Data di pubblicazione: 11/07/2025
Un nostro docente a tempo indeterminato rivendica le ferie dell'a.s.23/24 in quanto non ne ha fatto formale richiesta e appellandosi all'art.13 del CCNL...
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Data di pubblicazione: 11/07/2025
L’art.55 bis, comma 4, del D.Lgs 165 2001 prevede che “L'ufficio competente per i procedimenti disciplinari conclude il procedimento, con l'atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro centoventi giorni dalla contestazione dell'addebito”. L’unico provvedimento contemplato diverso dall’irrogazione della sanzione è l’archiviazione. Nulla pertanto impedisce motivare l’archiviazione in ragione della sopravvenuta estinzione del potere disciplinare.
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Data di pubblicazione: 11/07/2025
A seguito di una significativa violazione del Regolamento di Istituto e seguendo l'intero iter procedurale garantito dallo "Statuto delle Studentesse e degli Studenti".....
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Data di pubblicazione: 11/07/2025
Anche per questo anno scolastico, in tema di compensi da corrispondere ai Presidenti ed ai Commissari impegnati negli esami di Stato, la normativa cui fare riferimento è il D.I. 24 maggio 2007 e le relative indicazioni di cui alla Nota prot. n. 7054 del 2.07.2007 e prot. n. 7321 del 12 novembre 2012 del Ministero dell'Istruzione. I compensi per gli esami conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore sono omnicomprensivi e sostitutivi di ogni altro emolumento accessorio. Il MIUR, con la nota prot. n. 5850 del 23.06.2015, ha fornito ulteriori chiarimenti sui compensi in argomento, al fine di uniformare l'operato delle singole Istituzioni Scolastiche, in relazione ai costi relativi allo svolgimento degli esami medesimi. Si riporta pertanto il dettaglio dell'applicazione della normativa da rispettare sui compensi stessi da attribuire, sia applicando il quadro A - Compenso correlato alla funzione, sia applicando il quadro B - Compenso correlato alla distanzla del luogo di residenza o servizio dalla sede di esame. QUADRO A: Gli importi concorrono per il 100% a formare la base contributiva e pensionabile; sono assoggettati alle ritenute previste per legge e relative ai compensi accessori. QUADRO B: I compensi concorrono a formare la base contributiva-fiscale per la parte eccedente € 46,48 giornalieri. Come si calcola la base imponibile nel compenso forfettario per trasferta: La base imponibile e fiscale è il risultato della differenza tra la quota spettante ed il prodotto di € 46,48 per le giornate di durata della commissione, come disposto dall'art. 6, comma 2 del D.I. 24.05.2007 che recita:" I compensi indicati nella tabella 1- QUADRO B concorrono a formare la base retributiva e fiscale per la parte eccedente € 46,48 giornalieri". Esempio: punto b TABELLA 1 quadro B: 568,00 :10 giorni di lavoro della commissione = 56,80 56,80 - 46,48 = 10,32 quota imponibile giornaliera 10,32 x10 gg= 103,20 quota imponibile per 10 giorni di lavoro della commissione. Si precisa che il compenso forfettario spettante, sia per la funzione, sia per la trasferta, è dovuto per la durata complessiva delle operazioni d'esame. Solo nel caso di impegno per periodi inferiori al citato periodo (ad esempio, in caso il commissario sia impossibiltato allo svolgimento dell'incarico per grave, eccezionale e documentato motivo, o in caso di personale nominato in sostituzione del componente assente, o in caso di nomina del commissario successiva alla riunione preliminare), i compensi vanno corrisposti in proporzione al periodo continuativo di servizio prestato rispetto alla durata complessiva delle operazioni d'esame.
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Data di pubblicazione: 11/07/2025
In base all’art. 11 del D.M. n. 249/2010, “1. Per lo svolgimento delle attività di tirocinio le facoltà di riferimento si avvalgono di personale docente e dirigente in servizio nelle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione. Ai predetti docenti sono affidati compiti tutoriali, in qualità di: a) tutor coordinatori; b) tutor dei tirocinanti. […] 5. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze sono stabiliti i contingenti del personale della scuola necessario per lo svolgimento dei compiti tutoriali di cui ai commi 2 e 4 e la loro ripartizione tra le facoltà o le istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica di riferimento, nonché i criteri di selezione degli aspiranti ai predetti compiti. Sulla base dei criteri di selezione stabiliti, e nei limiti dei contingenti ad esse assegnati, le facoltà di riferimento provvedono all'indizione ed allo svolgimento delle selezioni. La facoltà provvede all'affidamento dell'incarico tutoriale, che ha una durata massima di quattro anni, non è consecutivamente rinnovabile ed è prorogabile solo per un ulteriore anno. L'incarico è soggetto a conferma annuale secondo quanto previsto al comma 7. Il suo svolgimento comporta, per i tutor coordinatori, un esonero parziale dall'insegnamento e, per i tutor organizzatori, l'esonero totale dall'insegnamento stesso.” Il decreto citato stabilisce un esonero parziale dall’insegnamento per i tutor coordinatori che, dunque, non potranno che essere assimilati – ai fini del computo dei servizi utili per il percorso di formazione e periodo annuale di prova in servizio di cui all’art. 3 del D.M. n. 226/2022 – ai “docenti con prestazione o orario inferiore su cattedra o posto”, come suggerito nel quesito. Non vi è alcuna specifica disposizione applicabile nella fattispecie e, pertanto, i docenti non potranno che essere sottoposti alla disciplina prevista dal D.M. n. 226/2022. Non si ravvede a priori, per contro, la necessità di rinviare il periodo di formazione e prova dei docenti coinvolti, dal momento che – seppure non per l’intero orario cattedra – gli stessi svolgeranno attività didattica e dovranno dunque essere valutati alla luce di essa, se compiranno i requisiti di servizio così come riproporzionati in ragione del loro ridotto impegno lavorativo presso l’istituzione scolastica di titolarità.
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Data di pubblicazione: 10/07/2025
Il secondo comma dell’art. 49 D.Lgs. 36/2023 non è stato interpretato nel senso prospettato in quesito. Dopo un primo momento in cui l’orientamento degli interpreti si era avvicinato all’ipotesi del “terzo” affidamento come il primo momento di applicazione della rotazione, la giurisprudenza si è assestata su letture più restrittive, come quella del T.A.R. Calabria (sent. 1099/2024): “I “due consecutivi affidamenti” fanno, quindi, riferimento a quello da aggiudicare e a quello “immediatamente precedente” con la conseguenza che la disposizione vieta il secondo consecutivo affidamento (avente ad oggetto la stessa categorie di opere) e non – come dalla ravvisato dalla parte ricorrente (v. pag. 12- 13 del ricorso introduttivo) – il “terzo” affidamento da parte dell’operatore già affidatario di due consecutivi affidamenti”, non rivenendosi, per una simile interpretazione, né elementi testuali, né elementi sistematici tenuto anche conto che la disposizione si pone in linea di continuità con la precedente regolamentazione di cui alle linee guida ANAC n. 4 che al punto 3.6 faceva espresso riferimento all’affidamento “precedente” e a quello “attuale”.”. La risposta al quesito è pertanto negativa: se non sussiste una delle altre eccezioni di cui all’art. 49 (commi da 3 a 6), l’uscente dovrà essere escluso.
