. In proposito non si hanno rilievi da formulare.

– al medesimo comma 3 è nel presente articolo 15 aggiunto il seguente periodo: “In carenza di personale nelle qualifiche citate, la funzione di presidente è esercitata da dirigenti amministrativi o tecnici, anche appartenenti all’amministrazione scolastica centrale e periferica o da dirigenti scolastici, con un’anzianità, nei ruoli dirigenziali, di almeno dieci anni.” In proposito parrebbe opportuna nel testo la seguente modifica iniziale: in luogo di “In carenza di personale nelle qualifiche citate” parrebbe più adeguata la locuzione “Soltanto in caso di comprovata carenza di personale nelle qualifiche citate” (ipotesi che peraltro appare difficile da concretarsi); ciò al fine di evitare per quanto possibile che la delicata e imparziale funzione di presidente della Commissione del concorso possa essere rivestita da un soggetto già inserito nell’amministrazione scolastica centrale e periferica o da un dirigente scolastico, con possibile discapito della necessaria imparzialità;

– il precedente comma 5 (“I componenti aggregati esperti di lingua straniera sono designati indifferentemente tra i professori universitari di prima o seconda fascia della relativa lingua ovvero tra i docenti di ruolo abilitati nell’insegnamento per le classi di concorso A-24 o A-25 della relativa lingua, in quest’ultimo caso purché in possesso di almeno cinque anni di servizio specifico nel ruolo.”) è nel presente articolo 15 così sostituto: “I componenti aggregati esperti di lingua straniera sono designati indifferentemente tra i professori universitari di prima o seconda fascia della relativa lingua ovvero tra i docenti di ruolo abilitati nell’insegnamento per le classi di concorso della relativa lingua, in quest’ultimo caso purché in possesso di almeno cinque anni di servizio specifico.” In proposito non si hanno rilievi da formulare, essendo le modifiche finalizzate, con opzione che appare priva di vizi logici, ad ampliare la platea di scelta dei possibili componenti aggregati esperti di lingua straniera;

– il precedente comma 6 (“I componenti aggregati esperti di informatica sono designati tra i docenti di ruolo abilitati nell’insegnamento della classe di concorso A-41, purché in possesso di almeno cinque anni di servizio specifico nel ruolo”) è nel presente articolo 15 così sostituto: “I componenti aggregati esperti di informatica sono designati tra i docenti di ruolo abilitati nell’insegnamento della classe di concorso A-41, purché in possesso di almeno cinque anni di servizio specifico.”. Anche in questo caso non si hanno rilievi da formulare, essendo le modifiche finalizzate, con opzione che appare priva di vizi logici, ad ampliare la platea di scelta dei possibili componenti aggregati esperti di informatica, tenuto conto, quanto alla classe di concorso, del più ristretto ambito relativo;

– il precedente comma 8 (“Qualora il numero dei candidati ammessi alla prova scritta sia superiore alle duecentocinquanta unità, la composizione della Commissione iniziale è integrata in modo da costituire una sottocommissione per ogni gruppo, o frazione, di duecentocinquanta candidati, inclusi i membri aggregati. Ad ogni sottocommissione è preposto un presidente aggiunto ed è assegnato un segretario aggiunto. Il presidente della Commissione iniziale coordina i lavori delle sottocommissioni.”) è nel presente articolo 15 così sostituto: “Qualora il numero dei candidati ammessi alla prova scritta sia superiore alle duecentocinquanta unità, la composizione della Commissione iniziale è integrata in modo da costituire una sottocommissione per ogni gruppo, o frazione, di duecentocinquanta candidati, inclusi i membri aggregati. Ogni sottocommissione è composta da un presidente aggiunto, due componenti aggiunti ed un segretario aggiunto, scelti tra le categorie individuate ai sensi dei commi 3, 4 e 7. Il presidente della Commissione iniziale coordina i lavori delle sottocommissioni.”, così sostituendo alla precedente locuzione “Ad ogni sottocommissione è preposto un presidente aggiunto ed è assegnato un segretario aggiunto” la locuzione “Ogni sottocommissione è composta da un presidente aggiunto, due componenti aggiunti ed un segretario aggiunto”. Sulla modifica, correttamente disposta, non si hanno rilievi da formulare.

Relativamente al comma 11 del presente articolo 15 (“Per i compensi dei componenti delle commissioni, delle sottocommissioni e del personale addetto alla vigilanza di concorso si applicano il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 1995 e il decreto interministeriale del 12 marzo 2012, fermo restando quanto previsto dall’articolo 6, comma 3, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122”), che ripropone il testo del precedente articolo 16, comma 11 (con la migliore indicazione del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 indicata da questo Consiglio di Stato nel parere n. 2190/2016) il Ministero dell’economia e delle finanze, nella citata nota prot. 95968 del 14 dicembre 2016, ha rilevato che la Relazione tecnica reca una quantificazione sottostimata, poiché i compensi vengono indicati come comprensivi degli oneri a carico dello Stato (costo unitario lordo Stato) mentre, invece, gli importi riportati sia nel DPCM 23 marzo 1995 che nel D.I. 12 marzo 2012 devono intendersi come importi “lordo dipendente'” a cui, pertanto, dovranno essere aggiunti gli oneri a carico dello Stato.

In proposito né dalla Relazione tecnica né dalle premesse al presente schema è dato di evincere, come necessario ai fini di chiarezza sui costi del provvedimento, la valutazione e le determinazioni dell’Amministrazione redigente, che si invita pertanto a provvedere in proposito.

4.16 – L’articolo 16 dello schema (“Condizioni personali ostative all’incarico di presidente e componente della Commissione e delle sottocommissioni del concorso”), già articolo 17 dello schema precedente, recepisce integralmente, anche quanto alla rubrica dell’articolo, i rilievi e le indicazioni fatti da questa Sezione nel parere n. 2190/2016. Pertanto non si hanno in proposito osservazioni da formulare.

4.17 – L’articolo 17 dello schema (“Svolgimento del corso di formazione dirigenziale e tirocinio”), già articolo 18 dello schema precedente, ridisegna il corso di formazione dirigenziale e tirocinio, tenendo conto anche del parere n. 2190/2016, che tra l’altro aveva ritenuto che l’Amministrazione avrebbe dovuto meglio soffermarsi sulle indicazioni espresse dal CSPI nella seduta del 13 luglio 2016; e tenendo conto altresì delle indicazioni espresse dal CSPI nella ulteriore seduta del 10 maggio 2017.

Relativamente ad entrambe le serie di indicazioni CSPI il nuovo schema, laddove ha ritenuto di discostarsi, ha adeguatamente motivato.

Nel redigere il presente articolo 17 lo schema ha anche tenuto conto, come affermato nella Relazione illustrativa, dei rilievi espressi, con riferimento all’articolo 18, comma 7, del precedente schema (“Con decreto del Ministro sono determinati le modalità organizzative e i criteri di valutazione del corso di formazione dirigenziale e del tirocinio, i soggetti pubblici deputati ad erogare la formazione e i posti disponibili presso ciascuno di essi, i criteri di valutazione del colloquio finale, i criteri di ammissione al tirocinio e di formazione della graduatoria finale a seguito del colloquio finale, nonché le materie di insegnamento, gli eventuali insegnamenti opzionali e i piani di studio. Sono altresì stabilite le norme che i candidati sono tenuti ad osservare durante la frequenza del corso e, infine, la validità dei periodi di formazione e di tirocinio in caso di assenze da parte dei candidati stessi”) delle citate osservazioni formulate dal Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione con nota prot. 422/1G/UL/P del 5 dicembre 2016, le quali manifestavano perplessità su una ulteriore delega a un decreto ministeriale per la materia.

In considerazione di quelle osservazioni l’articolo 17, comma 7, è stato così riformulato “Il MIUR, sentita la CRUI, provvede a declinare i contenuti didattici e le modalità di realizzazione dei singoli moduli formativi del corso di formazione, di cui al comma 3 del presente articolo, allo scopo di assicurare l’unitarietà del progetto formativo anche nel caso di coinvolgimento di più Università, individuate dalla CRUI, una delle quali designata quale sede amministrativa”.

La nuova configurazione del corso di formazione dirigenziale e tirocinio, confermata la possibilità, già prevista nel precedente articolo 18, che la stessa sia organizzata a livello regionale vede, tra l’altro:

– due mesi di formazione generale in presenza e quattro mesi di tirocinio integrati da momenti di formazione erogabili anche a distanza (comma 2);

– l’articolazione in quattro moduli formativi su altrettante materie ivi descritte (comma 3);

– l’ammissione al tirocinio di tutti i candidati che abbiano frequentato almeno 180 ore delle 240 previste per il corso di formazione dirigenziale (comma 4);

– i termini e le modalità di svolgimento del tirocinio, della durata di quattro mesi (comma 5);

– la previsione che al termine del tirocinio i candidati sono ammessi al colloquio finale, il cui superamento consente l’inserimento nella graduatoria generale di merito di cui al successivo articolo 19 (comma 6);

– la citata previsione che il MIUR, sentita la CRUI, provvede a declinare i contenuti didattici e le modalità di realizzazione dei singoli moduli formativi del corso di formazione;

– la previsione che le Università si avvalgano, per lo svolgimento degli specifici insegnamenti e delle attività formative di personale in possesso di qualificata e documentata competenza nelle materie oggetto dei moduli formativi, di cui al comma 3, scelto tra docenti universitari, dirigenti dell’amministrazione scolastica, dirigenti scolastici ed esperti esterni; che il corso di formazione comprenda anche attività volte all’esame di casi pratici, sia attraverso l’esposizione di esperienze che mediante le tecniche della simulazione e del role-playing; che per dette attività, le Università si avvalgano anche della collaborazione di dirigenti dell’amministrazione scolastica e di dirigenti scolastici individuati d’intesa con gli Uffici scolastici regionali (comma 8);

– la previsione che le Università, dandone tempestiva informazione agli interessati, individuino le sedi di svolgimento del corso di formazione e il calendario delle relative attività formative; e che un successivo decreto del Direttore generale stabilisca le norme che i candidati dovranno osservare durante la frequenza del corso e la validità dei periodi di formazione e di tirocinio in caso di assenze da parte dei candidati stessi (comma 9);

– l’eliminazione del vincolo temporale (15 giugno – 10 settembre) indicato nel precedente articolo 18 per lo svolgimento del corso e prevedere che durante il corso di formazione dirigenziale e tirocinio i partecipanti beneficino del semiesonero dal servizio (comma 10).

Relativamente al comma 6 (“Sono ammessi al colloquio finale i candidati che hanno effettuato il tirocinio. A tal fine il Dirigente scolastico della scuola individuata ai sensi del comma 5 certifica la frequenza del candidato per almeno i ¾ dei giorni di effettivo funzionamento della scuola secondo il calendario scolastico, fermo restando quanto previsto dall’articolo 21. I candidati presentano alla Commissione di cui all’articolo 18 una relazione scritta sulle attività svolte durante il tirocinio e sostengono il colloquio finale. Il colloquio finale consiste in quattro domande, una per ognuno dei moduli formativi previsti dal comma 3, estratte dal candidato, nonché in una domanda di carattere tecnico pratico relativa al tirocinio svolto. A ciascuna delle cinque domande viene attribuito un punteggio nel limite massimo di venti punti. Il colloquio è valutato, in centesimi, dalla Commissione di cui all’articolo 18. Superano il colloquio coloro che conseguono una votazione almeno pari a 70 centesimi. I candidati che superano il colloquio sono inseriti nella relativa graduatoria generale di merito di cui all’articolo 19”) la Sezione esprime il parere che l’affidare la graduatoria generale di merito e l’accesso ai ruoli della dirigenza scolastica (v. i successivi articolo 19, comma 1, e 20, comma 1) – quasi totalmente a prove orali può minare le garanzie di imparzialità; e suggerisce pertanto di valutare l’opportunità di prevedere a tal fine anche una prova di carattere teorico-pratico, che per sua natura meglio si presta a garantire trasparenza di valutazione.

Si osserva poi che sebbene si evinca dall’articolo 17 nel suo complesso, e segnatamente dai citati commi 7 e 8, che il corso di formazione dirigenziale è svolto da una o più Università individuate dalla CRUI, la connotazione universitaria del corso non è espressamente affermata. Valuti il Ministero se, per chiarezza normativa, quella espressamente affermazione della connotazione universitaria debba essere esplicitata nell’articolato, ad esempio nella parte iniziale del comma 3, dedicato ai moduli formativi.

Si osserva altresì che il nuovo comma 10 non reca più la previsione, contenuta nell’articolo 18, comma 10, del precedente schema, “Le spese di viaggio, vitto e alloggio sono a carico dei partecipanti”.

Sulla soppressione non risultano dati né nella Relazione tecnica né nelle premesse all’articolato né nello stesso parere MEF, mentre in proposito sarebbero utili chiarimenti.

4.18 – L’articolo 18 (“Commissione del corso di formazione dirigenziale e tirocinio”), recependo le indicazioni del parere n. 2190/2016, esplicita con adeguata chiarezza la composizione della Commissione del corso di formazione, cui è demandata la graduatoria generale di merito; e prevede che la Commissione abbia composizione analoga a quella della Commissione del concorso, disciplinata dall’articolo 15, ma composta da soggetti differenti rispetto a quella.

Si ribadiscono in proposito i rilievi già fatto per il citato articolo 15, ai quali si rinvia.

4.19 – L’articolo 19 (“Graduatoria generale di merito”), nei suoi tre commi, riproduce quasi integralmente i commi 2, 3 e 4 dell’articolo 19 (“Commissione del corso e graduatoria generale”) dello schema precedente.

In proposito non si hanno rilievi da formulare

4.20 – L’articolo 20 (“Vincitori”) riproduce quasi integralmente l’articolo 20 dello schema precedente, cui aggiunge il seguente comma 5: “Le assunzioni disposte mediante scorrimento delle graduatorie di cui al presente regolamento avvengono in ogni caso entro il limite massimo dei posti effettivamente vacanti e disponibili in ciascun USR per anno scolastico, ferma restando la procedura autorizzatoria di cui all’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449”.

In proposito non si hanno rilievi da formulare

4.21 – L’articolo 21 (“Riammissione al corso successivo”) riproduce quasi integralmente l’articolo 21 dello schema precedente.

In proposito non si hanno rilievi da formulare.

4.22 – L’articolo 22 (“Disposizioni finanziare”) riproduce quasi integralmente l’articolo 22 dello schema precedente, introducendovi la precisazione (“ai sensi dell’articolo 5 […] del presente decreto”) di cui il parere n. 2190/2016 aveva indicato la necessità.

L’articolo reca anche la indicazione, rilevata nella citata nota MEF prot. 95968 del 14 dicembre 2016, che quanto indicato in questo articolo 22 è da intendere come “limite di spesa”.

Anche sul presente articolo 22 non si hanno rilievi da formulare

4.23 – Sull’articolo 23 (“Disposizioni particolari per le scuole con lingua di insegnamento slovena e con insegnamento bilingue sloveno-italiano”), che riproduce l’articolo 23 dello schema precedente, non si hanno osservazioni.

4.24 – Sull’articolo 24 (“Disposizioni particolari per le province autonome di Trento e Bolzano”), che riproduce l’articolo 24 dello schema precedente, non si hanno osservazioni

4.25. – L’articolo 25 reca in unico contesto, recependo le indicazioni del parere n. 2190/2016, le disposizioni transitorie già contenute negli articoli 4, 5, 14 e 15 del precedente schema.

In proposito non si hanno rilievi da formulare.

4.26. – Sull’articolo 26 (“Entrata in vigore”), che riproduce l’articolo 25 dello schema precedente (“Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana”), opportunamente aggiungendo che l’applicazione del decreto avverrà a decorrere dall’anno scolastico su ccessivo, non si hanno osservazioni.

4.27 – Sulla Tabella A allegata al Regolamento – ridefinita, conformemente alle indicazioni del parere n. 2190/2016, “Tabella di valutazione dei titoli del corso-concorso per l’accesso ai ruoli della dirigenza scolastica”, e relativamente alla quale le premesse all’emanando Regolamento precisano “RITENUTO di poter accogliere quasi integralmente le proposte di modifica alla Tabella di valutazione dei titoli richieste dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione – tendenti, principalmente, ad attribuire diverso e maggior peso alle esperienze professionali rispetto a titoli culturali, pur in considerazione della prioritaria esigenza di garantire prevalenza alla valutazione dei titoli culturali specifici inerenti la funzione dirigenziale scolastica rispetto a titoli di servizio ed esperienze professionali più strettamente riconducibili alla funzione docente” – non si hanno rilievi da formulare.

P.Q.M.

Nel senso indicato è il parere, favorevole con osservazioni, della Sezione.

