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    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • Gestione e conservazione digitale dei documenti amministrativi e didattici: tempistiche e responsabilità del dirigente...
  • Preliminarmente giova ricordare che la conservazione dei documenti a norma implica la loro archiviazione in modo tale da assicurare la conformità alle leggi e ai regolamenti vigenti. In questo modo si garantisce la leggibilità, l’accessibilità e l’integrità dei documenti nel tempo. È evidente che tale garanzia si consegue con procedure diverse a seconda che i documenti in oggetto siano analogici (tipicamente cartacei) o digitali. Le pubbliche amministrazioni sono tenute a conservare tutti i documenti formati nell’ambito della loro azione amministrativa. Anche il registro giornaliero di protocollo, a partire dall'11 ottobre 2015, in base all'articolo 7, comma 5 delle Regole tecniche per il Protocollo informatico, deve essere inviato in conservazione entro la giornata lavorativa successiva. La legge prevede tempi di conservazione specifici per i documenti nella Pubblica Amministrazione. Questi periodi variano in base al tipo di documento: 5, 10 o 20 anni, oppure in alcuni casi senza limiti di tempo. Ad esempio, i documenti contabili e fiscali (fatture, bilanci) hanno un obbligo di conservazione, derivante dal Codice civile, di dieci anni. Nello specifico, per il comparto Scuola, opera la Nota n. 3868 del Ministero dell’Istruzione e del Ministero della Cultura del 10.12.2021, in particolare il massimario di conservazione e scarto per le Istituzioni scolastiche (Allegato n. 4). Il Massimario, che rappresenta un’evoluzione del Piano di conservazione e scarto per gli archivi delle Istituzioni scolastiche (Allegato 1 alle Linee Guida per gli archivi delle Istituzioni scolastiche, elaborate dalla Direzione generale Archivi del Ministero della cultura – CM n.44 del 19.12.2005), descrive le informazioni relative ai tempi, ai criteri e alle regole per la conservazione, la selezione e lo scarto della documentazione archiviata. Ciascuna tipologia documentaria, oltre ad essere associata al relativo tempo di conservazione, è stata collegata al titolo e alla classe corrispondente nel Titolario di classificazione. La struttura dei primi tre livelli del Massimario, che corrispondono ai titoli e alle classi del Titolario e alle tipologie documentarie, non è soggetta a modifiche da parte delle Istituzioni scolastiche. Le citate Linee Guida individuano gli archivi delle istituzioni scolastiche quali beni culturali fin dall’origine (art.10, c.2-b del D. Lgs 42/2004) e come tali soggetti alla vigilanza (art. 18 del D. Lgs 42/2004) della Soprintendenza archivistica competente per territorio, la quale in tale ambito svolge anche funzioni di consulenza tecnica. La vigilanza della Soprintendenza archivistica si esercita, dunque, su tutte le fasi di esistenza di un archivio a) archivio corrente: complesso di documenti relativi ad affari in corso; b) archivio di deposito: complesso di documenti relativi ad affari conclusi, conservati separatamente, prima del trasferimento all’archivio storico; c) archivio storico: complesso dei documenti relativi ad affari conclusi da oltre 40 anni e destinati, previa operazione di scarto, alla conservazione per un tempo illimitato per fini prevalentemente storico-culturali. In sintesi, il massimario di conservazione e scarto definisce nel dettaglio i tempi di conservazione della documentazione prodotta ed acquisita. Superati questi termini, è possibile procedere alle operazioni di scarto, che avvengono in due momenti: • nel passaggio dall’archivio corrente all’archivio di deposito • nel passaggio dall’archivio di deposito all’archivio storico (dove i documenti di importanza culturale o legale, verranno conservati in modo permanente). Per quanto riferito, il dirigente scolastico pro-tempore è legittimato all’invio in conservazione dei documenti relativi ai precedenti anni scolastici, sempre secondo le tempistiche descritte nel citato massimario di conservazione e scarto. Per i documenti digitali privi di sottoscrizione elettronica, con tutta ovvietà, nulla è possibile, essendo il documento cristallizzato dall’assunzione nel registro di protocollo.

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • Il DS può autorizzare un CS a lavorare nel privato per 4 ore per il completamento delle 40 ore settimanali?
  • La materia dell'incompatibilità è disciplinata, per la generalità dei lavoratori alle dipendenze della pubblica amministrazione, dall'art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001 e dagli artt. 60 e seguenti del DPR n. 3/1957. L'art. 53, comma 1 del D.Lgs. n. 165/2001 stabilisce che per tutti i dipendenti pubblici rimanga ferma la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del DPR n. 3/1957, mentre il successivo comma 6 prevede che la normativa sull'incompatibilità non si applichi, tra gli altri, ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno. Un temperamento al principio di esclusività – sotteso alla disciplina della incompatibilità – è infatti contenuto nell'art. 1, commi 56 e seguenti della Legge n. 662/1996 che consente ai dipendenti pubblici con un rapporto di lavoro a tempo parziale non superiore al 50% di quello a tempo pieno di svolgere attività libero-professionali o attività di lavoro subordinato o autonomo. In tali casi, le disposizioni sull'incompatibilità di cui all'art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001 e quelle che vietano l'iscrizione in albi professionali non risultano applicabili. Dunque, se di norma il principio di esclusività retrocede nei confronti dei lavoratori part time, esso si dispiega pienamente nei confronti dei lavoratori con contratto a tempo pieno e ciò implica – come affermato nel documento recante “criteri generali in materia di incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche”, approvato all’esito del tavolo tecnico avviato ad ottobre 2013 in attuazione delle previsioni di cui all'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013 – che “Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche indicate nei paragrafi a) [abitualità e professionalità] e b) [conflitto di interessi].” Sono pertanto incarichi vietati quelli “che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà “esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro”. L’incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo.” Premesso dunque che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti non autorizzati dall'amministrazione di appartenenza o non conferiti dalla stessa, l’autorizzazione può essere concessa se l’incarico soddisfa le seguenti condizioni: • occasionalità e saltuarietà; • assenza di conflitto di interesse; • non interferenza con gli obblighi di servizio. Alla luce di quanto fin qui riportato, si può così sostenere che, ferma restando la necessità di acquisire dal lavoratore tutte le informazioni necessarie circa durata della prestazione lavorativa pari a 4 ore settimanali (se si tratta di svolgerla per giorni/settimane/mesi/anni) e modalità di svolgimento, essa si appalesa, in linea di principio e sulla base delle indicazioni fornite, incompatibile con il rapporto di lavoro a tempo pieno alle dipendenze della p.a. e dunque non autorizzabile. Infatti, se la prestazione in questione deve essere resa con carattere continuativo e abituale e non in maniera sporadica e discontinua, confligge con il principio di esclusività sotteso alla disciplina della incompatibilità come sopra ricostruita. Né il lavoratore vanta un diritto a svolgere un orario di lavoro settimanale pari a 40 ore: non solo perché tale diritto non ha alcuna base giuridica, ma anche perché l’unica disposizione normativa che fissa l’orario normale di lavoro in 40 ore settimanali – quale limite massimo per i CCNL, salvo limitate eccezioni, e non per l’appunto quale diritto dei lavoratori (art. 3 del D.Lgs. n. 66/2003) – è collocata in un provvedimento normativo, il D.Lgs. n. 66/2003 per l’appunto, espressamente non applicabile al personale scolastico (cfr. art. 2, comma 3).

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • Alcuni chiarimenti sui permessi e ferie retribuite per docenti a tempo determinato...
  • La norma di cui all'art. 13, comma 9 del CCNL 29-11-2007 risulta applicabile a tutto il personale docente, indipendentemente dalla tipologia di contratto (tempo indeterminato o tempo determinato). Possono usufruirne anche i docenti con supplenza breve, qualora abbiano maturato il diritto ai giorni di ferie richiesti in relazione alla durata del contratto. Ciò premesso, si rileva che la fruizione di ferie da parte del personale docente durante il periodo delle lezioni, nel limite di sei giorni per anno scolastico, è comunque vincolata alla possibilità di sostituzione senza oneri a carico dello Stato, ai sensi dell'art. 1, commi 54-55-56 della legge 228/2012, richiamata anche dalla nota congiunta n. 2 in calce all'art. 38 del CCNL 18-01-2024. In conclusione, i 6 giorni di ferie durante il periodo delle lezioni possono essere fruiti da tutti i docenti, indipendentemente dalla tipologia di contratto o dalla sua durata, fermo restando quanto sopra osservato circa il divieto che tale concessione possa comportare oneri per l'istituzione scolastica.

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • Richiesta di accesso agli di un genitori per le prove del figlio: come comportarsi a fronte della lamentela di non aver fornito le griglie di valutazione?
  • L'accesso agli atti relativo alle verifiche di tutto l'anno scolastico in corso al genitore è stato correttamente concesso. Con riferimento alle griglie di valutazione delle singole prove, esse vanno ostese, sebbene dovrebbero essere già note alle famiglie, in quanto definite ad inizio anno in sede dipartimentale o dal docente all'atto del deposito del suo programma annuale. Bisogna però distinguere le griglie di valutazione dai “correttori” che sono necessariamente specifici per ogni singola prova e che possono sostanziarsi in una prova redatta dal docente con le risposte corrette e tutte le operazioni svolte secondo il procedimento giusto, oppure in una scheda sintetica con tutti i risultati corretti. I correttori vanno poi armonizzati alla griglia di valutazione per far corrispondere il punteggio di correzione al voto e quindi ad un giudizio. È verosimile che senza i correttori sia difficile comprendere se un esercizio sia stato corretto in modo adeguato o meno e se ad esso sia stato assegnato il giusto peso. Si ritiene che la famiglia abbia diritto ad acquisire sia griglie generali che i correttori, ma, se questi non sono stati mai prodotti dal docente, si profila l’impossibilità di adempiere alla richiesta di accesso specifico.