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Data di pubblicazione: 10/07/2025
La soluzione prospettata nel quesito appare pienamente condivisibile. L’iscrizione a scuola è un atto “bi-genitoriale”, di talché la manifestazione di un dissenso espresso da parte di un genitore in caso di affido condiviso è ostativo al perfezionamento della fattispecie. La redazione ritiene pertanto che sia opportuno aprire un contraddittorio procedimentale che metta in luce anche la necessità di assicurare l’assolvimento dell’obbligo scolastico. Ovviamente, in difetto di un componimento tra i genitori, la decisione sarà assunta dall’autorità giudiziaria.
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Data di pubblicazione: 10/07/2025
Considerata l'attuale soglia di rilevanza comunitaria si chiede una vostra interpretazione circa la possibilità di utilizzare le RDO su ME.PA...
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Data di pubblicazione: 10/07/2025
Si premette che le istituzioni scolastiche, in tema di utilizzo dello smartphone, non sono all’anno zero, avendo da tempo affrontato la delicata questione del contrasto al cyberbullismo. I diversi regolamenti di disciplina avevano pertanto già approvato misure restrittive al riguardo. Sarebbe pertanto non rispondente al vero che la questione del cellulare sia emersa per la prima volta ad iniziativa del Ministro. Tale considerazione deve essere svolta anche allo scopo di contenere le polemiche suscitate dalla circolare in esame, la cui concreta valenza appare per lo più di indirizzo politico. Sul piano delle fonti del diritto, infatti, la redazione ha più volte espresso la propria perplessità circa l’efficacia cogente di una circolare che, per quanto promani dall’organo di vertice dell’amministrazione scolastica, in qualche misura comprime i margini di autonomia didattica e organizzativa che la legge riserva alle scuole. Sennonché, giova rammentare che il consiglio d’istituto è un organo amministrativo e, ancorché sia composto da membri elettivi, non è espressione di una volontà politica. La funzione dell’organo è declinata dalla legge, cosicché non sono configurabili deliberazioni che manifestino dissensi o anche latamente contestino i provvedimenti assunti da altri organi dell’amministrazione di cui l’istituzione scolastica è parte integrante. In concreto, peraltro, le disposizioni contenute nel regolamento di disciplina non appaiono in contrasto con le indicazioni del Ministro e ciò in quanto prevedono che “L’uso di dispositivi mobili è vietato durante lo svolgimento dell’attività didattica, salvo diversa indicazione da parte dei docenti in relazione a precisi scopi scolastici. I dispositivi digitali devono essere tenuti spenti e depositati negli zaini personali”. Il primo fondamentale passaggio (e, in definitiva, quello più delicato) è già stato realizzato mediante il divieto di utilizzo dello smartphone durante le lezioni. Si tratta ora di completare il quadro, recependo “il divieto di utilizzo dello smartphone durante l'orario scolastico”. Per meglio affrontare la questione, si suggerisce di evidenziare all’organo che tale misura appare funzionale alla necessità di adeguare il regolamento di disciplina alla riforma della legge n.71 del 2017, recentemente integrata per il contrasto al bullismo. Tale obbligo di integrazione del regolamento è ineludibile e, in questa chiave, la misura indicata dal Ministro appare certamente opportuna, essendo incontestabile che buona parte delle devianze persecutorie si realizza anche (se non solo) con lo strumento dello smartphone. Conclusivamente, la redazione consiglia di predisporre anticipatamente un pacchetto di disposizioni, non circoscritte al solo cellulare, da portare in consiglio d’istituto per emendare il regolamento di disciplina, avendo cura di evidenziarne la finalità, che non può essere circoscritta alla mera esigenza di dare esecuzione alla circolare. Ovviamente, una diversa opzione che disattenda frontalmente le indicazioni del Ministro potrebbe dare luogo a ripercussioni di varia natura, anche di tipo disciplinare, almeno carico del dirigente scolastico.
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Data di pubblicazione: 10/07/2025
Con riferimento alla nota MIM 3392 del 16/06/2025 si chiede: l'istituzione scolastica, da un lato, il singolo docente, dall'altro, nella loro autonomia...