L’ESTENSORE                                             IL PRESIDENTE

   Giancarlo Luttazi                                      Gerardo Mastrandrea

IL SEGRETARIO

Giuseppe Carmine Rainone

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Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Nota - D.P.R. n. 235 del 21 novembre 2007 - Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria 04/07/2008 n° 3602 PO
Prassi, Circolari, Note

Prot n. 3602/P0

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione 
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione 

Roma, 4 luglio 2008

Ai Direttori degli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI

Al Sovrintendentcolastico per la Provincia di BOLZANO

Al Sovrintendente Scolastico per la Provincia di TRENTO

All’Intendente Scolastico per la scuola in lingua tedesca BOLZANO

All’Intendente Scolastico per la scuola delle località ladine BOLZANO

Al Sovrintendente agli Studi per la Regione Autonoma della Valle d’Aosta 
AOSTA

Ai Presidenti delle Consulte Provinciali Degli Studenti
LORO SEDI

Alle associazioni degli Studenti
LORO SEDI

Alle Associazioni dei Genitori
LORO SEDI 

Oggetto: D.P.R. n. 235 del 21 novembre 2007 -  Regolamento recante  modifiche ed integrazioni al D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria

 

Nella Gazzetta n. 293 del 18.12.2007 è stato pubblicato il D.P.R  n. 235 del 21 novembre 2007 - Regolamento che apporta modifiche ed integrazioni al D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria. 

PREMESSA

I fatti di cronaca che hanno interessato la scuola, negli ultimi anni, dalla trasgressione delle comuni regole di convivenza sociale agli episodi più gravi di violenza e bullismo hanno determinato l’opportunità di integrare e migliorare lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti, approvato con DPR n. 249/1998. La scuola, infatti, quale luogo di crescita civile e culturale della persona, rappresenta, insieme alla famiglia, la risorsa più idonea ad arginare il rischio del dilagare di un fenomeno di caduta progressiva sia della cultura dell’osservanza delle regole sia della consapevolezza che la libertà personale si realizza nel rispetto degli altrui diritti e nell’adempimento dei propri doveri.
Il compito della scuola, pertanto, è quello di far acquisire non solo competenze, ma anche valori da trasmettere per formare cittadini che abbiano senso di identità, appartenenza e responsabilità .
Al raggiungimento di tale obiettivo è chiamata l’autonomia scolastica, che consente alle singole istituzioni scolastiche di programmare e condividere con gli studenti, con le famiglie, con le altre componenti scolastiche e le istituzioni del territorio, il percorso educativo da seguire per la crescita umana e civile dei giovani.
Ed infatti obiettivo delle norme introdotte con il regolamento in oggetto, non è solo la previsione di sanzioni più rigide e più adeguate a rispondere a fatti di gravità eccezionale quanto, piuttosto la realizzazione di un’alleanza educativa tra famiglie, studenti ed operatori scolastici, dove le parti assumano impegni e responsabilità e possano condividere regole e percorsi di crescita degli studenti.
Con le recenti modifiche non si è voluto quindi stravolgere l’impianto culturale e normativo che sta alla base dello Statuto delle studentesse e degli studenti e che rappresenta, ancora oggi, uno strumento fondamentale per l’affermazione di una cultura dei diritti e dei doveri tra le giovani generazioni di studenti. Tuttavia, a distanza di quasi dieci anni dalla sua emanazione, dopo aver sentito le osservazioni e le proposte delle rappresentanze degli studenti e dei genitori,  si è ritenuto  necessario apportare delle modifiche alle norme che riguardano le sanzioni disciplinari (art. 4) e le relative impugnazioni (art. 5).
In particolare, anche di fronte al diffondersi nelle comunità scolastiche di fenomeni, talvolta gravissimi, di violenza, di bullismo o comunque di offesa alla dignità ed al rispetto della persona umana, si è inteso introdurre un apparato normativo che consenta alla comunità educante di rispondere ai fatti sopra citati con maggiore severità sanzionatoria.
Si è infatti voluto offrire alle scuole la possibilità di sanzionare con la  dovuta severità, secondo un criterio di gradualità e di proporzionalità, quegli episodi disciplinari che, pur rappresentando un’esigua minoranza rispetto alla totalità dei comportamenti aventi rilevanza disciplinare, risultano particolarmente odiosi ed intollerabili, soprattutto se consumati all’interno dell’istituzione pubblica preposta all’educazione dei giovani. La scuola deve poter avere gli strumenti concreti di carattere sia educativo che sanzionatorio per far comprendere ai giovani la gravità ed il profondo disvalore sociale di atti o  comportamenti di violenza, di sopraffazione nei confronti di coetanei disabili, portatori di handicap o, comunque, che si trovino in una situazione di difficoltà. Comportamenti che, come afferma chiaramente la norma, configurino delle fattispecie di reati che violano la dignità ed il rispetto della persona umana o che mettano in pericolo l’incolumità delle persone e che, al contempo, nei casi più gravi, siano caratterizzati dalla circostanza di essere stati ripetuti dalla stessa persona, nonostante per fatti analoghi fosse già stato sanzionato, e che quindi siano connotati da una particolare gravità tale da ingenerare un elevato allarme sociale nell’ambito della comunità scolastica. Di fronte a tali situazioni, che la norma descrive in via generale, la scuola deve poter rispondere con fermezza ed autorevolezza al fine di svolgere pienamente il suo ruolo educativo e, al tempo stesso, di prevenire il verificarsi dei predetti fatti.
I comportamenti riprovevoli, e connotati da un altissimo grado di disvalore sociale, non possono essere trattati al pari delle comuni infrazioni disciplinari, ma devono poter essere sanzionati con maggiore rigore e severità, secondo un principio di proporzionalità tra la sanzione irrogabile e l’infrazione disciplinare commessa.
 L’inasprimento delle sanzioni, per i gravi o gravissimi episodi sopra citati, si inserisce infatti in un quadro più generale di educazione alla cultura della legalità intesa come rispetto della persona umana e delle regole poste a fondamento della convivenza sociale.

CONTENUTO DEI REGOLAMENTI D’ISTITUTO

Occorre innanzitutto premettere che destinatari delle norme contenute nello Statuto delle Studentesse e degli Studenti sono gli alunni delle scuole secondarie  di 1° e 2° grado. Per gli alunni della scuola elementare risulta ancora vigente il Regio Decreto 26 aprile 1928, n. 1297, salvo che con riferimento alle disposizioni da ritenersi abrogate per incompatibilità con la disciplina successivamente intervenuta. Le disposizioni così sopravvissute devono poi essere comunque “attualizzate” tramite la contestuale applicazione delle regole generali sull’azione amministrativa derivanti dalla L. n 241/1990, come più avanti si ricorderanno. 
La legge n. 241/1990, che detta norme sul procedimento amministrativo, costituisce comunque il quadro di riferimento di carattere generale per gli aspetti procedimentali dell’azione disciplinare nei confronti degli studenti.
Il D.P.R. in oggetto apporta sostanziali novità in materia di disciplina, con specifico riferimento alle infrazioni disciplinari, alle sanzioni applicabili e all’impugnazione di quest’ultime.
Le modifiche introdotte impongono alle singole istituzioni scolastiche di adeguare ad esse i regolamenti interni. 
Appare necessario, a seguito delle modifiche introdotte dal D.P.R. in oggetto, ricapitolare i contenuti dei regolamenti d’istituto in tema di disciplina, come risultanti unitariamente dalle vecchie e dalle nuove norme.
Detti regolamenti dovranno individuare: 

le mancanze disciplinari. Partendo dalla previsione dell’ art. 3 del  citato D.P.R. n 249/98, che individua dei macro-doveri comportamentali facenti riferimento ad ambiti generali del vivere insieme, i regolamenti delle istituzioni scolastiche devono declinare gli stessi, tramite la specificazione di doveri e/o divieti di comportamento e di condotta.le sanzioni  da correlare alle mancanze disciplinari. Le sanzioni diverse dall’allontanamento dalla comunità scolastica sono appannaggio del regolamento delle istituzioni scolastiche, che quindi le dovrà specificatamente individuare. A tal fine le istituzioni scolastiche si ispireranno al principio fondamentale della finalità educativa e “costruttiva” e non solo punitiva della sanzione e alla non interferenza tra sanzione disciplinare e valutazione del profitto (art 4, comma 3, DPR 249). Quello che si richiede alle scuole è uno sforzo di tipizzazione di quei comportamenti generali cui ricollegare le sanzioni e non un rinvio generico allo Statuto delle studentesse e degli studenti, che di per sé non contiene fattispecie tipizzate, se non nei casi gravissimi.gli organi competenti a comminare le sanzioni. Il regolamento d’istituto è chiamato ad identificare gli organi competenti ad irrogare le sanzioni diverse dall’allontanamento dalla comunità scolastica (ad es. docente, dirigente scolastico o consiglio di classe). Le sanzioni comportanti l’allontanamento dalla comunità scolastica sono, inoltre, riservate dal D.P.R. alla competenza del Consiglio di Classe e del Consiglio d’Istituto. 
Al riguardo va osservato che, a seguito delle recenti modifiche normative, la competenza di irrogare sanzioni che comportino l’allontanamento non viene più attribuita genericamente in capo ad un organo collegiale, come avveniva nel testo normativo previgente.
E’ stato, viceversa, specificato dall’art. 4 comma 6 che: a) le sanzioni ed i provvedimenti che comportano l’allontanamento dalla comunità scolastica per un periodo inferiore a 15 giorni sono sempre adottati dal CONSIGLIO DI CLASSE; b) le sanzioni che comportano un allontanamento superiore a 15 giorni, ivi compresi l’allontanamento fino al termine delle lezioni o con esclusione dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame di Stato conclusivo del corso di studi, sono sempre adottate dal CONSIGLIO DI ISTITUTO.
In particolare, con riferimento al Consiglio di classe si deve ritenere che l’interpretazione maggiormente conforme al disposto normativo (art. 5 D.Lgs. n. 297/1994) sia nel senso che tale organo collegiale quando esercita la competenza in materia disciplinare deve operare nella composizione allargata a tutte le componenti, ivi compresi pertanto gli studenti e i genitori, fatto salvo il dovere di astensione (es. qualora faccia parte dell’organo lo studente sanzionato o il genitore di questi)e di successiva e conseguente surroga.il procedimento di irrogazione delle sanzioni disciplinari, con specifico riferimento ad es. alla forma e alle modalità di contestazione dell’addebito;  forma e modalità di attuazione del contraddittorio; termine di conclusione.procedure di elaborazione condivisa e sottoscrizione del Patto educativo di  corresponsabilità. E’ questo un ulteriore e nuovo elemento di contenuto del regolamento d’istituto, introdotto dal D.P.R.n. 235 del 2007.  PRINCIPI GENERALI

Occorre tener presente che il nuovo testo normativo tende a sottolineare la funzione educativa della sanzione disciplinare, rafforzando la possibilità di recupero dello studente attraverso attività di natura sociale, culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica (Art. 4 comma 2).
Pertanto i regolamenti d’istituto individueranno le sanzioni disciplinari rispondenti alla predetta finalità, per esempio, le attività di volontariato nell’ambito della comunità scolastica, le attività di segreteria, la pulizia dei locali della scuola, le piccole manutenzioni, l’attività di ricerca, il riordino di cataloghi e di archivi presenti nelle scuole,la frequenza di specifici corsi di formazione su tematiche di rilevanza sociale o culturale, la produzione di elaborati (composizioni scritte o artistiche) che inducano lo studente ad uno sforzo di riflessione e di rielaborazione critica di episodi verificatisi nella scuola, etc. 
Le misure sopra richiamate, alla luce delle recenti modifiche si configurano non solo come sanzioni autonome diverse dall’allontanamento dalla comunità scolastica, ma altresì come misure accessorie che si accompagnano alle sanzioni di allontanamento dalla comunità stessa .
Le norme introdotte dal D.P.R. 235, però, tendono anche a sanzionare con  maggiore rigore i comportamenti più gravi, tenendo conto, non solo della situazione personale dello studente, ma anche della gravità dei comportamenti e delle conseguenze  da essi derivanti. Nell’attuazione delle suddette sanzioni, infatti, occorrerà ispirarsi al principio di gradualità della sanzione, in stretta correlazione con la gravità della mancanza disciplinare commessa.
Occorre, inoltre, sottolineare che le sanzioni disciplinari sono sempre temporanee ed ispirate, per quanto possibile, alla riparazione del danno. (Art.4 – Comma 5). 
Ove il fatto costituente violazione disciplinare sia anche qualificabile come reato in base all’ordinamento penale, si ricorda che il dirigente scolastico sarà tenuto alla presentazione di denuncia all’autorità giudiziaria penale in applicazione dell’art 361 c.p.. 
  
CLASSIFICAZIONE DELLE SANZIONI

Per maggiore chiarezza, si riporta una classificazione delle sanzioni disciplinari secondo un crescendo di gravità.
A tal proposito va precisato che, le esemplificazioni che seguono non sono esaustive delle possibili mancanze disciplinari, né delle possibili sanzioni, ma scaturiscono da una ampia ricognizione delle esperienze di molte scuole e dei loro regolamenti d’istituto.
A) Sanzioni diverse dall’allontanamento temporaneo dalla comunità scolastica (art. 4 – Comma 1) Si tratta di sanzioni non tipizzate né dal D.P.R. n. 249 né dal D.P.R. n. 235, ma che devono essere definite ed individuate dai singoli regolamenti d’istituto, insieme, come già detto nel paragrafo precedente, alle mancanze disciplinari, agli organi competenti ad irrogarle ed alle procedure 
B) Sanzioni che comportano l’allontanamento temporaneo dello studente dalla comunità scolastica per un periodo non superiore a 15 giorni  ( Art. 4 - Comma 8):
Tale sanzione - adottata dal Consiglio di Classe -  è comminata soltanto in caso di gravi o reiterate infrazioni disciplinari derivanti dalla violazione dei doveri di cui all’art. 3 del D.P.R.  n. 249/98.
Durante il suddetto periodo di allontanamento è previsto un rapporto con lo studente e con  i suoi genitori  al fine di preparare il rientro dello studente sanzionato nella comunità scolastica.
C) Sanzioni che comportano l’allontanamento temporaneo dello studente dalla comunità scolastica per un periodo  superiore a 15 giorni (Art. 4 – Comma 9). 
Le suddette sanzioni sono adottate dal Consiglio d’istituto, se ricorrono due condizioni, entrambe necessarie:
1) devono essere stati commessi “reati che violino la dignità e il rispetto della persona umana ( ad es. violenza privata, minaccia, percosse, ingiurie, reati di natura sessuale etc.), oppure deve esservi una concreta situazione di pericolo per l’incolumità delle persone (ad es. incendio o allagamento); 
2) il fatto commesso deve essere di tale gravità da richiedere una deroga al limite dell’allontanamento fino a 15 giorni previsto dal 7° comma dell’art. 4 dello Statuto. In tal caso la durata dell’allontanamento è adeguata alla gravità dell’infrazione, ovvero al permanere della situazione di pericolo.
  Si precisa che l’iniziativa disciplinare di cui deve farsi carico la scuola può essere assunta in presenza di fatti tali da configurare una fattispecie astratta di reato prevista dalla normativa penale.
Tali fatti devono risultare verosimilmente e ragionevolmente accaduti indipendentemente dagli autonomi e necessari accertamenti che, anche sui medesimi fatti, saranno svolti dalla magistratura inquirente e definitivamente acclarati con successiva sentenza del giudice penale.
Nei periodi di allontanamento superiori a 15 giorni, la scuola promuove  - in coordinamento con la famiglia dello studente e, ove necessario, con i servizi sociali e l’autorità giudiziaria - un percorso di recupero educativo  mirato all’inclusione, alla responsabilizzazione e al reintegro, ove possibile, nella comunità scolastica.
D) Sanzioni che comportano l’allontanamento  dello studente dalla comunità scolastica fino al termine dell’anno scolastico ( Art. 4 - comma 9bis):
L’irrogazione di tale sanzione, da  parte del Consiglio d’Istituto,  è prevista alle seguenti condizioni, tutte congiuntamente ricorrenti:
1) devono ricorrere situazioni di recidiva, nel caso di reati che violino la dignità e il rispetto per la persona umana, oppure atti di grave violenza o connotati da una particolare gravità tali da determinare seria apprensione a livello sociale;
2) non sono esperibili interventi per un reinserimento responsabile e tempestivo dello studente nella comunità durante l’anno scolastico; 
Con riferimento alle sanzioni di cui ai punti C e D, occorrerà evitare che l’applicazione di tali sanzioni determini, quale effetto implicito, il superamento dell’orario minimo di frequenza richiesto per la validità dell’anno scolastico. Per questa ragione dovrà essere prestata una specifica e preventiva attenzione allo scopo di verificare che il periodo di giorni per i quali si vuole disporre l’allontanamento dello studente non comporti automaticamente, per gli effetti delle norme di carattere generale, il raggiungimento di un numero di assenze tale da compromettere comunque la possibilità per lo studente di essere valutato in sede di scrutinio.
E Sanzioni che comportano l’esclusione dello studente dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame di stato conclusivo del corso di studi (Art. 4 comma 9 bis e 9 ter)
Nei casi  più gravi di quelli già indicati al punto D ed al ricorrere delle stesse condizioni ivi indicate, il Consiglio d’istituto può disporre l’esclusione dello studente dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame di Stato conclusivo del corso di studi (Comma 9 bis).
E’ importante sottolineare che le  sanzioni disciplinari di cui ai punti B,C,D ed E possono essere irrogate soltanto previa verifica, da parte dell’istituzione scolastica, della sussistenza di elementi concreti e precisi dai quali si evinca la responsabilità disciplinare dello studente  (Comma 9 ter).

