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Data di pubblicazione: 04/10/2024
Alunna con genitori separati e nomina di un curatore speciale: contrasti su iscrizione e richiesta di nulla osta al trasferimento...
Ragazza iscritta alla classe Prima del nostro istituto. L’iscrizione è stata effettuata dal padre a xxxx 2024, secondo la procedura online, il quale ha dichiarato...
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Data di pubblicazione: 04/10/2024
Collaboratore scolastico a tempo indeterminato: ha diritto agli 8 giorni di permessi per concorsi ed esami?
La risposta è affermativa trattandosi di istituti diversi disciplinati da specifiche discipline. Infatti, gli istituti utilizzabili dai dipendenti pubblici per esercitare il diritto allo studio sono i seguenti: - i congedi per la formazione, previsti dall’art. 5 della Legge n. 53 del 2000 e nei CCNL, utilizzabili anche per il conseguimento di titoli universitari o per la partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro, che possono essere accordati secondo le condizioni stabilite nei CCNL e negli accordi collettivi ai lavoratori con anzianità di servizio di almeno 5 anni per un massimo di undici mesi nell’arco della vita lavorativa. Durante il periodo di congedo il dipendente conserva il posto di lavoro e non ha diritto alla retribuzione; - 150 ore di permessi retribuiti all’anno (anno solare) riconosciuti secondo le previsioni dei CCNL - nel limite del 3% del personale in servizio ciascun anno nell’amministrazione - per la partecipazione ai corsi anche universitari e post-universitari che si svolgono durante l’orario di lavoro (cfr ora l'art. 37 del CCNL 2024 che rinvia comunque per le specifiche discipline regionali ai CCIR); - 8 giorni l’anno di permesso retribuito per la partecipazione agli esami, previsti dai CCNL di comparto (cfr. art. 15 co. 1 CCNL Scuola 2007 non modificato dal CCNL 2024: partecipazione a concorsi od esami: gg. 8 complessivi per anno scolastico, ivi compresi quelli eventualmente richiesti per il viaggio); - l’aspettativa per il conseguimento del dottorato di ricerca, accordata secondo la disciplina contenuta nell’art. 2 della Legge n. 476 del 1984, come modificata dalla Legge n. 240 del 2010 e dal D.Lgs. n. 119 del 2011. Conclusivamente, un collaboratore scolastico a tempo indeterminato ha diritto agli 8 giorni di permessi per concorsi ed esami previsti dal CCNL indipendentemente dal fatto che sia destinatario delle 150 ore di permesso per studio.
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Data di pubblicazione: 04/10/2024
Cambio classe richiesto da un'alunna: nella classe di destinazione è attivo sin dal primo anno il potenziamento di una materia da lei non studiata...
Nel nostro Liceo linguistico sono attivi due corsi. Una studentessa ripetente, iscritta per la seconda volta in classe terza, chiede il cambio classe per incompatibilità...
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Data di pubblicazione: 04/10/2024
incarichi autorizzati per svolgere attività presso Associazioni sportive: vanno inseriti in Anagrafe delle Prestazioni?
L'art. 53, comma 12, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti comunicano in via telematica, nel termine di quindici giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l’indicazione dell’oggetto dell’incarico e del compenso lordo, ove previsto. Quindi gli incarichi autorizzati per svolgere attività presso Associazioni sportive sono da comunicare in Anagrafe tranne se trattasi di esercizio di libera professione o prestazioni di lavoro sportivo fino all'importo complessivo di 5.000 euro annui. Vediamo il perchè. Per quanto concerne i dipendenti pubblici il MIUR aveva ritenuto fossero esclusi dagli obblighi di comunicazione relativi all'anagrafe delle Prestazioni gli incarichi svolti ed i compensi ricevuti nei casi indicati nella Circolare n. 5 del 29/05/1998 ( cfr. comunicazione MIUR 24/07/2002, prot. n. 497). Trattasi di due tipi di esclusioni. Tra le esclusioni soggettive sono menzionati i professori della scuola statale iscritti agli albi professionali e autorizzati all'esercizio della libera professione e le altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Tra le esclusioni oggettive vi sono i redditi derivanti dall'esercizio di attività libero-professionali, ove consentita, e per la quale sia previsto l'obbligo di iscrizione al relativo albo professionale. Quindi se l'attività presso l'Associazione sportiva viene svolta sotto forma di libera professione autorizzata ai sensi dell'art. 508 comma 15 del D.Lgs. n. 297 del 1994, la scuola non deve procedere ad alcun inserimento in Anagrafe. L'altra eccezione è stata da ultimo introdotta. L'art. articolo 3, comma 1, lettera a), del D.L. 31 maggio 2024, n. 71, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2024, n. 106, ha aggiunto la lettera f-ter) al comma 6 dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 ai sensi della quale per le prestazioni di lavoro sportivo, fino all'importo complessivo di 5.000 euro annui, non è necessaria l'autorizzazione preventiva ma è sufficiente la comunicazione preventiva. Non essendo necessaria l'autorizzazione, a nostro avviso, non si può parlare di incarico autorizzato e quindi non va inserito in Anagrafe. Ovviamente trattasi di nostra interpretazione in quanto, stante che trattasi di normativa recente, non abbiamo ancora interpretazioni ufficiali.