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • Può un CS a t.d. svolgere attività retribuita presso una struttura alberghiera nei mesi estivi?
  • La materia dell'incompatibilità è disciplinata, per la generalità dei lavoratori alle dipendenze della pubblica amministrazione, dall'art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001 e dagli artt. 60 e seguenti del DPR n. 3/1957. L'art. 53, comma 1 del D.Lgs. n. 165/2001 stabilisce che per tutti i dipendenti pubblici rimanga ferma la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del DPR n. 3/1957, mentre il successivo comma 6 prevede che la normativa sull'incompatibilità non si applichi, tra gli altri, ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno. Un temperamento al principio di esclusività – sotteso alla disciplina della incompatibilità – è infatti contenuto nell'art. 1, commi 56 e seguenti della Legge n. 662/1996 che consente ai dipendenti pubblici con un rapporto di lavoro a tempo parziale non superiore al 50% di quello a tempo pieno di svolgere attività libero-professionali o attività di lavoro subordinato o autonomo. In tali casi, le disposizioni sull'incompatibilità di cui all'art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001 e quelle che vietano l'iscrizione in albi professionali non risultano applicabili. Dunque, se di norma il principio di esclusività retrocede nei confronti dei lavoratori part time, esso si dispiega pienamente nei confronti dei lavoratori con contratto a tempo pieno e ciò implica – come affermato dalla Funzione pubblica, nel documento recante “criteri generali in materia di incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche” – che “Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche indicate nei paragrafi a) [abitualità e professionalità] e b) [conflitto di interessi].” Sono pertanto incarichi vietati quelli “che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà “esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro”. L’incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo.” Premesso dunque che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti non autorizzati dall'amministrazione di appartenenza o non conferiti dalla stessa, l’autorizzazione può essere concessa se l’incarico soddisfa le seguenti condizioni: • occasionalità e saltuarietà; • assenza di conflitto di interesse; • non interferenza con gli obblighi di servizio. Si tenga presente che il conflitto di interesse si può verificare per la natura o per l'oggetto dell'incarico, ma anche nel caso in cui lo stesso pregiudichi l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente. In merito al personale ATA si ricorda poi che, in forza dell’applicabilità dell’art. 508 del D.Lgs. n. 297/1994 al solo personale docente, questi può svolgere una libera professione esclusivamente se titolare di un rapporto di lavoro part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno. In conclusione: 1. per i dipendenti pubblici a tempo pieno e con prestazione lavorativa superiore al 50%, risultano vietati gli incarichi “professionali” che implicano il conflitto di interessi, anche potenziale (art. 7 del d.P.R. n. 62/2013) e che presentano le caratteristiche dell'abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, anche se l’attività non è svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003); 2. per i dipendenti pubblici con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%, risultano vietati gli incarichi che presentano le caratteristiche del conflitto di interessi. Nell’ottica del principio del buon andamento della pubblica amministrazione, il dirigente è tenuto quindi a valutare una molteplicità di elementi e, fatta eccezione per il personale con prestazione lavorativa non superiore al 50% nei limiti di cui sopra, le condizioni per rilasciare l’autorizzazione allo svolgimento di incarichi istituzionali sono, come detto, l'occasionalità, la saltuarietà, la mancanza di conflitto di interessi anche potenziale, la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio che non può essere mai pregiudicata; per di più, è necessario che l’attività sia svolta al di fuori dell’orario di servizio. Premesso tutto ciò, si può affermare che, se il collaboratore ha un contratto part time con orario non superiore al 50% di quello a tempo pieno, ai fini del rilascio dell’autorizzazione occorrerà valutare solo la eventuale sussistenza del conflitto di interesse; se invece il lavoratore è titolare di un contratto a tempo pieno, si reputa, in assenza di informazioni specifiche, che tale incarico extraistituzionale non possa essere autorizzato poiché non inquadrabile come occasionale. Si consiglia, tuttavia, di richiedere al dipendente il facsimile del contratto relativo all’attività che si chiede di autorizzare al fine di valutare non solo le modalità di svolgimento dello stesso ma anche la sussistenza dei requisiti della occasionalità e temporaneità. Riguardo allo svolgimento dell’incarico durante le ferie, si rappresenta quanto segue. Il documento, denominato “Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti", approvato all’esito del tavolo tecnico avviato ad ottobre 2013 in attuazione delle previsioni di cui all'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, ha chiarito che sono incompatibili gli incarichi, compresi quelli di cui all'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, che si svolgono durante l'orario di ufficio o che possono far presumere un impegno o una disponibilità in ragione dell'incarico assunto anche durante l'orario di servizio, salvo che il dipendente fruisca di permessi, ferie o altri istituti di astensione dal rapporto di lavoro o di impiego. Inoltre, anche durante il periodo di aspettativa un docente potrebbe svolgere incarichi presso terzi di natura occasionale e temporanea, sempre previa autorizzazione del dirigente scolastico (si veda Cassazione - Sez. Lavoro - Ordinanza 9 marzo 2020 n. 6637). Non si giudica possibile, invece, svolgere le attività connesse all’incarico extraistituzionale durante i giorni di assenza per malattia in quanto tale comportamento si configurerebbe come violazione da parte del dipendente degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede (Cassazione, Ordinanza 23/02/2021, n. 4876, e Cassazione, Sentenza 26/04/2022 n° 13063). Tale fattispecie imporrebbe al dirigente di avviare una istruttoria al fine di procedere con un eventuale procedimento disciplinare o con l’invio della segnalazione all’UPD territorialmente competente. In conclusione, riteniamo che in via generale nulla osti allo svolgimento dell’incarico extraistituzionale, se autorizzato, durante il periodo di astensione dal lavoro per ferie.

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • È possibile considerare il fornitore uscente, insieme ad altri operatori, per una gara relativa a una concessione di servizi sotto soglia?
  • Dopo la scadenza del precedente contratto di concessione di distributori automatici, si chiede se sia possibile includere nell'elenco...

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • Dipende con invalidità viene ricoverato in un ospedale per 60 giorni: è possibile dividerli tra congedo per cure e malattia per ricovero?
  • L’art. 7 del D.Lgs. n. 119 del 2011 “Attuazione dell'articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi” prevede che, salvo quanto previsto dall'articolo 3, comma 42, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni - che abroga le disposizioni in materia di congedo straordinario per cure termali dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni - i lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa superiore al cinquanta per cento possono fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni. Il congedo di cui sopra è accordato dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all'infermità invalidante riconosciuta (pertanto non è sufficiente solo il certificato medico con la spunta stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta). Il terzo comma del citato articolo prevede che durante il periodo di congedo, non rientrante nel periodo di comporto, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l'avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell'assenza può essere prodotta anche attestazione cumulativa. Il Ministero del Lavoro, con l'Interpello n. 10 dell'8 marzo 2013, ha fornito indicazioni in ordine alla corretta interpretazione dell'art. 7, D.Lgs. n. 119/2011, concernente la disciplina del congedo per cure riconosciuto in favore dei lavoratori mutilati ed invalidi civili. È stato ribadito che: - il suddetto congedo non rientra nel periodo di comporto ed è concesso dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata da idonea documentazione comprovante la necessità delle cure connesse alla specifica infermità invalidante; - la fruizione frazionata dei permessi deve essere intesa come un solo episodio morboso di carattere continuativo, ai fini della corretta determinazione del trattamento economico corrispondente, in quanto connesso alla medesima infermità invalidante riconosciuta. Il Ministero del Lavoro osserva che l'art. 7 del Decreto n. 119/2011 ha stabilito che durante la fruizione del congedo il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Pertanto, le caratteristiche del congedo in questione possono così riassumersi: - il congedo (30 giorni fruibili in modo anche frazionato) è accordato per cure che si riferiscono all'infermità invalidante riconosciuta; - il periodo di congedo non rientra nel periodo di comporto; - il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia; - il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l'avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell'assenza può essere prodotta anche attestazione cumulativa. La Funzione Pubblica, con il Parere 7 febbraio 2022, n. 12173 pubblicato in data 23 dicembre 2022, ha fornito chiarimenti circa le modalità di applicazione dell’istituto del congedo straordinario per cure riservato ai lavoratori invalidi civili, ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 119 del 2011, con particolare riferimento alla computabilità delle giornate del sabato e della domenica nel caso di un dipendente che ha chiesto di fruire di trenta giorni consecutivi di congedo straordinario per cure. Viene ribadito che durante il suddetto periodo di congedo il dipendente ha diritto a percepire il trattamento secondo il regime economico delle assenze per malattia e che tale periodo non è computabile nel periodo di comporto individuato dai CCNL. Stante quanto sopra esposto in merito alla situazione di cui al quesito si ritiene quanto segue. L'assenza dal 27 gennaio al 26 marzo 2025 è imputabile a ricovero ( art. 17 co. 8 CCNL 2007) Il certificato del 27 febbraio 2025, oltre che redatto in forma cartacea, non è idoneo a giustificare l'assenza per congedo ex art. 7 del D.Lgs. n. 119 del 2011 stante quanto sopra evidenziato.