* * *

La sanzione disciplinare, inoltre, deve specificare in maniera chiara  le motivazioni che hanno reso necessaria l’irrogazione della stessa (art. 3 L. 241/1990) . Più la sanzione è grave e più sarà necessario il rigore motivazionale, anche al fine di dar conto del rispetto del principio di proporzionalità e di gradualità della sanzione medesima.
Nel caso di sanzioni che comportano l’allontanamento fino alla fine dell’anno scolastico, l’esclusione dallo scrutinio finale, la non ammissione agli esami di stato, occorrerà, anche esplicitare i motivi per cui ”non siano esperibili interventi per un reinserimento responsabile e tempestivo dello studente nella comunità durante l’anno scolastico”.
Di norma, (si rinvia in proposito alle disposizioni sull’autonomia scolastica) le sanzioni disciplinari,  al pari delle altre informazioni relative alla carriera  dello studente, vanno inserite nel suo fascicolo personale  e, come quest’ultimo, seguono lo studente  in occasione di trasferimento da una scuola ad un’altra o di passaggio da un grado all’altro di scuola. Infatti, le sanzioni disciplinari non sono considerati dati sensibili, a meno che nel testo della sanzione non si faccia riferimento a dati sensibili che riguardano altre persone coinvolte nei fatti che hanno dato luogo alla sanzione stessa (es. violenza sessuale). In tali circostanze si applica il principio dell’indispensabilità del trattamento dei dati sensibili che porta ad operare con “omissis” sull’identità delle persone coinvolte e comunque nel necessario rispetto del D.Lgs. n. 196 del 2003 e del DM 306/2007. 
Ai fini comunque di non creare pregiudizi nei confronti  dello studente che opera il passaggio all’altra scuola si suggerisce una doverosa riservatezza circa i fatti che hanno visto coinvolto lo studente. 
Va sottolineato, inoltre, che il cambiamento di scuola non pone fine ad un procedimento disciplinare iniziato, ma esso segue il suo iter fino alla conclusione.
Ovviamente i regolamenti d’istituto dovranno contenere anche precisazioni in ordine a quanto precede.

IMPUGNAZIONI

Per quanto attiene all’impugnazione  (Art. 5) delle suddette sanzioni disciplinari le modifiche introdotte dal regolamento in questione sono finalizzate a garantire da un lato “il diritto di difesa” degli studenti e, dall’altro, la snellezza e rapidità del procedimento, che deve svolgersi e concludersi alla luce di quanto previsto, della Legge 7 agosto 1990, n. 241.
Va rammentato, infatti, che il procedimento disciplinare verso gli alunni è azione di natura amministrativa, per cui il procedimento che si mette in atto costituisce procedimento amministrativo, al quale si applica la normativa introdotta dalla Legge  n. 241/90 e successive modificazioni, in tema di avvio del procedimento, formalizzazione dell’istruttoria, obbligo di conclusione espressa, obbligo di motivazione e termine.
Il sistema di impugnazioni delineato dall’art. 5 del D.P.R. non incide automaticamente sull’esecutività della sanzione disciplinare eventualmente irrogata, stante il principio generale che vuole dotati di esecutività gli atti amministrativi pur non definitivi: la sanzione potrà essere eseguita pur in pendenza del procedimento di impugnazione, salvo quanto diversamente stabilito nel regolamento di istituto. 
Contro le sanzioni disciplinari anzidette è ammesso ricorso da parte di chiunque vi abbia interesse (genitori, studenti), entro quindici giorni dalla comunicazione ad un apposito Organo di Garanzia interno alla scuola, istituito e disciplinato dai regolamenti delle singole istituzioni scolastiche. 
L’organo di garanzia dovrà esprimersi nei successivi dieci giorni (Art. 5  - Comma 1). 
Qualora l’organo di garanzia non decida entro tale termine, la sanzione non potrà che ritenersi confermata.
Si evidenzia che il Regolamento di modifica dello Statuto ha meglio definito, anche se non rigidamente, nel rispetto delle autonomie delle singole istituzioni scolastiche – la sua composizione. Esso – sempre presieduto dal Dirigente Scolastico - di norma, si compone , per la scuola secondaria  di 2° grado da un docente designato dal consiglio d’istituto, da un rappresentante eletto dagli studenti e da un rappresentante eletto dai genitori; per la scuola secondaria di 1° grado, invece, da un docente designato dal Consiglio d’istituto e da due rappresentanti eletti dai genitori  (Art. 5  - Comma 1). 
A proposito va sottolineato che i regolamenti dovranno precisare:
a) la composizione del suddetto organo in ordine:
1) al n. dei suoi membri, che in ragione delle componenti scolastiche che devono rappresentare non possono essere meno di quattro;
2) alle procedure di elezione e subentro dei membri, nonché alla possibilità di nominare membri supplenti, in caso di incompatibilità (es. qualora faccia parte dell’O.G. lo stesso soggetto che abbia irrogato la sanzione) o di dovere di astensione (es. qualora faccia parte dell’O.G. lo studente sanzionato o un suo genitore)
b) il funzionamento dell’organo di garanzia, nel senso che occorrerà precisare: 
1) se tale organo in prima convocazione debba essere “perfetto”(deliberazioni valide se sono presenti tutti i membri) e magari in seconda convocazione funzioni solo con i membri effettivamente partecipanti alla seduta o se, al contrario, non sia mai necessario, per la validità delle deliberazioni, che siano presenti tutti i membri;
2) il valore dell’astensione di qualcuno dei suoi membri (se influisca o meno sul conteggio dei voti).
L’organo di garanzia decide  - su richiesta degli studenti della scuola secondaria superiore o di chiunque vi abbia interesse -  anche sui conflitti che sorgono all’interno della scuola in merito all’applicazione del presente regolamento (Art. 5 Comma 2). 

ORGANO  DI  GARANZIA  REGIONALE 

Il comma 3 del citato art. 5 modifica l’ulteriore fase di impugnatoria: la competenza a decidere sui reclami contro le violazioni dello Statuto, anche contenute nei regolamenti d’istituto, già prevista dall’originario testo del DPR 249, viene specificatamente attribuita alla competenza del Direttore dell’Ufficio scolastico regionale.
Il rimedio in esame, attraverso la valutazione della legittimità del provvedimento in materia disciplinare, potrà costituire occasione di verifica del rispetto delle disposizioni contenute nello Statuto sia nell’emanazione del provvedimento oggetto di contestazione sia nell’emanazione del regolamento d’istituto ad esso presupposto.
E’ da ritenersi che, in tal caso, il termine per la proposizione del reclamo sia di quindici giorni, in analogia con quanto previsto dal comma 1 dell’art. 5, decorrenti dalla comunicazione della decisione dell’organo di garanzia della scuola o dallo spirare del termine di decisione ad esso attribuito.
  La decisione è subordinata al parere vincolante di un organo di garanzia regionale di nuova istituzione – che dura in carica due anni scolastici. Detto organo - presieduto dal Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale o da un suo delegato – è composto, di norma, per la scuola secondaria di II grado, da due studenti designati dal coordinamento regionale delle consulte provinciali degli studenti, da tre docenti  e da un genitore designatinell’ambito della comunità scolastica regionale. Per la scuola secondaria di I grado, in luogo degli studenti sono designati altri due genitori.
Con riferimento alla designazione dei genitori, nel rispetto dell’autonoma decisione di ciascun Ufficio Scolastico Regionale, si suggerisce che la stessa avvenga nell’ambito dei rappresentanti del Forum Regionale delle Associazioni dei genitori (FORAGS).  
Per quanto concerne, invece la designazione dei docenti,  lasciata alla competenza dei Direttori degli Uffici Scolastici Regionali, la scelta potrà tener conto, per quanto possibile, dell’opportunità di non procurare aggravi di spesa in ordine al rimborso di titoli di viaggio.
 L’organo di garanzia regionale, dopo aver verificato la corretta applicazione della normativa e dei regolamenti, procede all’istruttoria esclusivamente sulla base della documentazione acquisita o di memorie scritteprodotte da chi propone il reclamo o dall’Amministrazione (Comma 4).  Non è consentita in ogni caso l’audizione orale del ricorrente o di altri controinteressati.
Il comma 5 fissa il termine perentorio di 30 giorni, entro il quale l’organo di garanzia regionale deve esprimere il proprio parere. Qualora entro  tale termine l‘organo di garanzia  non abbia comunicato il parere o rappresentato esigenze istruttorie, per cui il termine è sospeso per un periodo massimo di 15 giorni e per una sola volta (Art.16 - comma 4 della Legge 7 agosto 1990, n. 241), il Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale può decidere indipendentemente dal parere.  

PATTO EDUCATIVO DI CORRESPONSABILITÀ

Si tratta di un’assoluta novità (art. 5-bis dello Statuto), in diverse scuole già anticipata dalla prassi in essere. 
La disposizione di cui all’art. 5 bis va coordinata con le altre disposizioni dello Statuto ed in particolare, laddove fa riferimento a “diritti e doveri nel rapporto fra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie”, essa va coordinata con gli artt. 2 e 3 che prevedono già “diritti” e “doveri” degli studenti, anche al fine di distinguere il Patto educativo di corresponsabilità, così introdotto, dal regolamento d’istituto e/o di disciplina.
Può allora osservarsi che i destinatari naturali del patto educativo di cui alla disposizione in questione siano i genitori, ai quali la legge attribuisce in primis il dovere di educare i figli (art. 30 Cost., artt. 147, 155, 317 bis c.c.) 
L’obiettivo del patto educativo, in sostanza, è quello di impegnare le famiglie, fin dal momento dell’iscrizione, a condividere con la scuola i nuclei fondanti dell’azione educativa.
La scuola dell’autonomia può svolgere efficacemente la sua funzione educativa soltanto se è in grado di instaurare una sinergia virtuosa, oltre che con il territorio, tra i soggetti che compongono la comunità scolastica: il dirigente scolastico, il personale della scuola, i docenti, gli studenti ed i genitori. L’introduzione del patto di corresponsabilità è orientata a porre in evidenza il ruolo strategico che può essere svolto dalle famiglie nell’ambito di un’alleanza educativa che coinvolga la scuola, gli studenti ed i loro genitori ciascuno secondo i rispettivi ruoli e responsabilità. 
Il “patto” vuole essere dunque uno strumento innovativo attraverso il quale declinare i reciproci rapporti, i diritti e i doveri che intercorrono tra l’istituzione scolastica e le famiglie.
La norma, contenuta nell’art. 5 bis, si limita ad introdurre questo strumento pattizio e a definire alcune caratteristiche generali lasciando alla libertà delle singole istituzioni scolastiche autonome il compito di definire contenuti e modelli applicativi che devono scaturire dalle esigenze reali e dall’esperienza concreta delle scuole, non potendo essere astrattamente enucleati a livello centrale.
Ad esempio, a fronte del ripetersi di episodi di bullismo o di vandalismo, ritenendosi di orientare prioritariamente l’azione educativa al rispetto dell’ “altro”, sia esso persona o patrimonio, la scuola opererà su un doppio versante: da un lato potrà intervenire sulla modifica del regolamento d’istituto individuando le sanzioni più adeguate, dall’altro, si avvarrà del Patto educativo di corresponsabilità, per rafforzare la condivisione da parte dei genitori delle priorità educative e del rispetto dei diritti e dei doveri di tutte le componenti presenti nella scuola. 
Ciò consente di distinguere dunque, sul piano concettuale, il Patto educativo di corresponsabilità dal regolamento d’istituto.
Patto condiviso tra scuola e famiglia sulle priorità educative il primo, vincolante con la sua sottoscrizione; atto unilaterale della scuola verso i propri studenti teso a fornire loro la specificazione dei comportamenti ad essi consentiti o vietati il secondo, vincolante con la sua adozione e pubblicazione all’albo.
L’azione della scuola tesa alla sottoscrizione del Patto potrà costituire occasione per la diffusione della conoscenza della parte disciplinare del regolamento d’istituto (così come degli altri “documenti” di carattere generale che fondano le regole della comunità scolastica, quali il Piano dell’offerta formativa e  la Carta dei servizi), ma i due atti dovranno essere tenuti distinti nelle finalità e nel contenuto.
Appare il caso di evidenziare che l’introduzione del Patto di corresponsabilità si inserisce all’interno di una linea di interventi di carattere normativo e amministrativo attraverso i quali si sono voluti richiamare ruoli e responsabilità di ciascuna componente della comunità scolastica: docenti, dirigenti scolastici, studenti e, da ultimo, genitori. Al fine di consentire all’istituzione scolastica di realizzare con successo le finalità educative e formative cui è istituzionalmente preposta, ciascun  soggetto è tenuto ad adempiere correttamente ai doveri che l’ordinamento gli attribuisce. In questa ottica, pertanto, gli studenti sono tenuti ad osservare i doveri sanciti dallo Statuto degli studenti e delle studentesse, in particolare quelli contemplati negli articoli 3 e 4 del D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249 come modificato ed integrato dal recente D.P.R. 21 novembre 2007, n. 235; il personale docente quelli attinenti alla deontologia professionale enucleati dalla legge e dai Contratti collettivi nazionali di lavoro.
L’inosservanza di tali doveri comporterà, per gli studenti, l’applicazione delle sanzioni disciplinari secondo il sistema che è stato sopra illustrato, per il personale scolastico, l’esercizio rigoroso, tempestivo ed efficace del potere disciplinare anche alla luce di quanto previsto dalla più recente normativa (si veda, in particolare, la circolare n. 72 del 19 dicembre 2006 del M.P.I. -  Procedimenti e sanzioni disciplinari nel comparto scuola. Linee di indirizzo generali - e l’art. 2 comma 1 del D.L. 7 settembre 2007 n.147, convertito, con modificazioni, nella Legge 25 ottobre 2007 n.176).
Con particolare riferimento alla responsabilità civile che può insorgere a carico dei genitori, soprattutto in presenza di gravi episodi di violenza, di bullismo o di vandalismo, per eventuali danni causati dai figli a persone o cose durante il periodo di svolgimento delle attività didattiche, si ritiene opportuno far presente che i genitori, in sede di giudizio civile, potranno essere ritenuti direttamente responsabili dell’accaduto, anche a prescindere dalla sottoscrizione del Patto di corresponsabilità, ove venga dimostrato che non abbiano impartito ai figli un’educazione adeguata a prevenire comportamenti illeciti. Tale responsabilità, riconducibile ad una colpa in educando, potrà concorrere con le gravi responsabilità che possono configurarsi anche a carico del personale scolastico, per colpa in vigilando, ove sia stato omesso il necessario e fondamentale dovere di sorveglianza nei confronti degli studenti.
Sulla base di quanto sopra chiarito, e nell’ambito delle valutazioni autonome di ciascuna istituzione scolastica, il Patto di corresponsabilità potrà contenere degli opportuni richiami e rinvii alle disposizioni previste in materia dalla normativa vigente, allo scopo di informare le famiglie dei doveri e delle responsabilità gravanti su di loro in uno spirito di reciproca collaborazione che deve instaurarsi tra le diverse componenti della comunità scolastica. 
Infatti i doveri di educazione dei figli e le connesse responsabilità, non vengono meno per il solo fatto che il minore sia affidato alla vigilanza di altri (art. 2048 c.c., in relazione all’art. 147 c.c.)..
La responsabilità del genitore (art. 2048, primo comma, c.c.) e quella del “precettore” (art. 2048, secondo comma c.c.)  per il fatto commesso da un minore affidato alla vigilanza di questo ultimo, non sono infatti tra loro alternative, giacchè l’affidamento del minore alla custodia di terzi, se solleva il genitore dalla presunzione di “culpa in vigilando”, non lo solleva da quella di “culpa in educando”, rimanendo comunque i genitori tenuti a dimostrare, per liberarsi da responsabilità per il fatto compiuto dal minore pur quando si trovi sotto la vigilanza di terzi, di avere impartito al minore stesso un’educazione adeguata a prevenire comportamenti illeciti (Cass. Sez III, 21.9.2000, n. 12501; 26.11.1998, n. 11984).
Il patto di corresponsabilità, pertanto, potrà richiamare le responsabilità educative che incombono sui genitori, in modo particolare nei casi in cui i propri figli si rendano responsabili di danni a persone o cose derivanti da comportamenti violenti o disdicevoli che mettano in pericolo l’incolumità altrui o che ledano la dignità ed il rispetto della persona umana.
In ogni caso, resta fermo che il Patto di corresponsabilità non potrà mai configurarsi quale uno strumento giuridico attraverso il quale introdurre delle clausole di esonero dalla responsabilità riconducibile in capo al personale scolastico in caso di violazione del dovere di vigilanza. Tale obbligo nei confronti degli studenti è infatti previsto da norme inderogabili del codice civile; di conseguenza, nell’ipotesi in cui il patto contenesse, in maniera espressa o implicita, delle clausole che prevedano un esonero di responsabilità dai doveri di vigilanza o sorveglianza  per i docenti o per il personale addetto, tali clausole dovranno ritenersi come non apposte in quanto affette da nullità.
Con riferimento, poi,  alle modalità di elaborazione, il D.P.R. 235 (comma 2 dell’art. 5 bis) rimette al regolamento d’istituto la competenza a disciplinare le procedure di elaborazione e di sottoscrizione del Patto. Ciò significa che la scuola, nella sua autonomia, ove lo preveda nel regolamento d’istituto, ha la facoltà di attribuire la competenza ad elaborare e modificare il patto in questione al Consiglio di istituto,dove sono rappresentate le diverse componenti della comunità scolastica, ivi compresi i genitori e gli studenti.
  Quanto al momento di sottoscrizione del patto, l’art. 5 bis comma 1 dispone che questa debba avvenire, da parte dei genitori e degli studenti, “contestualmente all’iscrizione alla singola istituzione scolastica”. Come è noto, la procedura di iscrizione inizia con la presentazione della domanda, in generale entro gennaio, e termina con la conferma dell’avvenuta iscrizione, a seguito dell’acquisizione del titolo definitivo per il passaggio alla classe successiva, alla fine dell’anno scolastico di riferimento.
  Pertanto, è  proprio nell’ambito delle due settimane di inizio delle attività didattiche – art. 3 comma 3 – che ciascuna istituzione potrà porre in essere le iniziative più opportune per la condivisione e la presentazione del patto di corresponsabilità. (v.allegato)

Si invitano, pertanto, le singole istituzioni scolastiche a far pervenire presso il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca - Dipartimento per l’Istruzione - Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione, all’indirizzo e-mail:studenti@istruzione.it  o via fax al numero 06/58495911, degli esempi di patti che verranno adottati al fine di raccogliere esperienze e metterle a disposizione di tutte le scuole italiane durante questa fase sperimentale di prima applicazione della nuova normativa. 