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Data di pubblicazione: 10/07/2025
La situazione descritta si attesta su due distinti piani operativi. Il primo aspetto è relativo alla corretta gestione dell’istanza di accesso ad alcuni documenti (provvedimenti disciplinari; pdp della figlia dell’istante; curriculum dei docenti). Il secondo elemento che emerge dal quesito posto afferisce invece alla formazione e alla gestione formale degli alunni adottati, per cui il MIM è intervenuto nel 2023 con nuove “Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio delle alunne e degli alunni che sono stati adottati”, aggiornando le precedenti indicazioni del 2014. Con riferimento ai documenti richiesti in ostensione, non emerge dal quesito se il genitore, nel richiedere l’accesso abbia o meno circoscritto e definito l’interesse qualificato dal quale discenderebbe il suo diritto ad accedere a documenti particolarmente riservati, come procedimenti disciplinari e curricola dei docenti. Preliminarmente, infatti, la PA deve indagare se, a fronte di un interesse diretto, concreto ed attuale, sia legittimo superare evidenti vincoli di riservatezza. Ad ogni buon conto, i documenti che fanno riferimento diretto alla carriera scolastica dei propri figli (come nel caso in esame i PDP) sono ovviamente sempre ostensibili a semplice richiesta, trattandosi di documenti per i quali l’interesse qualificato è “in re ipsa”. Riguardo al preteso accesso ai curricola dei docenti che potrebbero, peraltro, non essere neppure nella disponibilità della scuola, esso va rifiutato, poiché l’interesse di cui è portatore il genitore può essere qualificato come un interesse di mero fatto, non potendo corrispondere ad una situazione meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico. Similmente per la richiesta di accesso ad eventuali procedimenti disciplinari avviati nei confronti di un docente. In tal caso, oltre alla mancanza di un interesse idoneo a fondare la richiesta, osta anche l’assoluta riservatezza dei dati richiesti che non risulta controbilanciata da alcuna reale situazione tutelabile dell’istante. Relativamente alla seconda parte del quesito che affronta il più ampio tema delle misure in favore degli alunni adottati, si deve preliminarmente chiarire che le "linee di indirizzo” non hanno un valore di per sé cogente, come invece gli atti normativi e regolamentari emessi dal MIM. Lo strumento delle “linee di indirizzo”, infatti, serve a definire orientamenti ufficiali del Ministero di cui le scuole autonome terranno conto nella pianificazione delle loro azioni, per decifrare alcune situazioni, per orientare scelte strategiche, come ad esempio quelle sulla formazione del personale. Le linee di indirizzo sono raccomandazioni che le istituzioni scolastiche seguono per garantire specifici aspetti del diritto all'istruzione, pur non obbligando in senso stretto a porre in essere tutte le indicazioni offerte che non sono prescrittive, lasciando alle scuole margini di autonomia e libertà e senza imporre tempistiche di adeguamento cogente. Inoltre, analizzando le linee di indirizzo citate si nota che, dopo l’introduzione alla tematica, vengono dettagliate “buone prassi” e in appendice alcuni ”suggerimenti”, proprio a evidenziare la volontà di porsi come strumento operativo e non eteroimposto. Veniamo all'ultima domanda posta. Va considerato che un bambino adottato è portatore di una condizione di cui prendersi particolare cura, per cui una proposta alla famiglia di condividere un PDP, pur non costituendo dovere di legge, avrebbe potuto fare emergere una speciale attenzione per la situazione vissuta. Tuttavia, si ipotizza che i docenti non ne abbiano avvertito la necessità per un buon ambientamento della bambina adottata o per prassi inclusive ormai automatizzate nella scuola. Il non aver posto in essere alcuna forma di accoglienza , formazione e organizzazione, a margine dell’uso o meno del PDP, che comunque è uno strumento che va condiviso con la famiglia, potrebbe costituire una mancanza di attenzione da parte della scuola, che però può motivare tale comportamento dando prova di una serie di misure concrete comunque attivate, oltre al dato formale del pdp, magari misure concrete che sono in essere nella scuola già da molto tempo.
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Data di pubblicazione: 10/07/2025
La composizione del comitato di valutazione chiamato a valutare il periodo di formazione e prova del personale docente è disciplinata dall’art. 11 del D.Lgs. n. 297/1994, così come modificato dalla legge n. 107/2015. Il comma 4 della disposizione citata stabilisce: “4. Il comitato esprime altresì il proprio parere sul superamento del periodo di formazione e di prova per il personale docente ed educativo. A tal fine il comitato è composto dal dirigente scolastico, che lo presiede, dai docenti di cui al comma 2, lettera a), ed è integrato dal docente a cui sono affidate le funzioni di tutor.” Per parte sua, l’art. 6 del D.M. n. 111/2024 – circa la “Trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato” dei docenti di sostegno assunti con la procedura straordinaria in attuazione dell’articolo 14, comma 1, lettera c) bis, del decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19, convertito con modificazioni dalla legge 29 aprile 2024, n. 56 – afferma: “1. I candidati cui è conferito l’incarico a tempo determinato ai fini dell’articolo 5, commi da 5 a 12 del decreto-legge svolgono il percorso annuale di prova in servizio di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59. 2. Superate con valutazione positiva le procedure di cui all’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, i docenti svolgono una lezione simulata dinanzi al Comitato di valutazione, che esprime un giudizio di idoneità o non idoneità nei confronti degli aspiranti. Ai fini di cui al presente decreto, il Comitato di valutazione è integrato da un componente esterno individuato dal dirigente titolare dell'Ufficio scolastico regionale tra dirigenti scolastici, dirigenti amministrativi e dirigenti tecnici. 3. In caso di positiva valutazione del percorso annuale di prova in servizio e di giudizio positivo relativamente alla lezione simulata, il docente è assunto a tempo indeterminato e confermato in ruolo, con decorrenza giuridica dalla data di inizio del servizio con contratto a tempo determinato di cui al presente decreto, nella medesima istituzione scolastica. […]” Poiché la lezione simulata si pone nell’alveo del procedimento volto alla conferma in ruolo del docente, appare chiaro che essa debba svolgersi dinanzi al comitato di valutazione nella composizione prevista dall’art. 11, comma 4 del D.Lgs. n. 297/1994, integrato pure del componente esterno individuato dall’USR. Se così è, anche la predisposizione della traccia deve avvenire ad opera del comitato nella medesima composizione, posto che detta attività si colloca, ancora una volta, all’interno del procedimento ricordato. Dunque, si ritiene necessaria la presenza del tutor anche in sede di predisposizione della traccia della lezione simulata, sebbene l’art. 8, comma 3 del D.M. n. 111/2024 non la menzioni espressamente (“3. Il giorno, l’ora e il luogo dello svolgimento della lezione simulata è comunicato al docente dal dirigente scolastico della scuola di servizio, sentito il Comitato di valutazione, almeno cinque giorni prima della data di svolgimento. La traccia sulla quale svolgere la lezione simulata, predisposta dal Comitato di valutazione, è assegnata al candidato 24 ore prima dello svolgimento della prova.” In questa direzione si muove anche la Nota USR Lombardia prot. n. 25761 del 22/5/2024 che – in relazione alla identica procedura prevista nel corso dell’anno scolastico 2023/2024 – ha sostenuto che “Ai sensi dell’art. 11, c. 4, d.lgs. 297/1994, il Comitato di valutazione è composto da: - Dirigente scolastico, con funzioni di Presidente; - tre docenti dell'istituzione scolastica, di cui due scelti dal collegio dei docenti e uno dal consiglio di istituto; - docente a cui sono affidate le funzioni di tutor. - Ai fini dell’espletamento della procedura relativa alla lezione simulata, ivi comprese la predisposizione e l’assegnazione della traccia, e della relativa valutazione di idoneità, il Comitato di valutazione è integrato da un componente esterno individuato dal dirigente titolare dell'Ufficio scolastico regionale tra dirigenti scolastici, dirigenti amministrativi e dirigenti tecnici.”