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • CS in aspettativa per assumere altro incarico di A.A. da cui si dimette: questo cambiato la tipologia di aspettativa?
  • L'art. 70, comma 3 del CCNL di comparto del 18-01-2024 prevede che l’accettazione da parte di un dipendente con contratto a tempo indeterminato di un incarico a tempo determinato, nei casi previsti dal comma 1 del medesimo articolo, comporta, in ogni caso, la concessione di un periodo di aspettativa non retribuita non inferiore alla durata dell’incarico stesso. Nulla si dice in merito alla possibilità di revoca dell'aspettativa, una volta concessa. Con riferimento all'aspettativa per motivi personali, l'ARAN, nel parere n. 28470 (ex CIRS 43), si limita a osservare che né il DPR n. 3/1957, né il CCNL di comparto prevedono l'ipotesi di revoca. L'unica eventualità prevista dall'art. 69 DPR 3/1957, infatti, è quella della revoca da parte dell'amministrazione e non da parte del lavoratore. Nel caso del personale scolastico, l'assenza di un diritto del dipendente al rientro anticipato in servizio è resa evidente dal fatto che l'amministrazione, in questi casi, procede alla nomina di un supplente per l'intero periodo di aspettativa e, pertanto, il rientro anticipato determinerebbe il pagamento di due unità di personale sullo stesso posto in organico. Analoghe considerazioni possono farsi per l'aspettativa di cui all'art. 70 CCNL. Pertanto, una volta concessa tale tipologia di aspettativa, essa non può essere revocata (si creerebbe duplicazione di retribuzioni sullo stesso posto) e deve continuare fino al suo termine originario, senza che l'istituzione di titolarità debba modificare il provvedimento già emanato. A nostro parere, resta però ferma la facoltà, per l'amministrazione, di revocare tale aspettativa ove sia cessato il motivo che l'ha determinata, ovvero qualora fossero presenti necessità di servizio, come potrebbe accadere se il posto fosse rimasto scoperto per qualunque motivo. In conclusione, nel caso descritto di dipendente in aspettativa ex art. 70 CCNL che lasci la supplenza precedentemente accettata, si ritiene che: - il dipendente non ha alcun diritto a chiedere la revoca dell'aspettativa; - l'amministrazione può revocarla, nel caso in cui il posto del dipendente sia scoperto.

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • Licenziamento disciplinare di un docente: dubbi sulle ferie e sul termine per il preavviso...
  • Gentili in indirizzo, la scuola ha ricevuto un provvedimento disciplinare di licenziamento con preavviso di mesi 4...

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • Interruzione dell'aspettativa e richiesta di permessi per malattia del figlio: è possibile?
  • L'art. 18 del CCNL 2007 - non modificato dal CCNL 2024 - prevede, al primo comma, che l'aspettativa per motivi di famiglia o personali continua ad essere regolata dagli artt. 69 e 70 del T.U. approvato con D.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957 e dalle leggi speciali che a tale istituto si richiamano. L'ARAN con l'O.A. SCU_025 del 4/06/2010 ha affermato che: “L’art. 18 del CCNL 29-11-2007, contratto vigente per il comparto scuola, nel trattare dell’aspettativa di famiglia non ha alcuna previsione né alcun divieto sulla possibilità di interruzione per alcun motivo di detto istituto. Detta interruzione si deve però ritenere possibile, se per causa di malattia per l’ipotesi di gravi patologie che determinano lunghi periodi di assenza, atteso che tale situazione genera impossibilità di assolvere a doveri lavorativi e a svolgere prestazioni specifiche non giustificabile con l’aspettativa per motivi di famiglia”. Il successivo orientamento applicativo ARAN SCU_039 del 7/12/2011 si è espresso in maniera ancora più netta, sostenendo che “l’aspettativa per motivi di famiglia o personali, prevista dall’art. 18, comma 1 del CCNL del 29.11.2007 del comparto scuola, continua ad essere regolata dagli artt. 69 e 70 del D.P.R. n. 3/57, i quali nulla dispongono sulla interruzione di tale aspettativa ma solo sulla revoca della stessa ad opera del dirigente scolastico per ragioni di servizio”. Da ultimo l'ARAN, con l'O.A. del 24 febbraio 2021 CIRS43, ha ribadito che l’interruzione dell’aspettativa per motivi di famiglia non è regolata né dall’art. 18, comma 1, del CCNL Scuola del 29/11/2007, né dal D.P.R. n. 3/1957, il quale prevede unicamente la possibilità di revoca ad opera del dirigente scolastico. In una recente risposta a quesito abbiamo fornito parere negativo sulla richiesta di interruzione di un'aspettativa per motivi di famiglia da parte di una dipendente poiché il compagno che voleva assistere stava meglio di quanto inizialmente previsto. Siamo stati più di apertura nel caso in cui un'aspettativa era stata richiesta per assistere il marito che era poi deceduto, proprio perchè era venuto meno il presupposto oggettivo - ed unico - per cui era stata chiesta l'aspettativa. Nel caso specifico, e pur ribadendo quanto detto in premessa, si ritiene che sulla base di quanto meramente affermato dalla docente, non si è in presenza di un motivo oggettivo tale da interrompere l'aspettativa non retribuita in essere. Conclusivamente, concordiamo con l'interpretazione fornita in merito all'impossibilità di procedere con l'interruzione dell'aspettativa.

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • Registrazioni non autorizzate da parte del padre di un alunno con diverse abilità: quali azioni può intraprendere il DS a sua tutela e della scuola?
  • Posto che la registrazione ad uso personale di conversazioni cui si assiste e si partecipa non è un reato di per sé, ma lo è il loro uso e soprattutto la loro diffusione, la circostanza che un genitore doti il figlio di uno strumento di registrazione delle conversazioni scolastiche profila una significativa mancanza di fiducia nella scuola, per cui andrebbe fatta presente alla famiglia l’opportunità di valutare il loro interesse nel far permanere il figlio presso la scuola di attuale iscrizione. Un’azione che la scuola deve ora intraprendere è formulare una diffida formale ai genitori dell’alunno, volta all’immediata cessazione della condotta e all’immediata cancellazione delle registrazioni sino ad ora effettuate, in quanto effettuate senza il consenso delle persone coinvolte e, soprattutto, configurate come un indebito controllo sul lavoro dei docenti. Questo secondo aspetto, soprattutto, rende il trattamento illegittimo. Un conto è una registrazione occasionale, fatta ogni tanto per motivi di studio, un conto è una registrazione sistematica e giornaliera di quello che fa un docente. Questo non è previsto dal contratto di lavoro della scuola e sarebbe motivo comunque di contestazione da parte del lavoratore. Un'azione ulteriore che si potrebbe fare (ma la lasciamo alla vostra valutazione) è richiedere alla polizia postale un intervento informativo sull’utilizzo dei social media rivolti ai genitori, a scopo preventivo e deterrente e al fine di aumentare la consapevolezza dei rischi connessi all’uso delle registrazioni ambientali.

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • Richiesta di fruizione del congedo parentale orario di una docente a t.d.: vediamo se possiamo concederlo...
  • Gent. le Utente Come noto il congedo parentale, ai sensi dell’art. 32 del D.lgs. 151/01 e ss.mm., per legge può essere fruito anche ore. Al riguardo, lo stesso articolo, prevede che la stessa (modalità di fruizione) sia regolamentata dalla contrattazione collettiva di settore che, nello specifico, deve definire: • le modalità di fruizione del congedo ad ore; • i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa. Qualora la contrattazione collettiva non intervenga, anche a livello aziendale (contrattazione di istituto nel caso della scuola, Interpello n. 25/2013 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), la fruizione del congedo su base oraria deve avvenire in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadri-settimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. E’ evidente che in mancanza di una regolamentazione specie per i docenti risulta difficile stabilire l’esatta metà dell’orario medio giornaliero. In merito alle propedeutiche indicazioni n mancanza di precise regole, come per altre analoghe risposte, si considerano le indicazioni INPS di cui alla circolare n. 152 del 18/8/2015. In particolare viene precisato che, in assenza di ulteriori specificazioni di legge, per orario medio giornaliero si intende l’orario strutturale contrattualmente previsto, 36 ore per il personale ATA, 25-24-18 per il personale docente e, proprio con riferimento ai docenti, il calcolo della metà dell’orario non può essere considerato con frazioni di orario in minuti. Per quello che concerne il calcolo, l’introduzione del congedo parentale su base oraria non ha modificato le regole di indennizzo del congedo stesso; pertanto il congedo parentale è indennizzato su base giornaliera anche nel caso in cui la fruizione avvenga in modalità oraria. Il congedo parentale quindi, può essere richiesto dalla madre o dal padre a mesi, a giorni interi o in ore, la domanda e la scelta della relativa durata si configura come un diritto potestativo, il dipendente che richiede il congedo parentale è titolare di un vero e proprio diritto personale. Per quanto evidenziato e in risposta al quesito, la domanda della docente di usufruire del congedo parentale tutti i giovedì per un’ora, dalle ore 9:10 alle ore 10:10, avendo per quel giorno 3 ore di servizio è corretta e, deve essere accettata. Al riguardo, nel quesito si chiarisce altresì, che la docente ha già usufruito di tutti i giorni di congedo giornaliero retribuiti al 100% e di 40 giorni retribuiti al 30% quindi, in totale di 2 mesi e 10 giorni di congedo. Nel merito si precisa che, per legge, in applicazione dell’art. 32 del D.lgs. 151/2001, la madre può usufruire al termine del congedo di maternità di mesi 6 di congedo parentale di cui 3 mesi sono indennizzati sempre legge, applicazione dell’art. 34 dello stesso T.U. e non sono trasferibili, a questi si aggiungono altri tre mesi che possono essere fruiti alternativamente madre e padre sempre indennizzati.