IL MINISTRO
F.to Maria Stella Gelmini

Keywords
#studenti: azione disciplinare#condividere #bullismo #educazione #severità #rigore #vandalismo #enucleare #tipizzare #alleanza #scaturire
Consiglio di Stato - Parere - L'obbligo vaccinale è immediatamente applicabile 26/09/2017 n° 2065
Prassi, Circolari, Note

Numero 02065/2017 e data 26/09/2017 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Adunanza della Commissione speciale del 20 settembre 2017

NUMERO AFFARE 01614/2017

OGGETTO:

Regione Veneto.

Richiesta di parere del Presidente della Regione Veneto sull’interpretazione degli articoli 3 e 3-bis della legge 31 luglio 2017, n. 119, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, in ordine all’applicazione delle sanzioni a carico dei genitori, dei tutori o comunque delle figure esercenti la potestà parentale dei bambini che frequentano le scuole d’infanzia o che ricevono servizi educativi per l’infanzia, ivi inclusi quelli privati non paritari, e con particolare riguardo alle determinazioni conseguenti alla mancata presentazione della documentazione che dimostri l’adempimento agli obblighi vaccinali per i minori da zero a sedici anni di età previsto dalla predetta legge.

LA SEZIONE

Vista la nota dell’8 settembre 2017, con la quale il Presidente della Regione Veneto ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Gabriele Carlotti;

PREMESSO E CONSIDERATO

Sommario: I.) La richiesta di parere (quesito). – II.) La vicenda e il contesto normativo di riferimento. – II.A) Il decreto-legge n. 73/2017. – II.B) La circolare congiunta dei Ministeri del 1° settembre 2017. – II.C) Il decreto n. 111 del 4 settembre 2017 del Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto. – II.D) La lettera delle Ministre della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca al Presidente della Regione Veneto del 6 settembre 2017; il decreto n. 114 del 6 settembre 2017 del Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto del Direttore e la lettera del Presidente della Regione Veneto del 7 settembre 2017. – III.) La funzione consultiva del Consiglio di Stato. – IV.) La risposta al quesito.

I.) La richiesta di parere (quesito).

1.) Con nota dell’8 settembre 2017 il Presidente della Regione Veneto ha indirizzato alla Seconda Sezione consultiva di questo Consiglio la richiesta di parere in oggetto.

Il Presidente ha riferito di un recente contrasto interpretativo, insorto tra la Regione e i Ministeri della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca (d’ora in poi: i Ministeri), in ordine all’applicazione degli articoli 3, comma 3, e 3-bis, comma 5, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119. In particolare, il Presidente ritiene che le previsioni sopra richiamate non si prestino a un’esegesi univoca e che occorra un chiarimento in merito alle conseguenze della mancata presentazione della documentazione che dimostri l’avvenuto adempimento agli obblighi vaccinali. Più in dettaglio, il Presidente ha chiesto a questo Consiglio di precisare, sulla base dell’interpretazione del plesso normativo sopra richiamato, se già con decorrenza dall’anno scolastico corrente, ossia dall’anno scolastico 2017/2018, si debba ritenere preclusa la frequenza scolastica ai minori i cui rappresentanti legali, ancorché tenuti a dimostrare nei modi e nei tempi stabiliti dalla fonte primaria l’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale, non abbiano presentato la documentazione occorrente.

Il dubbio ermeneutico oggetto del quesito poggia sulla considerazione che i Ministeri, con circolare congiunta del 1° settembre 2017, hanno diramato indicazioni operative per l’attuazione del citato decreto-legge n. 73/2017 con le quali si è previsto che i minori, i cui genitori (o tutori o affidatari) non abbiano presentato entro l’11 settembre 2017 la documentazione prescritta, non possano frequentare i servizi educativi per l’infanzia né le scuole dell’infanzia, pur rimanendo comunque iscritti, con possibilità di essere nuovamente ammessi ai servizi stessi, una volta assolto l’obbligo di presentare la ridetta documentazione.

In difformità rispetto a quanto stabilito con la predetta circolare congiunta, nella Regione Veneto si è disposto, invece, con atto amministrativo a carattere generale (v. infra), che nell’anno scolastico 2017/2018, ai bambini già iscritti si applichi un “regime transitorio”, senza preclusione della frequenza fino all’anno scolastico 2019/2020 anche in mancanza di prova documentale dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale. Secondo tale ricostruzione, il comma 5 dell’articolo 3-bis prevedrebbe la decadenza dall’iscrizione, quale conseguenza della mancata presentazione della surricordata documentazione, soltanto a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020.

Sostiene il Presidente della Regione Veneto che la riferita interpretazione applicativa del combinato disposto degli articoli 3 e 3-bis del decreto-legge n. 73/2017 sia quella corretta dal momento che, diversamente opinando, si determinerebbe l’esito paradossale di impedire la frequenza a bambini già iscritti e considerati tali (ossia, come iscritti) ai fini dell’erogazione dei servizi e della programmazione scolastica.

Sulla base di tali argomentazioni il Presidente della Regione Veneto ha formulato il seguente quesito: “La disposizione di cui al comma 5 dell’art. 3-bis della Legge 31 luglio 2017, n. 119, deve intendersi che la mancata presentazione della documentazione di cui al comma 3 dello stesso articolo nei termini previsti comporta la decadenza dall’iscrizione alle scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, e ai servizi educativi per l’infanzia e con decorrenza dall’anno scolastico 2019/2020, come previsto dallo stesso articolo o con decorrenza dall’anno scolastico 2017/2018, come deducibile dal contenuto del comma 3 dell’art. 3 che dichiara che la presentazione della documentazione che dimostra il soddisfacimento dell’obbligo vaccinale di cui al comma 1 dello stesso art. 3 costituisce requisito di accesso, fino al punto di non consentire la frequenza, agli stessi servizi educativi per l’infanzia e scuole dell’infanzia?”.

La richiesta del Presidente della Regione Veneto – alla quale è stata allegata una scheda di approfondimento giuridico, proveniente dall’Avvocatura regionale veneta – si conclude con la raccomandazione di una celere espressione del parere a tutela delle esigenze di garanzia della corretta e completa erogazione delle prestazioni scolastiche e del loro contemperamento con il diritto alla salute, nonché nell’interesse degli alunni, delle famiglie, degli istituti e degli operatori scolastici, stante il recente avvio della frequenza presso le scuole dell’infanzia e i servizi educativi per l’infanzia.

2.) Con il decreto indicato nelle premesse, il Presidente del Consiglio di Stato, stante la rilevanza del quesito e la portata generale delle questioni giuridiche sollevate, ha stabilito di affidare l’esame della richiesta di parere a questa Commissione Speciale, come consentito dall’articolo 22 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato).

3.) In vista dell’adunanza della Commissione Speciale, fissata per il giorno 20 settembre 2017, la Ministra della salute e la Ministra dell’istruzione dell’università e della ricerca hanno fatto pervenire una nota, a firma congiunta, del 18 settembre 2017, recante in allegato una relazione – sottoscritta dai rispettivi Capi di Gabinetto – sul tema investito dal quesito. Nella citata relazione sono stati dedotti argomenti giuridici contrari all’interpretazione del dettato legislativo, siccome patrocinata dal Presidente della Regione Veneto.

Con la predetta nota le Ministre si sono comunque rimesse alle valutazioni che, in merito al quesito, saranno espresse da questo Consiglio, facendo così propria la richiesta di un parere dell’Istituto.

4.) Nell’adunanza del 20 settembre 2017 la Commissione Speciale si è riunita e ha deliberato sul quesito, esprimendo il presente parere.

Si anticipa fin d’ora che la risposta al quesito – sorretta dalle motivazioni che seguono – si rinviene nel susseguente dispositivo.

II.) La vicenda e il contesto normativo di riferimento.

5.) La Commissione Speciale, prima di esaminare le questioni sottoposte al vaglio consultivo, ritiene opportuno, ai fini di una migliore e generale intelligenza delle medesime questioni, ricostruire la vicenda sulla quale si è innestato l’interrogativo del Presidente della Regione Veneto.

II.A) Il decreto-legge n. 73/2017.

6.) Con il decreto-legge n. 73/2017 il Governo ha ravvisato la necessità di emanare, in via d’urgenza, disposizioni per:

– garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette alla prevenzione, al contenimento e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica;

– assicurare il costante mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale;

– garantire il rispetto degli obblighi assunti e delle strategie concordate a livello europeo e internazionale e degli obiettivi comuni fissati nell’area geografica europea.

Le ragioni della straordinaria necessità e urgenza del provvedimento sono state ravvisate, in particolare, nella tendenza, di recente riscontrata nelle statistiche epidemiologiche, alla riduzione, in Italia, delle coperture vaccinali al di sotto della soglia del 95%, obiettivo percentuale raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per impedire la circolazione e la trasmissione degli agenti patogeni.

7.) A questi fini, con l’articolo 1 del decreto-legge, nel testo risultante dalla conversione, si è stabilito, tra l’altro, che i minori di età compresa tra 0 e 16 anni siano sottoposti a 10 vaccinazioni obbligatorie e gratuite. Di tali 10 vaccinazioni 6 sono state previste in via permanente (anti-poliomelitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse e anti-Haemophilus influenzae tipo b) e le residue 4 (anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite e anti-varicella) soltanto per tre anni, decorrenti dal 6 agosto 2017 (data di entrata in vigore della legge n. 119/2017, di conversione del decreto-legge), qualora la loro somministrazione non sia confermata con apposito decreto del Ministro della salute, a seguito di uno specifico monitoraggio.

L’obbligatorietà delle vaccinazioni, secondo il medesimo articolo 1, è esclusa unicamente in due casi, ossia:

a.) in presenza di un’avvenuta immunizzazione, in conseguenza di malattia naturale, se comprovata dalla notifica effettuata dal medico curante o dagli esiti dell’analisi sierologica (comma 2);

b.) al ricorrere di un’ipotesi di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta (comma 3).

Prevede poi il comma 4 dell’articolo 1 del decreto-legge che, in caso di mancata osservanza dell’obbligo vaccinale, i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori o i soggetti affidatari siano convocati dall’azienda sanitaria locale territorialmente competente per un colloquio al fine di fornire ulteriori informazioni sulle vaccinazioni e di sollecitarne l’effettuazione. In caso di perdurante inosservanza dell’obbligo vaccinale, nei confronti dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, dei tutori o dei soggetti affidatari è irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100 a euro 500, salvo che i medesimi soggetti, a seguito di contestazione da parte dell’azienda sanitaria locale territorialmente competente, provvedano, nel termine indicato nell’atto di contestazione, a far somministrare al minore il vaccino (o la prima dose, ove si tratti di ciclo vaccinale e a condizione del completamento del ciclo previsto).

8.) Il quesito del Presidente della Regione Veneto riguarda, tuttavia, gli articoli 3 e 3-bis del decreto-legge, entrambi in materia di adempimenti vaccinali per l’iscrizione scolastica.

In sintesi, l’articolo 3 dispone, al comma 1, che i dirigenti scolastici, all’atto dell’iscrizione del minore di età compresa tra 0 e 16 anni, sono tenuti a richiedere ai genitori (o ai tutori o ai soggetti affidatari) di presentare, entro il termine di scadenza dell’iscrizione, in alternativa:

a.) la documentazione idonea a comprovare l’effettuazione delle 10 vaccinazioni obbligatorie o la condizione che giustifichi l’esonero (o l’omissione o il differimento delle vaccinazioni);

b.) la formale richiesta di vaccinazione all’azienda sanitaria locale territorialmente competente, che eseguirà le vaccinazioni obbligatorie secondo la schedula vaccinale prevista in relazione all’età, entro la fine dell’anno scolastico o la conclusione del calendario annuale dei servizi educativi per l’infanzia e dei corsi per i centri di formazione professionale regionale.

Precisa, però, l’articolo 3 che la presentazione della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni (di cui alla precedente lettera a) può essere sostituita dal deposito di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio e che, in questo caso, la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni potrà essere presentata entro il 10 luglio di ogni anno (anteriore a quello a cui si riferisce l’iscrizione).

La mancata presentazione della documentazione nei termini previsti è segnalata, entro i successivi 10 giorni, dai dirigenti scolastici all’azienda sanitaria locale che, ove non si sia già attivata, provvede agli adempimenti di competenza e, se del caso, alla convocazione dei genitori (o dei tutori o dei soggetti affidatari) e all’eventuale sanzione degli stessi, in caso di perdurante inottemperanza.

Il comma 3 dell’articolo 3 del decreto-legge – una delle disposizioni della quale è chiesta l’interpretazione – stabilisce che: “Per i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, la presentazione della documentazione di cui al comma 1 costituisce requisito di accesso. Per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale regionale, la presentazione della documentazione di cui al comma 1 non costituisce requisito di accesso alla scuola o, al centro ovvero agli esami.”.

L’articolo 3-bis, introdotto in sede di conversione del decreto-legge onde recepire le osservazioni della Conferenza Stato-regioni e autonomie locali, verte sempre in materia di adempimenti vaccinali per l’iscrizione scolastica, ma si applica a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020 e, soprattutto, allo scopo ridurre gli oneri amministrativi a carico dei genitori (o dei tutori o dei soggetti affidatari), introduce una disciplina semplificata rispetto a quella regolata dall’articolo 3. In particolare, l’articolo 3-bis non prevede un obbligo di iniziale attivazione dei genitori (o dei tutori o dei soggetti affidatari) al fine di presentare la documentazione relativa all’obbligo vaccinale. Al contrario, si stabilisce che:

– i dirigenti scolastici trasmettano alle aziende sanitarie locali territorialmente competenti, entro il 10 marzo di ogni anno, l’elenco degli iscritti per l’anno scolastico di età compresa tra 0 e 16 anni (comma 1);

– una volta avvenuta tale trasmissione, le aziende sanitarie locali restituiscano, entro il 10 giugno di ogni anno, gli elenchi inviati dai dirigenti scolastici, completandoli con l’indicazione dei soggetti che risultino non in regola con gli obblighi vaccinali, che non ricadano nelle condizioni di esonero, omissione o differimento delle vaccinazioni e che non abbiano presentato formale richiesta di vaccinazione all’azienda sanitaria locale (comma 2);

– nei 10 giorni successivi all’acquisizione degli elenchi così completati dalle aziende sanitarie locali, i dirigenti debbano invitare i genitori (o i tutori o i soggetti affidatari) a depositare, entro il 10 luglio di ogni anno, la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni ovvero l’esonero, l’omissione o il differimento delle stesse o la presentazione della formale richiesta di vaccinazione all’azienda sanitaria locale (comma 3);

– entro il 20 luglio di ogni anno, i dirigenti scolastici trasmettano la documentazione pervenuta, ovvero ne comunichino l’eventuale mancato deposito, alla azienda sanitaria locale che, ove non si sia già attivata, dovrà provvedere agli adempimenti di competenza e, se del caso, alla convocazione dei genitori (o dei tutori o dei soggetti affidatari) e all’eventuale sanzione degli stessi, in caso di perdurante inottemperanza (comma 4).