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Data di pubblicazione: 04/10/2024
Riproporzionamento dei permessi L. 104/1992 in caso di part time verticale...
Per quanto concerne il riproporzionamento dei permessi L. 104/1992 in caso di part time verticale, la Cassazione, con le Sentenze n. 4069 del 20 febbraio 2018 e n. 22925 del 29 settembre 2017, ha affermato che i tre giorni di permesso ex art. 33 della Legge n. 104/1992 non si riproporzionano in caso di part time superiore al 50%. Ad avviso della Suprema Corte appare ragionevole distinguere l’ipotesi in cui la prestazione di lavoro part-time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell’anno e riconoscere, solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile, il diritto alla integrale fruizione dei permessi previsti dall’art. 33 della Legge n. 104/1992. L’ARAN, con l’O.A. CFC34 del 25 novembre 2019, ha affermato che l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 22925/2017, ribadito anche nella sentenza n. 4069 del 20/02/2018, in tema di permessi ex Legge n. 104/1992, per l’autorevolezza della fonte rappresenti un indirizzo applicativo concreto e fattuale. Fermo restando, quindi, il generale obbligo di riproporzionamento nei casi di rapporto di lavoro a tempo parziale, in considerazione della natura di strumento di politica socio-assistenziale del permesso riconosciuto per l’assistenza alla persona con grave disabilità, a parere della Suprema Corte non va operato il riproporzionamento dei tre giorni di permesso ex art. 33 della Legge n. 104/1992 nei confronti del lavoratore con contratto in part-time verticale che effettui prestazione lavorativa per un numero di giornate superiori al 50% rispetto all’ordinario orario lavorativo in regime di full time. Pertanto, ad avviso dell’ARAN, in applicazione dei principi affermati dalla Cassazione, non va operato il riproporzionamento dei tre giorni di permesso ex art. 33 della Legge n. 104/1992 nei confronti del lavoratore con contratto in part-time verticale superiore al 50%. L’ARAN, con l’O.A. 15 giugno 2021 CIRS84, ha precisato che in caso di docente con un rapporto di lavoro part-time verticale che presta l’attività lavorativa per 9 ore su 18, trattandosi di prestazione resa in part-time verticale pari al 50% di quella a tempo pieno, i tre giorni di permesso di cui alla Legge n. 104/1992 sono soggetti a riproporzionamento. L’INPS, con la Circolare n. 45 del 19 marzo 2021, ha fornito chiarimenti in merito alle formule di calcolo da applicare ai fini del riproporzionamento dei tre giorni di permesso mensile, di cui all’art. 33 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, nei casi di rapporto di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto con attività lavorativa part-time superiore al 50%. L’INPS, ha chiarito che le formule, indicate nel messaggio n. 3114 del 7 agosto 2018, devono essere riviste alla luce degli orientamenti della Suprema Corte di Cassazione che, come detto sopra, ha statuito che la durata dei permessi, qualora la percentuale del tempo parziale di tipo verticale superi il 50% del tempo pieno previsto dal contratto collettivo, non debba subire decurtazioni in ragione del ridotto orario di lavoro. Pertanto: - in caso di part-time di tipo orizzontale, i tre giorni di permesso non andranno riproporzionati; - con riferimento ai rapporti di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto fino al 50%, si procede con il riproporzionamento e rimangono valide le disposizioni fornite con il messaggio n. 3114/2018 (formule che vengono ribadite anche con la circolare n. 45/2021); - per i dipendenti in regime di part-time con percentuale a partire dal 51%, verranno riconosciuti interamente i tre giorni di permesso mensile. L'art. 68 del CCNL 2024 prevede la possibilità di fruizione dei permessi anche in modalità oraria ( .... possono essere utilizzati ad ore nel limite massimo di 18 ore mensili) ma non detta specifiche disposizioni in caso di part time verticale. Conclusivamente, nel caso di specie, si ritiene che, in applicazione della giurisprudenza e degli orientamenti ARAN sopra riportati, non si debba procedere con il riproporzionamento.