    Data di pubblicazione: 17/04/2025

  • Permessi L.104/92: gestione e calcolo delle ore per richieste giornaliere...
  • In premessa è utile precisare che, a decorrere dal 13 agosto 2022 (applicazione D.lgs. 105/2022) fermo restando il limite complessivo di tre giorni di permesso mensile previsti dall’art. 33 comma 3 della legge 104/92, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli aventi diritto, che possono fruirne in via alternativa tra loro, quindi la richiesta della docente può essere accettata. In merito invece alla specifica richiesta di chiarimenti di cui al quesito circa la possibilità di utilizzare nello stesso mese dei tre giorni di permesso o delle ore si chiarisce quanto segue. L’INPS per il settore privato consente la frazionabilità in ore dei tre giorni di permesso mensile con le precisazioni espresse nel Messaggio 16866 del 28 giugno 2007, nel quale è definito anche il numero massimo di ore di permesso lavorativo nel caso questo venga frazionato. L’INPS precisa che il limite di 18 ore, nel caso di frazionamento, è riferito ai casi in cui l’orario di lavoro sia di 36 ore suddiviso in sei giorni lavorativi. Per tutti gli altri casi il monte ore massimo va ricalcolato con una formula diversa a seconda che l’orario di lavoro sia fissato su base settimanale (la maggioranza dei casi) o su base plurisettimanale e cioè che vari ciclicamente da una settimana all’altra. L’INPS fissa dunque due formule diverse. Nel primo caso, cioè orario di lavoro fissato su base settimanale, la formula è la seguente: (orario normale di lavoro settimanale : numero dei giorni lavorativi settimanali) x 3 = ore mensili fruibili. Nel secondo caso, cioè orario di lavoro fissato su base plurisettimanale, la formula è la seguente: (orario normale di lavoro medio settimanale : numero medio dei giorni lavorativi settimanali) x 3 = ore mensili fruibili. Facciamo tre esempi: 36 ore lavorate, 5 giorni settimanali = 21,6 ore di permesso mensile, se frazionato; 36 ore lavorate, 6 giorni settimanali = 18 ore di permesso mensile, se frazionato; 38 ore lavorate, 5 giorni settimanali = 22,8 ore di permesso mensile, se frazionato. Mentre per quello che concerne il comparto del pubblico impiego, la circolare del Ministero per la Pubblica Amministrazione 8/2008, fornisce indicazioni operative sulle novità introdotte dal Decreto Legge 112/2008 (Legge 6 agosto 2008, n. 133) e, conferma la possibilità di poter frazionare in ore i tre giorni di permesso previsti dall’art. 33 comma 3 della legge in 18 ore mensili per un orario di 36 ore settimanali ma, tale limitazione è applicabile solo nel caso in cui i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro di riferimento abbiano già previsto una corrispondenza in ore dei tre giorni di permesso. Nella scuola questa possibilità è riservata solo al personale ATA, applicazione dell’art. 68 del CCNL vigente comma 1-2-3. Quindi in risposta al quesito se la sorella usufruisce di 24 ore di permesso mensile in sostituzione dei tre giorni di permesso, di fatto, a nostro parere, preclude la possibilità per la sorella docente che non è legittimata, perché esclusa dal CCNL, di potere eventualmente frazionare i tre giorni di permesso mensile nelle 18 ore consentite nel pubblico su un orario di 36 ore settimanali. Nel caso specifico poi, le 18 ore mensile devono essere ulteriormente riproporzionate in base alle 18-24-25 ore.

    Data di pubblicazione: 16/04/2025

  • Alcuni chiarimenti sulla gestione dell'aspettativa non retribuita ai sensi dell'art. 23 bis del D.L. 165/2001: proroga, preavviso di rientro e variazione del contratto di lavoro...
  • Una docente della scuola dell'infanzia con contratto a tempo indeterminato ha chiesto un'aspettativa non retribuita...

    Data di pubblicazione: 16/04/2025

  • Richiesta di permessi L.104 per assistenza a distanza: vediamo la validità di un titolo di viaggio con data antecedente ai giorni di permesso richiesti...
  • A nostro parere la riposta è affermativa, di seguito i chiarimenti. Appurato che, la Funzione Pubblica nella circolare 1 del 3 febbraio 2012 al punto 5 precisa quanto segue. La disposizione fa riferimento al luogo di residenza del dipendente e della persona in situazione di handicap grave. Al riguardo, occorre far riferimento alla residenza stesso comune e stessa via e numero civico anche in appartamenti diversi, che è la dimora abituale della persona, mentre non è possibile considerare il domicilio, che, secondo la definizione del c.c., è “nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi”. La stessa circolare in merito alla documentazione probatoria per l’utilizzo dei tre giorni di permesso previsto dall’art. 33 comma 3 della legge 104/92 , mero titolo di esempio, prende in considerazione: ricevuta del pedaggio autostradale, dichiarazione del medico o della struttura sanitaria presso cui la persona disabile è stata accompagnata, biglietto del mezzo pubblico utilizzato per lo spostamento in loco. L’adeguatezza della relativa documentazione verrà valutata dall'amministrazione di riferimento, fermo restando che l'assenza non potrà essere giustificata a titolo di permesso ex lege n. 104 del 1992 nell'ipotesi in cui il lavoratore non riesca a produrre al datore l'idonea documentazione. In conclusione l’onere della prova è una specifica responsabilità dell’interessato ai permessi. Pertanto a nostro avviso, il titolo di viaggio che la docente intende presentare come giustificativo anche se riporta una data antecedente rispetto ai giorni da giustificare, si ritiene possa essere accettato in quanto, comunque, dimostra di essersi effettivamente recata, nei giorni di fruizione degli stessi, presso la residenza del famigliare da assistere.

    Data di pubblicazione: 16/04/2025

  • Congedo parentale facoltativo e trattamento retributivo: analisi della richiesta di rettifica per il riconoscimento del 100%...
  • Gentile Utente, in premessa una breve sintesi in merito al trattamento economico del congedo parentale. L’art. 34 oggi vigente (così come modificato dal D.lgs. 80/2015, D.lgs. 105/2022) precisa quanto segue. Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32, fino al dodicesimo anno di vita del figlio, a ciascun genitore lavoratore spetta: - Alla madre spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; - Al padre spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; - Entrambi i genitori hanno diritto, in alternativa tra loro, anche a un ulteriore periodo indennizzabile della durata complessiva di 3 mesi, per un periodo massimo complessivo indennizzabile tra i genitori di 9 mesi totali ? Genitore solo 9 mesi indennizzabili entro i 12 anni di vita o dall’ingresso in famiglia In merito al miglior invece, al miglior beneficio, l’art. 34 comma 3 del CCNL vigente comparto scuola precisa: “Il congedo parentale previsto per ciascun figlio dall'art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 151 del 2001 per le lavoratrici madri o in alternativa per i lavoratori padri non riduce le ferie ed è valutato ai fini dell’anzianità di servizio. I primi trenta giorni di tale congedo, computati complessivamente per entrambi i genitori e fruibili anche in modo frazionato, non riducono le ferie, sono valutati ai fini dell'anzianità di servizio e sono retribuiti per intero, con esclusione dei compensi per lavoro straordinario e delle indennità per prestazioni disagiate, pericolose o dannose per la salute”. Nel merito e, in particolare in riferimento al caso in oggetto, si riporta l’orientamento ARAN CIRS89 del 7/02/2022 proprio riferito al comparto scuola. “Il fatto che uno dei genitori, non dipendente pubblico, fruisca di benefici retributivi correlati al congedo parentale ha effetto sulla previsione di cui all’art. 12, comma 4 del CCNL Scuola del 29.11.2007, che riconosce complessivamente per entrambi i genitori, il100% della retribuzione per i primi 30 giorni di congedo parentale? L’istituto del congedo parentale, trattato dall’art. 12 del CCNL Scuola del 29/11/2007 (ora il riferimento è all’art. 34 del CCNL 2024 che mantiene analoga previsione), rimanda alle vigenti disposizioni in materia di tutela della maternità contenute nel D. L.gs. n. 151/2001. L’art. 12, comma 4, infatti, così dispone: “Nell’ambito del periodo di astensione dal lavoro previsto dall’art. 32 comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 151/2001, per le lavoratrici madri o in alternativa per i lavoratori padri, i primi trenta giorni, computati complessivamente per entrambi i genitori e fruibili anche in modo frazionato, non riducono le ferie, sono valutati ai fini dell’anzianità di servizio e sono retribuiti per intero……”. Tale articolo prevede una norma di miglior favore, concernente il diritto alla retribuzione per intero per i primi 30 giorni di congedo parentale e si inserisce nell’ambito della cornice legale derivante dal combinato disposto dell’art. 32 con l’art. 34 del D. Lgs. n. 151/01. Infatti se l’art. 32 del su citato decreto disciplina il “periodo” di congedo parentale a cui ha diritto ciascun genitore nei primi dodici anni di vita del bambino (come modificato dall’art. 7 del D. Lgs. n. 80/2015), è l’art. 34 che ne prevede il relativo trattamento economico. Il richiamo all’art. 32 è riferito solo alle modalità e ai tempi di fruizione del congedo da parte di ciascun genitore, mentre la deroga in melius, di cui all’art. 12, comma 4, del CCNL in oggetto, è rilevabile solo se rapportata all’indennità disciplinata dal successivo art. 34, comma 1 del D. Lgs. n.151/2001. Ne consegue che i primi trenta giorni di congedo parentale di cui al su citato art. 12, comma 4, sono retribuiti per intero solo se coincidono con periodi per i quali la disciplina legislativa riconosca l’erogazione di una indennità pari al 30% del trattamento economico in godimento. Deve peraltro essere ricordato che il richiamato art. 12, comma 4 del CCNL del 29.11.2007 prende a riferimento esclusivamente lavoratori pubblici e, pertanto, il diritto all’intera retribuzione per i primi trenta giorni di congedo parentale fruito dal un dipendente di una pubblica amministrazione non verrà intaccato da ipotesi di riconoscimento di analogo beneficio all’altro genitore non appartenente al settore pubblico”. Ciò precisato si ritiene che sia possibile rettificare le sue domande di congedo per ottenere il beneficio del riconoscimento al 100% mai, fruito come lavoratore del settore pubblico.