La semplificazione correlata al descritto meccanismo si avvale delle funzionalità assicurate dallo scambio di dati tra gli istituti scolastici e le aziende sanitarie (senza alcun onere per i genitori degli alunni), di guisa che le scuole, invece di richiedere ai genitori la documentazione occorrente, si limiteranno, come accennato, a trasmettere alle aziende sanitarie, nell’anno precedente a quello di effettiva frequenza, l’elenco degli iscritti per l’anno scolastico successivo e spetterà poi alle aziende sanitarie verificare d’ufficio – attraverso l’incrocio dei dati in loro possesso con i predetti elenchi – se l’obbligo vaccinale sia stato, o no, rispettato. Postulando, tuttavia, la procedura appena descritta l’avvenuta costituzione e l’efficiente funzionamento di anagrafi vaccinali informatizzate presso le aziende sanitarie locali, il decreto-legge ha ragionevolmente posticipato all’anno scolastico 2019/2020 l’avvio del nuovo sistema.

Infine il comma 5 dell’articolo 3-bis – l’altra disposizione sulla cui interpretazione il Presidente della Regione Veneto ha chiesto di conoscere l’avviso di questo Consiglio – stabilisce che: “Per i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, la mancata presentazione della documentazione di cui al comma 3 nei termini previsti comporta la decadenza dall’iscrizione. Per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale regionale, la mancata presentazione della documentazione dì cui al comma 3 nei termini previsti non determina la decadenza dall’iscrizione né impedisce la partecipazione agli esami.”.

9.) Il decreto-legge equipara, ai fini dell’applicazione delle richiamate disposizioni, la situazione del minore da 0 a 16 anni a quella del minore straniero non accompagnato e, come sopra ripetuto, quella del genitore (che eserciti la potestà genitoriale) a quella dei tutori e dei soggetti affidatari dei minori.

10.) Per completezza di esposizione va segnalato che il decreto-legge n. 73/2017 reca disposizioni transitorie e finali nel successivo articolo 5, il cui comma 1 prevede: “Per l’anno scolastico 2017/2018 e per il calendario dei servizi educativi per l’infanzia e dei corsi per i centri di formazione professionale regionale 2017/2018, la documentazione di cui all’articolo 3, comma 1, deve essere presentata entro il 10 settembre 2017 presso i servizi educativi e le scuole per l’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, ed entro il 31 ottobre 2017 presso le istituzioni del sistema nazionale di istruzione e i centri di formazione professionale regionale. La documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie può essere sostituita dalla dichiarazione resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445; in tale caso, la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie deve essere presentata entro il 10 marzo 2018.”.

Allo scopo di agevolare l’adempimento dell’obbligo vaccinale il comma 1-bis del suddetto articolo 5 introduce poi modalità semplificate per prenotare le vaccinazioni.

11.) Occorre, infine, incidentalmente ricordare che la Regione Veneto ha proposto un ricorso per questione di legittimità costituzionale (in relazione a vari parametri), depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 21 luglio 2017, contro il decreto-legge n. 73/2017 e, in particolare, contro gli articoli 1 (commi 1, 2, 3, 4 e 5), 3, 4, 5 e 7. Tale ricorso, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Speciale – Corte Costituzionale, n. 32 del 9 agosto 2017, reca altresì un’incidentale istanza di sospensione delle disposizioni impugnate.

II.B) La circolare congiunta dei Ministeri del 1° settembre 2017.

12.) In data 16 agosto 2017 i Ministeri, con proprie circolari (rispettivamente, prot. n. 1622, del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca e, n. 25233, del Ministero della salute), fornirono le prime indicazioni operative per l’applicazione delle disposizioni del decreto-legge n. 73/2017.

Successivamente, con circolare congiunta del 1° settembre 2017, rivolta a numerose autorità (tra le quali – primi in indirizzo – gli Assessorati regionali alla sanità), i Ministeri hanno diramato ulteriori indicazioni operative, con particolare riferimento all’anno scolastico 2017/2018, anche in relazione agli articoli 3 e 5 del decreto.

13.) Giova riportare, per quanto d’interesse ai fini della risposta al quesito, alcuni stralci di quest’ultima circolare. Invero, nel paragrafo I, intitolato “Documentazione da presentare ai servizi educativi per l’infanzia, alle istituzioni del sistema nazionale di istruzione, ai centri di formazione professionale regionale e alle scuole private non paritarie”, è dato leggere quanto segue:

“Per l’anno scolastico e il calendario annuale 2017/2018, atteso che il decreto-legge è entrato in vigore quando era già conclusa la procedura per l’iscrizione ai servizi educativi per l’infanzia, alle scuole dell’infanzia, alle istituzioni del sistema nazionale di istruzione e ai centri di formazione professionale regionale, i genitori/tutori/affidatari dei minori di età compresa tra 0 a 16 anni dovranno presentare la documentazione richiesta:

– ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, entro l’11 settembre 2017, atteso che il termine indicato dal decreto-legge (10 settembre 20 I 7) è un giorno festivo;

– alle altre istituzioni del sistema nazionale di istruzione, ai centri di formazione professionale regionale e alle scuole private non paritarie, entro il 31 ottobre 2017.

In luogo della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni … i genitori/tutori/affidatari potranno presentare una dichiarazione sostitutiva ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, entro i termini di cui sopra. In tal caso, la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni dovrà comunque essere prodotta entro il 10 marzo 2018.”.

Nel paragrafo II della circolare, rubricato “Accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie”, è scritto che: “La presentazione della documentazione di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto-legge (paragrafo I della presente circolare) costituisce requisito di accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie.

Ciò significa che, già per l’anno scolastico e il calendario annuale 2017/2018, a decorrere dal 12 settembre 2017, non potranno avere accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia i minori i cui genitori/tutori/affidatari non abbiano presentato entro l’11 settembre 2017 la documentazione di cui al paragrafo I. …

Nel caso in cui i genitori/tutori/affidatari presentino entro l’11 settembre 2017 la dichiarazione sostitutiva, il minore avrà accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alla scuola dell’infanzia; tuttavia, nel caso in cui, entro il 10 marzo 2018, i genitori/tutori/affidatari non facciano pervenire idonea documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie (paragrafo I, lettera a), della presente circolare), il minore sarà escluso dall’accesso ai servizi.

Nelle ipotesi di mancata presentazione della idonea documentazione nei termini sopra indicati, il diniego di accesso ai servizi sarà reso noto ai genitori/tutori/affidatari del minore mediante comunicazione formale adeguatamente motivata.

Va precisato che ove il genitore/tutore/affidatario non abbia presentato la documentazione richiesta entro l’11 settembre 2017 o, nell’ipotesi di previa presentazione della dichiarazione sostitutiva della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni, entro il 10 marzo 2018, il minore non in regola con gli adempimenti vaccinali ed escluso dall’accesso ai servizi rimarrà iscritto ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia.

Il minore sarà nuovamente ammesso ai servizi, successivamente alla presentazione della documentazione richiesta.

In ogni caso, la mancata presentazione della documentazione nei richiamati termini sarà segnalata, entro i successivi dieci giorni, dai dirigenti scolastici delle istituzioni del sistema nazionale di istruzione e dai responsabili dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole private non paritarie alla ASL territorialmente competente che, ove la medesima o altra ASL non si siano già attivate per la medesima violazione, avvierà la procedura prevista per il recupero dell’inadempimento, di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto-legge …”.

II.C) Il decreto n. 111 del 4 settembre 2017 del Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto.

14.) Tre giorni dopo la diramazione della circolare dei Ministri, del cui contenuto si è dato succintamente conto, il Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto (nel prosieguo: Direttore generale) ha adottato il decreto n. 111 del 4 settembre 2017, con oggetto: “Regime transitorio di applicazione della legge 119/2017 in attesa dell’esito della richiesta di sospensione contenuta nel ricorso alla Corte Costituzionale”.

15.) Con tale decreto il Direttore generale ha dichiaratamente inteso fornire indicazioni operative regionali, in regime transitorio, per l’attuazione del decreto-legge n. 73/2017, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119/2017.

16.) Il provvedimento in discorso poggia, tra l’altro, su motivazioni delle quali – anche in questo caso – è utile riportare alcuni stralci per esteso: “CONSIDERATO quanto espresso nella Legge n. 119/2017, che ha convertito il D.L. 7 giugno 2017, la quale all’articolo 3 comma 3, recita … e quanto espresso all’articolo 3 bis che descrive le misure per l’anno scolastico 2019/2020 dove al comma 5, recita … II contenuto degli articoli sopracitati non rende chiaro se le misure di restrizione alla frequenza scolastica siano applicabili sin dall’anno scolastico 2017/2018 e per l’anno scolastico 2018/2019, peri bambini già iscritti alla frequenza dei servizi educativi per l’infanzia ed alle scuole dell’infanzia prima dell’entrata in vigore della legge.

… DATO ATTO che la Regione del Veneto, al fine di rendere più semplice la gestione degli adempimenti previsti dalla Legge in oggetto ed agevolare le famiglie e le scuole, mette in atto sin dal corrente anno scolastico 2017/18 quanto disposto dall’Art. 3 bis comma 1 e 2 per l’anno scolastico 2019/20, anticipandone i tempi di attuazione. … La scelta è giustificata ed immediatamente applicabile grazie al percorso che Ia Regione ha già fatto in attuazione alla DGR 1935/2016.”.

17.) Sulla scorta di siffatte argomentazioni e dopo aver preso atto (nel preambolo del decreto) della sola circolare del Ministero della salute, prot. n. 17892, del 12 giugno 2017, il Direttore generale ha, tra l’altro, decretato, nel punto 2 del dispositivo, “di dare atto che in attesa di eventuali ulteriori chiarimenti ministeriali per quanto riguarda la frequenza dei servizi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia dall’anno scolastico 2017/2018 per i bambini già iscritti si applicherà il regime transitorio fino al 2019/2020 anno che prevede invece, la decadenza dall’iscrizione …”.

II.D) La lettera delle Ministre della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca al Presidente della Regione Veneto del 6 settembre 2017; il decreto n. 114 del 6 settembre 2017 del Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto del Direttore e la lettera del Presidente della Regione Veneto del 7 settembre 2017.

18.) A seguito dell’adozione del decreto n. 111/2017, le Ministre della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in data 6 settembre 2017, hanno indirizzato al Presidente della Regione Veneto una lettera a firma congiunta, sollecitando un riesame, da parte della Regione, del contenuto del predetto decreto del Direttore generale, tanto in ragione della ritenuta assenza di qualunque opacità precettiva della fonte di rango primario e dell’intervenuta diramazione dei chiarimenti ministeriali, con la sunnominata circolare del 1° settembre 2017.

19.) Successivamente il Direttore generale, interpellato dal Presidente della Regione Veneto, ha ritenuto, all’insegna del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, di sospendere l’esecuzione del proprio decreto n. 111/2017; in particolare, con il decreto n. 114 del 6 settembre 2017, il Direttore generale – preso atto della succitata lettera delle Ministre – ha disposto l’immediata (ossia a decorrere dal 6 settembre 2017) sospensione dell’esecuzione delle misure temporanee di cui al decreto n. 111/2017, peraltro senza fissare alcun termine finale di efficacia della sospensione.

Il Presidente della Regione Veneto ha quindi formulato il quesito in esame, reputando necessario un approfondimento giuridico da parte di questo Consiglio.

III.) La funzione consultiva del Consiglio di Stato.

20.) Tanto premesso, la Commissione Speciale esprime innanzi tutto l’avviso che l’approdo a questo Consiglio della vicenda sopra tratteggiata rappresenti un esempio virtuoso di gestione dei conflitti, effettivi o potenziali, tra le amministrazioni della Repubblica. Il clamore mediatico che ancor oggi accompagna le, talora vibrate, contestazioni dell’obbligo vaccinale non deve infatti oscurare, sul versante strettamente amministrativo, l’importanza della scelta di sana e prudente gestione degli interessi pubblici compiuta dal Presidente della Regione Veneto; parimenti deve essere apprezzata l’altrettanto responsabile condotta delle Ministre. Ed invero, in presenza di un contrasto (sfociato anche nell’instaurazione di un giudizio pendente avanti alla Corte costituzionale) circa l’interpretazione di alcune disposizioni di una legge dello Stato sia il Presidente della Regione Veneto sia le Ministre, tenuto conto del rilievo e della delicatezza degli interessi coinvolti (ossia la salute e l’istruzione dei bambini del Veneto), hanno richiesto il parere di questo Consiglio, nell’auspicio di una rapida soluzione del conflitto (almeno per gli aspetti di carattere amministrativo).

21.) Il quesito in esame offre allora l’occasione di svolgere alcune considerazioni di carattere generale sulla natura e sulla fisionomia della funzione consultiva del Consiglio di Stato e sulle utilità che le amministrazioni pubbliche possono trarre dai pareri resi dall’Istituto.

22.) La funzione consultiva esercitata dal Consiglio di Stato trova fondamento nell’articolo 100, primo comma, della Costituzione, secondo cui: “Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione.”.

Nonostante la particolare collocazione di tale disposizione nell’ambito della topografia normativa della Carta Fondamentale (nella Sezione III del Titolo III, dedicata agli “Organi ausiliari” del “Governo”), il Consiglio di Stato ha costantemente ricordato, anche di recente (v., tra i molti, i pareri n. 515/2016 e n. 1458/2017), che la funzione consultiva non è mai esercitata dall’Istituto nell’interesse dello Stato-Governo né di quello dello Stato-Amministrazione, ma esclusivamente nell’interesse dello Stato-Comunità. Il Consiglio di Stato, dunque, può rendere pareri anche a favore di enti e soggetti pubblici differenti dallo Stato strettamente inteso, quali le Autorità amministrative indipendenti e le Regioni (a tal riguardo, correttamente il Presidente della Regione Veneto ha richiamato il parere n. 30/1980, reso dall’Adunanza generale di questo Consiglio, nell’adunanza del 24 aprile 1980 e spedito il 12 maggio 1980).

23.) In concreto, l’esercizio della funzione consultiva si estrinseca nell’espressione di pareri, taluni dei quali debbono essere richiesti obbligatoriamente (dallo Stato) e altri possono essere resi sulla base di una richiesta facoltativa proveniente dalle amministrazioni pubbliche.

Le ipotesi in cui è prevista la richiesta obbligatoria di un parere del Consiglio di Stato sono poco numerose e sono tassativamente previste dall’articolo 17, comma 25, della legge 15 maggio 1997, n. 127. Si tratta dei pareri richiesti: a) per l’emanazione degli atti normativi del Governo e dei singoli ministri, ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, nonché per l’emanazione di testi unici; b) per la decisione dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica; c) sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri. Tali pareri, pur presentando il tratto comune della obbligatorietà della relativa richiesta (sicché l’eventuale omissione comporta l’illegittimità dell’atto conclusivo del relativo procedimento), seguono differenziati regimi giuridici. Il parere del Consiglio di Stato su un ricorso straordinario, ad esempio, è ormai sostanzialmente equiparato quoad effectum a una decisione giurisdizionale, specialmente dopo la riforma attuata dall’articolo 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69.

24.) Esistono poi i pareri facoltativi, definiti “quesiti”, che le amministrazioni a loro discrezione possono richiedere al Consiglio di Stato per risolvere un dubbio relativo all’interpretazione o all’applicazione del diritto, anche in vista dell’adozione di un determinato atto (ovviamente solo per questioni o atti di particolare rilievo). Si tratta di pareri espressi in “funzione di ausilio tecnico-giuridico indispensabile per indirizzare nell’alveo della legittimità e della buona amministrazione l’attività di amministrazione attiva” (così il citato parere dell’Adunanza generale n. 30/1980).

25.) In questa sede occorre soffermarsi a considerare che, dal punto di vista teleologico, la funzione consultiva – a prescindere dalla sua estrinsecazione sotto forma di pareri obbligatori o facoltativi – può assumere due distinte connotazioni, a seconda delle esigenze sottese alle relative richieste di parere.

Talora, infatti, la richiesta di parere soddisfa il bisogno dell’amministrazione di ottenere (da parte dell’Istituto) un chiarimento circa l’esatta interpretazione del diritto vigente o la conformità all’ordinamento giuridico di atti normativi in formazione: tipicamente assolvono a quest’ultima finalità le richieste (obbligatorie) di parere, rivolte alla Sezione consultiva per gli atti normativi, su schemi di regolamento o di decreti legislativi delegati o di testi unici; ad analogo scopo mirano i quesiti che le amministrazioni sottopongono al Consiglio di Stato nell’ambito di un procedimento, quando sia necessario ricevere una qualificata opinione di carattere giuridico su un tema di interesse generale.

