IS

Casi & Pareri

Ricerca:
Nel titolo Nel sommario
Nella domanda Nella risposta
Area tematica:
Data:
dal
al
Regione:
Argomenti:
(Tenere premuto CTRL durante la selezione per effettuare una scelta multipla)
Riferimenti normativi:
Gli argomenti più ricercati

    Ultime novità

    Data
    Pertinenza
    [1-25] di 41733

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Attività di programmazione e permessi brevi: sono da considerare ore di servizio effettivo?
  • Si ritiene che un'assenza che copra solo parte dell’orario di servizio del docente debba essere riguardata alla stregua di un permesso breve con conseguente applicazione del disposto dall'articolo 16 del CCNL comparto scuola del 2007. Il che significa, da un punto di vista della giustificazione, che il lavoratore può limitarsi ad addurre una “esigenza personale”, senza che vi sia necessità né di autocertificarla né tantomeno di documentare la presenza in studio in un determinato orario. Un simile regime di favore – rispetto a quello dei permessi per motivi personali o familiari di cui al c. 2 dell’art. 15 del CCNL del comparto scuola 2007 – trova del resto fondamento nella necessità di recupero delle ore non prestate da parte del lavoratore, a pena di trattenuta stipendiale. Tuttavia, l’ipotesi disciplinata dal citato art. 16 è tarata, per il personale docente, sui permessi fruiti durante l’orario di insegnamento. Rispetto a questi, nel caso di permessi fruiti durante lo svolgimento di attività funzionali o, come nel caso di specie, durante la programmazione, il problema non è attinente alla verifica di “compatibilità” del permesso con le esigenze di servizio: solo nelle riunioni degli organi collegiali che richiedono il collegio perfetto, il permesso breve è incompatibile – sotto il profilo formale – con l’attività dell’organo. Il problema è che al docente che ne fruisce deve essere richiesto dal dirigente, entro due mesi dalla fruizione del permesso, il corrispondente recupero al fine di evitare la decurtazione stipendiale prevista. La criticità risiede, in altri termini, proprio nelle modalità di recupero. Esso, anche alla luce dell’orientamento applicativo ARAN 22 marzo 2022 CIRS97, non può avvenire in attività di insegnamento ma solo in attività funzionali, data la infungibilità tra le due. In altri termini, delle ore di permesso fruite in occasione di una seduta di un organo collegiale o di una riunione di programmazione non può essere chiesto il recupero in corrispondenti ore di insegnamento. Come noto, tuttavia, le attività funzionali sono programmate prima dell’avvio dell’anno scolastico e per l’intera durata dello stesso. Trovare margine per un simile recupero risulta comunque assai difficoltoso. Le ore di programmazione, peraltro, devono necessariamente svolgersi nell’ambito di “incontri collegiali dei docenti interessati” (cfr. art. 43, c. 5, CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021). Si consiglia comunque, in quest’ultimo caso, di offrire la possibilità di recupero delle ore di attività funzionali al docente, anche al di fuori di incontri collegiali, al fine di evitare la decurtazione stipendiale prevista in caso di mancato recupero entro i due mesi successivi al permesso. In altri termini, la programmazione sarà svolta dal docente al di fuori del proprio orario di insegnamento e documentata attraverso le apposite funzionalità del registro elettronico.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Congedo per donne vittime di violenza e anno di prova: giorni utili o esclusi dal computo dei 180?
  • I periodi di congedo per donne vittime di violenza per una docente neoimmessa in periodo di prova vanno esclusi dal computo dei 180 giorni...

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Individuazione del tutor per docente neo immesso in ruolo di Violino: compatibilità con docenti di altre classi di concorso strumentali...
  • Il docente neoassunto a tempo indeterminato è tenuto a svolgere il periodo di formazione e prova che implica attività formative, inclusi incontri in presenza, laboratori formativi, attività di peer to peer e formazione on-line. Per tale percorso, il ruolo del docente tutor è determinante. In base all’art. 12 del D.M. n. 226/2022, questi, designato dal dirigente scolastico acquisito il parere del collegio dei docenti, ha il compito principale di affiancare il docente neoassunto, fornendo collaborazione e supervisione professionale, accogliendolo nella comunità professionale e favorendo la partecipazione alla vita collegiale. Il tutor svolge anche un'istruttoria da presentare al comitato di valutazione. Per quanto riguarda i criteri di individuazione del docente tutor, il citato art. 12, al comma 2, indica una chiara priorità, in particolare per la scuola secondaria: “Il docente tutor appartiene, nella scuola secondaria di primo e secondo grado, alla medesima classe di concorso dei docenti in periodo di prova a lui affidati, ovvero è in possesso della relativa abilitazione. In caso di motivata impossibilità, si procede alla designazione per classe affine ovvero per area disciplinare.” Alla luce dei criteri stabiliti per la designazione del tutor, data l’assenza di docenti a tempo indeterminato della medesima classe di concorso del neoimmesso: - va innanzitutto indagata l’eventuale presenza, nell’istituto, di docenti in possesso della abilitazione per la classe di concorso AM56; - in caso di motivata impossibilità di ricorrere a docenti in possesso della relativa abilitazione, come detto, bisogna individuare il tutor tra chi appartiene a una classe affine o a una medesima area disciplinare. Nel caso di specie, è evidente che sia il docente che insegna chitarra che quello che impartisce l’insegnamento del violoncello appartengano alla medesima area disciplinare del neoimmesso. Né la normativa vigente in materia di accesso all’insegnamento dello strumento musicale nella scuola secondaria di primo grado fornisce indicazioni ulteriori per poter preferire l’uno o l’altro in sede di conferimento dell’incarico. Si suggerisce dunque di scegliere il tutor tra di essi sulla base dei criteri prioritari declinati nel comma 3 dell’art. 12 del D.M. n. 226/2022, secondo cui: “Sono criteri prioritari per la designazione dei docenti tutor il possesso di uno o più tra i titoli previsti per la designazione dei docenti tutor per i percorsi di abilitazione previsti dalla normativa vigente e il possesso di adeguate competenze culturali, comprovate esperienze didattiche, attitudine a svolgere funzioni di tutoraggio, counseling, supervisione professionale.” Il riferimento è alla tabella 2 dell’allegato A del D.I. 28/12/2023 secondo cui: “Possono concorrere all'incarico di tutor coordinatore i docenti in servizio a tempo indeterminato al momento della presentazione della domanda, che siano in possesso dei seguenti requisiti: A.2.1. essere docente a tempo indeterminato nella specifica classe di concorso, prioritariamente con almeno cinque anni di servizio a tempo indeterminato di cui almeno tre di insegnamento effettivo nella classe di abilitazione di riferimento negli ultimi dieci anni; A.2.2. Avere svolto attività documentata in almeno tre dei seguenti ambiti: a) esercizio della funzione di supervisore del tirocinio nei corsi di laurea in scienze della formazione primaria, nelle scuole di specializzazione all'insegnamento superiore e nei percorsi di cui ai decreti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 7 ottobre 2004, n. 82 , e 28 settembre 2007, n. 137 , ovvero di tutor organizzatore o coordinatore nei corsi di laurea in Scienze della formazione primaria o dei percorsi di tirocinio formativo attivo di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249 , o di coordinamento dei di tutor dei docenti neoimmessi in ruolo (punti 6); b) insegnamento ovvero conduzione di gruppi di insegnanti in attività di formazione in servizio nell'ambito di offerte formative condotte da soggetti accreditati dal Ministero dell'istruzione e del merito e della durata di almeno dieci ore (punti 2); c) esercizio della funzione di docente accogliente nei corsi di laurea in scienze della formazione primaria, nelle scuole di specializzazione all'insegnamento superiore e nei percorsi di cui ai decreti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 7 ottobre 2004, n. 82 , e 28 settembre 2007, n. 137 , o di tutor dei tirocinanti per i corsi di laurea in Scienze della formazione primaria, i percorsi di tirocinio formativo attivo e di specializzazione sul sostegno di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249 , nonché di tutor dei docenti neoimmessi in ruolo (punti 2); d) tutor o formatore in iniziative di formazione del personale docente organizzate dal MIUR/MI/MIM ovvero dall'Indire o dall'Invalsi (3 punti); e) insegnamento ovvero conduzione di laboratori didattici presso i corsi di laurea in scienze della formazione primaria, le scuole di specializzazione all'insegnamento superiore e i percorsi di cui ai decreti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 7 ottobre 2004, n. 82, 28 settembre 2007, n. 137, e 10 settembre 2010, n. 249 (punti 6); f) partecipazione a gruppi di ricerca didattica gestiti dall'università o da enti pubblici di ricerca (punti 3); g) pubblicazioni di ricerca disciplinare ovvero didattico/metodologica, anche di natura trasversale alle discipline, ovvero sulla formazione docente (da punti 1 a punti 5); h) partecipazione a progetti di sperimentazione ai sensi degli articoli 277 e 278 del decreto legislativo n. 297/1994 (punti 2); i) titolo di dott. di ricerca in didattica (punti 6); j) attività di ricerca ovvero di insegnamento nelle università o nelle istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica aventi come oggetto o in percorsi preposti alla formazione didattica e disciplinare degli insegnanti (punti 3); k) abilitazione scientifica nazionale a professore di I o II fascia (per ciascun titolo) (punti 6); l) direzione di corsi finalizzati alla formazione di tutor ovvero alla formazione e all'aggiornamento didattico svolti presso le università e le istituzioni AFAM (punti 6); m) avere seguito corsi di formazione per il personale scolastico all'estero nell'ambito di programmi comunitari (Long Life Learning Programme, Leonardo Da Vinci, Pestalozzi) e dell'insegnamento con metodo didattico Montessori (punti 6); n) incarico di collaboratore del dirigente scolastico in attività di supporto organizzativo all'istituzione scolastica, ai sensi dell'art. 25, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e ai sensi dell'art. 1, comma 83, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (punti 6); o) funzione strumentale, o incarico attribuito ai sensi dell'art. 1, comma 83, della legge 13 luglio 2015, n. 107, purché concernente la formazione docenti (punti 3).”