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Una docente lamenta dolori derivanti da un precedente incidente per il quale è stata a lungo assente per malattia: che fare?
L'art. 41 del D.Lgs. n. 81 del 2008 prevede che la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente: a) nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all'articolo 6; b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi. La Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza del Ministero del Lavoro, con l’interpello n. 1 del 6 febbraio 2024 ha fornito chiarimenti in merito al fatto se un soggetto, anche se non esposto, nè segnalato esposto ad alcun rischio lavorativo (chimico, biologico, meccanico e per uso di VDT), debba essere visitato dal medico competente dopo i 60 giorni di assenza per malattia. La sorveglianza sanitaria comprende: a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica; b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l’anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio; c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica; d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica; e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente; e-bis) visita medica preventiva in fase preassuntiva; e-ter) visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione. In merito alla fattispecie di cui alla lettera e-ter) la Cassazione con Ordinanza 12/08/2021, n. 22819 ha ribadito che il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 1, comma 2, lett. e-ter), prevede, tra gli strumenti della “sorveglianza sanitaria” anche l’effettuazione di una visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare la idoneità alla mansione. Ad avviso della Corte la “ripresa del lavoro”, rispetto alla quale la visita medica deve essere “precedente”, è costituita dalla concreta assegnazione del lavoratore, quando egli faccia ritorno in azienda dopo un’assenza per motivi di salute prolungatasi per oltre sessanta giorni, alle medesime mansioni già svolte in precedenza, essendo queste soltanto le mansioni, per le quali sia necessario compiere una verifica di “idoneità” e cioè accertare se il lavoratore possa sostenerle senza pregiudizio o rischio per la sua integrità psicofisica. Il suddetto controllo non si configura ad ogni modo come condicio iuris della ripresa dell’attività lavorativa e, per di più, va attivato ad iniziativa datoriale e non del lavoratore. Il Ministero del Lavoro, con la risposta ad Interpello sopra citata, ha precisato che solo i lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria debbano essere sottoposti alla visita medica di cui all’articolo 41, comma 2, lettera e-ter), al fine di verificare l’idoneità dei medesimi alla mansione. Conclusivamente, la visita di cui alla citata lettera e-ter) è disposta a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi ma il presupposto è che la dipendente, essendo esposta a particolari rischi accertati, valutati e riportati nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), sia stata inserita nel programma di “Sorveglianza sanitaria”. La sorveglianza sanitaria si applica, infatti, solo dove i lavoratori sono esposti a certi livelli di rischio accertati per la salute e la sicurezza, annotati nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) con le relative misure di prevenzione e protezione da adottare. Quindi, se non ricorre l’obbligo della “sorveglianza sanitaria” nei confronti della dipendente non debbono essere effettuate le azioni previste per il Medico Competente dai commi 1 e 2 dell’art. 41, D.Lgs. 81/08, tra le quali quella indicata dalla lettera e-ter) (sopra riportata). In altri termini, se il DVR non evidenzia la necessità di sottoporre a sorveglianza sanitaria la lavoratrice, come conseguenza logica di tutta la valutazione dei rischi, vuol dire che certi livelli di rischi lavorativi per la salute della lavoratrice non ce ne sono e, quindi, se non si effettuano le visite per la sorveglianza periodica non ha senso la visita dopo l'assenza di 60 giorni nè altra attività del medico competente. Ne consegue che, ai fini della ripresa del lavoro della docente in oggetto, il Dirigente scolastico, se non ha nominato il Medico Competente in quanto non necessario, si atterrà esclusivamente al certificato del Medico curante (o della struttura ospedaliera) che ne certifica il termine della malattia (chiusura della prognosi) e quindi l’idoneità alla ripresa delle attività lavorative previste dal profilo professionale di appartenenza. Se, invece, la dipendente è soggetta a sorveglianza sanitaria si applicherà la normativa sopra esposta per quanto concerne la lettera e-ter) in caso di assenza continuativa. Ad ogni modo, se ci sono profili di inidoneità, la materia è normata dal “Regolamento di attuazione in materia di risoluzione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche dello Stato e degli enti pubblici nazionali in caso di permanente inidoneità psicofisica, a norma dell'articolo 55-octies del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” di cui al D.P.R. 27 luglio 2011, n. 171. Ai sensi del DPR n. 171 del 2011 il dirigente scolastico avvia la procedura per l'accertamento dell'inidoneità psicofisica del dipendente, in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova, nei seguenti casi: a) assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento (cfr CCNL Scuola 2007 art. 17 non modificato dal CCNL 2024); b) disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti, che fanno fondatamente presumere l'esistenza dell'inidoneità psichica permanente assoluta o relativa al servizio; c) condizioni fisiche che facciano presumere l'inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio. Pertanto, nel caso di cui alla lettera a) la richiesta di visita collegiale è ancorata ad un preciso momento temporale, mentre nei casi di cui alle lettera b) e c) la richiesta è sottesa ad una previa valutazione, da parte del dirigente, della presenza di disturbi del comportamento o condizioni fisiche del dipendente che necessitano quindi di un accertamento da parte della Commissione al fine della verifica della sussistenza di una inidoneità.