In altri casi, invece, la richiesta di parere, sebbene sempre sorretta dalla necessità di sciogliere un dubbio di ordine giuridico, punta anche a risolvere una controversia, attuale o potenziale, tra amministrazioni e cittadini o imprese oppure tra amministrazioni. Al ricorrere di queste ipotesi la funzione consultiva assolve a una diversa finalità, di tipo “giustiziale”, in linea con la missione che il sopra richiamato articolo 100 della Costituzione assegna al Consiglio di Stato. Eloquente manifestazione della funzione consultiva di natura “giustiziale” è il parere obbligatorio che l’Istituto rende su ogni ricorso straordinario. Possono, tuttavia, presentare una connotazione latamente “giustiziale” anche i pareri sui quesiti che le amministrazioni rivolgano al Consiglio di Stato.

26.) A ben vedere, infatti, anche la risposta ai quesiti è uno strumento che in talune circostanze concorre a prevenire i conflitti e a deflazionare il contenzioso giurisdizionale in maniera teleologicamente assimilabile ai metodi di ADR (Alternative dispute resolution). Anzi, il ricorso ai quesiti dovrebbe essere promosso presso le amministrazioni pubbliche, giacché – almeno nei casi di controversie tra soggetti pubblici legittimati a richiedere l’avviso del Consiglio di Stato – tale istituto offre alcuni significativi vantaggi (sui quali, v. infra). Soprattutto un maggiore utilizzo dei quesiti potrebbe consentire di attenuare il tasso di giurisdizionalizzazione dei conflitti tra le amministrazioni pubbliche, canalizzando in via preventiva i contrasti sul terreno consultivo. A questo proposito si è pure osservato che, de jure condendo, specialmente sulle “questioni generali di maggior rilievo economico-sociale, si potrebbe prevedere – anche in chiave deflattiva di contenziosi seriali – la proposizione di quesiti di massima, secondo un procedimento che consenta la partecipazione dei soggetti interessati in veste collaborativa, al fine di determinare indirizzi esegetici di carattere generale che possano servire come elemento di certezza del diritto e di indirizzo applicativo su questioni incerte” (così il parere di questo Consiglio n. 515/2016).

27.) Si è sopra accennato alle utilità che possono ritrarsi da un quesito rivolto al Consiglio di Stato. Al riguardo si segnala, in particolare, che:

a.) il quesito conduce all’espressione di un parere non vincolante – che, dunque, può essere motivatamente disatteso dai richiedenti – la cui autorevolezza è dovuta semmai alla competenza giuridica dell’Organo che lo rende;

b.) il relativo procedimento è gratuito e si conclude in tempi molto brevi;

c.) nell’esprimere il parere il Consiglio di Stato non è soggetto ai vincoli propri dell’esercizio della funzione giurisdizionale quali le limitazioni derivanti dal principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato o dai ristretti confini della cognizione incidentale (in conseguenza delle regole di riparto della giurisdizione); sicché, in risposta a quesiti, il Consiglio di Stato può pronunciarsi anche su aspetti connessi a quelli sui quali poggi la richiesta di parere, allorquando tali aspetti risultino rilevanti, e può anche affrontare questioni giuridiche che esulino dall’ambito della giurisdizione amministrativa.

28.) In ordine poi al profilo generale dell’ammissibilità dei quesiti, si registrano pronunce di questo Consiglio (ad esempio, sez. I, n. 3006/2013 e sez. II, n. 1589/2011), in cui si trova affermato che, in presenza di contrasti interpretativi già insorti, la richiesta di parere sarebbe inammissibile. Espressa in termini così categorici, una posizione del genere non potrebbe essere condivisa, dal momento che ogni quesito sottende sempre un contrasto interpretativo, potenziale o reale, di tal che negare in questi casi la possibilità per il Consiglio di Stato di esprimere un parere equivarrebbe a negare in radice lo stessa ragion d’essere della funzione consultiva prevista a livello costituzionale.

In realtà, negli stessi pareri testé richiamati, si è inteso enunciare una diversa regola che discende dalla sopra ricordata disciplina costituzionale della funzione consultiva. Si è difatti condivisibilmente stabilito che “(n)ell’esercizio dell’attività consultiva, il Consiglio di Stato, quale organo di consulenza imparziale e terzo dello Stato-ordinamento e non dello Stato-apparato, non è destinato, …, a supportare le scelte decisionali delle Amministrazioni, quante volte esse ritengano, a loro discrezione, di avvalersi della consulenza del Consiglio stesso, dal momento che la funzione consultiva svolta nell’interesse non dell’ordinamento generale, ma dell’Amministrazione assistita, compete all’Avvocatura dello Stato. Il Consiglio di Stato fornisce il proprio parere solo su questioni di massima, la cui soluzione potrà guidare la successiva azione amministrativa nel suo concreto, futuro esplicarsi” (così Cons. Stato, sez. II, n. 1589/2011).Questo Consiglio, dunque, non è tenuto a rendere pareri su aspetti minuti che attengano a “un ordinario segmento del procedimento amministrativo” (v. il parere della sez. I, n. 1/2012), non potendo l’Istituto sostituirsi all’amministrazione nel dovere di quest’ultima di provvedere e nemmeno potendo invadere il campo riservato alla (differente) consulenza prestata alle pubbliche amministrazioni dall’Avvocatura dello Stato, anche in vista della difesa in giudizio.

Analoghe considerazioni valgono anche in riferimento al caso, peraltro ricorrente nella fattispecie, in cui il quesito pervenga al Consiglio di Stato dopo l’avvenuta proposizione di una questione di legittimità costituzionale, promossa in via principale o incidentale. Invero la risposta a un quesito, quand’anche esso investa l’esegesi di fonti di rango primario, non è interdetta dalla pendenza di un giudizio costituzionale avente ad oggetto le medesime fonti, giacché la funzione consultiva concerne l’interpretazione del diritto vigente (fermo restando che, nel caso di specie, l’eventuale futura dichiarazione di incostituzionalità del decreto-legge n. 73/2017 supererebbe il presente parere).

29.) Alla luce dei superiori rilievi possono pertanto comprendersi le ragioni dell’apprezzamento manifestato da questa Commissione Speciale per la scelta, compiuta dal Presidente della Regione Veneto e dalle Ministre della salute e dell’istruzione dell’università e della ricerca, di percorrere la via del quesito condiviso per risolvere in tempi rapidi un conflitto interpretativo potenzialmente foriero di pesanti ricadute negative sulla salute e sull’istruzione della popolazione minorile italiana in Veneto.

IV.) La risposta al quesito.

30.) Muovendo dal quadro di principi sopra delineato è ora possibile rispondere all’interrogativo, sollevato dal Presidente della Regione Veneto, interrogativo che, come chiarito, attiene all’esatta interpretazione di disposizioni di una legge dello Stato.

Occorre in primo luogo osservare che la richiesta di parere si sofferma, essenzialmente, sul tema della frequenza dei servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie e, quindi, riguarda il primo periodo del comma 3 dell’articolo 3 e il primo periodo del comma 5 dell’articolo 3-bis del decreto-legge n. 73/2017. Difatti i successivi commi 2 di entrambe le richiamate disposizioni, per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale regionale, prevedono, rispettivamente, che la presentazione della documentazione non costituisca requisito di accesso alla scuola, al centro o agli esami e che la mancata presentazione della medesima documentazione nei termini non determini, a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020, la decadenza dall’iscrizione né impedisca la partecipazione agli esami.

La ragione di siffatta disciplina differenziata riposa sulla considerazione che i rischi di contagio più elevati si registrano tra i bambini che frequentano, per l’appunto, i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia (anche private non paritarie) o che comunque frequentino luoghi in cui vi sia la presenza contemporanea di bambini di più famiglie. Si tratta, pertanto, dei minori compresi nella fascia di età da 0 a 6 anni.

31.) Riducendo il quesito all’essenziale, la Regione Veneto chiede se già a decorrere dall’anno scolastico 2017/2018 (ossia quello da poco iniziato) si applichi la regola, stabilita dal comma 3 dell’articolo 3 del decreto-legge, secondo cui la mancata presentazione della documentazione relativa all’adempimento degli obblighi vaccinali preclude l’accesso alla scuola. Questa è, infatti, la posizione espressa dai Ministeri.

32.) La diversa tesi propugnata dalla Regione Veneto (v. la scheda proveniente dall’Avvocatura regionale) si basa invece sulla considerazione che soltanto il comma 5 dell’articolo 3-bis del medesimo decreto-legge, che si applica a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020, configura la mancata presentazione della documentazione come causa di decadenza dall’iscrizione, sicché – così la conclusione della Regione Veneto – per l’anno 2017/2018, almeno nei casi in cui l’iscrizione sia avvenuta prima dell’entrata in vigore della legge n. 119/2017, non sarebbe prevista alcuna interdizione dell’accesso ai servizi e alle scuole dell’infanzia, anche in assenza della prova dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale.

33.) Tale esegesi del dato positivo, posta a supporto motivazionale del decreto del Direttore generale n. 111/2017, sarebbe ulteriormente corroborata, ad avviso dell’Avvocatura regionale veneta, dai seguenti argomenti:

a.) nella Regione Veneto, la DGR (delibera di Giunta regionale) n. 1935/2016 avrebbe già consentito di conseguire l’obiettivo di garantire la c.d. “immunità di gregge”, altrimenti detta herd immunity (v. infra), ossia una copertura vaccinale in misura non inferiore al 95% (quest’ultima circostanza è, però, contestata dai Ministeri; v. a pag. 3, penultimo paragrafo, della relazione allegata alla nota del 18 settembre 2017, ove si afferma che nel Veneto non sarebbe stata raggiunta la herd immunity), vigendo il divieto di costituire classi per le quale tale soglia percentuale non sia assicurata;

b.) premesso che nella Regione Veneto i servizi scolastici all’infanzia sono in larga parte erogati da strutture private, l’esegesi applicativa sostenuta dai Ministeri condurrebbe a negative conseguenze, ritenute paradossali, per i genitori di bambini già iscritti alle scuole dell’infanzia; costoro, infatti, rimarrebbero obbligati civilmente a pagare le rette delle scuole private (permanendo negli anni scolastici 2017/2018 e 2018/2019 l’iscrizione ai servizi) pur non potendo far accedere i propri figli ai servizi educativi offerti dalle stesse scuole. Inoltre una soluzione del genere condurrebbe anche al blocco delle graduatorie di accesso.

34.) La Commissione Speciale ritiene che le perplessità esternate dal Presidente della Regione Veneto non possano essere condivise. La trama prescrittiva del decreto-legge n. 73/2017 è chiaramente riconoscibile, intrinsecamente coerente e agevolmente interpretabile. I dubbi nutriti dalla Regione Veneto originano, apparentemente, nella mancata considerazione dell’articolo 5 del decreto-legge. Ed invero, un’esegesi che consideri sinotticamente le tre disposizioni (articolo 3, articolo 3-bis e articolo 5) consente di cogliere appieno il senso del complessivo intervento del Legislatore statale.

In sintesi, il plesso normativo testé richiamato stabilisce tre differenti regimi, rispettivamente, per gli anni scolastici 2017/2018, 2018/2019 e 2019/2020 (quest’ultimo regime varrà anche per gli anni scolastici successivi).

Nell’anno scolastico 2017/2018 si applicano gli articoli 3 e 5 del decreto-legge, sicché vale già nel corrente anno scolastico il divieto di accesso nel caso di mancata presentazione della documentazione idonea a comprovare l’adempimento dell’obbligo vaccinale. L’unica particolarità è che il decreto-legge n. 73/2017 è intervenuto a procedure di iscrizione già perfezionatesi, sicché si è reso necessario stabilire uno specifico regime transitorio, regolato dal sunnominato articolo 5, relativo ai termini (differenti da quelli fissati dall’articolo 3, comma 1) per la presentazione della documentazione sopra richiamata. Nel caso della mancata prova dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, le iscrizioni – già avvenute – rimarranno pertanto efficaci, ma al minore sarà interdetto l’accesso ai servizi; a detti servizi il minore potrà essere nuovamente ammesso soltanto successivamente alla presentazione della documentazione da parte dei soggetti a ciò tenuti.

Nell’anno scolastico 2018/2019 si applicherà unicamente l’articolo 3 e, quindi, i genitori (e le figure a questi equiparate) dovranno produrre la prescritta documentazione all’atto dell’iscrizione del minore (ossia entro il termine di scadenza dell’iscrizione o entro il successivo 10 luglio, qualora si opti per l’iniziale presentazione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio), fermo restando la regola del divieto di accesso nell’ipotesi in cui la suddetta documentazione non sia tempestivamente prodotta.

Infine, nell’anno scolastico 2019/2020 e nei successivi anni scolastici, si applicherà soltanto l’articolo 3-bis, recante il meccanismo semplificato e informatizzato del quale si è dato sopra conto, con la conseguenza che, qualora dal controllo effettuato sulle banche di dati delle aziende sanitarie locali risulti l’inadempimento dell’obbligo vaccinale, si produrrà l’effetto automatico della decadenza dall’iscrizione dell’alunno e, quindi, a maggior ragione varrà anche il divieto dell’accesso ai servizi scolastici.

La diversità dei regimi giuridici, sopra succintamente ricostruiti, spiega dunque la ragione dell’uso, unicamente nell’articolo 3-bis, del termine “decadenza”. La disciplina recata da tale articolo non indica dunque alcun termine finale di una pretesa fase transitoria destinata a durare fino all’anno scolastico 2019/2020, come opinato dalla Regione Veneto, ma più semplicemente individua la futura regolamentazione a valere dall’anno scolastico 2019/2020 e per gli anni scolastici successivi.

35.) Non conducono a differenti conclusioni i due argomenti spesi dall’Avvocatura regionale sopra riferiti. Si tratta, in realtà, di argomenti che non attengono in senso stretto all’interpretazione del raccordo normativo tra i predetti articoli; piuttosto sono diretti contro le scelte compiute dal Legislatore statale e, in particolare, contro la decisione di percorrere la via della “imposizione” (per legge) delle vaccinazioni in luogo del “metodo della persuasione”, al quale si sarebbe conformata l’azione della Regione Veneto.

Nondimeno, fermo restando quello che sarà il giudizio della Corte costituzionale e tenuto conto di quanto sopra osservato sulla funzione consultiva del Consiglio di Stato, questa Commissione, ai fini della risposta al quesito, ben può prendere posizione su detti argomenti.

36.) In primo luogo la circostanza che la Regione Veneto abbia intrapreso un percorso normativo e amministrativo, basato sul consenso informatico e sull’alleanza terapeutica, in grado di assicurare il prodursi dell’effetto di “immunità di gregge” (effetto derivante dal raggiungimento di una soglia critica di soggetti vaccinati tale da mettere al sicuro anche i bambini che non possano essere vaccinati perché immunodepressi, affetti da gravi patologie croniche o da tumori) è un elemento che – ove confermato dai dati epidemiologici ufficiali – certamente va a merito del Governo regionale. Nondimeno il raggiungimento di tale risultato non esonera la Regione Veneto dal rispetto di una legge dello Stato (almeno fino a quando tale legge non venga abrogata o dichiarata incostituzionale) che si proponga l’obiettivo di rendere omogenee su tutto il territorio nazionale le condizioni di sicurezza epidemiologica, anche in termini di copertura vaccinale. Se lo scopo è l’omogeneità, allora inevitabilmente le previsioni del decreto-legge n. 73/2017 debbono riguardare la popolazione italiana nella sua interezza, sia essa stanziata in Regioni virtuose (come afferma di essere la Regione Veneto) o in altre (v., infra, le considerazioni sulla competenza legislativa dello Stato e delle Regioni in materia di tutela della salute).

37.) Un profilo di specifico interesse della Regione Veneto si coglie invece nel secondo argomento. È certamente ragionevole e comprensibile che il Presidente di una Regione i cui servizi educativi per l’infanzia siano prevalentemente gestiti da scuole private si preoccupi delle conseguenze di un provvedimento legislativo che, ove male interpretato, interferisca sulla gestione dei rapporti tra utenti e istituzioni scolastiche.

Tale argomento, che colora uno specifico profilo del diritto all’istruzione, apre, tuttavia, ad alcune considerazioni di ordine giuridico in ordine alla prevalenza, o no, della preoccupazione manifestata dalla Regione Veneto rispetto a contrapposti interessi-valori.

38.) Il tema della copertura vaccinale nella scuola dell’infanzia presenta, invero, profili di particolare delicatezza che intercettano plurimi e fondamentali valori costituzionali quali, tra i principali, il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione), l’universalità dell’accesso scolastico (articolo 34 della Costituzione) e il principio autonomistico regionale (articolo 117 della Costituzione).

Ancor prima, tuttavia, il tema delle vaccinazioni obbligatorie va riguardato attraverso la lente di valori giuridici che si collocano nei Principi Fondamentali della Carta costituzionale e, in particolare, nell’articolo 2, là dove è scritto che la Repubblica, oltre a riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo, richiede al contempo l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economia e sociale, e nell’articolo 3, il cui comma secondo assegna alla Repubblica il compito di rimuovere tutti “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Orbene, ad avviso di questa Commissione Speciale, le vicende della copertura vaccinale vanno esaminate proprio sul versante della loro dimensione solidaristica e di fattore primario di eguaglianza sostanziale.