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Data di pubblicazione: 10/07/2025
L'art. 69 del CCNL di comparto del 18-01-2024 per il triennio 2019-2021 (così come l'art. 33 del precedente CCNL 2016-2018) prevede che ai dipendenti ATA sono riconosciuti ulteriori specifici permessi per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche o esami diagnostici, fruibili su base sia giornaliera che oraria, nella misura massima di 18 ore per anno scolastico, comprensive anche dei tempi di percorrenza da e per la sede di lavoro. Nel caso di fruizione giornaliera, sono considerate convenzionalmente 6 ore di permesso. Ciò premesso, si rileva che il dipendente ATA potrà imputare l'assenza a malattia (con relativo trattamento economico) soltanto nelle ipotesi previste dai commi 11, 12 e 14 dell'art. 69. Fuori di detti casi, pertanto, non è possibile imputare l'assenza a malattia. Tale è anche la conclusione dell'ARAN, che con l'orientamento applicativo CIR29 (ora ID 28437) del 24 febbraio 2021 ha precisato la corretta interpretazione dell'art. 33 del CCNL 2016-2018, corrispondente all'art. 69 del CCNL 2019-2021 che costituisce il nuovo riferimento. L'ARAN, infatti, ricorda che l'art. 33 CCNL 2016-2018 ha introdotto per il personale ATA una nuova tipologia di permessi per effettuare visite, terapie, prestazioni specialistiche o esami diagnostici, precedentemente non prevista dai CCNL. Inoltre, l'articolo in questione disciplina anche una diversa e ulteriore casistica riguardante la possibilità di imputare le visite, terapie, prestazioni o esami a malattia per l'intera giornata, restringendo però tale possibilità soltanto a talune specifiche ipotesi tassativamente indicate dal CCNL, ovvero quando: - la visita, l’esame o la terapia siano concomitanti ad una situazione di incapacità lavorativa conseguente ad una patologia in atto (comma 11); - l'incapacità lavorativa sia determinata dalle caratteristiche di esecuzione e di impegno organico di visite, accertamenti, esami o terapie (comma 12); - a causa della patologia sofferta, il dipendente debba sottoporsi, anche per lunghi periodi, ad un ciclo di terapie implicanti incapacità lavorativa (comma 14). Tutte e tre le ipotesi in questione sono caratterizzate da uno stato di incapacità lavorativa e, per questo specifico aspetto, esse si differenziano dai permessi regolati negli altri commi in quanto, presentando una più diretta riconducibilità alla nozione di malattia, possono essere attribuiti a tale ultimo istituto, come specificatamente previsto nel CCNL (“la relativa assenza è imputata a malattia”). Conseguentemente, in tali casi l’assenza non è fruibile ad ore e non vi è la riduzione del contingente di 18 ore annue. Alla luce di quanto esposto, la risposta al quesito è pertanto negativa: il personale ATA, qualora debba assentarsi per visite specialistiche, terapie ed esami diagnostici, non può imputare l'assenza a malattia, al di fuori delle ipotesi tassative di cui all'art. 69, commi 11, 12 e 14 CCNL 2019-2021. Il dipendente, in base a una sua specifica scelta, o qualora abbia necessità di assentarsi per visite specialistiche ecc. una volta esaurite le 18 ore annue disponibili, potrà ricorrere, come previsto dall'art. 69, comma 15 CCNL, agli istituti dei permessi brevi a recupero, dei permessi per motivi familiari e personali e dei riposi compensativi per le prestazioni di lavoro straordinario.
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Data di pubblicazione: 09/07/2025
La risposta è purtroppo negativa: non c’è modo di adottare una decisione a contrarre di natura ricognitiva del passato, ed anzi appare densa di rischi l’ipotesi di affidare il servizio ad un operatore economico che, per la durata del contratto, non aveva nemmeno superato i controlli di cui all’art. 94 D.Lgs. 36/2023. Se non saldato, l’operatore economico potrebbe decidere di muovere un contenzioso contro l’Istituzione Scolastica, ma l’Avvocatura di Stato – nel difendere la scuola – avanzerebbe probabilmente l’eccezione in ordine alla nullità di ogni accordo contrattuale non perfezionato in forma scritta, ai sensi degli artt. 16 e 17 R.D. 2440/1923. Questo quadro induce a particolare cautela perché, se l’operatore non ha ottimi argomenti per sostenere la propria pretesa, non sarà facile nemmeno addivenire ad una transazione: l’Istituzione Scolastica non può infatti disporre delle proprie finanze per sanare una situazione potenzialmente genetica di responsabilità dei propri dipendenti. Conseguentemente, considerato anche l’obbligo di digitalizzazione dei contratti pubblici, non c’è modo di mettere mano alla questione oggi senza una richiesta di indennizzo da parte dell’operatore economico, la quale – per essere accettata – dovrebbe comunque passare al vaglio dei revisori, con coinvolgimento degli Uffici Scolastici, i quali potrebbero muovere addebiti disciplinari a carico di chi ha preso la decisione. Non possiamo invece consigliare alcuna forma di attività provvedimentale o contrattuale “ora per allora”, nemmeno in PCP (anche ve ne fossero i presupposti).
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Data di pubblicazione: 09/07/2025
La risposta al quesito risiede nell’articolo 80 CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021, intitolato “Rideterminazione delle misure di alcuni compensi”, secondo cui: “1. I compensi al personale docente per prestazioni aggiuntive all'orario d'obbligo di cui alla tabella 5 del CCNL 29/11/2007, da liquidare a carico del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa sono riconosciuti, a decorrere dal 1 gennaio 2024, secondo i nuovi valori orari di cui all’allegata tabella E1.6. 2. I compensi al personale ATA per prestazioni aggiuntive all'orario d'obbligo di cui alla tabella 6 del CCNL 29/11/2007, da liquidare a carico del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa sono riconosciuti, a decorrere dal 1 gennaio 2024, secondo i nuovi valori orari di cui all’allegata tabella E1.7. 3. Le indennità di lavoro notturno e/o festivo di cui alla tabella 7 del CCNL 29/11/2007, da liquidare a carico del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, sono riconosciute, a decorrere dal 1 gennaio 2024, secondo i nuovi valori di cui all’allegata tabella E1.8. 4. Le indennità di bilinguismo e trilinguismo di cui alla tabella 8 del CCNL 29/11/2007, da liquidare a carico del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, sono riconosciute, a decorrere dal 1 gennaio 2024, secondo i nuovi valori di cui all’allegata tabella E1.7-bis.” Risulta dunque evidente che, se le attività da remunerare sono state effettuate entro il 31 dicembre 2023, dovranno essere retribuite con i compensi accessori stabiliti dalla precedente contrattazione collettiva nazionale richiamata dallo stesso articolo 80 citato (ovvero: dalle tabelle 5, 6, 7 e 8 del CCNL comparto scuola del 29 novembre 2007).
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Data di pubblicazione: 09/07/2025
È “prassi” dell’IIS presso il quale sono neo DS far uscire una circolare, sui contenuti della quale temo però possano esserci elementi di criticità...
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Data di pubblicazione: 09/07/2025
Una nostra docente RSU e Rappresentante lavoratori sicurezza individuata dalle RSU deve fare corso RLS. Lei chiede di farlo on line...