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Ricovero ospedaliero e malattia per grave patologia: chiarimenti su decorrenza del comporto, riduzioni stipendiali e documentazione richiesta...
  • In caso di assenza per grave patologia, l’art. 17, comma 9, del CCNL 2007 prevede che in caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia, di cui ai commi 1 e 8 del citato articolo 17 (che disciplinano, rispettivamente, il periodo massimo di comporto e la retribuzione spettante in caso di assenza per malattia), oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital anche quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie; pertanto per i giorni anzidetti di assenza spetta l'intera retribuzione. Ciò premesso, allorché in sede di visita medica collegiale la Commissione Medica non pervenga al normale giudizio del riconoscimento dell’inidoneità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa non le è precluso il potere di esprimere giudizi più limitati, come ad esempio sulla durata dell’infermità (come per l’appunto è avvenuto nel caso di specie): in questi casi trattasi di malattia temporanea da cui scaturisce l’obbligo per il d.s. di collocare, con apposito provvedimento, il dipendente interessato in malattia di ufficio a meno che non trattasi di inidoneità relativa e il dipendente chieda di essere utilizzato in altri compiti. Tale periodo di assenza è valutato, quale assenza per malattia, sia ai fini della retribuzione che in merito al superamento del periodo di comporto ai sensi dell’art. 17 del CCNL 2007, non essendo stata prevista dal legislatore alcuna esclusione dal suddetto computo e dalla decurtazione della retribuzione, come invece ha fatto in altre occasioni (es. assenza per gravi patologie ai sensi dell’art. 17 comma 9 del CCNL 2007). Pertanto, il periodo in malattia d’ufficio si deve cumulare con le altre assenze per malattia (nel triennio precedente la visita medica collegiale) ai fini del calcolo della durata massima dell’assenza. Come già detto in precedenti risposte, le certificazioni di grave patologia presentate dal dipendente successivamente alla visita collegiale sono, a nostro avviso, irricevibili in quanto la scuola è obbligata a collocare d’ufficio il dipendente stesso in malattia quale atto dovuto a seguito del referto della Commissione Medica. Infatti, il presupposto giustificativo dell’assenza per malattia del dipendente è il verbale della visita medica collegiale; conseguentemente, una volta che lo stesso è già assente per malattia non avrebbero alcun valore i successivi certificati medici di grave patologia presentati. Ad ogni modo, si può ragionare in modo differente se il dipendente al momento della visita collegiale era già assente per grave patologia e quindi allo stato vi era (e vi è) un certificato di grave patologia. In definitiva, a nostro avviso, l’unica possibilità per imputare l’assenza a grave patologia è che dal certificato risulti che il dipendente si era sottoposto a terapie invalidanti prima del verbale della commissione; in questo caso la decorrenza degli effetti invalidanti delle terapie sono antecedenti ad un eventuale collocamento in malattia di ufficio e quindi l’assenza può essere imputata all’art. 17, comma 9, per tutto il periodo di prognosi presente nel certificato. Conclusivamente, la scuola deve verificare se al momento del giudizio della CMV il dipendente era già collocato in grave patologia con idonea certificazione secondo quanto sopra descritto. Nel caso di specie il dipendente ha prodotto solo in data 23/10/2025 (quando era già stato collocato in malattia d’ufficio a seguito del verbale della CMV) un certificato del MMG attestante la grave patologia per la quale effettua terapia salvavita per il suddetto periodo; ne consegue, a nostro avviso, che è corretto il collocamento in malattia d’ufficio e che la scuola non deve procedere all’annullamento del precedente decreto.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Passaggi burocratici per l'intitolazione dell'aula magna a una docente scomparsa in istituto con vincoli storico-artistici...
  • Sulla intitolazione delle scuole e delle aule il Ministero ha emanato la circolare n. 313 del 12/11/1980, che fa richiamo, a sua volta, a una disposizione legislativa risalente nel tempo (la legge 1188 del 23 giugno 1927). Secondo la procedura della circolare 313/1980 occorre in primo luogo la deliberazione del consiglio di istituto, sentito il collegio dei docenti. La delibera viene quindi trasmessa all’ufficio scolastico (all’epoca il Provveditorato agli Studi) che acquisisce le valutazioni del Prefetto e della Giunta comunale; si rileva, circa la casistica dedotta nel quesito, che ove sia richiesta la intitolazione a persona deceduta da meno di 10 anni, il Prefetto deve richiedere il parere anche al Ministero dell’Interno. Sempre secondo la predetta circolare, l’ufficio scolastico territoriale, in presenza del parere favorevole dei citati organi amministrativi, emana il decreto di intitolazione inviandolo alla scuola e al Ministero. Come riportato in altra risposta a quesito analogo, la circolare 313 è del 1980 ovvero in un momento di molto precedente il riconoscimento della autonomia alle istituzioni scolastiche e quindi alla attuale ripartizione e coordinamento di funzioni fra organi dell’amministrazione scolastica e istituzioni scolastiche diventate autonome. Su talune materie di applicazione non frequente, regolamentate per disposizioni risalenti nel tempo, non è intervenuta una disciplina di dettaglio per adeguarle alla nuova configurazione delle competenze e dei rapporti fra amministrazione e istituzioni scolastiche autonome. Così, in materia di intitolazione delle scuole o suoi locali , il passaggio di competenza alle istituzioni scolastiche autonome, circa la richiesta al Prefetto e alla Giunta comunale, non è stato esplicitamente riportato in normativa successiva; a nostro parere si desume per via interpretativa con il richiamo all’articolo 14 del DPR 275/1999, e in particolare al comma 1 laddove si rimette alla autonomia scolastica l’amministrazione e gestione del patrimonio. E’ pertanto un passaggio che, proprio per la mancata esplicitazione in disposizioni ministeriali (come anche per altre materie, peraltro), non viene conosciuto (o riconosciuto) da organi facenti capo ad altre amministrazioni le quali, pertanto, sulla base di disposizioni vecchie e ormai cristallizzate, continuano a rapportarsi con gli organi periferici della amministrazione scolastica. Questa d’altronde, per impulso autoconservativo, è ovviamente restia a “cedere” competenze la cui rimessione alle scuole non viene chiaramente indicata da normativa secondaria. Nel caso del quesito, l'istituto può procedere secondo la linea interpretativa fondata sulla competenza della scuola e trasmettere al Prefetto e alla Giunta comunale, per il successivo iter, la proposta corredata delle delibere del collegio e del consiglio di istituto. Ove poi il Prefetto e il Presidente della Giunta comunale eccepiscano di non poter procedere per difetto nella trasmissione (da parte della scuola e non dell’USR o sue articolazioni territoriali) , la scuola, al fine di pervenire alla soluzione della questione, potrà conformarsi strettamente alla procedura della C.M. 313/1980. Quanto alla particolare collocazione della scuola in una villa storica, saranno il prefetto e la giunta comunale a esprimere eventuali riserve e contrarietà.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Passaggio di indirizzo da Liceo Scientifico tradizionale a Liceo Scientifico: obbligo dell’esame integrativo e possibilità di cambiamento in corso d’anno...
  • Il recente D.L. 127/2025 contiene indicazioni flessibili per quanto concerne gli studenti frequentanti il primo biennio; rimangono, anzi trovano aggiornata base giuridica, le regole per i passaggi da un indirizzo all'altro del sistema nazionale di istruzione per le classi successive. A ciò si aggiunga che non vengono modificate le indicazioni del Testo unico sulla calendarizzazione delle sessioni di esame. A tal proposito, si riporta il testo del comma 3 dell'articolo 1 del DL 127/2025: ...... A decorrere dal terzo anno dei percorsi della scuola secondaria di secondo grado, gli studenti, all'esito dello scrutinio finale, possono richiedere l'iscrizione a una classe corrispondente di altro percorso, indirizzo, articolazione o opzione del medesimo grado di scuola, presso l'istituzione scolastica individuata per la prosecuzione degli studi, previo superamento di un esame integrativo. L'esame integrativo si svolge in un'unica sessione da concludersi prima dell'inizio delle lezioni.... Non si ritiene, pertanto, che alla studentessa possa essere consentito il passaggio in corso d'anno.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Validità ai fini di carriera del periodo di sospensione dal servizio con decurtazione stipendiale...
  • Riprendendo precedenti risposte, precisiamo preliminarmente che le sanzioni disciplinari di norma interrompono e ritardano la progressione della carriera quando questa è prevista, ovvero durante il servizio di ruolo. Tuttavia, poiché a tutt'oggi il personale assunto a tempo determinato non ha una progressione della carriera, le sanzioni comminate, allorché il dipendente era assunto a tempo determinato, non possono né interrompere né ritardare la carriera. La situazione descritta (provvedimento disciplinare con sospensione dal servizio per un periodo di 10 giorni nell’anno 2011) presenta quindi una criticità logica nell'elaborazione SIDI che merita un chiarimento sulla normativa applicata. L'Art. 494 del D.Lgs. 297/94 (Testo Unico) stabilisce che la sospensione dall'insegnamento e dalla retribuzione a seguito di provvedimento disciplinare. Il periodo di sospensione • Non è utile ai fini pensionistici, previdenziali e di carriera. • Comporta, durante il ruolo, il ritardo di uno o 2 anni “nell'attribuzione dell'aumento periodico dello stipendio”. • Non è utile ad ogni altro fine del rapporto di impiego (ferie, tredicesima). • La retribuzione è sospesa con diritto all’assegno alimentare al 50% ai sensi dell'Art. 500. Il principio cardine è che il periodo di sospensione disciplinare, essendo una sanzione, interrompe l'utilità del servizio. Pertanto, a mente delle disposizioni di cui al D.Lgs 297/1994, quei 10 giorni non dovrebbero essere computati nell'anzianità di servizio riconosciuta ai fini della ricostruzione di carriera. E infatti non vengono computati, ma, trattandosi di servizio a tempo determinato, in sede di riconoscimento dei servizi si applicano le disposizioni riguardanti il pre-ruolo Per quanto concerne l’inserimento dell’assenza, il codice SIDI utilizzato (SN01) è corretto. Tuttavia, come rilevato nel quesito, il SIDI, per il periodo in questione, non riduce l'anzianità del servizio riconosciuto, a differenza di un'assenza analoga durante il ruolo, dove, invece, viene slittata la progressione. Le ragioni sono le seguenti: • Nel servizio di Ruolo, in SIDI, un giorno di assenza non utile (come la sospensione da servizio, l’aspettativa per motivi personali non retribuita, ecc.) posticipa la maturazione dello scatto di anzianità • Nel servizio non di Ruolo il sistema SIDI invece riconosce il servizio basandosi sui giorni totali di servizio prestato nell'anno (la c.d. "annualità di servizio" di almeno 180 giorni) Il servizio pre-ruolo è pertanto riconosciuto, ai sensi della Legge 124/99 e dell’art. 485 del D.Lgs 297/1994 , se è stato prestato per almeno 180 giorni nell'anno scolastico o se il servizio è stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino agli scrutini. Pertanto, se il docente ha comunque raggiunto i 180 giorni di servizio effettivo nell'anno scolastico 2010/2011, nonostante i 10 giorni di sospensione, il SIDI considera l'intera annualità valida, ai fini del riconoscimento del servizio pre-ruolo, trattandosi di docente (presumibilmente) immesso in ruolo antecedentemente l’a.s. 2023/2024 (vedi modifiche all’art. 485 del D.Lgs 297/1994 operate dal DL 69/2023, convertito con L. 103/2023). Concludendo, riteniamo che la ragione per cui il SIDI non applica la riduzione del servizio a tempo determinato è legata al fatto che i 10 giorni di assenza non utile non hanno compromesso il raggiungimento della soglia minima dei 180 giorni necessari per il riconoscimento dell'intera annualità di servizio pre-ruolo.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Permessi L. 104 per docente adottato: possibilità di assistenza alla madre naturale in assenza dei genitori adottivi?
  • L’art. 33, comma 3 della legge 104/92 per quello che concerne i canonici tre giorni mensili stabilisce quanto segue. “Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un'unione civile ai sensi dell'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un'unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l'assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro”. Mentre per quello che concerne la condizione di figlio adottato in sintesi alcuni chiarimenti. L’ordinamento italiano, applicazione della legge 184 del 1983, prevede oggi quattro principali forme di adozione: - l’adozione piena o legittimante; - l’adozione internazionale; - l’adozione in casi particolari; - una disciplinata dal codice civile, agli artt. 291 e seguenti: l’adozione di persone maggiorenni. Ognuna di queste forme ha presupposti, finalità e conseguenze giuridiche differenti. L’adozione, comunque, si conclude con un atto del Tribunale, che viene poi trascritta nei registri dello stato civile. Gli effetti principali sono che l’adottato diventa a tutti gli effetti figlio degli adottanti, ne assume il cognome e cessano i rapporti legali con la famiglia di origine. In merito ai benefici previsti dalla legge 104/92 quindi i genitori “cosiddetti giuridici “hanno gli stessi diritti dei genitori naturali. Mentre, la madre biologica di un figlio adottato non può beneficiare della Legge 104 perché, con l'adozione, i legami giuridici con la famiglia d'origine si estinguono e i diritti-doveri si trasferiscono ai genitori adottivi. L’art. 33 indicato in premessa si riferisce espressamente ai familiari e al grado di parentela di cui agli artt. 76 e 78 del codice civile. La Corte di Cassazione, con la Sentenza 29/08/2024, n.23324, ha ricordato che la Corte costituzionale (sentenza n. 183 del 2023) ha precisato che l'articolo 27, comma 3, della legge n. 184 del 1983 non esclude che, nel caso in cui debba procedersi all'adozione piena, il giudice possa ravvisare un preminente interesse del minore a mantenere talune positive relazioni socio-affettive del minore con alcuni dei componenti della famiglia di origine. La cessazione dei rapporti con la famiglia biologica, prevista dalla norma, attiene, infatti, al solo piano delle relazioni giuridico-formali. Quanto, invece, alla interruzione dei rapporti di natura socio-affettiva, la norma racchiude una presunzione solo iuris tantum che il distacco di fatto dalla famiglia d'origine realizzi l'interesse del minore. Simile presunzione non esclude che, sulla scorta degli indici normativi desumibili dalla stessa legge n. 184 del 1983, letti nella prospettiva costituzionale della tutela del minore e della sua identità personale, il giudice possa accertare che la prosecuzione di significative, positive e consolidate relazioni socio-affettive con alcuni componenti della famiglia d'origine realizzi il migliore interesse del minore e, per converso, la loro interruzione sia tale da cagionare allo stesso un pregiudizio. La combinazione di indici astratti e di accertamenti di fatto consente, pertanto, al giudice di vincere la presunzione, sottesa all'articolo 27, comma 3, della legge n. 184 del 1983, che la cessazione delle relazioni socio-affettive, in conseguenza della rottura del legame giuridico-parentale, sia in concreto nell'interesse del minore. Quindi, si ritiene che nello specifico caso di cui al quesito, la domanda non può essere accettata. Il docente a nostro avviso non può richiedere i permessi per la madre naturale. Per una eventuale conferma si consiglia di leggere, eventualmente, l’atto di adozione.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Pagamento errato su NoiPA per gli esami di Stato: modalità di recupero della somma versata a un docente non in servizio...