Ritiene, invero, questa Commissione Speciale che la previsione della copertura vaccinale sia funzionale all’adempimento di un generale dovere di solidarietà che pervade e innerva tutti i rapporti sociali e giuridici. Senza entrare in valutazioni di carattere epidemiologico che dovrebbe essere riservate agli esperti (e che certamente non spettano ai giuristi), risulta infatti evidente – sulla base delle acquisizioni della migliore scienza medica e delle raccomandazioni delle organizzazioni internazionali – che soltanto la più ampia vaccinazione dei bambini costituisca misura idonea e proporzionata a garantire la salute di altri bambini e che solo la vaccinazione permetta di proteggere, proprio grazie al raggiungimento dell’obiettivo dell’”immunità di gregge”, la salute delle fasce più deboli, ossia di coloro che, per particolari ragioni di ordine sanitario, non possano vaccinarsi. Porre ostacoli di qualunque genere alla vaccinazione (la cui “appropriatezza” sia riconosciuta dalla più accreditata scienza medico-legale e dalle autorità pubbliche, legislative o amministrative, a ciò deputate) può risolversi in un pregiudizio per il singolo individuo non vaccinato, ma soprattutto vulnera immediatamente l’interesse collettivo, giacché rischia di ledere, talora irreparabilmente, la salute di altri soggetti deboli.

Del resto lo stesso articolo 32 della Costituzione enfatizza la dimensione solidaristica del diritto alla salute e il tema del possibile conflitto tra diritto individuale e interesse collettivo nell’ambito delle vaccinazioni obbligatorie è stato approfondito autorevolmente dalla Corte costituzionale (tra l’altro, nelle sentenze del 22 giugno 1990, n. 307, del 23 giugno 1994, n. 258 e del 18 aprile 1996, n. 118). Si è infatti affermato (nella sentenza n. 258 del 23 giugno 1994, sopra menzionata) che: “…la norma del citato art. 32 Cost. postul[a] il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto negativo di non assoggettabilità a trattamenti sanitari non richiesti od accettati) con il coesistente e reciproco diritto di ciascun individuo (sent. n. 218 del 1994) e con la salute della collettività (sent. n. 307 del 1990); nonché, nel caso in particolare di vaccinazioni obbligatorie, “con l’interesse del bambino”, che esige “tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai compiti inerenti alla cura del minore” (sent. n. 132 del 1992). Su questa linea si è ulteriormente precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.:

a) “se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale (cfr. sent. n. 307 del 1990);

b) se vi sia “la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili” (ivi);

c) se nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – sia prevista comunque la corresponsione di una “equa indennità” in favore del danneggiato (cfr. sent. n. 307 del 1992 cit. e v. … legge n. 210 del 1992). E ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria, la quale “trova applicazione tutte le volte che le concrete forme di attuazione della legge impositiva del trattamento o di esecuzione materiale di esso non siano accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla sua natura” (sulla base dei titoli soggettivi di imputazione e con gli effetti risarcitori pieni previsti dall’art. 2043 c.c.: sent. n. 307 del 1990 cit.”.

La Costituzione, dunque, contrariamente a quanto divisato dai sostenitori di alcune interpretazioni riduzionistiche del diritto alla salute, non riconosce un’incondizionata e assoluta libertà di non curarsi o di non essere sottoposti trattamenti sanitari obbligatori (anche in relazione a terapie preventive quali sono i vaccini), per la semplice ragione che, soprattutto nelle patologie ad alta diffusività, una cura sbagliata o la decisione individuale di non curarsi può danneggiare la salute di molti altri esseri umani e, in particolare, la salute dei più deboli, ossia dei bambini e di chi è già ammalato.

L’articolo 32 – è bene ricordarlo – recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”.

Alla stregua della riferita disposizione la salute non è solo oggetto di un diritto (variamente declinabile come diritto alla cura e diritto di non curarsi e comunque ad esprimere un consenso informato alla cura), ma è anche un interesse della collettività; sicché, come ricordato dalla Corte costituzionale nella sentenza del 2 giugno 1994, n. 218, la tutela della salute implica anche il “dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri”; il tutto nel rispetto del limite della normale tollerabilità (limite la cui individuazione è rimessa alla discrezionalità del Legislatore statale; v. infra) delle conseguenze per chi sia soggetto a “determinati” trattamenti sanitari imposti per legge (e solo per legge, stante la relativa riserva) e sulla base di un rapporto di proporzionalità con le esigenze di tutela della salute altrui.

Invero, tali simmetriche posizioni di diritto e dovere “… dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell’interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari. Situazioni di questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose … Salvaguardata in ogni caso la dignità della persona, …, l’art. 32 della Costituzione prevede un contemperamento del coesistente diritto alla salute di ciascun individuo; implica inoltre il bilanciamento di tale diritto con il dovere di tutelare il diritto dei terzi che vengono in necessario contatto conla persona per attività che comportino un serio rischio, non volontariamente assunto, di contagio.” (così la succitata sentenza n. 218/1994).

Sulla base del riferito disposto costituzionale, dunque, la copertura vaccinale può non essere oggetto dell’interesse di un singolo individuo, ma sicuramente è d’interesse primario della collettività e la sua obbligatorietà – funzionale all’attuazione del fondamentale dovere di solidarietà rispetto alla tutela dell’altrui integrità fisica – può essere imposta ai cittadini dalla legge, con sanzioni proporzionate e forme di coazione indiretta variamente configurate, fermo restando il dovere della Repubblica (anch’esso fondato sul dovere di solidarietà) di indennizzare adeguatamente i pochi soggetti che dovessero essere danneggiati dalla somministrazione del vaccino (e a ciò provvede la legge 25 febbraio 1992, n. 210) e di risarcire i medesimi soggetti, qualora il pregiudizio a costoro cagionato dipenda da colpa dell’amministrazione.

La mancata considerazione di siffatto dovere di solidarietà rischierebbe, peraltro, di minare alla base anche l’eguaglianza sostanziale tra i cittadini sulla quale poggia la stessa democrazia repubblicana, atteso che i bambini costretti a frequentare classi in cui sia bassa l’immunità di gregge potrebbero essere esposti a pericoli per la loro salute, rischi ai quali invece non andrebbero incontro bambini appartenenti a famiglie stanziate in altre parti del territorio nazionale. La discriminazione tra bambini e bambini, tra cittadini sani e cittadini deboli, non potrebbe essere più eclatante. Il servizio sanitario e il servizio scolastico, da chiunque gestiti, debbono quindi garantire alti e omogenei livelli di copertura vaccinale in tutto il Paese, dal momento che la stessa ragion d’essere di tali servizi è quella di rendere effettivi, all’insegna del buon andamento amministrativo e della leale collaborazione tra i vari livelli di governo, i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione e, tra questi, in primo luogo il diritto alla vita e alla salute, quali indefettibili precondizioni per un pieno sviluppo della persona umana, pure in quella particolare formazione sociale che è la scuola.

39.) Si è sopra riferito che l’articolo 32 della Costituzione assegna alla Repubblica il compito, da attuare in via legislativa e amministrativa, di tutelare la salute. Ove letta la previsione sia letta insieme ad altre disposizioni dello stesso testo costituzionale, si evince che tale compito è essenzialmente ripartito tra lo Stato e le Regioni, posto che la “tutela della salute” rientra nell’elenco di materie che l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione assegna alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, conservando tuttavia allo Stato la fissazione dei principi fondamentali. Inoltre il medesimo compito di tutela è altresì riconducibile, per taluni aspetti, alla sola potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dello stesso articolo 117, secondo comma, lettere m) e q), allorquando si tratti di assicurare la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” o di disporre in tema di “profilassi internazionale”.

Orbene, prescindendo in questa sede dalle competenze esclusive dello Stato in materia di ambiente (di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione) che pure interferiscono con quelle in tema di tutela della salute (sotto il profilo dell’esistenza di diritto a un ambiente salubre), la Commissione ritiene, sulla base di quanto sopra osservato, che le norme di legge sulle vaccinazioni obbligatorie (e, comunque, quelle relative all’individuazione di tali vaccinazioni) siano ascrivibili al novero dei principi fondamentali alla cui osservanza è tenuta la legislazione regionale concorrente sia, soprattutto, all’ambito della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni socio-sanitarie che, per le elementari esigenze di uguaglianza prima ricordate, debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, nel rispetto degli obblighi internazionali relativi alla profilassi (anch’essi poggianti sulla solidarietà tra gli Stati e le popolazioni di altri Paesi).

40.) Non confligge con il quadro appena delineato – e, anzi, lo rafforza – il principio di precauzione applicato al settore della salute. Non ignora difatti questa Commissione che in talune argomentazioni giuridiche dirette contro l’obbligo vaccinale ricorra sovente l’invocazione del suddetto principio. Di esso però è offerta un’interpretazione secondo la quale, in sintesi, lo Stato dovrebbe astenersi dall’imporre l’obbligo vaccinale giacché le vaccinazioni implicherebbero un inevitabile rischio di reazioni avverse o di più gravi pregiudizi dell’integrità fisica dei soggetti vaccinati; in altri termini, sarebbe assente una condizione di c.d. “rischio zero”. Ebbene, premesso che a nessuna condotta umana si correla un “rischio zero”, appare evidente che la riferita concezione del principio di precauzione impedirebbe in radice qualunque sviluppo delle scienze medico-chirurgiche (e di qualunque altra scienza). Inoltre le tesi, testé richiamate, tendono travisare il senso e il finalismo del principio di precauzione la cui dinamica applicativa, lungi dal fondarsi su un pregiudizio antiscientifico, postula più di qualunque altro principio del diritto una solida base scientifica.

Il principio di precauzione non vive, infatti, in una dimensione prevalentemente assiologica (esso cioè non presuppone una precisa scelta di valori-fine) né opera in un’unica direzione (segnatamente, in quella dell’interdizione delle decisioni pubbliche “rischiose”). Al contrario, il principio di precauzione vige in una dimensione essenzialmente metodologica ed è bidirezionale. Non a caso è stato sostenuto in dottrina che il principio di precauzione non offra “regole per decidere”, ma soltanto “regole per procedere”, poiché permette di individuare il percorso di procedimentalizzazione delle decisioni delle autorità pubbliche in situazioni di incertezza, consentendo una gestione collettiva del rischio. In altri termini, il principio di precauzione non obbliga affatto alla scelta del “rischio zero”, semmai impone al decisore pubblico (legislatore o amministratore), in contesti determinati, di prediligere, tra le plurime ipotizzabili, la soluzione che renda possibile il bilanciamento tra la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei vantaggi, attraverso l’individuazione, sulla base di un test di proporzionalità, di una soglia di pericolo accettabile; la selezione di tale soglia, tuttavia, può compiersi unicamente sulla base di una conoscenza completa e, soprattutto, accreditata dalla migliore scienza disponibile. Sicché il principio di precauzione può, talora, condurre le autorità pubbliche a non agire oppure, in altri casi, può spingerle ad attivarsi, adottando misure proporzionate al livello di protezione prescelto (cioè adeguate rispetto alla soglia di pericolo accettabile). Che questa sia l’interpretazione corretta del principio di precauzione è confermato dalla giurisprudenza amministrativa nazionale che si è occupata del tema (tra i molti precedenti, si richiama la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana 3 settembre 2015, n. 581) e, specialmente, dalla comunicazione interpretativa della Commissione europea del 2 febbraio 2000 – COM/2000/01 def. (va ricordato infatti che il principio di precauzione è di origine internazionale e sovranazionale), nella quale si è chiarito che “(l)’attuazione di una strategia basata sul principio di precauzione dovrebbe iniziare con una valutazione scientifica, quanto più possibile completa, identificando, ove possibile, in ciascuna fase il grado d’incertezza scientifica.”.

41.) La base scientifica del principio di precauzione rappresenta anche un presidio di garanzia della ragionevolezza delle scelte pubbliche e rafforza conseguentemente la compliance delle regole positive (su di esso fondate) che impongano obblighi di comportamento per i consociati. La consapevolezza, invero, che il decisore pubblico sia tenuto a seguire una strategia valutativa (di problem solving) poggiante sulle verificabili e verificate acquisizioni della miglior scienza del momento (e sul rigore del relativo metodo) concorre ad escludere il sospetto di arbitrarietà inevitabilmente connesso a ogni epifania dell’autoritatività, specialmente quando quest’ultima si manifesti sotto forma di biopotere (ossia di esercizio della politicità, in questo caso estrinsecantesi in cogenza normativa, nella gestione del corpo umano).

42.) A quello di precauzione si accompagna poi il principio di prevenzione, atteso che la massima efficacia della minimizzazione del rischio, nei sensi sopra indicati, si ottiene, in genere, attraverso un intervento sulle cause della possibile insorgenza del pericolo. Ebbene, non vi è dubbio che il sistema della vaccinazioni obbligatorie sia informato anche a questo principio giuridico, complementare a quello di precauzione e altrettanto rilevante.

43.) Le precedenti considerazioni portano a concludere che, al cospetto dei profili costituzionali sopra esaminati, si presentino inconferenti e non assumano rilievo, perché recessivi rispetto alla tutela della salute pubblica, gli argomenti di natura “civilistica” volti a valorizzare l’interesse economico dei genitori dei bambini non vaccinati a non sostenere inutilmente l’onere economico di rette scolastiche e pure l’interesse a far frequentare ai propri figli un determinato istituto scolastico privato.

P.Q.M.

In risposta al quesito formulato dal Presidente della Regione Veneto, si esprime il parere che, in base al diritto vigente, già a decorrere dall’anno scolastico 2017/2018 (in corso), si applichi, anche nella Regione Veneto, la norma, ricavabile dal combinato disposto degli articoli 3, comma 1, e 5, comma 1, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119, secondo cui la presentazione della documentazione attestante l’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale costituisce requisito di accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia.

L’ESTENSORE                         IL PRESIDENTE
Gabriele Carlotti                  Gianpiero Paolo Cirillo

IL SEGRETARIO Roberto Mustafà

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Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Linea Guida - Aggiornamento LINEE DI ORIENTAMENTO per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo 27/10/2017
Prassi, Circolari, Note

MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA

Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione

Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione

Aggiornamento
LINEE DI ORIENTAMENTO
per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo

Ottobre 2017

Indice

Premessa

1. Interventi per la prevenzione e il contrasto del fenomeno
1.1
L’iniziativa Generazioni connesse e altri strumenti utili per un uso corretto e consapevole delle tecnologie digitali

2. Modalità di segnalazione di situazioni e/o comportamenti a rischio

3. Governance: una nuova organizzazione

3.1 Azioni mirate delle scuole rivolte agli studenti e alle loro famiglie: il ruolo del Dirigente scolastico e del docente referente

4. Nuovi strumenti introdotti dalla L. 71/2017: l’ammonimento

Premessa

Il presente testo ha lo scopo di dare continuità alle Linee di orientamento emanate nell’aprile del 2015, apportando le integrazioni e le modifiche necessarie in linea con i recenti interventi normativi1, con particolare riferimento alle innovazioni introdotte con l’emanazione della L. 71/2017: Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”. Lo stesso è, quindi, da intendersi quale strumento flessibile e suscettibile di periodici aggiornamenti2, tale da rispondere alle sfide educative e pedagogiche derivanti dall’evolversi costante e veloce delle nuove tecnologie.

La Legge 71/2017 si presenta con un approccio inclusivo e invita diversi soggetti a sviluppare una progettualità volta alla prevenzione e al contrasto del cyberbullismo, secondo una prospettiva di intervento educativo e mai punitivo, prevedendo all’art.3 l’istituzione di un Tavolo di lavoro, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, coordinato dal MIUR, con il compito di redigere un piano di azione integrato e realizzare un sistema di raccolta di dati per il monitoraggio, avvalendosi anche della collaborazione della Polizia Postale e delle Comunicazioni e delle altre Forze di polizia.

Tale piano sarà integrato con un codice di co-regolamentazione per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo a cui dovranno attenersi gli operatori che forniscono servizi di social networking e tutti gli altri operatori della rete Internet; con il predetto codice sarà istituito un comitato di monitoraggio con il compito di definire gli standard per l'istanza di oscuramento di cui all'articolo 2, comma 1, della Legge 71/2017.

Il Piano dovrà stabilire, altresì, le iniziative di informazione e di prevenzione del cyberbullismo con il coinvolgimento dei servizi socio-educativi territoriali, in sinergia con le scuole, anche attraverso periodiche campagne informative, di prevenzione e di sensibilizzazione avvalendosi dei media, degli organi di comunicazione, di stampa e di enti privati.

Il dettato normativo attribuisce, quindi, a una pluralità di soggetti compiti e responsabilità ben precisi, ribadendo il ruolo centrale della Scuola che è chiamata a realizzare azioni in un’ottica di governance diretta dal MIUR che includano “la formazione del personale, la partecipazione di un proprio referente per ogni autonomia scolastica, la promozione di un ruolo attivo degli studenti, nonché di ex studenti che abbiano già operato all’interno dell’istituto scolastico in attività di peer education, la previsione di misure di sostegno e di rieducazione dei minori coinvolti”.3 Sentito il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità (DGMC), il MIUR adotta le presenti linee di orientamento per la prevenzione ed il contrasto del cyberbullismo nelle scuole.