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Data di pubblicazione: 08/07/2025
In base al comma 2 dell’art. 2 del CCNL comparto “Istruzione e ricerca” 2019-2021, sottoscritto il 18 gennaio 2024, gli effetti del medesimo contratto “decorrono dal giorno successivo alla data di stipulazione, salvo diversa prescrizione del presente contratto. L’avvenuta stipulazione viene portata a conoscenza delle amministrazioni interessate mediante la pubblicazione nel sito web dell’ARAN e nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.” Dunque, poiché non contiene alcuna previsione contraria, dal giorno successivo alla sottoscrizione in via definitiva del CCNL (ovvero dal 19 gennaio 2024) trova applicazione l’art. 35, comma 12 del CCNL stesso, secondo cui: “Il personale docente, educativo ed ATA assunto con contratto a tempo determinato per l'intero anno scolastico (31 agosto) o fino al termine delle attività didattiche (30 giugno), ivi compreso quello di cui al comma 5, ha diritto, a domanda, a tre giorni di permesso retribuito nell’anno scolastico, per motivi personali o familiari, documentati anche mediante autocertificazione. Per il personale ATA tali permessi possono anche essere fruiti ad ore, con le modalità di cui all’art. 67 (permessi orari retribuiti per motivi personali o familiari).” In forza del rinvio al comma 5 del medesimo articolo, l’istituto in questione, ovvero i tre giorni di permesso retribuiti, si applica adesso anche al “personale docente assunto con contratto di incarico annuale per l'insegnamento della religione cattolica, secondo la disciplina di cui all'art. 309 del D.Lgs. n. 297 del 1994”. Tutto il suddetto personale, in precedenza, poteva fruire – al pari del personale titolare di supplenza breve e saltuaria, per il quale la situazione è tuttora immutata (in forza dell’art. 35, comma 13, CCNL 2019-2’21) – di sei giorni di permesso non retribuito nel corso dell’anno scolastico (cfr. artt. 19, comma 7 e 15, comma 2 del CCNL comparto scuola del 2007). Ciò premesso, con l’entrata in vigore del nuovo CCNL il personale ATA e docente titolare di supplenza annuale o al termine delle attività didattiche può fruire solo dei tre giorni di permesso retribuito, date, da un lato, l’espressa previsione del comma 12 dell’art. 35 citato e, dall’altro, l’espressa abrogazione dell’art. 19 CCNL comparto scuola 2007, dall’altro. Si suggerisce, pertanto, di imputare l’assenza della docente ad altro titolo, comunicando alla stessa l’impossibilità di godere di un ulteriore giorno di permesso per motivi personali o familiari e chiedendo di riformulare l’istanza a suo tempo presentata. Può forse risultare opportuno, posto che l’assenza si è già consumata e che la sostituzione è avvenuta senza oneri a carico dello Stato, invitarla a formulare richiesta di ferie per il giorno dell’assenza, se ne aveva di residue, in modo da scomputarlo da quelle da monetizzare.
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Data di pubblicazione: 08/07/2025
L'amministrazione comunale con nota a firma del dirigente del settore xxxxxx, ha inviato a questo Istituto Comprensivo, ai sensi della legge 241/1990...
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Data di pubblicazione: 08/07/2025
Circa la ripetizione del periodo di formazione e prova, l’art. 14 del D.M. n. 226/2022 si limita a disporre: “3. […] Il provvedimento indicherà altresì gli elementi di criticità emersi ed individuerà le forme di supporto formativo e di verifica del conseguimento degli standard richiesti per la conferma in ruolo. 4. Nel corso del secondo percorso di formazione e di periodo annuale di prova in servizio è obbligatoriamente disposta una verifica, affidata ad un dirigente tecnico, per l’assunzione di ogni utile elemento di valutazione dell’idoneità del docente. La relazione rilasciata dal dirigente tecnico è parte integrante della documentazione che sarà esaminata in seconda istanza dal Comitato al termine del secondo periodo di prova, durante il quale è comunque nuovamente effettuato l’accertamento di cui all’articolo 4, comma 2 del presente decreto. La conseguente valutazione potrà prevedere: a. il riconoscimento di adeguatezza delle competenze professionali e la conseguente conferma in ruolo; b. il mancato riconoscimento dell’adeguatezza delle competenze professionali e la conseguente non conferma nel ruolo ai sensi della normativa vigente.” È stata la giurisprudenza e, segnatamente, la pronuncia della Corte di cassazione, 01/03/2021 n. 5546 (disponibile al link: https://www.istruzioneer.gov.it/wp-content/uploads/2023/03/2021-sentenza-5546.pdf) ad affermare limpidamente, alla luce delle relative disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 297/1994: “15. Compiuto l'anno di formazione, in caso di esito negativo della prova, la proroga è concessa, a tenore dell'art. 439, al fine di acquisire maggiori elementi di valutazione sicché non vi è la esigenza di una durata minima; non restano irrilevanti gli elementi di valutazione acquisiti nel corso dell'anno iniziale, sulla base di almeno 180 giorni di lavoro effettivo, tanto che la norma testualmente si riferisce ad elementi di valutazione "maggiori" e non ad una valutazione "nuova", in relazione alla quale soltanto si porrebbe l'esigenza di un periodo minimo di prova. 16. Ancora sotto il profilo letterale, si osserva che in caso di esito sfavorevole della prova è prevista dall'art. 439, in alternativa alla dispensa dal servizio, la proroga di un altro anno scolastico, senza fare riferimento ad ulteriori possibilità di proroga. 17. In questo senso deve essere interpretata anche la disposizione della L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 117, vigente al tempo della dispensa, secondo cui "in caso di valutazione negativa del periodo di formazione e prova il personale docente è sottoposto ad un secondo periodo di formazione e prova, non rinnovabile". La esclusione del rinnovo rende palese una disposizione già contenuta nella normativa precedente. 18. Dal principio esposto consegue la irrilevanza delle ragioni per le quali l'odierno ricorrente nel secondo anno scolastico non compiva i 180 giorni di servizio effettivo (e, pertanto, della dedotta malattia).” Si ritiene quindi, in virtù della giurisprudenza citata, che la convocazione effettuata dal dirigente affinché il docente in periodo di formazione e prova si presenti innanzi al comitato di valutazione sia legittima e coerente con il quadro normativo applicabile alla fattispecie: quest’ultimo deve comunque essere valutato, a prescindere dal raggiungimento dei servizi utili di cui all’art. 3 D.M. n. 226/2022, così come la relazione ispettiva deve essere comunque acquisita, giusto il disposto dell’art. 14, c. 4 dello stesso decreto ministeriale. Si consiglia dunque di ribadire stringatamente al docente la convocazione innanzi al comitato di valutazione, richiamando solo l’art. 439 D.Lgs. n. 297/1994 – tuttora applicabile in forza del rinvio contenuto nel comma 120 della legge n. 107/2015 – secondo cui la ripetizione del periodo di prova è intesa all’acquisizione di “maggiori elementi di valutazione”, a prescindere dal requisito dei giorni di servizio effettivo e di attività didattica. In particolare, si sconsiglia di dilungarsi sulla giurisprudenza sopra citata per evitare di entrate in una spirale di “botta e risposta” con il docente: essa sarà comunque utile a fronte di un successivo, eventuale contenzioso in sede giudiziale. In altri termini, si ritiene opportuna una risposta del tipo: “Gentile docente, si ribadisce che la S.V. è convocata innanzi al comitato di valutazione in data________ alle ore_________ per la valutazione del percorso di formazione e periodo annuale di prova in servizio ai sensi degli articoli 13 e 14 del D.M. n. 226/2022. Si ricorda altresì, alla luce del comma 2 dell’articolo 13 citato, che “L'assenza al colloquio del docente, ove non motivata da impedimenti inderogabili, non preclude l'espressione del parere. Il rinvio del colloquio per impedimenti non derogabili è consentito una sola volta.” Preme ricordare anche che, secondo l’articolo 439 del D.Lgs. n. 297/1994 – richiamato dal comma 120 della legge n. 107/2015 –, la ripetizione del periodo di prova è intesa alla acquisizione di “maggiori elementi di valutazione”, a prescindere dall’assolvimento del requisito dei servizi utili ai fini del percorso di formazione e periodo annuale di prova in servizio di cui all’articolo 3 del D.M. n. 226/2022”.