  • Come detto in precedenti risposte, la questione del recupero degli indebiti pagamenti per compensi accessori (quali gli Esami di Stato), liquidati mediante Cedolino Unico/NoiPA, pone alle scuole alcune difficoltà in quanto è necessario acquisire una serie di informazioni che, oggettivamente, non sono di facile reperibilità. In riferimento al quesito posto, si premette che la più recente giurisprudenza amministrativa ha, da tempo, affermato la natura doverosa e non rinunciabile dell’azione di ripetizione di somme percepite e non dovute: “la percezione di emolumenti non dovuti da parte dei pubblici dipendenti impone all’Amministrazione l’esercizio del diritto-dovere di ripetere le relative somme ai sensi dell’art. 2033 c.c.; il recupero è atto dovuto, privo di valenza provvedimentale e costituisce il risultato di attività amministrativa, di verifica e di controllo …….. quindi necessariamente da recuperare e/o da trattenere in caso di accertata loro non debenza, a tutela proprio dell’erario e dell’utenza, in tempi ragionevoli con riguardo alla singola fattispecie". Anche la giurisprudenza della Corte dei Conti afferma che “in caso di indebita erogazione di denaro al pubblico dipendente, la buona fede di quest’ultimo non preclude la ripetizione degli emolumenti erroneamente corrisposti – attesa la sussistenza in capo all’Ente di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale”. (Corte dei Conti -Sezione regionale di controllo per il Lazio, deliberazione 15/06/2015, n. 125) Secondo la giurisprudenza di legittimità, in caso di indebito retributivo, il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore ha effettivamente percepito in eccesso (somma netta) e non può pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente. Diversamente, si avrebbe un aggravio ingiustificato per il lavoratore medesimo costretto a rifondere più di quanto concretamente percepito. (Cass., ordinanza n. 1963 del 23 gennaio 2023; Cassazione, sezione lavoro, sentenze 2 febbraio 2012, n. 1464 e 25 luglio 2018, n. 19735; TAR Toscana, sezione I, sentenza 22 giugno 2017, n. 858; n. 120/2015). Quindi, in linea con quanto sopra detto, si conferma che la restituzione deve riguardare solo le somme “effettivamente” percepite, ovvero quelle entrate nella concreta disponibilità del percettore, esaminando l’art. 150 del D.L. n. 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio) rubricato “Modalità di ripetizione dell’indebito su prestazioni previdenziali e retribuzioni assoggettate a ritenuta alla fonte a titolo di acconto”, che ha inserito il comma 2 bis all’articolo 10 del Tuir (D.P.R. 917/1986). Perciò, a partire dal 1° gennaio 2020, le somme indebitamente erogate al lavoratore o al pensionato, se assoggettate a ritenuta, devono essere restituite al sostituto d’imposta al netto della ritenuta operata al momento dell’erogazione e non costituiscono oneri deducibili, quindi solo nei limiti di quanto percepito effettivamente da quest’ultimo, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente. (inter alia Cass. civ., sez. I, 4 settembre 2014, n. 18674). Anche recente giurisprudenza (ad es., TAR Sicilia, sez. Catania, sentenza n. 1200/2021) ha confermato tale orientamento. A livello procedurale, è fondamentale, nel caso di specie, individuare su NoiPa (Archivio documenti/Cedolino Unico) l’intera SOMMA NETTA erroneamente percepita dal docente, che corrisponde al totale dei maggiori assegni da recuperare. Una volta individuato l’importo esatto del debito, sarà necessario, per il recupero, inviare apposita nota alla al docente, comunicando: - l’entità del debito e i motivi che lo hanno originato ( in questo caso “erroneo pagamento Esami di Stato a.s. 2024/2025 - recupero indebita liquidazione mese di __________ anno ______”) - l'obbligo di versare l’importo della somma erroneamente accreditata alla Tesoreria Centrale - Capo XIII - cap. 363804” - Codice IBAN IT40P0100003245BE00000002ZH (nuovo codice IBAN valido dal 01.01.2025 - https://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit--i/Tesoreria/Codici-IBA/codici-iban-entrate.pdf ) causale “Restituzione indebito pagamento compenso Esami di Stato a.s. 2024/2025 capitolo/piano gestionale ____/___ (2549/07 - come indicato a sistema) mese/i di __________ anno ______” - richiesta di trasmettere alla Scuola la quietanza del versamento effettuato. Dopo aver ricevuto copia della quietanza, l’Istituto dovrà inviare comunicazione al Ministero dell’Istruzione e del Merito - Dipartimento per le risorse, l’organizzazione e l’innovazione digitale - Direzione generale per l’edilizia scolastica, le risorse e il supporto alle istituzioni scolastiche - Ufficio VII, indicando la somma recuperata, i motivi della restituzione e la richiesta di riassegnazione dell’importo al capitolo/piano gestionale originario (2549/07, come indicato a sistema). Alla lettera dovrà essere allegata la quietanza prodotta dalla dipendente. Sarà necessario inoltre comunicare contestualmente a NoiPA l'avvenuta restituzione degli emolumenti , allegando copia del versamento effettuato, per il recupero/compensazione delle ritenute previdenziali ed erariali versate in eccesso (azione di sua competenza in quanto ente pagatore/sostituto d'imposta) e la dovuta rettifica della Certificazione Unica.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Assenze continuative per malattia del figlio e permesso personale: gestione SIDI e conteggio del sabato e della domenica...
  • Relativamente al congedo parentale e congedo per malattia del bambino, il comma 5 dell’art. 34 del CCNL 2024 prevede che i periodi di assenza di cui ai precedenti commi 3 e 4 (congedo parentale e congedo per malattia del bambino), nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all'interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice (prima il riferimento normativo era l'art. 12 del CCNL 2007 citato nei pareri ARAN che andiamo a riportare). Pertanto, alla luce della suddetta disposizione contrattuale, se tra due periodi di congedo parentale/ malattia del bambino non intercorre almeno un giorno di lavoro effettivo, devono essere computati o come congedo parentale o come congedo malattia anche i sabati e le domeniche ricompresi tra gli stessi. A supporto si riporta l'orientamento SCUOLA 060 del 23/05/2013. "Nel caso di assenza di un dipendente di tipo ciclica, cioè che ha inizio con un periodo di congedo parentale e termina con la fruizione dello stesso congedo, intervallato da altra tipologia di assenza, senza però che si verifichi il rientro effettivo del docente, le giornate del sabato e della domenica come devono essere computate? Si fa presente che ai sensi dell'art. 12, comma 6, del CCNL 29/11/2007 (congedi parentali) "6. I periodi di assenza di cui ai precedenti commi 4 e 5, nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all'interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice." In relazione alla nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, da voi citata, sembra chiaro, dall’esempio relativo al caso 2, che nel quesito da voi esposto ci si trovi di fronte ad un’assenza di tipo ciclica che ha inizio con un periodo di congedo parentale e termina con la fruizione dello stesso congedo, intervallato da altra tipologia di assenza, senza però che si verifichi il rientro effettivo del docente, in quanto le assenze per L. 104 ricadono all’interno di due differenti frazioni di congedo parentale senza nessuna ripresa del servizio". La citata Nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, fornisce una serie di esempi e modalità di computo del congedo. Nel caso in cui un lavoratore, con orario di lavoro articolato su cinque giorni lavorativi (c.d. settimana corta), fruisca di congedo parentale nel seguente modo: 1^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale Sabato e domenica 2^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie - malattia - assenza ad altro titolo Sabato e domenica 3^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie o malattia o assenza ad altro titolo Sabato e domenica 4^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale il sabato e la domenica compresi tra la seconda e la terza settimana non sono computabili, né indennizzabili a titolo di congedo parentale in quanto tali giorni - compresi in un periodo unico di congedo parentale posto che, dalla prima alla quarta settimana, non vi è ripresa dell’attività lavorativa - risultano comunque ricompresi all’interno di un periodo di assenza fruita ad altro titolo (periodo neutro ai fini di interesse). Viceversa, il sabato e la domenica ricadenti tra la prima e la seconda settimana e tra la terza e la quarta sono computabili ed indennizzabili in conto congedo parentale in quanto tali giorni cadono, rispettivamente, subito dopo e subito prima il congedo parentale richiesto. Quanto sopra vale anche nei casi in cui il lavoratore alterni congedo parentale e ferie nel seguente modo: dal martedì al giovedì = congedo parentale venerdì = ferie sabato e domenica lunedì= ferie dal martedì a giovedì = congedo parentale. Anche in tale ultima ipotesi, infatti, il sabato e la domenica non si computano a titolo di congedo parentale in quanto inclusi in un periodo, seppur breve, di ferie (venerdì e lunedì). A chiarimento di quanto sopra esposto l'INPS fornisce ancora due possibili casi: Caso 1 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = ripresa del lavoro Caso 2 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = congedo parentale venerdì = ripresa del lavoro Nel primo caso (caso 1) il sabato e la domenica rimangono evidentemente esclusi dal computo del congedo parentale in quanto la frazione di congedo termina il venerdì (infatti, successivamente alle ferie, il lavoratore riprende l’attività lavorativa). Viceversa, nel secondo caso (caso 2), il sabato e la domenica vanno conteggiati ed indennizzati in conto congedo parentale in quanto tali giorni sono compresi in un’unica frazione di congedo (dal lunedì della prima settimana al giovedì della seconda) e ricadono immediatamente dopo il congedo parentale. I criteri sopra indicati trovano applicazione anche nell’ipotesi in cui il lavoratore, avendo già richiesto un periodo di congedo parentale, presenti un’altra domanda (o diverse domande) di congedo parentale determinanti di fatto una proroga del periodo di congedo precedentemente richiesto. L'ARAN, con l'O.A. CIRS46 24 febbraio 2021 ha ulteriormente precisato che nell’ipotesi, ad esempio, che il lavoratore o la lavoratrice richiedano 4 giorni di congedo parentale (lunedì –giovedì), 1 giorno di ferie (venerdì) e successivamente altri 4 giorni di congedo parentale (lunedì – giovedì), il sabato e la domenica ricadenti nei due periodi di congedo, non essendo gli stessi intervallati dal ritorno al lavoro, sono considerati congedo parentale e conteggiati nell’ambito di tali assenze. Conclusivamente, anche alla luce dell’ultimo Orientamento citato, si ritiene che sabato e domenica, per presunzione di continuità, siano da imputare a malattia del bambino. Per quanto concerne la supplenza, a questa spetta la proroga, e si dovrà procedere con la predisposizione di 3 contratti come richiesto dal SIDI. Si specifica infatti che per quanto riguarda la proroga dei contratti di supplenza, l'O.M. 88/2024 all'art. 13, comma 11 relativo alle supplenze brevi e temporanee prevede che: "Al fine di garantire la continuità didattica, ove al primo periodo di assenza del titolare ne consegua un altro, o più, senza soluzione di continuità o interrotti solo da giorno festivo o da giorno libero dall’insegnamento, ovvero da entrambi, la supplenza temporanea è prorogata nei riguardi del medesimo supplente già in servizio, a decorrere dal giorno successivo a quello di scadenza del precedente contratto." Pertanto nel caso in questione al primo contratto che termine di venerdì 7/11 a seguito della nuova assenza del lunedì segue la proroga dello stesso contratto dal sabato 8 fino al lunedì 10 e poi altra proroga il martedì 11.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Iscrizione di alunno con percorso scolastico interrotto alla seconda primaria: scelta della classe nella scuola secondaria di primo grado...
  • La prima verifica da fare concerne l’evasione dall’obbligo scolastico; infatti, in caso di mancata frequenza, la famiglia avrebbe potuto avvalersi dell’istruzione parentale, ma, in tal eventualità, l’alunno avrebbe dovuto sostenere gli esami di idoneità alla fine di ogni anno scolastico. Sarebbe quindi consigliabile acquisire il fascicolo personale dell’alunno chiedendone copia all’istituzione scolastica dove ha frequentato l’ultimo anno. In caso di completa evasione, secondo quanto previsto dal DL 123/2023, la scuola di provenienza avrebbe dovuto segnalare la situazione al Comune di residenza in modo che, in caso di mancato rientro alla frequenza, il Sindaco avrebbe prodotto la dovuta segnalazione alla Procura ordinaria per l’applicazione delle sanzioni penali normativamente previste. In ogni caso, si consiglia di segnalare il caso al Sindaco del Comune di residenza, in modo da poter “allertare” i servizi sociali. Per quanto concerne la riammissione alla frequenza, fermo restando che l’alunno avrebbe dovuto sostenere gli esami di idoneità nei tempi e con le procedure previste dal DM 5/2021, si ritiene che, al fine di garantire il diritto all’istruzione, sia opportuno sottoporlo, pur fuori termine, a prove di verifica finalizzate a valutare le competenze possedute, soprattutto quelle concernenti la padronanza della lingua italiana e le “basi” fondamentali della Matematica. Pur non conoscendo la situazione specifica, si può ipotizzare l’ammissione non alla terza, ma alla seconda classe della scuola secondaria di primo grado, in modo da favorire il riallineamento delle competenze e il recupero e così da consentirgli, previa ammissione alla classe terza per scrutinio finale, di seguire per intero tale classe e di sostenere poi, alla fine del prossimo anno scolastico, gli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Esame di Stato per un alunno proveniente dall’estero: iscrizione per età anagrafica senza titolo conclusivo del primo ciclo...
  • La questione è stata affrontata in una puntuale circolare del 2012 (prot.465 del 27 gennaio 2012 ): tale nota ministeriale chiarisce che l'istituzione scolastica, che ha preso in carico lo studente e che ne ha consentito l'ammissione alla frequenza ad una determinata classe, ha assunto "l'onere" valutativo di stabilire la classe di inserimento. Non potrà essere perciò richiesto "a posteriori" il conseguimento del diploma conclusivo della scuola secondaria di primo grado o di titolo equivalente conseguito nel Paese di origine. Si riporta per completezza un estratto della richiamata circolare: ........ il complesso delle disposizioni richiamate attribuisce alle singole istituzioni scolastiche e ai loro organi collegiali il compito e la responsabilità di definire, in fase d’iscrizione, l’ingresso degli studenti con cittadinanza non italiana, privi del diploma di licenza di scuola secondaria di primo grado, ai percorsi del secondo ciclo d’istruzione. Le disposizioni non prevedono, invece, la possibilità di subordinare, per tali studenti, l’ammissione come candidati interni all’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo al superamento dell’esame conclusivo del primo ciclo.......