    Data di pubblicazione: 16/04/2025

  • Quando il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità...
  • L'art. 33 comma 3 della Legge n. 104 del 1992 prevede che il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un'unione civile di cui all'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Pertanto, il dipendente ha diritto ai permessi per assistere entrambi i genitori ( per un totale di sei giorni al mese) essendo del tutto irrilevante la presenza di altri fratelli Per quanto concerne il riproporzionamento in caso di part-time verticale, la Cassazione, con le Sentenze n. 4069 del 20 febbraio 2018 e n. 22925 del 29 settembre 2017, ha affermato che i tre giorni di permesso ex art. 33 della Legge n. 104/1992 non si riproporzionano in caso di part-time superiore al 50%. Ad avviso della Suprema Corte appare ragionevole distinguere l’ipotesi in cui la prestazione di lavoro part-time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un NUMERO DI GIORNATE superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell’anno e riconoscere, solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile, il diritto alla integrale fruizione dei permessi previsti dall’art. 33 della Legge n. 104/1992. L’ARAN, con l’O.A. CFC34 del 25 novembre 2019, ha affermato che l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 22925/2017, ribadito anche nella sentenza n. 4069 del 20/02/2018, in tema di permessi ex Legge n. 104/1992, per l’autorevolezza della fonte rappresenti un indirizzo applicativo concreto e fattuale. Fermo restando, quindi, il generale obbligo di riproporzionamento nei casi di rapporto di lavoro a tempo parziale, in considerazione della natura di strumento di politica socio-assistenziale del permesso riconosciuto per l’assistenza alla persona con grave disabilità, a parere della Suprema Corte non va operato il riproporzionamento dei tre giorni di permesso ex art. 33 della Legge n. 104/1992 nei confronti del lavoratore con contratto in part-time verticale che effettui prestazione lavorativa per un numero di giornate superiori al 50% rispetto all’ordinario orario lavorativo in regime di full time. L’INPS, con la Circolare n. 45 del 19 marzo 2021, ha fornito chiarimenti in merito alle formule di calcolo da applicare ai fini del riproporzionamento dei tre giorni di permesso mensile, di cui all’art. 33 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, nei casi di rapporto di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto con attività lavorativa part-time superiore al 50%. L’INPS, ha chiarito che le formule, indicate nel messaggio n. 3114 del 7 agosto 2018, devono essere riviste alla luce degli orientamenti della Suprema Corte di Cassazione che, come detto sopra, ha statuito che la durata dei permessi, qualora la percentuale del tempo parziale di tipo verticale superi il 50% del tempo pieno previsto dal contratto collettivo, non debba subire decurtazioni in ragione del ridotto orario di lavoro. Pertanto: - in caso di part-time di tipo orizzontale, i tre giorni di permesso non andranno riproporzionati; - con riferimento ai rapporti di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto fino al 50%, si procede con il riproporzionamento e rimangono valide le disposizioni fornite con il messaggio n. 3114/2018 (formule che vengono ribadite anche con la circolare n. 45/2021); - per i dipendenti in regime di part-time con percentuale a partire dal 51%, verranno riconosciuti interamente i tre giorni di permesso mensile; - il riproporzionamento orario dei giorni di permesso di cui all’articolo 33, commi 3 e 6, della Legge n. 104/1992 dovrà essere effettuato solo nel caso in cui il beneficio venga utilizzato, anche solo parzialmente, in ore (possibile per il personale ATA ai sensi dell’art. 68 del CCNL 2024). L’ARAN, con Orientamento Applicativo del 12 giugno 2024, ha precisato che in caso di fruizione oraria dei permessi Legge 104/1992 (cfr. per il personale ATA art. 68 CCNL 2024) nel caso di dipendente con rapporto di lavoro part-time orizzontale, con prestazione lavorativa superiore al 50%, e con un orario giornaliero di 5,30 ore, alla luce della giurisprudenza della Cassazione il criterio di riproporzionamento opera solo nel caso in cui l’orario teorico in part-time è pari o inferiore al 50% di quello previsto per il personale a tempo pieno. Nel caso di specie, il dipendente presta servizio su 4 giorni con orario 30/36 e quindi con prestazione lavorativa per un numero di giornate superiori al 50% rispetto all’ordinario orario lavorativo in regime di full time; pertanto, non si opera alcun riproporzionamento. Ne consegue che il dipendente ha diritto a sei giorni di permesso al mese.

    Data di pubblicazione: 16/04/2025

  • Diritto al congedo per dottorato interrotto: i mesi non fruiti possono essere recuperati con un nuovo dottorato?
  • L'art. 2 della Legge n. 476 del 1984 prevede che non hanno diritto al congedo straordinario, con o senza assegni, i pubblici dipendenti che abbiano già conseguito il titolo di dottore di ricerca, né i pubblici dipendenti che siano stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico, beneficiando di detto congedo. La CM 15 del 2011 precisa quanto segue "si richiama l’attenzione sull’espresso divieto di fruizione del congedo straordinario, con o senza assegni, posto ai pubblici dipendenti che abbiano già conseguito il titolo di dottore di ricerca o che abbiano solamente beneficiato del congedo essendo stati iscritti anche per almeno anno accademico a corsi di dottorato di ricerca". Nel caso di specie, in riferimento al diritto al congedo, manca la condizione ostativa di iscrizione al corso di dottorato " per almeno un anno accademico" in quanto dal quesito risulta che l'iscrizione è stata per 8 mesi e 20 giorni. Tutto ciò premesso, si ritiene che il docente abbia diritto al congedo ( la cui durata sarà relativa al nuovo corso di dottorato al quale è stato ammesso) in caso di nuova domanda.

    Data di pubblicazione: 16/04/2025

  • Ferie del personale ATA a tempo determinato: dubbi sulla maturazione dei tre anni di servizio...
  • Personale ATA con contratto a tempo determinato dal 18-09-2024 al 30-06-2025. Al momento della presa di servizio i mesi di servizio maturati...

    Data di pubblicazione: 16/04/2025

  • Un docente con contratto di supplenza breve può usufruire di permessi giornalieri e permessi orari retribuiti per mandato amministrativo?
  • I permessi previsti dal D.Lgs. n. 267 del 2000, nonchè l'aspettativa di cui all'art. 81 prevista dal medesimo Decreto si applicano anche al personale a t.d. L'art. 38 del CCNL 2007, non modificato dal CCNL 2024, prevede che nei confronti del personale docente chiamato a ricoprire cariche elettive, si applicano le norme di cui al d.lgs 18.08.2000, n.267 e di cui all’art. 68 del d.lgs. 30 marzo 2001, n.165. Il personale che si avvalga del regime delle assenze e dei permessi di cui alle leggi predette, è tenuto a presentare, ogni trimestre, a partire dall'inizio dell'anno scolastico, alla scuola in cui presta servizio, apposita dichiarazione circa gli impegni connessi alla carica ricoperta, da assolvere nel trimestre successivo, nonché a comunicare mensilmente alla stessa scuola la conferma o le eventuali variazioni degli impegni già dichiarati. Il riferimento è al personale docente senza alcuna distinzione tra personale di ruolo e a t.d. Inoltre, l'ARAN con l'Orientamento RAL390 del 4 giugno 2011 ha precisato che "nel disciplinare la materia delle aspettative e dei permessi degli amministratori degli enti locali, il D.Lgs. n. 267/2000 non distingue tra personale a tempo determinato e restante personale e si deve quindi ritenere che esso trovi applicazione anche per i dipendenti con contratto a termine". Pertanto, in riferimento al quesito posto, si ritiene che al docente con contratto a tempo determinato (supplenza breve) spettino i permessi previsti dal D.Lgs. n. 267 del 2000 ricorrendone i presupposti previsti dall'art. 79 del suddetto Decreto.