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Data di pubblicazione: 08/07/2025
Riguardo alla redazione e approvazione dei verbali degli organi collegiali della scuola, e in genere di tutti gli organi collegiali della pubblica amministrazione, non si riscontrano norme positive ma si procede sulla base di orientamenti giurisprudenziali e di indicazioni dottrinali; e alla luce di tali orientamenti e indicazioni saranno di seguito esaminate le questioni poste nel quesito. Il verbale di una seduta di un organo collegiale ha una funzione storico-documentale. Quindi non può mancare e il presidente del collegio deve porlo in approvazione al termine della seduta, dopo la lettura, o portarlo in lettura e approvazione nella seduta successiva. Attraverso la lettura e approvazione del verbale, redatto dal segretario e sottoscritto dal presidente, il collegio effettua un riesame dell’attività del segretario , controllando ciò che è stato realmente fatto e, se del caso, apportando le dovute modifiche; si accerta – in altre parole - che il contenuto del verbale corrisponda esattamente allo svolgimento della riunione e alle dichiarazioni rese dai componenti. Il verbale dovrebbe essere letto e approvato alla fine della riunione o, come di suole dire, seduta stante. Tuttavia, anche sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale, è consentito che, in ragione della complessità di una precisa verbalizzazione immediata, la lettura e l’approvazione del verbale siano poste all’ordine del giorno della seduta successiva (per prassi al primo punto). Ne consegue che in detta riunione il presidente, dopo la lettura e l’esame di eventuali modifiche e integrazioni, su cui il collegio è chiamato a votare con puntuale registrazione nel verbale della riunione stessa, ponga in votazione il verbale della seduta precedente come eventualmente modificato e/o integrato a seguito delle osservazioni e richieste di uno o più componenti. Quindi l’approvazione del verbale, in quanto pronunciamento dell’organo collegiale riguardo la redazione della seduta precedente, costituisce una delibera e come tale deve essere riportata nel verbale della seduta in cui è stata assunta. Detto questo è bene ricordare che una cosa è la delibera dell’organo collegiale su un a determinata questione posta all’ordine del giorno, altra cosa è la approvazione del verbale della seduta in cui è stata assunta. La delibera, ferma restando la possibilità di richiesta d i riesame (DPR 275/1999 art. 14), infatti, è immediatamente esecutiva, anche se il relativo verbale viene letto e approvato in seduta successiva o, addirittura, non viene approvato.. La questione più rilevante, in caso di mancata approvazione del verbale di una seduta di un organo collegiale, concerne appunto la validità ed efficacia delle deliberazioni assunte e riportate nel verbale. Infatti, secondo costante giurisprudenza e orientamento dottrinale, non è necessaria l’intervenuta approvazione del verbale per dare esecuzione a quanto deliberato. Il Consiglio di Stato (Sez. VI, n. 6208 dell’11/12/2001) ha precisato che “l’esistenza giuridica di una deliberazione collegiale è riconducibile alla sola manifestazione di volontà dell’organo, indipendentemente dalla verbalizzazione della stessa; sono infatti due momenti distinti la manifestazione di volontà, che costituisce il contenuto della deliberazione, e la verbalizzazione che riproduce e documenta tale manifestazione attestandone l’esistenza, ma che, sebbene necessaria, non è determinante per la formazione della volontà dell’organo collegiale. La sottoscrizione del verbale da parte del Presidente e del Segretario, prima della sua approvazione, serve a far fede di quanto deliberato nella seduta, la cui approvazione, per prassi normale, è approvata nella seduta successiva; tale approvazione garantisce che il verbale, sottoscritto dal solo Presidente e dal Segretario, risponda esattamente a quanto deliberato”. In materia il TAR Sicilia, sez. staccata di Catania, sez. III Sent. 02/07/2002 n. 1635, rifacendosi a precedenti sentenze del giudice amministrativo (TAR Lazio, sez. I, 31 dicembre 1990, n. 1339; TAR Lazio Sez. I, 14 gennaio 2000,n. 103; Consiglio di Stato IV, 30 gennaio 2001,n. 709) “le deliberazioni degli organi collegiali vengono in essere e producono effetti sostanziali nella seduta in cui componenti del collegio hanno espresso la loro determinazione in ordine ad un determinato affare, e non quando viene approvato il verbale della seduta, dal momento che l’approvazione non incide in alcun modo sull’oggetto in precedenza esaminato, esprimendo unicamente il convincimento del Collegio circa la corrispondenza tra la verbalizzazione e la deliberazione all’epoca assunta”. E, ancora, “il verbale è pienamente esecutivo e fa prova anche prima dell’approvazione della seduta successiva fino a eventuale querela di falso” (Cons, Stato – Sez. IV – dec. 454 del 6/7/1982; Cons. Stato , sez. IV – dec. 600 del 27/10/1965). Anche la dottrina si muove nella stessa direzione. “Le deliberazioni prese sono valide anche nel caso in cui la lettura del verbale venga omessa e anche nel caso in cui non venga approvato” (Luigi Agazzi, in “Struttura, organizzazione, attività degli organi collegiali”, Editrice La Scuola, 1982, pag. 121). E, infine, sulla questione dell’approvazione del verbale nella seduta successiva, il TAR del Lazio, sentenza 939 del 2/2/2004, precisa che “l’approvazione del verbale non è elemento costitutivo della delibera collegiale né elemento essenziale dell’atto che la documenta, ma soltanto momento di perfezionamento dell’iter procedurale, che ha rilievo determinante per i componenti del Collegio che hanno adottato la delibera, lasciando aperto il termine per una loro eventuale impugnativa di detto verbale”. Circa l’approvazione del verbale si fa presente che talvolta si ritiene che il verbale non sia stato approvato in quanto la mozione di approvazione non ha conseguito la maggioranza dei presenti, ma, giusto quanto prevede l’art. 37 del D. Lgs. 297/1994, una proposta si intende approvata se consegue la maggioranza dei voti “validamente espressi”: e i voti “validamente espressi” , come precisato in alcune note ministeriali, a meno che il regolamento di istituto non preveda altrimenti, sono quelli a favore e quelli contro: gli astenuti non si contano. Si riporta in merito la nota ministeriale 771 dell’8 aprile 1980: .