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Uscita didattica con un alunno con gravi disturbi comportamentali: responsabilità della scuola e del genitore accompagnatore...
  • Preliminarmente, va ricordato che l’uscita didattica è stata deliberato dagli OO.CC. e che è parte di una più ampia progettualità che anche l’alunno certificato ha pieno diritto di fruire. In sede di GLO andrà verbalizzata ogni indicazione e suggerimento operativo offerto dal neuropsichiatra, in quanto utile ad orientare le scelte didattiche ed educative del PEI, comprese le uscite. L’uscita al cinema si inscrive dunque in una progettualità specifica, per cui l’Istituto è tenuto a predisporre tutti gli opportuni accorgimenti per consentire al bambino di fruire dell’attività, compresa la presenza di un docente di sostegno, indipendentemente dalla presenza della madre dell’alunno. La presenza del genitore non modifica gli impegni e le responsabilità che incombono sulla scuola, offrendo solo un supporto nell’esercizio della vigilanza che verrà ripartita e condivisa con i docenti, in base ai momenti dell’attività. È chiaro che nei momenti in cui la madre sarà presente la responsabilità incomberà ex lege su di lei, ma potrebbe accadere che si assenti per qualche momento ed in quel caso saranno le docenti presenti responsabili della vigilanza. Inoltre, l’operatività della polizza infortuni resta attiva a tutti gli effetti proprio per la sussistenza del legame del bambino con la più complessa organizzazione scolastica e la progettualità deliberata. Non di rado accade infatti che, nelle uscite e nei viaggi d’istruzione, bambini e ragazzi con disabilità vengano accompagnati e supportati anche dalla presenza di un genitore che ne coadiuva la gestione per la sua complessità o delicatezza. Nondimeno, la scuola resta parte attiva dell’organizzazione. Sul punto la normativa nulla precisa nel dettaglio, ma può ritenersi consentito l’accompagnamento dell’alunno con disabilità nel viaggio d’istruzione da parte di un genitore, un assistente educatore, un parente o di altre figure, professionali o volontarie, ritenute idonee. In questo caso, specie per ragioni connesse alla operatività della polizza scolastica è opportuna la contestuale presenza del docente di sostegno, da valutare in base al grado di disabilità e al carico di impegno necessario. La madre dell’alunno può dunque accompagnare il suo bambino durante l’uscita didattica al cinema, seguendo la classe, senza alcuna autorizzazione, né per la sua presenza né per utilizzare eventualmente il mezzo proprio, solo comunicando formalmente al dirigente scolastico che raggiungerà la classe presso la meta dell’uscita e che farà ritorno a casa in modo autonomo. Per quanto riguarda l’eventuale copertura assicurativa della madre durante la visione collettiva del film al cinema, sarà invece necessario verificare le condizioni della polizza assicurativa stipulata dalla scuola.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Ferie e sospensione delle attività didattiche: gestione delle giornate non coperte per un docente in part-time...
  • In premessa si rileva che, ai sensi dell'art. 39, comma 11 del CCNL 2007, i dipendenti a tempo parziale orizzontale hanno diritto ad un numero di giorni di ferie e di festività soppresse pari a quello dei lavoratori a tempo pieno. I lavoratori a tempo parziale verticale hanno diritto ad un numero di giorni proporzionato alle giornate di lavoro prestate nell'anno. Ciò premesso, la Nota MIM del 27 marzo 2025 ha ribadito che, alla luce della recente giurisprudenza della Cassazione, il docente a termine non può perdere il diritto all'indennità sostituiva delle ferie per il solo fatto di non avere chiesto le ferie «se non dopo essere stato invitato dal datore di lavoro a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie ed alla indennità sostitutiva. Ne consegue che i Dirigenti scolastici devono invitare - espressamente e in forma scritta – il personale docente a tempo determinato a godere delle ferie retribuite, in particolar modo nei periodi di sospensione delle lezioni, all’uopo avvisando quest’ultimi della perdita, in caso diverso, tanto del diritto a fruire delle ferie quanto del diritto a percepire l’indennità sostitutiva. Pertanto, per il personale docente a t.d. i giorni di sospensione delle lezioni non saranno più decurtati automaticamente come ferie ma il DS dovrà invitare/diffidare formalmente i docenti interessati a presentare istanza di fruizione dei giorni di ferie, maturati e maturandi, durante i periodi di sospensione delle lezioni o anche nel periodo intercorrente tra la fine delle lezioni e il 30 giugno, con espresso avviso della perdita, in assenza di domanda volontaria, del diritto alle ferie stesse ed all’indennità sostitutiva. Per quanto concerne l’anticipazione delle ferie si ritiene quanto segue: A) Personale a tempo indeterminato: per il personale con contratto a tempo indeterminato, l’anticipazione delle ferie non maturate è da ritenersi generalmente ammissibile, sebbene tale facoltà non sia espressamente contemplata dalla normativa di riferimento. B) Personale a tempo determinato: la disciplina per il personale a tempo determinato è contenuta nell’articolo 35, comma 1, del CCNL 2019/21, che ha abrogato e sostituito l’articolo 19 del CCNL del 29/11/2007. La norma stabilisce che “le ferie del personale assunto a tempo determinato sono proporzionali al servizio prestato”. In senso strettamente letterale, pertanto, non risulterebbe consentito al personale a tempo determinato anticipare ferie non ancora maturate. Tuttavia, in considerazione della stringente normativa in materia di monetizzazione delle ferie non godute e per ragioni di equità, si ritiene ammissibile l’anticipazione delle ferie per i docenti con contratti la cui scadenza è fissata al 30 giugno o al 31 agosto. Ovviamente solo su richiesta degli stessi. Infine, stante quanto detto sopra, non è previsto che il docente debba recuperare preventivamente, prima dell’inizio della sospensione, le giornate necessarie a compensare i giorni di ferie mancanti. Per quanto concerne le ulteriori prospettazioni si ritiene che non siano percorribili; se la docente non ha maturato ferie e non produce domanda non dovrà venire a scuola durante il periodo delle vacanze seppur non sia formalmente in ferie.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Un parere sul rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento di un'attività libero-professionale svolta fuori orario di servizio...
  • Preliminarmente occorre verificare se trattasi di attività libero professionale o commerciale. In tal senso sarà opportuno richiedere ulteriore precisazioni al docente sul codice ATECO relativo alla partita iva e sulla copertura previdenziale (se vi è Gestione Separata INPS si tratterà di attività libero professionale; se vi è iscrizione alla Camera di Commercio vi sarà esercizio di attività commerciale). Nel primo caso di cui al quesito si tratta di attività libero professionale. La materia della incompatibilità del personale scolastico è regolata dall’art. 53 del D.Lgs.30 marzo 2001 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze pubbliche”, dagli artt. 60 e seguenti del DPR 10 gennaio 1957, n. 3 “Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, dall’art. 508 del D.Lgs. n. 297 del 16 aprile 1994 e da alcune disposizioni del CCNL Scuola del 29 novembre 2007 non modificate dai successivi CCNL. La disciplina più specifica, relativa alle incompatibilità del personale docente, è rappresentata dalle disposizioni di cui all’art. 508 D.Lgs. 16 aprile 1994 n. 297 “Approvazione del Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (richiamato dal D.Lgs. 165 del 2001). Ai sensi del comma 15 dell’art. 508 citato, al personale docente (senza distinzione tra docenti di ruoli e docenti supplenti, nè tra personale a tempo pieno e a tempo parziale) è consentito, previa autorizzazione del Dirigente Scolastico, l’esercizio della libera professione a condizione che non sia di pregiudizio all’ordinato e completo assolvimento delle attività inerenti alla funzione docente. I presupposti richiesti dalla norma di cui all’art. 508 comma 15 citato sono quindi: a) esercizio di una libera professione; b) l’autorizzazione del dirigente scolastico. Ovviamente l'esercizio della libera professione presuppone il possesso della partita iva. La libera professione è un’attività svolta in maniera autonoma, a livello professionale, normalmente per più committenti. L’attività in parola dev’essere riconducibile alla regolazione giuridica della “professione intellettuale” di cui agli artt. 2229 e seg. del codice civile che attribuiscono alla legge stabilire quali siano le professioni intellettuali per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, previo iter formativo stabilito dalla legge e superamento di un esame di abilitazione. Si rileva, inoltre, che i redditi derivanti dall’esercizio di attività libero-professionali debitamente autorizzate sono esentati dalla disciplina dell’anagrafe delle prestazioni di cui al comma 14 dell’art. 53 del D.Lgs. 30/03/2001, n. 165. Per svolgere la gran parte delle libere professioni non è richiesto l'iscrizione ad un albo professionale. Infatti, le cosiddette "attività riservate" a soggetti iscritti in albi o collegi sono precisamente indicate dalle leggi e costituiscono un elenco limitato rispetto al vasto campo di servizi professionali centrati sull'apporto intellettuale. Quando si iscrive a un albo professionale, il libero professionista diventa "professionista protetto" o appartenente al sistema ordinistico. Con la legge 14 gennaio 2013, n. 4 sono state disciplinate le professioni non regolamentate e chiunque svolga una delle professioni non regolamentate in questione contraddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l'espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della citata legge. In forza di ciò in ogni documento i professionisti di cui sopra dovranno apporre l’indicazione: “professionista di cui alla legge 4/2013". Nessun rilievo viene dato dalla normativa alla connessione tra attività professionale e disciplina insegnata a scuola. Per quanto concerne i margini di manovra spettanti al dirigente scolastico in sede di rilascio della prescritta autorizzazione, il Ministero ha precisato che il dirigente "è tenuto a richiedere le informazioni che ritiene opportune in merito all'attività che l'interessato intende svolgere, proprio al fine di valutare se l'esercizio dell'attività medesima possa arrecare pregiudizio al rendimento della professione di docente, ovvero se sussistano situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi e in tal caso, lo stesso dirigente scolastico può negare l’autorizzazione” (cfr la Circolare n. 480 del 2015 del Consiglio nazionale degli ingegneri (CNI) sull’attività libero professionale dei docenti, diffusa a seguito delle risposte ottenute dalla direzione generale per il personale scolastico del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca (ora Ministero dell'Istruzione e del Merito). In giurisprudenza è stato affermato che il rilascio o il diniego di autorizzazione, ai sensi dell'art. 508 comma 15, D.Lgs. n. 297 del 1994, richiede che si valuti e conseguentemente si motivi la ricorrenza del presupposto della compatibilità con le attività inerenti alla funzione docente e con l'orario di insegnamento e di servizio, oltre che, a monte, sia verificata la natura libero — professionale dell'attività da espletare (cfr. TAR Campania 3 luglio 2012 n. 3163). Sempre in merito alla valutazione da parte del DS, è stato affermato che il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività libero professionale deve seguire all’assenza di pregiudizio per lo svolgimento dell’attività istituzionale e che a tal fine è necessaria un’indicazione in questo senso da parte del docente, cui l’autorizzazione va a conformarsi. Pertanto, il docente non può limitarsi a dichiarare di svolgere una certa professione una volta per sempre, occorrendo, per poter avanzare richiesta di autorizzazione con piena consapevolezza del legittimo svolgimento dell’incarico professionale, che la stessa sia inoltrata una volta divenuta nota la portata degli impegni e dei vincoli temporali connessi con lo svolgimento della docenza. Ciò rende appunto necessario che l’interessato, nel caso in cui ritenga di svolgere attività libero professionale, avanzi la richiesta di autorizzazione anno per anno (nei limiti appunto in cui ritenga di svolgere incarichi professionali), posto che gli impegni di docente scolastico notoriamente variano annualmente. (Tribunale Forlì - Sezione Lavoro - Sentenza 07/07/2020, n. 105) La suddetta sentenza è stata confermata anche in sede di appello (cfr. Corte di Appello Bologna - Lavoro - Sentenza 30/12/2021, n. 1013). Pertanto, in via di principio si può svolgere la libera professione anche senza essere iscritti ad un albo e si tratterà di libera professione non regolamentata ai sensi della Legge 4 del 2013 e, ai fini dell'autorizzazione si rinvia a quanto detto sopra. In tal senso per completezza la docente dovrebbe dichiarare che trattasi di libera professione esercitata ai sensi della Legge n. 4/2013 (che disciplina l'esercizio delle professioni non regolamentate) e che non vi è iscrizione alla Camera di Commercio (che avrebbe qualificato l'attività come commerciale e quindi vietata ai sensi dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 che rinvia al divieto di cui al DPR 3/1957 di esercizio di attività imprenditoriale). Sarebbe opportuno anche che la docente dichiarasse l’iscrizione alla Gestione Separata INPS perché questa presuppone che la partita IVA sia stata aperta per lo svolgimento di un'attività libero professionale e non commerciale/imprenditoriale perchè in quest'ultimo caso vi sarebbe stata iscrizione alla gestione commercianti e artigiani dell’INPS. In definitiva, se il codice ATECO di cui al quesito consente l'iscrizione alla Gestione Separata INPS, la conseguenza è che trattasi di attività esercitabile sotto forma libero professionale e non come ditta individuale. Se, invece, si trattasse di ditta con iscrizione alla camera di commercio si tratterà di esercizio di attività commerciale vietata e quindi incompatibile (art. 60 del DPR 3/1957 richiamato dall'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001).