    Data di pubblicazione: 16/04/2025

  • Inidoneità permanente e indennità sostitutiva del preavviso: analisi del diritto alla luce delle disposizioni normative e delle sentenze...
  • L'art. 8 del DPR 171 del 2011 prevede che, nel caso di accertata permanente inidoneità, psicofisica assoluta al servizio del dipendente, l'amministrazione previa comunicazione all'interessato entro 30 giorni dal ricevimento del verbale di accertamento medico, risolve il rapporto di lavoro e corrisponde, se dovuta l'indennità sostitutiva del preavviso. Quindi, il dirigente (la competenza è infatti del dirigente scolastico trattandosi di atto di gestione del rapporto di lavoro e non di provvedimento di natura disciplinare), acquisito il verbale della CMV (ora la competenza è dell'INPS), qualora si attesti l’inidoneità fisica permanente e assoluta al servizio deve predisporre il provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità e il provvedimento di liquidazione dell’indennità di preavviso. La formulazione della norma è poco chiara ma il termine di trenta giorni si ritiene che sia da considerare quale termine entro il quale il dirigente risolve il contratto. L'INPS, con la circolare n. 33 del 2012, per quanto concerne i propri dipendenti, ha precisato che "l’Istituto, previa comunicazione all’interessato, entro trenta giorni dal ricevimento del verbale di accertamento medico, risolve il rapporto di lavoro con provvedimento del Direttore generale e corrisponde all’interessato l’indennità di mancato preavviso". Quindi il termine di 30 giorni si intende dal ricevimento del verbale. Per quanto concerne l'indennità sostitutiva del preavviso, l’ARAN, con l’Orientamento del 30 maggio 2017 relativo al Comparto Enti Locali, ma applicabile anche al Comparto Scuola stante la generalità della disciplina, ribadendo la propria posizione già espressa in precedenti Pareri, ha precisato che nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro, a seguito di dichiarazione di inidoneità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro, la determinazione dell’ammontare dell’indennità sostitutiva del preavviso deve sempre essere calcolata sulla retribuzione teoricamente spettante al dipendente e non su quella effettivamente percepita. Come detto sopra, nel caso di specie il giudizio di inidoneità permanente è stato emanato nell'ambito del procedimento di accertamento disciplinato dal DPR 171/2001 ( inoltre non sono stati riconosciuti i presupposti per la pensione di inabilità ai sensi della Legge n. 335 del 1995). La Cassazione, con la sentenza n. 9556 del 12 aprile 2021, ha affermato che la sopravvenuta e permanente inidoneità totale del lavoratore subordinato allo svolgimento dell'attività lavorativa, ex art. 2, comma 12, della Legge n. 335 del 1995, configura un caso di impossibilità assoluta della prestazione per il venir meno della causa del contratto, sicché la risoluzione del rapporto è oggettivamente vincolata, perché consegue "al fatto in sé" dell'inidoneità psicofisica all'espletamento del lavoro, senza che occorra alcuna manifestazione di volontà da parte del datore, né il rispetto del termine di preavviso, di modo che non è dovuta la relativa indennità sostitutiva. La Sentenza è commentata sul sito dell'ARAN ove si legge " Non è dovuta al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso in caso di scioglimento automatico del rapporto per inidoneità permanente assoluta a svolgere qualsiasi attività lavorativa per ragioni di salute. Nei fatti, un dipendente dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in sede di procedimento per ottenere la pensione d’inabilità, viene dichiarato, dalla Commissione medica interpellata, inidoneo in maniera permanente e assoluta a qualsiasi attività lavorativa, con la conseguenza dello scioglimento del rapporto di lavoro per ragioni di salute. L’Agenzia nega che in questo caso sia dovuta l’indennità sostitutiva del preavviso. La Corte di Cassazione chiamata a decidere conferma che il preavviso o la relativa indennità non sono dovuti, in ragione dell’assoluta e permanente impossibilità della prestazione lavorativa, che determina lo scioglimento automatico del rapporto ex art. 2, comma 12, della Legge n. 335 del 1995. Pertanto, diversamente da quanto avviene per il caso di “impossibilità relativa”, la sopravvenuta e permanente inidoneità totale del lavoratore subordinato allo svolgimento dell’attività lavorativa, configura un caso di impossibilità assoluta della prestazione per il venir meno della causa del contratto, sicché la risoluzione del rapporto è oggettivamente vincolata, perché consegue "al fatto in sé" dell'inidoneità fisica allo svolgimento del lavoro, e quindi non occorre alcuna manifestazione di volontà da parte del datore, né il rispetto del termine di preavviso, di modo che non è dovuta la relativa indennità sostitutiva. Per quanto sopra, non può essere applicata la disposizione pattizia di cui all'art. 49 del CCNL Agenzie Fiscali 2002-2005 richiamato dalla parte, che si riferisce ad una inidoneità rapportata alle mansioni proprie della qualifica rivestita e cioè alla possibilità del lavoratore di svolgere un proficuo lavoro, tanto che l'Amministrazione "può" procedere alla risoluzione del rapporto, manifestando la volontà di esercitare il recesso cui è collegato il preavviso". Nella motivazione della Sentenza si legge "6.5. Il descritto quadro normativo non è stato modificato in alcun modo dal D.P.R. n. 171 del 2011, art. 8 (emanato in attuazione dell'art. art. 55-octies, inserito del D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 69), peraltro successivo ai fatti per cui è causa, secondo cui: "1. Nel caso di accertata permanente inidoneità psicofisica assoluta al servizio del dipendente di cui all'art. 1, comma 1, l'amministrazione previa comunicazione all'interessato entro 30 giorni dal ricevimento del verbale di accertamento medico, risolve il rapporto di lavoro e corrisponde, se dovuta l'indennità sostitutiva del preavviso", essendo anche tale previsione da riferire alla "inidoneità psicofisica assoluta o relativa alla mansione", come si evince chiaramente dell'art. 5, comma 3 del medesimo D.P.R. E' evidente, allora, che detta disposizione non può applicarsi all'ipotesi di automatica risoluzione del rapporto per effetto di sopravvenuta inidoneità accertata ai sensi della Legge n. 335 del 1995, in relazione alla quale lo scioglimento del vincolo negoziale scaturisce dall'impossibilità definitiva di adempiere la prestazione lavorativa e dalla conseguente impossibilità totale di chiedere la controprestazione. 6.6. Nè rileva la circolare INPS n. 33 dell'8/3/2012 richiamata dal ricorrente (trascritta nella parte di interesse ed allegata al ricorso per cassazione) che è diretta unicamente ai dipendenti dell'istituto previdenziale, sicchè nessuna efficacia può spiegare nella presente fattispecie, limitandosi, peraltro, la stessa a declinare le modalità di applicazione in ambito INPS del sopra richiamato D.P.R. n. 171 del 2011. Egualmente non può essere attribuita alcuna efficacia ai chiarimenti del Ministero del Tesoro di cui alla nota prot. 196872 del 18/2/2000 (egualmente trascritta nella parte di interesse e allegata al ricorso per cassazione), trattandosi di chiarimenti resi con riguardo a differenti contratti collettivi (art. 21, comma 4 del CCNL Comparto Ministeri e art. 23, comma 4 del CCNL Comparto Scuola)". Come noto l'art. 17, comma 4, del CCNL 2007 prevede che "Superati i periodi di conservazione del posto previsti dai commi 1 e 2, oppure nel caso che, a seguito dell'accertamento disposto ai sensi del comma 3, il dipendente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l'amministrazione può procedere, salvo quanto previsto dal successivo comma 5, alla risoluzione del rapporto corrispondendo al dipendente l'indennità sostitutiva del preavviso". Il verbale della CMV ha dichiarato la dipendente " non idoneo permanentemente in modo assoluto al servizio come dipendente di Amministrazione Pubblica ex art. 55 octies D.Lgs. 165/2001". Come detto in premessa, a nostro avviso, la fattispecie di cui al quesito è inquadrabile nell'ambito della applicazione del DPR 171/2011 (inidoneità psicofisica alla funzione) - e non nella risoluzione per inabilità assoluta stante che non sono stati riconosciuti i presupposti di cui alla legge 335/1995 - con la conseguenza che, a nostro avviso, spetta l'indennità sostitutiva del preavviso al netto di eventuali indicazioni che potrebbero pervenire dall'USR o dalla RTS competenti. Inoltre, alla dipendente spetta anche il pagamento delle ferie non godute ( cfr. Dichiarazione congiunta n. 2 al CCNL 2024).

    Data di pubblicazione: 16/04/2025

  • Vediamo come sostituire un docente di clarinetto durane gli esami di Stato conclusivi del primo ciclo...
  • Quando si rende necessaria la sostituzione di un docente nel corso degli esami di Stato conclusivi del primo ciclo, trova applicazione l’art. 4, c. 7, D.M. n. 741/2017, in base al quale “I lavori della commissione e delle sottocommissioni si svolgono sempre alla presenza di tutti i componenti. Eventuali sostituzioni di componenti assenti sono disposte dal Presidente della commissione tra i docenti in servizio presso l'istituzione scolastica”. Nulla si dice circa la durata della sostituzione che è pertanto ragionevole ritenere correlata – come accade solitamente – alla sola durata dell’assenza. Si precisa inoltre che: - la disposizione citata fa riferimento alla sostituzione con “docenti in servizio presso l’istituzione scolastica”, senza richiedere che il sostituto appartenga necessariamente al segmento di istruzione della scuola secondaria di primo grado; - il Presidente della commissione dovrà disporre la sostituzione del docente assente ricorrendo nell’ordine, all’interno dell’istituzione scolastica: 1. a docente che impartisce la medesima disciplina; 2. in subordine, a docente che ha l’abilitazione per impartire detto insegnamento; 3. solo in assenza di personale dotato dei requisiti fin qui illustrati, a docente che ha il titolo di studio per farlo, a prescindere – lo si ribadisce – dal segmento di istruzione in cui presta servizio. Se la sostituzione è operata fin dalla riunione preliminare e per l’intera durata degli esami, come pare evincersi dal quesito, essa potrà avvenire anche con componente già presente ad altro titolo nella commissione poiché verrebbe comunque garantita la corrispondenza tra il numero di componenti la commissione nella riunione preliminare e quello nella riunione plenaria finale, senza che si produca alcun vulnus della collegialità perfetta che l’attività valutativa da effettuarsi in simili sedi impone. Fatta questa premessa, in assenza di docente che impartisca la stessa disciplina (clarinetto) di quello da sostituire così come di docente che abbia la relativa abilitazione, il Presidente potrà ricorrere alla sostituzione mediante il docente di flauto, dato che possiede il titolo di accesso alla medesima classe di concorso del collega assente (A-56 strumento musicale nella scuola secondaria di primo grado).