“In relazione alle disposizioni dell’art. 28 del D.P.R. 416/1974 (articolo integralmente trasfuso nel citato articolo 37 del T.U; n.d.r) ), rimane del tutto irrilevante il comportamento di coloro che, pur essendo presenti e concorrendo, quindi, a formare la validità della seduta, con la dichiarazione di astensione non hanno espresso alcun voto. Sono anche irrilevanti ai fini della determinazione del quorum in esame i voti nulli e le schede bianche in quanto entrambi non possono ritenersi voti validamente espressi, i primo perché invalidi e i secondi perché non contengono una precisa manifestazione di volontà” Quindi, segnalata l’opportunità di una verifica in tal senso, ove comunque il numero di contrari sia superiore a quello dei favorevoli, il verbale, redatto dal segretario e controfirmato da presidente, resta agli atti così come è: potrà essere impugnato per falso, ma fino alla eventuale pronuncia giurisprudenziale, continua a fare fede. Infine, se il verbale non viene approvato, è necessario che agli atti rimangano: il verbale redatto dal segretario e controfirmato dal presidente e, nel caso di lettura e approvazione nella riunione successiva, puntuale registrazione nel verbale di detta riunione della mancata approvazione.
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Data di pubblicazione: 08/07/2025
Considerato il valore sociale e costituzionale dei diritti delle persone disabili e della assistenza a far data dal 1992 data della pubblicazione della legge 104/92, sono state apportate numerose modifiche. Oggi l’art. 33 comma 3 della legge stabilisce che: “Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un'unione civile ai sensi dell'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado, etc…..” Si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile” e accertata ai sensi del successivo comma 37 del medesimo articolo 1. Per l’accertamento della stabile convivenza deve farsi riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, recante “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente”, mediante una dichiarazione personale sottoscritta davanti all’ Ufficiale dell’Anagrafe del Comune di residenza, corredata dalla relativa documentazione definita famiglia anagrafica. Quindi, il riferimento è al convivente di fatto registrato in anagrafe. (circolare INPS n. 38/2017 e 36/2022). In sintesi, lo stato di famiglia è un documento anagrafico, è un certificato rilasciato dal Comune che indica i componenti della famiglia anagrafica che risiedono nello stesso immobile. Mentre la convivenza di fatto è una situazione giuridica che può essere riconosciuta attraverso una dichiarazione anagrafica. La convivenza di fatto presuppone, nella maggior parte dei casi, l'iscrizione nello stesso stato di famiglia, ma non viceversa. Quindi, in risposta al quesito, si ritiene che l’interessato, per poter fruire dei tre giorni di permesso mensile, è tenuto ad allegare alla sua richiesta un documento che attesti di essere iscritto all’anagrafe come “convivente di fatto” con la persona da assistere. La scuola da parte sua ha il dovere del controllo della relativa iscrizione.
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Data di pubblicazione: 08/07/2025
In tema di compensi da corrispondere ai Presidenti ed ai Commissari impegnati negli esami di Stato, anche per questo anno scolastico, la normativa cui fare riferimento è il D.I. 24 maggio 2007 e le relative indicazioni di cui alla Nota prot. n. 7054 del 2.07.2007 e prot. n. 7321 del 12 novembre 2012 del Ministero dell'Istruzione. I compensi per gli esami conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore sono omnicomprensivi e sostitutivi di ogni altro emolumento accessorio. Il MIUR, con la nota prot. n. 5850 del 23.06.2015, ha fornito ulteriori chiarimenti sui compensi degli Esami di Stato, al fine di uniformare l'operato delle singole Istituzioni Scolastiche, in relazione ai costi relativi allo svolgimento degli esami medesimi. Relativamente ai tempi di percorrenza, è stato chiarito che, ai fini del calcolo del compenso da corrispondere ai commissari esterni, non assumono alcuna rilevanza nè i mezzi effettivamente utilizzati per l'espletamento dell'incarico, nè le spese effettivamente sostenute (spese di viaggio, vitto, pernottamento, ecc.), dovendosi fare riferimento esclusivo ai tempi di percorrenza come individuati e definiti dall'articolo 1, comma 2, del Decreto Interministeriale citato. Pertanto, il compenso da corrispondere per la trasferta al commissario è unicamente quello di cui al QUADRO B - Tabella 1 allegata al D.I. 24.05.2007, spettante in base al tempo di percorrenza tra la sede di servizio o di residenza (dichiarate dagli interessati) e la sede d'esame; tra la sede di servizio e di residenza si considera quella più vicina (sempre in termini di tempo di percorrenza) alla sede d'esame. Per sede di servizio si intende in maniera inequivocabile la sede dell'Istituto scolastico principale, sede di Dirigenza. Inoltre, il Ministero dell'Istruzione, sempre nella nota N. 7054/2007 ha chiarito che devono essere prese in considerazione esclusivamente le indicazioni riferite alla sede di servizio o di residenza dichiarate dagli interessati in occasione della presentazione della domanda e riportate sui tabulati elaborati dal Sistema Informativo. In riferimento alla normativa citata, si ritiene corretta la considerazione da parte della scuola di riferirsi alla sede di servizio al fine della corresponsione del compenso di cui trattasi.