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Formalizzazione delle prescrizioni mediche per i dipendenti soggetti a limitazioni lavorative...
  • Come noto il medico competente e la Commissione INPS agiscono nell’ambito di situazioni diverse. La visita del MC si inserisce all’interno delle procedure relative alla sorveglianza sanitaria di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008 mentre la visita collegiale dell’INPS inerisce alla procedura di accertamento dell’inidoneità di cui al DPR 171 del 2011. La scuola è tenuta ad osservare le prescrizioni del MC. Infatti, l’art. 41 comma 6 del D.Lgs. n. 81 del 2008 prevede che il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche di cui al comma 2, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica: a) idoneità; b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni; c) inidoneità temporanea; d) inidoneità permanente. Il medico competente esprime il proprio giudizio per iscritto dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al datore di lavoro. Nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea vanno precisati i limiti temporali di validità. Avverso i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all'azienda sanitaria locale territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso. Il successivo art. 42 prevede che il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza. Nella prassi, a volte, le Commissioni Mediche in caso di giudizio di inidoneità relativa rinviano al MC per le relative prescrizioni. Nel caso di specie il MC ha emesso un giudizio di idoneità con limitazioni rispetto alle mansioni proprie del profilo. L'utilizzazione del dipendente secondo le prescrizioni del MC è di competenza del Dirigente (provvedimento di utilizzazione temporanea in ottemperanza alle prescrizioni del MC) e ovviamente ciò comporterà anche una modifica del Piano delle Attività. Per quanto concerne invece il giudizio di inidoneità relativa formulato dalla CMV ai sensi del DPR 171/2011 è necessario un nuovo contratto individuale che regoli la relativa utilizzazione a svolgere soltanto alcune mansioni del proprio profilo (cfr. artt. 4 e 6 del CCNI 25 giugno 2008).