    Data di pubblicazione: 16/04/2025

  • Analizziamo il sistema delle precedenze ed esclusione dalla graduatoria interna d'istituto...
  • La risposta è affermativa di seguito i chiarimenti. L’OM 36 del 28 febbraio all’art. 5 lettera d) per le persone con disabilità che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 21 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (riferimento all’ art. 13 comma 1 del CCNI a.s. 2025/2028 relativo al “ SISTEMA DELLE PRECEDENZE ED ESCLUSIONE DALLA GRADUATORIA INTERNA D’ISTITUTO di cui al comma 2)” al punto III, precisa che è necessario che risulti chiaramente, anche in certificazioni distinte, la situazione di disabilità e il grado di invalidità civile superiore ai due terzi o le minorazioni iscritte alle categorie prima, seconda e terza della tabella A) annessa alla legge 10 agosto 1950, n. 648, riconosciute alle medesime. Quindi, non è sufficiente la sola certificazione di disabilità non grave riconoscimento del comma 1 art. 3 della legge 104/92 ma, a questa certificazione deve essere collegata anche la certificazione relativa alla invalidità civile che deve essere almeno pari al 67%. Le due certificazioni relative all’invalidità e quella relativa all’accertamento della disabilità devono essere distinte. Ciò premesso, in risposta al quesito, il comma 2 dello stesso art. 13 relativo alla “ESCLUSIONE DALLA GRADUATORIA D’ISTITUTO PER L’INDIVIDUAZIONE DEI PERDENTI POSTO” diversamente dalla precedenza indicata al punto IV^ (riferita all’ assistenza al familiare disabile con connotazione di gravità) non prevede nulla di diverso e, solo se si rientra nei suddetti parametri/certificazioni, si potrà essere esclusi dalla graduatoria interna.

    Data di pubblicazione: 15/04/2025

  • Analisi delle implicazioni giuridiche e procedurali relative ai provvedimenti di riallineamento di carriera e alla prescrizione quinquennale...
  • Come già osservato in precedenti riscontri ad analoghi quesiti, per rispondere compiutamente alle varie domande, occorre partire dall’interpretazione estensiva delle disposizioni di cui alla Circolare MEF – RGS n. 27, prot. 181138 del 06/10/2017 (anche richiamata nella nota MEF. 8438/2024), ” in ordine alla prescrizione del diritto (ndr. ex art. 2948 c.c.) alla liquidazione degli arretrati stipendiali derivanti dal decreto di ricostruzione di carriera […], nel caso in cui quest’ultimo venga emesso dopo che siano trascorsi cinque anni dalla presentazione della domanda”. Nel riallineamento, non essendo prevista la presentazione di alcuna istanza da parte dei dipendenti, il quinquennio decorrerebbe dalla data di maturazione del 16°, 18° o 20° anno, a seconda del ruolo rivestito dai diversi interessati. Nel merito specifico della questione, occorre, a questo punto, riassumere e definire i connotati che contraddistinguono il cd. “riallineamento della carriera”, in applicazione dell’art. 4, comma 3, del DPR 399/88, dagli inquadramenti contrattuali o dalla normale progressione di carriera scaturente dal riconoscimento delle anzianità disposte con il primo decreto di ricostruzione: - È l’istituzione scolastica che, d’ufficio, deve procedere al ricalcolo della progressione per la valutazione delle anzianità economiche non riconosciute e il loro conseguente assorbimento nelle anzianità giuridiche (ed economiche) già valutate e utili per il passaggio alle successive posizioni stipendiali. - È proprio nel tenore testuale della norma, che si rinvengono le differenze con la normale progressione di carriera. Infatti, l’art. 4, comma 3, del DPR 399/88, prevede letteralmente che “l'anzianità utile ai soli fini economici è interamente valida ai fini dell'attribuzione delle successive posizioni stipendiali”. - Trattasi quindi di una disposizione che prevede, in tempi differiti e scaglionati, un nuovo riconoscimento di servizi che, in prima istanza, non sono stati oggetto di valutazione. Da ciò discende che il riallineamento della carriera tecnicamente non consiste in un semplice decreto di progressione, bensì in un provvedimento che, nell’ambito di una progressione già data, riconosce servizi aggiuntivi (in precedenza accantonati) atti a produrre ulteriori effetti giuridici ed economici rispetto al decreto “madre”. Posto in questi termini, il riallineamento, disposto d’ufficio per dovuta osservanza normativa, si sostanzia in un nuovo atto con cui si riconoscono servizi e benefici, ridefinendo ed aumentando l’anzianità complessivamente utile. Quanto detto trova riscontro e conferma nella citata Nota MEF -RGS N. 8438 del 10/01/2024 dove si legge che: - per i “ “riallineamenti di carriera”, la relativa disciplina è contenuta in un decreto di recepimento di accordo sindacale, nello specifico quello riguardante il personale del comparto Scuola per il triennio 1988-1990, che, alla luce della contrattualizzazione del pubblico impiego intervenuta successivamente, deve quindi considerarsi come una clausola negoziale che non comporta la necessità della proposizione di un’istanza” - “In altri termini, l’anzianità da recuperare anche ai fini economici per mezzo del “riallineamento di carriera”, pari a un terzo dell’eccedenza oltre i quattro anni del servizio pre-ruolo riconosciuto in sede di “ricostruzione di carriera”, è un elemento già stabilito in quest’ultima e la sua utilità ai fini dell’attribuzione delle successive posizioni stipendiali dipende solo dall’avverarsi della prescritta condizione di compimento dell’anzianità di servizio. “ - “L’Istituzione scolastica ha, dunque, il dovere di adottare d’ufficio il provvedimento di “riallineamento di carriera”, tenendo conto di eventuali fattori di interruzione dell’anzianità di servizio prodottisi nel corso della carriera, di cui è tenuta ad effettuare accurata ricognizione, anche presso il personale interessato; quest’ultimo, a sua volta, ha il diritto – e la disponibilità delle connesse azioni giudiziali e stragiudiziali – di ottenere il provvedimento e di sollecitare la propria Amministrazione in caso d’inerzia”. - “gli importi di maggiore retribuzione eventualmente derivanti dall’adozione del provvedimento di “riallineamento di carriera” devono intendersi prescritti quando riferiti a periodi anteriori i cinque anni precedenti la data della prima sollecitazione del personale interessato atta a interrompere la prescrizione, ma solo qualora, nel caso validamente rinnovata agli stessi fini, essa sia stata presentata dopo il compimento del quinto anno successivo all’avverarsi delle condizioni di cui all’articolo 4, comma 3, del d.P.R. n. 399/1988; viceversa, la prescrizione quinquennale non è applicabile nel caso in cui detta prima sollecitazione, seguita da eventuali altri idonei atti interruttivi, e comunque l’adozione – anche ove d’ufficio – del provvedimento, abbiano avuto luogo prima del compimento del quinto anno successivo all’avverarsi delle condizioni ridette.” Ciò detto, le note del MEF, in realtà, non sono tese ad impedire al personale di vedersi riconosciute la maggiore anzianità (di per se imprescrivibile, come chiarito dalla richiamata circolare MEF-RGS n. 28 del 2/12/2021) e l’eventuale differenza retributiva derivante dalla diversa fascia economica spettante, piuttosto a circoscriverne gli effetti economici al quinquennio antecedente l’emanazione del decreto o dell’eventuale atto interruttivo presentato dagli interessati, soggiacendo i maggiori assegni (antecedenti detto quinquennio) alla disciplina contenuta nell’articolo 2948 del codice civile, relativa al termine di prescrizione ridotto a cinque anni. Tanto premesso, alla luce del quadro normativo sopra rappresentato, riteniamo che: - l’eventuale maturarsi della prescrizione non sia “esclusivamente ascrivibile al lavoratore che non abbia posto in essere atti interruttivi” (anche se sollecito dall’amministrazione a provvedere). Infatti, come si legge nella nota MEF, è l’Istituzione scolastica che ha “il dovere di adottare d’ufficio il provvedimento di “riallineamento di carriera” […]di cui è tenuta ad effettuare accurata ricognizione, ANCHE presso il personale interessato” il quale, “, a sua volta, ha il diritto (ndr. e non il dovere) – e la disponibilità delle connesse azioni giudiziali e stragiudiziali – di ottenere il provvedimento e di sollecitare la propria Amministrazione in caso d’inerzia”. Ciò significa, ad avviso dello scrivente, che l’eventuale mancato esercizio del diritto da parte dell’interessato (ancorché consapevole, ipso jure, di aver maturato i requisiti che determinano l’emissione d’ufficio del provvedimento di riallineamento ed anche della manifesta inerzia dell’Istituzione Scolastica) non solleva l’Amministrazione dai doveri posti in capo alla stessa dalla normativa vigente e dai conseguenti profili di responsabilità in caso di tardiva emissioni di provvedimenti da adottarsi d’ufficio . - Come indicato nella nota MEF, gli importi degli eventuali maggiori assegni derivanti dall’adozione del provvedimento di “riallineamento di carriera” sono prescritti quando riferiti a periodi anteriori i cinque anni precedenti la data dell’eventuale atto interruttivo presentato dagli interessati , nel caso in cui tale atto venga prodotto dopo il compimento del quinto anno successivo alla maturazione delle condizioni di cui all’articolo 4, comma 3, del d.P.R. n. 399/1988. Nel caso di mancata presentazione di atto interruttivo, riteniamo che siano prescritti i maggiori assegni riferiti a periodi anteriori i cinque anni precedenti la data di adozione del provvedimento di riallineamento, nel caso in cui tale provvedimento venga emanato dopo il compimento del quinto anno successivo alla maturazione dei requisiti previsti dalla norma (16°, 18° o 20° anno, a seconda del ruolo rivestito dai diversi interessati).