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Data di pubblicazione: 08/07/2025
In tema di compensi da corrispondere ai Presidenti ed ai Commissari impegnati negli esami di Stato, anche per questo anno scolastico, la normativa cui fare riferimento è il D.I. 24 maggio 2007 e le relative indicazioni di cui alla Nota prot. n. 7054 del 2.07.2007 e prot. n. 7321 del 12 novembre 2012 del Ministero dell'Istruzione. I compensi per gli esami conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore sono omnicomprensivi e sostitutivi di ogni altro emolumento accessorio. Il MIUR, con la nota prot. n. 5850 del 23.06.2015, ha fornito ulteriori chiarimenti sui compensi degli Esami di Stato, al fine di uniformare l'operato delle singole Istituzioni Scolastiche, in relazione ai costi relativi allo svolgimento degli esami medesimi. Relativamente ai tempi di percorrenza, è stato chiarito che, ai fini del calcolo del compenso da corrispondere ai commissari esterni, non assumono alcuna rilevanza nè i mezzi effettivamente utilizzati per l'espletamento dell'incarico, nè le spese effettivamente sostenute (spese di viaggio, vitto, pernottamento, ecc.), dovendosi fare riferimento esclusivo ai tempi di percorrenza come individuati e definiti dall'articolo 1, comma 2, del Decreto Interministeriale citato. Pertanto, il compenso da corrispondere per la trasferta al commissario è unicamente quello di cui al QUADRO B - Tabella 1 allegata al D.I. 24.05.2007, spettante in base al tempo di percorrenza tra la sede di servizio o di residenza (dichiarate dagli interessati) e la sede d'esame; tra la sede di servizio e di residenza si considera quella più vicina (sempre in termini di tempo di percorrenza) alla sede d'esame. Per sede di servizio si intende in maniera inequivocabile la sede dell'Istituto scolastico principale, sede di Dirigenza. Inoltre, il Ministero dell'Istruzione, sempre nella nota N. 7054/2007 ha chiarito che devono essere prese in considerazione esclusivamente le indicazioni riferite alla sede di servizio o di residenza dichiarate dagli interessati in occasione della presentazione della domanda e riportate sui tabulati elaborati dal Sistema Informativo. Le classi abbinate in un'unica commissione d'esame possono appartenere ad istituti diversi entrambi sede d'esame, talvolta ubicati in comuni diversi. Pertanto, per i periodi nei quali tutti o parte dei membri della commissione operano anche nell'altra sede d'esame, la quota del compenso per trasferta deve essere rideterminata prendendo a riferimento i tempi di percorrenza intercorrenti tra sede di servizio o di residenza e la seconda sede d'esame. In questo caso, quindi, il compenso previsto dal Quadro B, deve essere determinato proporzionalmente in base al periodo impiegato in ciascuna delle sedi di esame, prendendo a riferimento i tempi di percorrenza intercorrenti tra la sede di servizio o o di residenza ed ognuna delle sedi di esame stesse. Esempio: dal 21 giugno al 9 luglio per un totale di 19 giorni. La Commissione opera per 3 giorni in una sede il cui compenso per la trasferta è di € 568,00 e per 16 giorni in altra sede il cui compenso è di € 171,00. Il calcolo è il seguente: 568,00/19 x 3 + 171,00/19 x 16. Nel caso la commissione si riunisca nella stessa giornata su entrambe le sedi, si ritiene che il compenso per quella giornata vada calcolato sulla sede più favorevole all'Amministrazione, secondo un principio generale adottato anche nel calcolo della distanza per il compenso relativo alla trasferta. Per analogia, presupponendo che lo studente in istruzione domiciliare si trovi in un Comune diverso da quello dove è ubicata la scuola sede di esame, (anche se non specificato nel quesito) sarà attribuito il compenso per trasferta per le 5 giornate di impegno, calcolando i tempi di percorrenza tra la sede di esame o di residenza di ogni docente (si considera quella più vicina, sempre in termini di tempo di percorrenza) ed il Comune dove risiede lo studente.
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Data di pubblicazione: 08/07/2025
In risposta al quesito posto si specifica che l'iscrizione alla Gestione Separata INPS è un obbligo che grava sul libero professionista che svolge attività autonoma, senza cassa previdenziale propria. Quindi, è il professionista stesso a doversi iscrivere anche se può rivalersi sul committente per il versamento dei contributi dovuti che sono 1/3 a carico del prestatore e 2/3 a carico del committente. Il Decreto – legge 30 settembre 2003 numero 269 (convertito con modificazioni dalla Legge 24 novembre 2003 numero 326) prevede espressamente all’articolo 44 “Disposizioni varie in materia previdenziale” a decorrere dal 1° gennaio 2004 l’iscrizione alla Gestione Separata per quanti esercitano attività di lavoro autonomo occasionale, nel momento in cui il reddito annuo derivante da detta attività “sia superiore ad euro 5.000”. Di conseguenza, l’obbligo per il lavoratore di: • iscriversi alla Gestione Separata Inps; • versare i contributi alla suddetta Gestione Separata; sorge soltanto nel momento in cui l’interessato realizza un reddito annuo fiscalmente imponibile eccedente i 5 mila euro, anche se per effetto di prestazioni rese a beneficio di più committenti. Nel momento in cui scatta l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata, il lavoratore deve attivarsi per trasmettere l’apposita istanza all’Inps. L’adempimento in questione, tuttavia, è previsto una sola volta nell’arco dell’intera vita lavorativa dell’interessato. Ne consegue, come intuibile, che la pratica di iscrizione non dev’essere ripetuta se cambia il committente ovvero se ne aggiungono altri. Il superamento della soglia dei 5 mila euro non comporta esclusivamente l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata ma impone altresì al lavoratore stesso di: • segnalare ai committenti, all’inizio di ogni singola prestazione, il superamento della soglia di reddito annua; • informare in maniera tempestiva il committente nel momento in cui, in costanza di rapporto, si oltrepassa la soglia dei 5 mila euro. Informare il committente / i committenti è un adempimento necessario al fine di consentire ai medesimi di: • trattenere i contributi previdenziali e assistenziali al lavoratore, in sede di liquidazione del compenso; • versare all’Inps – Gestione Separata i contributi previdenziali ed assistenziali, tanto quelli a carico del committente quanto quelli in capo al lavoratore; • inviare la denuncia telematica all’Inps, utilizzando il modello “UniEmens”. Per concludere in risposta al quesito posto spetta al Per concludere in risposta al quesito posto spetta al professionista procedere nell’iscrizione alla gestione separata INPS nei 30 giorni successivi dal momento in cui ha superato il compenso totale di 5.000 euro per prestazioni occasionali svolte nell’esercizio finanziario così come indicato dall’art. 44 del d.l. 269/2003.
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