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Richiesta di autorizzazione per una docente socia all’1% in una SSA agricola senza cariche sociali né compensi...
  • La materia dell'incompatibilità del personale del comparto scuola è regolata dall’art. 53 del D.Lgs. 165/2001. L’art. 53, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 stabilisce, infatti, che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli artt. 60 e segg. del DPR n. 3/1957, che vietano ai lavoratori pubblici l’esercizio di attività commerciali ed industriali, l’esercizio di professioni, l’assunzione di impieghi alle dipendenze di privati e di cariche in società aventi fine di lucro. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale anche il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore delegato di società di capitali (società per azioni, società a responsabilità limitata, società in accomandita per azioni). Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. Ciò premesso, in merito al quesito posto occorre accertarsi, quindi, se tra le "attività industriali" di cui all’art. 60 citato debba essere ricompreso anche l'esercizio dell'attività imprenditoriale agricola o comunque relativa all'esercizio di una azienda agraria. In relazione alla compatibilità dello status di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale con quello di impiegato, la Corte di Cassazione ha affermato che la qualità di impiegato non è logicamente e giuridicamente incompatibile con quella di coltivatore diretto, soprattutto quando la modesta estensione del fondo non renda incompatibile in fatto la possibilità di esercitare una doppia attività e di utilizzare le residue energie lavorative (Cassazione civile, sez. III, 23 agosto 1985, n. 4520; Cassazione civile, sez. lav., 04 marzo 1980, n. 1455). Il pubblico dipendente può essere conduttore di un'azienda agricola di famiglia, di cui è proprietario, purché tale attività non richieda un impegno assiduo, incompatibile, come tale, con lo svolgimento del tempo pieno (T.A.R. Potenza Basilicata 06 marzo 2003 n. 195). Il T.A.R. Veneto - Sede di Venezia - Sez. II - con la Sentenza 19 maggio 2011, n. 858 ha affermato che va esclusa la sussistenza di un’incompatibilità giuridica tra il rapporto di lavoro pubblico a tempo pieno e la qualifica di imprenditore agricolo a titolo professionale, desunta dalla legislazione in materia di pubblico impiego. La compatibilità dell’attività di imprenditore agricolo deve essere valutata, quindi, caso per caso, in relazione alle modalità concrete nelle quali si concretizza. Pertanto, la Cassazione ha affermato che in via generale nulla osta logicamente e giuridicamente che un impiegato dello Stato possa svolgere anche l’attività di coltivatore diretto, e quindi di piccolo imprenditore agricolo. In materia si è pronunciato anche il Dipartimento della Funzione Pubblica con circolare 18 luglio 1997, n. 6/1997 in questi termini: “E' stato prospettato il caso della partecipazione in società agricole a conduzione familiare, situazione diffusa in molte realtà territoriali. A giudizio di questo Dipartimento, l'attività rientra tra quelle compatibili solo se l'impegno richiesto è modesto e non abituale o continuato durante l'anno. Spetta all'amministrazione valutare che le modalità di svolgimento sono tali da non interferire sull'attività ordinaria”. Da ultimo la Cassazione, con l'Ordinanza 01/12/2020, n. 27420, ha affermato che in tema di incompatibilità dei pubblici dipendenti, dalla lettura combinata e complessiva dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 con l'art. 60 del DPR n. 3 del 1957 deriva che si possono distinguere tre ipotesi: 1) attività assolutamente incompatibili: sono le attività inibite, che non si possono esercitare nemmeno con autorizzazione (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 60 etc.); 2) attività consentite: sono le attività per cui non è necessaria l'autorizzazione (indicate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6); 3) attività consentite previa autorizzazione: tutte le altre attività comprese nella sfera di applicabilità dell'art. 53 del TUPI. L'impresa agricola resta comunque un'impresa commerciale ma qualora in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2135 c.c., otterrà lo status di agricola e in quanto tale non sarà assoggettata al fallimento e alle altre procedure concorsuali (ex art. 2221 c.c.) nè obbligata alla tenuta delle scritture contabili (ex art. 2136 c.c.); con il D.Lgs. 20 marzo 2004, n. 99 è stata prevista, all'art. 2, espressamente la "società agricola", che deve svolgere le attività previste per il singolo imprenditore e, sebbene non sia vincolata a qualche forma societaria, deve rispettare alcuni canoni come ad esempio l'espressa qualifica nella ragione sociale o denominazione. Tale tipo di società può essere costituita nella forma di società di persone (società semplici, s.n.c. o s.a.s.), società di capitali (s.r.l. o s.p.a.) e cooperativa e deve essere iscritta al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio. Ciò premesso la disposizione di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, citato art. 60, in un senso più aderente alla realtà attuale, non può che intendersi la stessa riferita anche a tale tipo di impresa agricola con la conseguenza che se il criterio guida è, ai fini della valutazione dell'incompatibilità di una attività extraistituzionale, l'interferenza sull'attività ordinaria del dipendente, anche la partecipazione in imprese agricole è da ritenere incompatibile con un rapporto di lavoro a tempo pieno laddove sussistano i caratteri della abitualità e professionalità, caratteri che la forma societaria prescelta può far presumere. Pertanto, anche alla luce dei principi sopra riportati ed all'ultimo intervento più rigido della Cassazione, il dirigente scolastico deve valutare (richiedendo apposite delucidazioni al dipendente) se l’attività in questione sia oggettivamente tale da non impegnare il dipendente che in modo marginale o comunque non prevalente, e ovviamente al di fuori dell’orario d’ufficio; è escluso, infatti, l’esercizio di attività da parte di un dipendente pubblico tale da arrecare un pregiudizio alla Pubblica amministrazione, in termini di tempo dedicato e di impegno, nel rispetto del principio generale dell’esclusività del rapporto di lavoro pubblico. Conclusivamente la compatibilità dell’attività di imprenditore agricolo deve essere valutata, quindi, caso per caso, in relazione alle modalità concrete nelle quali si realizza e deve essere caratterizzata da mancanza di abitualità. Pertanto in riferimento al quesito posto si ritiene quanto segue: - l'attività imprenditoriale agricola non è assolutamente incompatibile con lo status di pubblico dipendente ma dipende da quanto detto sopra; - ai fini della compatibilità o meno quello che rileva, alla luce della giurisprudenza sopra riportata, è la modalità di esercizio dell'attività agricola ( se continuativa è incompatibile). Conclusivamente, nel caso di specie si ritiene che sia possibile rilasciare l’autorizzazione stante che si tratta di una minima partecipazione societaria e la docente non assumerà cariche sociali nè svolgerà attività di amministrazione della società.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Orario flessibile per personale amministrativo: valutazione della richiesta motivata da esigenze personali senza obiezioni dei colleghi...
  • Premesso che le modalità di articolazione dell’orario di lavoro del personale ATA sono definite nel piano delle attività adottato dal dirigente scolastico ai sensi dell’art. 63, comma 1 CCNL 19-21, si richiama preliminarmente il comma 2 dell’articolo 51 CCNL 2007 tuttora vigente: “In sede di contrattazione integrativa d’istituto saranno disciplinate le modalità di articolazione dei diversi istituti di flessibilità dell’orario di lavoro, ivi inclusa la disciplina dei ritardi, recuperi e riposi compensativi sulla base dei seguenti criteri: • l’orario di lavoro è funzionale all’orario di servizio e di apertura all’utenza; • ottimizzazione dell’impiego delle risorse umane; • miglioramento della qualità delle prestazioni; • ampliamento della fruibilità dei servizi da parte dell’utenza; • miglioramento dei rapporti funzionali con altri uffici ed altre amministrazioni; • programmazione su base plurisettimanale dell’orario”. L’art. 30, comma 4, lett. C6 CCNL 19-21 dispone che sono oggetto di contrattazione integrativa “i criteri per l’individuazione di fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e in uscita per il personale ATA, al fine di conseguire una maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare”. Inoltre, il suddetto art. 30 al comma 9, lett. B1 afferma che sono oggetto di confronto “l’articolazione dell’orario di lavoro del personale docente, educativo ed ATA, nonché i criteri per l’individuazione del medesimo personale da utilizzare nelle attività retribuite con il fondo per il miglioramento dell’offerta formativa”. Le tipologie di articolazione dell’orario di lavoro del personale ATA sono individuate nello specifico nel comma 2 dell’art. 63 CCNL 19-21: “In coerenza con le presenti disposizioni, possono essere adottate le sottoindicate tipologie di orario di lavoro eventualmente coesistenti tra di loro in funzione delle finalità e degli obiettivi definiti da ogni singolo istituto: a) Orario di lavoro flessibile b) Orario plurisettimanale c) Turnazioni”. Gli articoli successivi ne definisco le modalità attuative. L’art. 64 CCNL 19-21 al comma 1 prevede che: “L’orario di lavoro è funzionale all’orario di servizio e di apertura all’utenza. Una volta stabilito l’orario di servizio dell’istituzione scolastica o educativa è possibile adottare l’orario flessibile di lavoro giornaliero che consiste nell’anticipare o posticipare l’entrata e l’uscita del personale distribuendolo anche in cinque giornate lavorative, secondo le necessità connesse alle finalità e agli obiettivi di ciascuna istituzione scolastica o educativa (piano dell’offerta formativa, fruibilità dei servizi da parte dell’utenza, ottimizzazione dell’impiego delle risorse umane ecc.)”. Dalla formulazione del quesito si evince che il dipendente non rientra nei casi previsti dai commi 2 e 3 del suddetto articolo (dipendenti che si trovino in particolari situazioni previste dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 e dal d.lgs. n. 151 del 2001; dipendenti che con necessità “connesse a situazioni di tossicodipendenze, inserimento di figli in asili nido, figli in età scolare, impegno in attività di volontariato di cui alla legge n. 266/91”). Sulla base di quanto esposto, si rappresenta quanto segue: 1. L’istanza del dipendente è necessario che sia esplicitamente motivata, anche in via riservata direttamente al dirigente scolastico. Deve, altresì, essere valutata attentamente affinché il suo accoglimento non determini una disparità di trattamento tra il personale, né costituisca un aggravio delle condizioni lavorative per gli altri dipendenti. 2. La richiesta del dipendente relativa all'adozione di un orario di lavoro flessibile non configura un diritto potestativo. L'Amministrazione scolastica è tenuta a valutarne la compatibilità con l'insieme delle esigenze del servizio e, in sede di istruttoria, deve altresì tenere conto delle istanze prospettate dal restante personale. 3. Un eventuale diniego all'istanza dovrà, pertanto, essere motivato in modo circostanziato sulla base delle esigenze di servizio dell’istituzione scolastica. In conclusione, si ritiene che, nonostante la specifica formulazione dei commi 2 e 3 dell’articolo 64 del CCNL 2019/2021, l'istanza di flessibilità oraria possa (non debba) essere accolta, qualora ne ricorrano le condizioni. Tale principio trova fondamento nel comma 1 del medesimo articolo, il quale stabilisce che l'orario di lavoro flessibile è ammissibile "secondo le necessità connesse alle finalità e agli obiettivi di ciascuna istituzione scolastica o educativa (Piano dell’Offerta Formativa, fruibilità dei servizi da parte dell’utenza, ottimizzazione dell’impiego delle risorse umane ecc.)." Ciò conferma che l'accoglimento della richiesta è soggetto a una valutazione discrezionale del dirigente scolastico, vincolata alle esigenze prioritarie di servizio. In alternativa, si valuti la possibilità di ricorrere al lavoro agile, disciplinato dalla Legge n. 81 del 2017 e dagli articoli 10-15 del CCNL 2019/2021, ai quali si rinvia per la completa consultazione della disciplina applicabile.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Permessi per visite mediche: gestione dei minuti e degli arrotondamenti ai fini del monte ore annuale...
  • L’art. 69 del CCNL 2024 prevede che ai dipendenti ATA sono riconosciuti specifici permessi per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, fruibili su base sia giornaliera che oraria, nella misura massima di 18 ore per anno scolastico, comprensive anche dei tempi di percorrenza da e per la sede di lavoro. Il comma 5 prevede che i permessi orari di cui sopra possono essere fruiti anche cumulativamente per la durata dell’intera giornata lavorativa. In tale ipotesi, l'incidenza dell'assenza sul monte ore a disposizione del dipendente viene computata con riferimento all'orario di lavoro che il medesimo avrebbe dovuto osservare nella giornata di assenza. Non sono previste limitazioni nella fruizione (come ad esempio opera l’art. 67 del medesimo CCNL sui permessi orari per motivi personali) e l’ARAN, negli Orientamenti Applicativi in materia precisa che in caso di assenze per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici senza incapacità lavorativa, di durata inferiore all'intera giornata lavorativa, vanno decurtate le ore per visita o altre comprensive anche dei tempi di percorrenza da e per la sede di lavoro. Conclusivamente, a nostro avviso, in punto di norma, nel caso di specie va scalata 1 ora e 29 minuti non essendo previsto l’arrotondamento.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Docente rientrata da un congedo straordinario per dottorato all’estero: richiesta di ulteriore aspettativa per contratto di ricerca non ancora sottoscritto...
  • Nel caso di specie la docente ha terminato il corso di dottorato e deve preparare la tesi. A tal fine non può richiedere l’aspettativa ex art. 22 Legge n. 240 del 2010 che, al netto della questione se possa applicarsi alle Università straniere, presuppone comunque la stipula di un contratto di ricerca che invece, da quanto emerge dal quesito, non è avvenuta. La docente potrà chiedere, invece, l’aspettativa per motivi di studio. Infatti, la CM 15 del 2011, sulla specifica questione di cui al quesito, così ha precisato “ Si precisa che l’art. 2 della legge 13 agosto 1984, n. 476 prevede la concessione del congedo straordinario per il periodo di durata del corso, nel cui ambito non può, quindi, prefigurarsi la preparazione e la discussione della tesi: in tal senso ha fornito il proprio parere l’Ufficio legislativo di questo Ministero, appositamente interpellato in merito. Non si ritiene pertanto possibile la concessione di una proroga del congedo straordinario oltre tale limite, anche in considerazione dell’aggravio di spesa che ne deriverebbe, che, peraltro, non troverebbe giustificazione in alcuna disposizione normativa. Si ritiene tuttavia possibile che, come rilevato dallo stesso Ufficio legislativo, il personale interessato possa richiedere, per il tempo necessario alla preparazione della relazione finale, l’aspettativa per motivi di studio di cui al comma 2 dell’art. 18 del CCNL comparto scuola”. Infine, si conferma che tra aspettative di vario tipo ( dottorato, contratto di ricerca e motivi di studio) non è necessaria la ripresa del servizio stante che nulla è previsto in merito dalla normativa di riferimento.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Classe senza rappresentanti dei genitori eletti: indicazioni operative per accettare candidature successive senza elezioni suppletive...
  • La classe resterà, per il corrente anno scolastico, senza rappresentanti dei genitori nel consiglio di classe. Ciò in applicazione della disposizione del primo comma dell’art. 37 del D. lgs. 297/1994 che così dispone: “L’organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la loro rappresentanza”. Considerata la situazione, potrebbe essere utile, al fine di favorire una interlocuzione e coinvolgimento dei genitori, promuovere nel corso d’anno un paio di incontri generali con i genitori in cui i docenti (o parte di essi) illustrano la attuazione della programmazione di classe.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Un parere sulla compatibilità tra il ruolo di docente part-time e amministratore di una SSA agricola...
  • La materia dell'incompatibilità del personale del comparto scuola è regolata dall’art. 53 del D.Lgs. 165/2001. L’art. 53, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 stabilisce, infatti, che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli artt. 60 e segg. del DPR n. 3/1957, che vietano ai lavoratori pubblici l’esercizio di attività commerciali ed industriali, l’esercizio di professioni, l’assunzione di impieghi alle dipendenze di privati e di cariche in società aventi fine di lucro. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale anche il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore delegato di società di capitali (società per azioni, società a responsabilità limitata, società in accomandita per azioni). Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. Ciò premesso, in merito al quesito posto occorre accertarsi, quindi, se tra le "attività industriali" di cui all’art. 60 citato debba essere ricompreso anche l'esercizio dell'attività imprenditoriale agricola o comunque relativa all'esercizio di una azienda agraria. In relazione alla compatibilità dello status di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale con quello di impiegato, la Corte di Cassazione ha affermato che la qualità di impiegato non è logicamente e giuridicamente incompatibile con quella di coltivatore diretto, soprattutto quando la modesta estensione del fondo non renda incompatibile in fatto la possibilità di esercitare una doppia attività e di utilizzare le residue energie lavorative (Cassazione civile, sez. III, 23 agosto 1985, n. 4520; Cassazione civile, sez. lav., 04 marzo 1980, n. 1455). Il pubblico dipendente può essere conduttore di un'azienda agricola di famiglia, di cui è proprietario, purché tale attività non richieda un impegno assiduo, incompatibile, come tale, con lo svolgimento del tempo pieno (T.A.R. Potenza Basilicata 06 marzo 2003 n. 195). Il T.A.R. Veneto - Sede di Venezia - Sez. II - con la Sentenza 19 maggio 2011, n. 858 ha affermato che va esclusa la sussistenza di un’incompatibilità giuridica tra il rapporto di lavoro pubblico a tempo pieno e la qualifica di imprenditore agricolo a titolo professionale, desunta dalla legislazione in materia di pubblico impiego. La compatibilità dell’attività di imprenditore agricolo deve essere valutata, quindi, caso per caso, in relazione alle modalità concrete nelle quali si concretizza. Pertanto, la Cassazione ha affermato che in via generale nulla osta logicamente e giuridicamente che un impiegato dello Stato possa svolgere anche l’attività di coltivatore diretto, e quindi di piccolo imprenditore agricolo. In materia si è pronunciato anche il Dipartimento della Funzione Pubblica con circolare 18 luglio 1997, n. 6/1997 in questi termini: “E' stato prospettato il caso della partecipazione in società agricole a conduzione familiare, situazione diffusa in molte realtà territoriali. A giudizio di questo Dipartimento, l'attività rientra tra quelle compatibili solo se l'impegno richiesto è modesto e non abituale o continuato durante l'anno. Spetta all'amministrazione valutare che le modalità di svolgimento sono tali da non interferire sull'attività ordinaria”. Da ultimo la Cassazione, con l'Ordinanza 01/12/2020, n. 27420, ha affermato che in tema di incompatibilità dei pubblici dipendenti, dalla lettura combinata e complessiva dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 con l'art. 60 del DPR n. 3 del 1957 deriva che si possono distinguere tre ipotesi: 1) attività assolutamente incompatibili: sono le attività inibite, che non si possono esercitare nemmeno con autorizzazione (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 60 etc.); 2) attività consentite: sono le attività per cui non è necessaria l'autorizzazione (indicate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6); 3) attività consentite previa autorizzazione: tutte le altre attività comprese nella sfera di applicabilità dell'art. 53 del TUPI. L'impresa agricola resta comunque un'impresa commerciale ma qualora in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2135 c.c., otterrà lo status di agricola e in quanto tale non sarà assoggettata al fallimento e alle altre procedure concorsuali (ex art. 2221 c.c.) nè obbligata alla tenuta delle scritture contabili (ex art. 2136 c.c.); con il D.Lgs. 20 marzo 2004, n. 99 è stata prevista, all'art. 2, espressamente la "società agricola", che deve svolgere le attività previste per il singolo imprenditore e, sebbene non sia vincolata a qualche forma societaria, deve rispettare alcuni canoni come ad esempio l'espressa qualifica nella ragione sociale o denominazione. Tale tipo di società può essere costituita nella forma di società di persone (società semplici – come nel caso di specie - s.n.c. o s.a.s.), società di capitali (s.r.l. o s.p.a.) e cooperativa e deve essere iscritta al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio. Ciò premesso la disposizione di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, citato art. 60, in un senso più aderente alla realtà attuale, non può che intendersi la stessa riferita anche a tale tipo di impresa agricola con la conseguenza che se il criterio guida è, ai fini della valutazione dell'incompatibilità di una attività extraistituzionale, l'interferenza sull'attività ordinaria del dipendente, anche la partecipazione in imprese agricole è da ritenere incompatibile con un rapporto di lavoro a tempo pieno laddove sussistano i caratteri della abitualità e professionalità, caratteri che la forma societaria prescelta può far presumere. Pertanto, anche alla luce dei principi sopra riportati ed all'ultimo intervento più rigido della Cassazione, il dirigente scolastico deve valutare (richiedendo apposite delucidazioni al dipendente) se l’attività in questione sia oggettivamente tale da non impegnare il dipendente che in modo marginale o comunque non prevalente, e ovviamente al di fuori dell’orario d’ufficio; è escluso, infatti, l’esercizio di attività da parte di un dipendente pubblico tale da arrecare un pregiudizio alla Pubblica amministrazione, in termini di tempo dedicato e di impegno, nel rispetto del principio generale dell’esclusività del rapporto di lavoro pubblico. Conclusivamente la compatibilità dell’attività di imprenditore agricolo deve essere valutata, quindi, caso per caso, in relazione alle modalità concrete nelle quali si realizza e deve essere caratterizzata da mancanza di abitualità. Pertanto in riferimento al quesito posto si ritiene quanto segue: - l'attività imprenditoriale agricola non è assolutamente incompatibile con lo status di pubblico dipendente ma dipende da quanto detto sopra; - ai fini della compatibilità o meno quello che rileva, alla luce della giurisprudenza sopra riportata, è la modalità di esercizio dell'attività agricola (se continuativa è incompatibile). Inoltre, nel caso di specie si tratta di part time addirittura inferiore al 50%. L'USR Piemonte con la Nota 12437 del 26 agosto 2022 ha ribadito che la regola dell’incompatibilità assoluta con riferimento al personale scolastico, sia a tempo pieno che parziale con prestazione lavorativa superiore al 50%, è posta dall’art. 508, comma 10, d.lgs 297/1994 (Testo unico Istruzione) rispetto all’esercizio di attività commerciali, industriali e professionali ovvero svolte alle dipendenze di soggetti privati o, ancora, comportanti l’accettazione di cariche in società costituite a scopo di lucro. ( in senso analogo cfr la Nota operativa USR Sicilia n. 21198 del 31 agosto 2020) Le Linee Guida della Funzione Pubblica del 2013 così precisano: "Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche indicate nei paragrafi a) [abitualità e professionalità] e b) [conflitto di interessi]. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche di cui al paragrafo b) [conflitto di interessi]. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a prescindere dal regime dell’orario di lavoro gli incarichi che presentano le caratteristiche indicate nel paragrafo c) [preclusi a prescindere dalla consistenza dell’orario di lavoro], fermo restando quanto previsto dai paragrafi a) e b). Gli incarichi considerati nel presente documento sono sia quelli retribuiti sia quelli conferiti a titolo gratuito. a) ABITUALITÀ E PROFESSIONALITÀ. 1. Gli incarichi che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà “esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro”. L’incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003)". Pertanto, il dipendente se a tempo pieno (o con part time superiore al 50%) non può esercitare attività commerciale mentre se in part time (o spezzone orario) non superiore al 50% i recenti orientamenti di cui abbiamo detto sopra ammettono la possibilità di autorizzazione. In tal senso si muove anche la recente giurisprudenza. Ad esempio (cfr Cassazione civile sez. lav., 18/07/2022, n.22497 seppur con riferimento ad un dipendente di un ente locale) ha affermato che i dipendenti pubblici con un part time non superiore al 50% possono instaurare rapporti con altri enti anche in assenza di autorizzazione da parte della pubblica amministrazione di appartenenza. Nella motivazione si richiama Cass., Sez. L, n. 28757 del 7 novembre 2019, "In tema di pubblico impiego privatizzato, alla stregua della disciplina di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (applicabile "ratione temporis"), D.P.C.M. n. 117 del 1989, art. 6, comma 2, e della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 58-bis, si deve escludere che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale superiore al 50 per cento possano essere implicitamente autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa in esame consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part-time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento" (per lo sviluppo giurisprudenziale in materia, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010)". Conclusivamente, nel caso di specie, si ritiene che l’attività sia compatibile e quindi potrà essere autorizzata. Per quanto concerne l’inquadramento previdenziale non è competenza del DS rilasciare pareri ma il docente si dovrà rivolgere al proprio commercialista che conoscenza con esattezza la posizione contributiva del docente per quanto attiene alla attività agricola.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Esonero dalla seconda lingua e uso di strumenti compensativi per un alunno neoarrivato all’esame di Stato del primo ciclo...
  • Appare chiaro che un alunno che non ha seguito un percorso di studio per la seconda comunitaria non potrà essere sottoposto a verifica (sia scritta che orale) per una disciplina che non ha fatto parte del suo percorso scolastico. Ciò non costituisce peraltro motivo ostativo al conseguimento del diploma. Per quanto concerne l'esame di Stato, come per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali, il PDP costituisce punto di riferimento per la predisposizione e lo svolgimento delle prove, Si ritiene, infatti, che la coerenza con il percorso personalizzato debba essere principio generale e punto di riferimento di cui tener conto.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Congedo parentale e successive assenze per un dipendente in part-time: indicazioni sul conteggio dei giorni non lavorativi...
  • Per quanto concerne i dipendenti in part-time verticale, in diversi Orientamenti per altri Comparti (cfr. M24 -M19 del 24/05/2011 comparto Ministeri), l’ARAN precisa che "il permesso per matrimonio, il congedo parentale, i permessi per maternità e i permessi per lutto, spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi (vedi art. 23, comma 11, del CCNL integrativo del 16 maggio 2001 del Comparto Ministeri)." Elemento comune a tutti questi istituti è la modalità con cui essi vengono conteggiati, ossia facendo riferimento ai giorni di calendario e non ai giorni lavorativi rientranti nel periodo richiesto. Di conseguenza, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e i permessi sono computati con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. La stessa ARAN ha dato un suo preciso orientamento per il comparto Enti Locali RAL 349 anche in merito al congedo per malattia del bambino caso di part-time verticale che di seguito si riporta integralmente. "Come si applica la previsione dell’art. 6, comma 8 del CCNL del 14/09/2000 in caso di congedo per malattia del figlio ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 151/2001? Riteniamo utile precisare quanto segue: 1. in base all'art. 6, comma 8, in presenza di un rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale "Il permesso per matrimonio, l'astensione facoltativa ed i permessi per maternità (tra i quali rientra il congedo per malattia del figlio di cui all'art. 47 del D.Lgs. n. 151/2001) spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi … "; 2. tale regola comporta che la dipendente, ove si determini l'evento preso in considerazione e tutelato nell'ambito di un periodo lavorativo, potrà sicuramente beneficiare dell'istituto secondo i limiti quantitativi stabiliti dal contratto (o dalla legge) assentandosi dal servizio per la durata prevista dalla certificazione medica; tuttavia, poiché la stessa lavoratrice presta la sua attività solo in alcuni giorni della settimana, pur utilizzando 12 giorni di congedo per malattia, (essendo questi previsti come periodo unico e continuativo dalla stessa certificazione medica), riceverà la retribuzione solo per quei giorni all'interno dei 12 per i quali era prevista la sua presenza al lavoro; in sostanza pur consumando 12 giorni (del monte giorni di congedo retribuito previsto dall'art. 17, comma 6, del CCNL del 14/9/2000), si vedrà effettivamente riconosciuto il beneficio solo relativamente al numero ridotto di giorni nei quali doveva rendere la sua prestazione lavorativa. Es.: in data lunedì 1/01/2002, una lavoratrice a tempo parziale verticale, e con l'articolazione dell'orario di lavoro su tre giorni settimanali (lunedì, martedì, mercoledì), si assenta per malattia del bambino, con certificato medico di 12 giorni; applicando quanto sopra detto la lavoratrice utilizza 12 giorni di congedo per malattia del bambino ed ha titolo ad assentarsi fino al giorno venerdì 12 (il periodo è unico e abbraccia anche il sabato e la domenica in esso compresi, secondo le regole comuni alle assenze per malattia); tuttavia, poiché nell'ambito di tale arco temporale la stessa lavoratrice lavora solo il lunedì, martedì e mercoledì di ogni settimana, pur avendo consumato 12 giorni riceverà la retribuzione solo per 6 giorni (lunedì, martedì e mercoledì delle due settimane interessate); naturalmente dopo tale evento la lavoratrice potrà disporre di ulteriori 18 giorni di assenza per malattia del figlio, con la retribuzione limitata ai soli giorni coincidenti con le prestazioni lavorative; 1. quindi, i giorni di congedo per malattia del bambino, pur essendo esclusi in astratto dal riproporzionamento, risultano ugualmente riproporzionati sulla base della corretta applicazione della clausola contrattuale; 2. se in luogo di un unico certificato medico, vengono presentati più certificati medici concernenti periodi di malattia che si saldano fra di loro, l'effetto è lo stesso di quello dell'unico certificato; diverso è il caso in cui la lavoratrice presenti singoli certificati medici concernenti singoli casi di malattia limitati ai soli giorni in cui la lavoratrice avrebbe dovuto prestare servizio (malattia bambino insorta il lunedì con certificato medico di 3 giorni); infatti, in tal caso saranno utilizzati solo 3 giorni del monte giorni a disposizione della lavoratrice". Dello stesso avviso è l'INPS per il settore privato in merito al congedo parentale (cfr. circolare n. 87/1999 - n. 41/2006 - n. 30/2010) ma, con le stesse tutele del congedo per malattia del bambino. Da ultimo l’ARAN, con l’O.A. 13 aprile 2021 CIRS79, per quanto concerne l’esatto computo del periodo di congedo parentale chiesto da un dipendente a tempo determinato in regime di part time verticale, ha ribadito che il calcolo di tale periodo di assenza deve effettuarsi tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nel periodo di congedo richiesto. Premesso che non ci sono precise regole contrattuali per il personale scolastico, alla luce degli Orientamenti ARAN sopra citati, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e il congedo (sia parentale che per malattia del bambino) è computato con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. Pertanto, secondo questi orientamenti le assenze dovute a congedo parentale e malattia del bambino si computano tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nell’intero periodo richiesto. In caso di fruizione frazionata, il periodo di congedo verrà calcolato partendo dal primo giorno lavorativo e concludendo con l’ultimo giorno lavorativo precedente l’effettivo rientro in servizio. Infatti, come detto nelle nostre ultime risposte in argomento, dal momento che non viene previsto il riproporzionamento, teoricamente il dipendente dovrebbe essere considerato in congedo per tutta la durata del periodo richiesto e ciò vale per tutti i periodi di congedo parentale indipendentemente se indennizzati o meno. Per evitare ciò le domande di assenza del dipendente dovrebbero e possono essere riferite solo alle giornate in cui ha servizio a scuola e non per un intero periodo temporale. Unica peculiarità nel caso di tratti di assenza continuativa per malattia personale. Per quanto concerne le assenze per malattia del personale in part-time verticale, l'ARAN con l'orientamento applicativo Comparto Scuola del 27 febbraio 2013, in merito a come debba essere effettuato il computo dei giorni di assenza per malattia, ha specificato che occorre andare a considerare se l’assenza sia giustificata da un unico certificato medico o da più certificati medici rilasciati solo per i giorni per i quali il dipendente in part-time è tenuto a svolgere la prestazione lavorativa, senza ricomprendere le giornate intermedie non lavorate; solo in quest’ultimo caso l’ARAN ritiene che essi vadano considerati separatamente, in quanto attestanti eventi morbosi distinti. Per completezza, va altresì osservato che in nostre risposte precedenti abbiamo sempre applicato il principio del riproporzionamento per le assenze per malattia (cioè di considerare solo i giorni di assenza coincidenti con le giornate di servizio del dipendente) anche a prescindere dal fatto che si fosse in presenza di certificati separati e distinti; a detta modalità di calcolo corrispondeva il riproporzionamento del periodo di comporto che conseguiva, per l’appunto, dal fatto di considerare malattia solo i giorni in cui il dipendente avrebbe servizio con l'Amministrazione indipendentemente dalla unicità o meno del certificato medico. Infatti, l'ARAN con il successivo Orientamento SCU_070 del 14 giugno 2013 ha così precisato: "Il periodo massimo di comporto relativo alle assenze per malattia deve essere rapportato al periodo lavorato presso l’Amministrazione in caso di regime di part-time verticale? ...Sulla base quindi dei principi desumibili dalla normativa di legge, dalla contrattazione collettiva e dalla giurisprudenza (vedi in particolare le sentenze di Cassazione Sez. lavoro, 30/12/2009 n. 27762 e 14 dicembre 1999 n. 14065 che hanno affermato il principio del riproporzionamento del periodo di comporto in caso di part time verticale) si ritiene che il trattamento del lavoratore a tempo parziale verticale debba necessariamente tenere conto della ridotta entità della prestazione lavorativa, relativamente sia ai trattamenti economici per malattia, sia alle assenze dovute a malattia, sia ai permessi retribuiti che al periodo massimo di conservazione del posto, tutti elementi che dovranno essere rideterminati tenendo conto di tale criterio". L'ARAN, con l'Orientamento Applicativo M_256 del 5 aprile 2016 (applicabile analogicamente anche al Comparto Scuola) ha precisato che in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione un principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, avrà ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto); il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto; i periodi di retribuzione intera e ridotta. Nel medesimo Orientamento viene altresì precisato che: "In proposito, si precisa che, ai fini della verifica dell’eventuale superamento del periodo di comporto, vengono presi in considerazione esclusivamente i giorni di malattia coincidenti con quelli in cui il dipendente avrebbe dovuto rendere la prestazione lavorativa. In relazione ai giorni festivi e non lavorativi, ricadenti in tale periodo, si ritiene applicabile la medesima presunzione di continuità, alla quale si ricorre per calcolare il periodo di comporto del personale con rapporto di lavoro a tempo pieno. Sussiste, infatti, un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale, in mancanza di una diversa previsione contrattuale, nel calcolo del periodo di assenza per malattia, devono essere computati anche i giorni festivi o non lavorativi, che ricadano all’interno di tale arco temporale (Cass. Civ., sez. lavoro, sentenza 10/11/2004, n. 21385, sentenza 18/10/2000, n. 13816; sentenza 14/12/1999, n. 14065)". L'ARAN, con Orientamento RAL del 05/06/2011, ha affermato che in conseguenza di tale riproporzionamento del periodo massimo di conservazione del posto, ai fini della verifica del suo eventuale superamento si computano solo i giorni di malattia del lavoratore coincidenti con quelli nei quali, in base all'articolazione dell'orario del rapporto di lavoro a tempo parziale, è tenuto a rendere la sua prestazione lavorativa. Pertanto, alla luce degli Orientamenti ARAN, in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione il principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, ha ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: - il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto) che per i dipendenti della Scuola è disciplinato dall’art. 17 comma 1 del CCNL 2007 e dall'art. 35 del CCNL 2024 per il personale a t.d.); - il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto (o il diverso periodo stabilito per il personale a t.d); - i periodi di retribuzione intera e ridotta (cfr art. 17 comma 8 del CCNL 2007 e art. 35 CCNL 2024 per il personale a t.d.). Ciò premesso, in riferimento al caso di specie, atteso che il dipendente presenta singole richieste di assenza per congedo parentale ( nonché di malattia personale/ferie/malattia del bambino) sarà considerato assente solo per le giornate in cui avrebbe avuto servizio. Tra l'altro trattasi di assenze a titolo diverso e quindi, a nostro avviso, non essendoci continuità tra gli istituti, le giornate dal giovedì alla domenica ricompresi tra le assenze, sono da considerare neutri. Unica eccezione sarebbe se le giornate del sabato (se trattasi di servizio su settimana corta) e della domenica fossero comprese tra due assenze per malattia personale; in questo caso alla luce di quanto detto sopra anche dette giornate sarebbero imputabili a malattia personale.