    Data di pubblicazione: 15/04/2025

  • È possibile affidare a una docente in pensione l'incarico di esperto esterno di teatro?
  • L'art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (come modificato dall'art. 6, comma 1, della legge n. 114 del 2014 e da ultimo dall’art. 17, comma 3) della Legge n. 124 del 7 agosto 2015 prevede che è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011 (tra le quali, come noto, rientrano anche le scuole), di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Gli incarichi di cui sopra sono comunque consentiti a titolo gratuito. In definitiva è stato introdotto che è fatto divieto per le Amministrazioni Pubbliche, ivi comprese le scuole, di conferire a ex lavoratori privati o pubblici collocati ora in quiescenza: a) incarichi di studio e di consulenza b) incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni. Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con la Circolare n.6 del 4 dicembre 2014, ha fornito chiarimenti sull' interpretazione e applicazione dell'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 recante il divieto di incarichi a soggetti in quiescenza; chiarimenti che confermano quanto da noi sopra sostenuto. Incarichi vietati, ad avviso della Funzione Pubblica, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati. Il legislatore ha voluto perseguire gli obiettivi sopra ricordati, vietando il conferimento a soggetti in quiescenza di incarichi e cariche che, indipendentemente dalla loro natura formale, consentono di svolgere ruoli rilevanti al vertice delle amministrazioni. Gli incarichi di studio e consulenza sono quelli che presuppongono competenze specialistiche e rientrano nelle ipotesi di contratto d'opera intellettuale, di cui agli articoli 2229 e seguenti del codice civile. Costituiscono incarichi di studio quelli consistenti nello svolgimento di un'attività di studio, che possono essere individuati con riferimento ai parametri indicati dal decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 338. Costituiscono consulenze le richieste di pareri a esperti (così Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, delibera 15 febbraio 2005, n. 6/CONTR/05). Tutte le ipotesi di incarico o collaborazione non rientranti nelle categorie finora elencate sono da ritenersi sottratte ai divieti di cui alla disciplina in esame. La deliberazione della Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per il Lazio, del 22 maggio 2024, n. 80, ha ribadito che il divieto agli incarichi di studio e di consulenza (oltre che direttivi e dirigenziali) non possa estendersi ad “attività di mera condivisione” quali la “formazione operativa e il primo affiancamento del personale neo assunto” (cfr. anche Sezione reg. contr. Liguria n. 66/2023) o ad “attività di mera assistenza” quali “attività caratterizzata, in negativo, dalla mancanza di competenze specialistiche che non rientri nelle ipotesi di contratto d’opera intellettuale del 2229 cc. (Sezione reg. contr. Lazio n. 88/2023)». Nell’ambito degli interventi PNRR, l’art. 10, comma 1, del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla Legge 29 giugno 2022, n. 79 (c.d. «Decreto PNRRbis») ha previsto che fino al 31 dicembre 2026 le Amministrazioni titolari di interventi PNRR possono conferire incarichi retribuiti ex art. 7, comma 6, D.Lgs. n. 165/2001, al personale collocato in quiescenza, in deroga al generale divieto di attribuire incarichi retribuiti ai lavoratori in quiescenza, previsto dall’art. 5, comma 9, del citato D.L. 95/2012 Pertanto la normativa di cui alla legge n. 135 è applicabile in caso di conferimento di consulenze o incarichi di studio secondo l'accezione di cui sopra. Una limitazione al conferimento di incarichi a soggetti in quiescenza è rappresentata dall’art. 25 della legge n. 724 del 1994 (richiamato anche dalla circolare della Funzione Pubblica n. 6 del 2014), che nel testo attualmente in vigore, prevede che al fine di garantire la piena ed effettiva trasparenza e imparzialità dell'azione amministrativa, al personale delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (il riferimento ora è all’art. 1 comma 2 del D.Lgs. n. 165 del 2001 che ricomprende nell’ambito delle amministrazioni pubbliche anche le scuole e gli istituti di ogni ordine e grado), che cessa volontariamente dal servizio pur non avendo il requisito previsto per il pensionamento di vecchiaia dai rispettivi ordinamenti previdenziali ma che ha tuttavia il requisito contributivo per l'ottenimento della pensione anticipata di anzianità previsto dai rispettivi ordinamenti (, non possono essere conferiti incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca da parte dell'amministrazione di provenienza o di amministrazioni con le quali ha avuto rapporti di lavoro o impiego nei cinque anni precedenti a quello della cessazione dal servizio. La Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per l’Umbria, con la sentenza n. 235 del 2006, ha precisato l’ambito di applicazione soggettiva ed oggettiva dell’art. 25 della legge n. 724/1994 di cui sopra ricordando che il “divieto” posto dal suddetto articolo , si riferisce oltre che agli “incarichi di consulenza, studi e ricerca”, anche agli incarichi di “collaborazione”. Il parere n. 460/2011 emesso dalla Sezione regionale di controllo per la Campania della Corte dei Conti, ha ribadito il divieto di conferimenti di incarichi professionali esterni a dipendenti in pensione di anzianità che abbiano svolto attività lavorative presso l’ente confermando l’applicazione dell’art. 25 della Legge n. 724/1994. Come detto sopra, il divieto di cui all'art. 25 della Legge n. 724 del 1994 comporta che al personale cessato volontariamente dal servizio non possono essere conferiti incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca da parte dell'amministrazione di provenienza o di amministrazioni con le quali ha avuto rapporti di lavoro o impiego nei cinque anni precedenti a quello della cessazione dal servizio. Pertanto, il divieto concerne il conferimento incarichi ad ex dipendenti cessati volontariamente dal servizio per conseguire il pensionamento di anzianità, i quali abbiano già intrattenuto con l’ente “rapporti di lavoro o impiego nei cinque anni precedenti a quello della cessazione dal servizio”. La Corte dei Conti Puglia, con la deliberazione n. 167/PAR/2010 del 15 dicembre 2010, ha così affermato: “Nel contesto dell’art. 25 della legge n. 724/1994, dunque, la ‘trasparenza’ e l’imparzialità’ passano da attributi generali dell’azione amministrativa a specifici beni-valori da tutelare, in relazione agli abusi intrinsecamente presenti nel conferimento di incarichi a chi, già dipendente dall’Amministrazione che attribuisce gli incarichi stessi, ha volontariamente posto fine al suo rapporto di servizio con l’Amministrazione medesima, così manifestando un chiaro disinteresse all’espletamento di ulteriore attività lavorativa con essa (Corte Conti, Sezione Giurisdizionale Umbria, n.235/2006). Risulterebbe infatti contraddittorio, e perciò in contrasto con i canoni di giustificatezza e ragionevolezza che presiedono alla trasparenza ed all’imparzialità amministrativa, ex artt. 3 e 97 della Costituzione, affidare incarichi ai dipendenti pubblici che volontariamente cessino dal servizio, dimostrando così di non volere più prestare il proprio operato a vantaggio della loro ex Amministrazione di appartenenza. E’ evidente infatti l’irrazionalità, anche economica, del conferimento di un incarico in simili condizioni, ove si consideri che l’attività commissionata con l’incarico stesso sarebbe stata remunerata con il solo stipendio, se il dipendente fosse rimasto ancora in servizio, laddove – dopo le dimissioni – il compenso per il ripetuto incarico si aggiunge alla pensione, ossia alla ‘retribuzione differita’ dall’ex dipendente medesimo, con un sensibile aumento dei costi complessivi generali e, soprattutto, senza assicurare una nuova professionalità di ricambio, alla conclusione dell’incarico”. La Corte Conti Emilia-Romagna sez. reg. contr., 10/11/2011, n. 105 ha affermato che non è conforme a legge il provvedimento col quale sono stati conferiti incarichi esterni a personale già dipendente dall'amministrazione, cessato volontariamente dal servizio per anzianità. Come detto la norma del 1994 prevede anche il divieto di incarichi di "collaborazione". Collaborazione è un termine generico che comprende qualsiasi rapporto tra una PA ed un soggetto esterno. Nel Quaderno n. 3 del MIM, anche nell'ultima edizione del dicembre 2024, non è stata affrontata detta questione specifica. A nostro avviso il termine collaborazione è onnicomprensivo e quindi, in via di stretta interpretazione letterale, qualsiasi incarico nei confronti del personale cessato volontariamente dal servizio con pensione anticipata ( come nel caso di specie) sarebbe vietato in presenza dei presupposti della citata legge n. 724 del 1994. Ricordiamo, inoltre, che un ulteriore limite al conferimento degli incarichi è rappresentato dal disposto dell’art. 43, comma 3, del DI 129/2018 ai sensi del quale è fatto divieto alle istituzioni scolastiche di acquistare servizi per lo svolgimento di attività che rientrano nelle ordinarie funzioni o mansioni proprie del personale in servizio nella scuola, fatti salvi i contratti di prestazione d'opera con esperti per particolari attività ed insegnamenti. Questione diversa ( che presumibilmente è quanto riportato dal patronato) è quella relativa alle decadenze dal trattamento di pensione anticipata in caso di attività lavorativa, ma questo attiene ai rapporti con l'INPS.

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