Centrale risulta la figura del docente referente che la scuola individua preferibilmente tra i docenti che posseggano competenze specifiche ed abbiano manifestato l’interesse ad avviare un percorso di formazione specifico.

Il referente diventa, così, l’interfaccia con le forze di Polizia, con i servizi minorili dell’amministrazione della Giustizia, le associazioni e i centri di aggregazione giovanile sul territorio, per il coordinamento delle iniziative di prevenzione e contrasto del cyberbullismo.

Nelle more, quindi, della costituzione e dell’operatività del Tavolo inter-istituzionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, le presenti linee di orientamento rappresentano un primo strumento che potrà essere utile a orientare le azioni che le scuole vorranno autonomamente intraprendere, e che saranno successivamente integrate in un complessivo Piano di Azione nazionale.

1. Interventi per la prevenzione e contrasto del fenomeno del cyberbullismo.

La Legge 107 del 20154 ha introdotto, tra gli obiettivi formativi prioritari, lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, finalizzato anche a un utilizzo critico e consapevole dei social network e dei media, e declinato dal Piano Nazionale Scuola Digitale.5

Le studentesse e gli studenti devono essere sensibilizzati ad un uso responsabile della Rete e resi capaci di gestire le relazioni digitali in agorà non protette. Ed è per questo che diventa indispensabile la maturazione della consapevolezza che Internet può diventare, se non usata in maniera opportuna, una pericolosa forma di dipendenza. Compito della Scuola è anche quello di favorire l’acquisizione delle competenze necessarie all’esercizio di una cittadinanza digitale consapevole. Responsabilizzare le alunne e gli alunni significa, quindi, mettere in atto interventi formativi, informativi e partecipativi. Tale principio è alla base dello Statuto delle studentesse e degli studenti6 che sottolinea la finalità educativa anche quando si rendano necessari provvedimenti disciplinari, comunque tesi a rispristinare comportamenti corretti all’interno dell’istituto “attraverso attività di natura sociale e culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica”.

Nel corso degli ultimi anni, inoltre, il MIUR ha siglato Protocolli di Intesa e avviato collaborazioni con le più importanti Istituzioni e Associazioni che, a vario titolo, si occupano di prevenzione e contrasto del bullismo e cyberbullismo al fine di creare un’alleanza e una convergenza di strumenti e risorse atti a rispondere alla crescente richiesta di aiuto da parte delle istituzioni scolastiche e delle famiglie7.

1.1. L’iniziativa Generazioni connesse e altri strumenti utili per un uso corretto e consapevole delle tecnologie digitali.

Per promuovere strategie finalizzate a rendere Internet un luogo più sicuro per gli utenti più giovani, favorendone un uso positivo e consapevole, il MIUR ha avviato l’iniziativa “Generazioni Connesse”, sostenuta dalla Commissione Europea8, con lo scopo di fornire alle istituzioni scolastiche una serie di strumenti didattici, di immediato utilizzo, tra cui:

- attività di formazione (online e in presenza) rivolte in maniera specifica alle comunità scolastiche (insegnanti, bambini/e, ragazzi/e, genitori, educatori) che intraprenderanno un percorso dedicato;

- attività di informazione e sensibilizzazione realizzate in collaborazione con la Polizia di Stato per approfondire i temi della navigazione sicura in Rete.

Le scuole che intendano partecipare all’iniziativa possono collegarsi all’indirizzo www.generazioniconnesse.it e seguire le istruzioni riportate per effettuare l’iscrizione al progetto.

Attraverso un iter guidato e materiali specifici di lavoro, le scuole iscritte a Generazioni connesse, intraprendono un percorso per far emergere i punti di forza e di debolezza dell’istituto stesso, sulle tematiche connesse al Progetto, mediante la compilazione di un questionario di autovalutazione disponibile sul sito www.generazioniconnesse.it. Il questionario è uno strumento che consente all’istituto di identificare i propri bisogni, le aree di miglioramento e le azioni da intraprendere per giungere all’elaborazione di un progetto personalizzato denominato “Piano d’azione”.

Tale Piano9 consentirà alle istituzioni scolastiche di focalizzare il proprio Piano Triennale dell’Offerta Formativa al fine di definire:

- il proprio approccio alle tematiche legate alle competenze digitali, alla sicurezza online e ad un uso positivo delle tecnologie digitali nella didattica;

- le norme comportamentali e le procedure per l’utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) in ambiente scolastico;

- le misure per la prevenzione;

- le misure per la rilevazione e gestione delle problematiche connesse a un uso non consapevole delle tecnologie digitali;

Il percorso è rivolto alle classi quarta e quinta della scuola primaria e a tutte le classi della scuola secondaria di primo grado.

Per la realizzazione del “Piano d’azione”, l’istituto scolastico è affiancato da un servizio di “supporto scuole” (supportoscuole@generazioniconnesse.it) e da personale qualificato del Safer Internet Centre italiano.

Un ulteriore strumento per contrastare comportamenti dannosi online e allo stesso tempo accrescere la conoscenza del fenomeno è “iGloss@ 1.110, l’Abc dei comportamenti devianti online, elaborato dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità.

Il glossario, nella ricognizione dei termini specialistici sui comportamenti online a rischio, offre una sintetica spiegazione delle principali caratteristiche delle condotte devianti e dei risvolti socio-giuridici.

L’obiettivo non è esclusivamente descrivere e inquadrare i nuovi fenomeni della devianza online, ma favorire, altresì, l’acquisizione di consapevolezza sulle conseguenze sociali e giudiziarie di queste specifiche trasgressioni.

Il glossario, disponibile online in lingua italiana e inglese sul sito del Ministero della Giustizia (www.giustizia.it), è rivolto a operatori dei servizi sociali, sanitari, giudiziari, giovani e loro genitori.

2. Modalità di segnalazione di situazioni e/o comportamenti a rischio

La Legge 71/2017 indica per la prima volta tempi e modalità per richiedere la rimozione di contenuti ritenuti dannosi per i minori. L’art.2, infatti, prevede che il minore di quattordici anni, ovvero il genitore o altro soggetto esercente la responsabilità sul minore che abbia subito un atto di cyberbullismo, può inoltrare un'istanza per l'oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi dato personale del minore, diffuso nella rete:

al titolare del trattamento al gestore del sito internet al gestore del social media

Infatti, se entro ventiquattro ore dal ricevimento dell'istanza i soggetti responsabili non abbiano comunicato di avere preso in carico la segnalazione, e entro quarantotto ore provveduto, l'interessato può rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al Garante11 per la protezione dei dati personali, il quale provvede entro quarantotto ore dal ricevimento della richiesta.

Le scuole possono, altresì. segnalare episodi di cyberbullismo e la presenza di materiale pedopornografico on line al servizio Helpline di Telefono Azzurro 1.96.96, una piattaforma integrata che si avvale di telefono, chat, sms, whatsapp e skype -strumenti per aiutare i ragazzi e le ragazze a comunicare il proprio disagio-e alla Hotline “Stop-It" di Save the Children, all’indirizzo www.stop-it.it, che consente agli utenti della Rete di segnalare la presenza di materiale pedopornografico12 online. Attraverso procedure concordate, le segnalazioni sono successivamente trasmesse al Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia su Internet, istituito presso la Polizia Postale e delle Comunicazioni, per consentire le attività di investigazione necessarie.

3 Governance: una nuova organizzazione.

In linea con quanto previsto dalla Legge 71/2017, il MIUR ha intrapreso una riorganizzazione della struttura amministrativa centrale e periferica che opera per la prevenzione del cyberbullismo, nella convinzione che la migliore modalità di intervento passi attraverso l’istituzione di un efficace sistema di governance che coinvolga le istituzioni, la società civile, gli adulti e gli stessi minori.

È stato introdotto un nuovo sistema di governance che parte dalla costituzione di un Tavolo tecnico centrale, previsto dall’art. 3 della L. 71/2017 e di prossima costituzione, di cui faranno parte istituzioni, associazioni, operatori di social networking e della rete internet, fino a giungere alla richiesta dell’individuazione, nel rispetto dell’autonomia, di un docente referente per ogni istituzione scolastica.

Nelle more della costituzione di detto Tavolo di coordinamento nazionale, rimane e rimarrà fondamentale l’importante azione di coordinamento territoriale esercitata degli Uffici Scolastici Regionali, per il tramite degli Osservatori Regionali all’uopo istituiti e al supporto della rete locale dei Centri Territoriali. La Legge richiama, infine, ad un’ulteriore azione di raccordo con ulteriori figure professionali, altri Enti e istituzioni deputati alla prevenzione e al contrasto del cyberbullismo quali assistenti sociali, educatori, operatori della Giustizia minorile.

3.1 Azioni mirate delle scuole e rivolte agli studenti e alle loro famiglie: il ruolo del dirigente scolastico e del docente referente

La L. 71/2017 all’art. 5 prevede che, nell’ambito della promozione degli interventi finalizzati ad assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali del territorio, il dirigente scolastico, definisca le linee di indirizzo del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) e del Patto di Corresponsabilità (D.P.R. 235/07) affinché contemplino misure specificatamente dedicate alla prevenzione del cyberbullismo13.

Le misure di intervento immediato che i dirigenti scolastici sono chiamati a effettuare, qualora vengano a conoscenza di episodi di cyberbullismo, dovranno essere integrate e previste nei Regolamenti di Istituto e nei Patti di Corresponsabilità, al fine di meglio regolamentare l’insieme dei provvedimenti sia di natura disciplinare che di natura educativa e di prevenzione.

Sarà cura del dirigente assicurare la massima informazione alle famiglie di tutte le attività e iniziative intraprese, anche attraverso una sezione dedicata sul sito web della scuola, che potrà rimandare al sito del MIUR www.generazioniconnesse.it per tutte le altre informazioni di carattere generale.

Parimenti è auspicabile che il dirigente scolastico attivi specifiche intese con i servizi territoriali (servizi della salute, servizi sociali, forze dell’ordine, servizi minorili dell’amministrazione della Giustizia) in grado di fornire supporto specializzato e continuativo ai minori coinvolti ove la scuola non disponga di adeguate risorse.

Secondo la stessa logica, la L. 71/2017 prevede che presso ciascuna istituzione scolastica venga individuato un docente referente con il compito di coordinare le iniziative di prevenzione e di contrasto del cyberbullismo, anche avvalendosi della collaborazione delle Forze di polizia nonché delle associazioni e dei centri di aggregazione giovanile presenti sul territorio.14

Nell’ambito dell’istituzione scolastica il docente referente potrà, quindi, svolgere un importante compito di supporto al dirigente scolastico per la revisione/stesura di Regolamenti (Regolamento d'istituto), atti e documenti (PTOF, PdM, Rav).

Ai docenti referenti, così come ai dirigenti scolastici, non sono quindi attribuite nuove responsabilità o ulteriori compiti, se non quelli di raccogliere e diffondere le buone pratiche educative, organizzative e azioni di monitoraggio, favorendo così l'elaborazione di un modello di e- policy d’istituto.

Tuttavia, al fine assicurare a tutti i soggetti coinvolti in azioni di prevenzione del cyberbullismo strumenti utili per conoscere e attivare azioni di contrasto al fenomeno, il MIUR elaborerà una piattaforma per la formazione dei docenti referenti. Tale azione sarà rafforzata dalle iniziative che saranno previste dal Piano Integrato di cui all’art. 3 della L. 71/2017 nonché dalle iniziative intraprese sia dagli Uffici Scolastici Regionali che dalle istituzioni medesime.

5. Nuovi strumenti introdotti dalla L. 71/2017: l’ammonimento

Nell’ottica di favorire l’anticipo della soglia di sensibilità al rischio e promuovere forme conciliative che possano evitare il coinvolgimento dei minori, sia quali autori del reato sia quali vittime in procedimenti penali, l’art. 7 della Legge 71/2017 prevede uno strumento d’intervento preventivo, già sperimentato in materia di atti persecutori (stalking), ovvero l’ammonimento del Questore.

Tale previsione risulta pienamente coerente con la scelta legislativa di contrastare il fenomeno del cyberbullismo con azioni di tipo educativo, stimolando nel minore ultraquattordicenne una riflessione sul disvalore sociale del proprio atto nonché una generale presa di coscienza sul medesimo.

Nello specifico, nel caso in cui non si ravvisino reati perseguibili d’ufficio o non sia stata formalizzata querela o presentata denuncia per le condotte di ingiuria (reato recentemente depenalizzato), diffamazione, minaccia o trattamento illecito dei dati personali commessi mediante la rete Internet nei confronti di altro minorenne, è possibile rivolgere al Questore, autorità provinciale di Pubblica Sicurezza, un’istanza di ammonimento nei confronti del minore ultraquattordicenne autore della condotta molesta. La richiesta potrà essere presentata presso qualsiasi ufficio di Polizia e dovrà contenere una dettagliata descrizione dei fatti, delle persone a qualunque titolo coinvolte ed eventuali allegati comprovanti quanto esposto.

E’ bene sottolineare che l’ammonimento, in quanto provvedimento amministrativo, non richiede una prova certa e inconfutabile dei fatti, essendo sufficiente la sussistenza di un quadro indiziario che garantisca la verosimiglianza di quanto dichiarato.

Qualora l’istanza sia considerata fondata, anche a seguito degli approfondimenti investigativi ritenuti più opportuni, il Questore convocherà il minore responsabile insieme ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la potestà genitoriale, ammonendolo oralmente e invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge con specifiche prescrizioni che, ovviamente, varieranno in base ai casi.

La legge non prevede un termine di durata massima dell'ammonimento ma specifica che i relativi effetti cesseranno al compimento della maggiore età.

Pur non prevedendo un’aggravante specifica per i reati che il minore potrà compiere successivamente al provvedimento di ammonimento, senza dubbio tale strumento rappresenta un significativo deterrente per incidere in via preventiva sui minori ed evitare che comportamenti, frequentemente assunti con leggerezza, possano avere conseguenze gravi per vittime e autori.

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1 Art.1, commi 7, 57,58 della Legge n.107del 15 luglio 2015 “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”; Legge n. 71 del 29 maggio 2017 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”. 2 L’ articolo 4, comma 1 della Legge 71 del 29 maggio 2017 prevede che l’aggiornamento delle Linee di orientamento avvenga con cadenza biennale.

3 Art. 4, comma. 2 della Legge n. 71 del 29 maggio 2017.

4 Art. 1, commi 57, 58.

5.http://www.miur.gov.it/web/guest/scuola-digitale 6 Art. 4, comma 2,. D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249.

7 Nell’ottica della collaborazione inter-istituzionale che deve caratterizzare le attività dell’amministrazione centrale e periferica e delle stesse istituzioni scolastiche, si auspica un’azione sinergica con le strutture centrali e territoriali del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità che ha previsto, nella propria riorganizzazione, uno specifico ufficio per la prevenzione della devianza e per la giustizia riparativa. 

8 L’iniziativa è coordinata dal MIUR e realizzata in partenariato con: Ministero dell’Interno-Polizia Postale e delle Comunicazioni, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Save the Children Italia Onlus, Sos Il Telefono Azzurro, l’Università degli Studi di Firenze, l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Skuola.net, la Cooperativa E.D.I., Movimento Difesa del Cittadino e l’Agenzia Dire. 

9 http://www.generazioniconnesse.it/site/it/area-scuole/ / 

10 Le informazioni sono reperibili al sito: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_5_12.page

11 Il Garante ha predisposto il modello per la segnalazione di casi di cyberbullismo che si trova sul sito http://www.garanteprivacy.it/cyberbullismo. 12 Per la legislazione corrente, anche il materiale prodotto attraverso la pratica del sexting, che abbiamo visto essere molto diffusa tra i giovani, è da considerarsi pedopornografico. 

13 Il comma 1 dell’art. 5 prevede che il dirigente scolastico, “salvo che il fatto costituisca reato, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni di cui al comma 2, il dirigente scolastico che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo ne informa tempestivamente i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale ovvero i tutori dei minori coinvolti e attiva adeguate azioni di carattere educativo”. 

14 Art. 4 , comma 3 della Legge n. 71 del 29 maggio 2017. 

                                                         Firmato digitalmente da VALERIA FEDELI

 

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Formazione in servizio dei docenti specializzati su sostegno
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Comunicazione MIUR inerente le cessazioni dal servizio del personale docente, ATA e Dirigente Scolastico destinatario di comunicazioni relative al riconoscimento dell'APE sociale.
Nella domanda di cessazione l'interessato dichiarerà di essere in possesso dei requisiti previsti per l'APE sociale certificati e riconosciuti dall'INPS tramite l'invio delle suddette comunicazioni
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Offese rivolte a un docente durante un corso di formazione online: accesso agli atti e procedimento disciplinare...

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