    Data di pubblicazione: 17/11/2025

  • Compatibilità tra un contratto part-time comunale (18 ore) e una supplenza scolastica part-time: un vostro parere...
  • Sulla questione è intervenuto uno specifico orientamento applicativo ARAN, il CIR 36 che risponde alla domanda “C’è compatibilità tra il rapporto di lavoro part-time presso una scuola ed il contestuale svolgimento di altre attività lavorative presso enti locali?” nel seguente modo: “La problematica sulle incompatibilità per i lavoratori pubblici è disciplinata dall’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 che, nel rinviare alla precedente disciplina pubblicistica, prevede il generale divieto di cumulo degli impieghi e dello svolgimento di un’altra attività professionale. Sulla specifica tematica, per quanto riguarda il comparto Scuola, occorre fare riferimento all’art. 58 del CCNL del 29.11.2007 che disciplina specificatamente il rapporto di lavoro part-time per il personale ATA. In particolare, il suddetto articolo, al comma 5 precisa che “Il dipendente a tempo parziale copre una frazione di posto di organico corrispondente alla durata della prestazione lavorativa che non può essere inferiore al 50% di quella a tempo pieno”, mentre al comma 9, stabilisce che “Al personale interessato è consentito, previa autorizzazione del dirigente scolastico, l'esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non siano incompatibili con le attività d'istituto.” Pertanto, il dipendente ATA, qualora la prestazione lavorativa a tempo parziale sia non inferiore al 50% di quella a tempo pieno, secondo quanto previsto dal CCNL (né superiore al 50% per effetto del vincolo di legge), può svolgere un’altra attività lavorativa sia subordinata che autonoma, nel senso previsto dalla suindicata disposizione, purché non sussistano elementi di conflitto d’interesse o di incompatibilità, generale o particolare, preventivamente individuati dalle amministrazioni interessate. Infatti, sempre l’art 53, al comma 6 del d. lgs. n. 165/2001 esclude espressamente dall’applicazione del regime delle incompatibilità, fin qui richiamate, tutti i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, nonché tutti i docenti universitari a tempo definito e le altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Occorre però rilevare che la norma legislativa sopra citata, nel recepire le disposizioni di cui all’art. 1, co. 58 della legge 23.12.1996 n. 662 cui fa espresso richiamo in materia di “tempo parziale e disciplina delle incompatibilità”, prevede espressamente per il dipendente pubblico a regime di orario part-time (cioè che non superi il 50 % di quello pieno), la possibilità di svolgere anche altra attività lavorativa subordinata o autonoma, a condizione che l’ulteriore attività venga preventivamente autorizzata e non risulti in conflitto con gli interessi dell’Amministrazione. Tale possibilità viene meno qualora l’attività subordinata intercorra con un’altra pubblica amministrazione: [(“…..La trasformazione (del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale) non può essere comunque concessa qualora l’attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un’amministrazione pubblica….”)] Ne consegue che, anche in regime di tempo parziale, il personale dipendente non può svolgere altra attività di lavoro subordinato “pubblico.”” Si fa tuttavia rilevare che la giurisprudenza recente ha dato una diversa interpretazione del quadro normativo sopra riportato, ribaltando sostanzialmente le conclusioni cui era giunto ARAN. In particolare, la sentenza n. 22497 del 18/07/2022 della Cassazione civile, sez. lav., con riferimento ad un dipendente di un ente locale, ha affermato che i dipendenti pubblici con un part time non superiore al 50% possono instaurare rapporti con altri enti anche in assenza di autorizzazione da parte della pubblica amministrazione di appartenenza. Nella motivazione, essa rinvia alla sentenza della Cassazione civile, sez. lav., n. 28757 del 7/11/2019, secondo cui: "In tema di pubblico impiego privatizzato, alla stregua della disciplina di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (applicabile "ratione temporis"), D.P.C.M. n. 117 del 1989, art. 6, comma 2, e della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 58-bis, si deve escludere che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale superiore al 50 per cento possano essere implicitamente autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa in esame consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part-time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento (per lo sviluppo giurisprudenziale in materia, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010)". In conclusione, secondo la sentenza n. 22497/2022, l’art. 1, comma 58 della legge n. 662/1996 che vieta la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale qualora l'attività lavorativa debba intercorrere con un'amministrazione pubblica, non può riferirsi ai "dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno". Ciò significa che, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale citato, si può procedere al conferimento di un contratto a tempo determinato con orario non superiore al 50% di quello a tempo pieno a chi è titolare di un contratto part time con un ente locale.

    [1-25] di 41733

    Eventi
    in presenza

    Tutti gli appuntamenti

    Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella COOKIE POLICY.

    Gentile utente, se vede questo messaggio è possibile che ci sia un problema con l'account che sta utilizzando per accedere a Italiascuola.it.

    Per verificare che il suo utente sia abilitato, selezioni l'icona del profilo in alto a destra. L'account sul quale cliccare presenterà l'icona "ITLS" sulla sinistra.

    Se l'icona "ITLS" non è presente, significa che il suo utente non è abilitato. Se desidera abbonarsi oppure richiedere il nostro supporto, visiti la sezione "Abbonamenti e Contatti" presente sul sito. Grazie!