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Part time richiesto a inizio anno ma non ancora perfezionato: è possibile annullare la richiesta e modificarla?
In merito al quesito posto se trattasi di dipendente a tempo indeterminato la domanda è stata presentata entro il 15 marzo 2024. La scadenza del 15 marzo, non riguarda i lavoratori che instaurano un nuovo rapporto di lavoro (sia a tempo indeterminato che determinato); infatti, per i nuovi assunti è possibile l’attivazione del part-time anche al momento della sottoscrizione del contratto individuale di lavoro con il dirigente scolastico. Si presume quindi che nel caso di specie, si tratti di una delle fattispecie da ultimo descritte in quanto nel quesito si fa riferimento al fatto che il part time è stato chiesto ad inizio A.S. In giurisprudenza il Tribunale di Cuneo con sentenza del 15 maggio 2013 ha affermato che nel part-time verticale la scelta dei giorni in cui effettuare la prestazione deve avvenire contestualmente alla sottoscrizione del contratto; in mancanza di detta indicazione il dirigente può modificarli dandone adeguata motivazione. L’ARAN, con il recente Orientamento CIRS115 11 aprile 2023, ha precisato quanto segue: "Il dirigente scolastico può modificare l’articolazione oraria di una collaboratrice scolastica in part time verticale (24 ore lavorative su 4 giorni settimanali) per sopravvenute esigenze di servizio? La norma contrattuale che disciplina il rapporto di lavoro a tempo parziale del personale ATA è l’art. 58 del CCNL Scuola del 29/11/2007. Tale articolo al comma 6 prescrive che il rapporto di lavoro a tempo parziale deve risultare da contratto scritto con l’indicazione della durata della prestazione lavorativa di cui al successivo comma 7, che a sua volta indica le differenti modalità di svolgimento del part-time. Quindi è il contratto scritto a definire la durata e le modalità di svolgimento della prestazione in part time. Per quanto concerne, invece, la modifica del rapporto a tempo parziale, ai sensi della ordinanza ministeriale n. 446 del 1996 cui rinvia la norma contrattuale, essa può essere richiesta solo dall’interessato con la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno dopo due anni dalla costituzione del part time. In casi eccezionali, però, da valutare in relazione alla dotazione organica complessiva della provincia per l’anno scolastico cui si riferisce la richiesta, è ammissibile anche la modifica del rapporto di lavoro prima della scadenza del biennio. Pertanto, il rapporto di lavoro part time, come definito contrattualmente non può essere modificato in modo unilaterale dal dirigente scolastico". Da ultimo, in giurisprudenza (cfr. Corte appello Milano sez. lav., Sentenza 01/03/2023, n. 104) è stato ribadito che qualunque mutamento dell’orario di lavoro – da part-time a full time o viceversa - presuppone l’accordo tra le parti e quindi il consenso del lavoratore: pertanto è sicuramente illegittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro al dipendente che abbia rifiutato una proposta di modifica dell’orario di lavoro ed inoltre il datore di lavoro non può imporre unilateralmente la trasformazione dell’orario di lavoro senza il consenso del lavoratore, per cui una tale evenienza giustifica senz’altro le dimissioni del lavoratore per giusta causa. Conclusivamente, a meno che non vi sia un'indicazione già nel contratto individuale (ma ferma restando sempre la possibilità di modifica) l'individuazione dei giorni in cui prestare servizio può essere oggetto di indicazione del dipendente ma il dirigente scolastico non è vincolato in tal senso dovendo sempre privilegiare le esigenze didattiche ed organizzative dell'istituzione scolastica. Tutto ciò premesso, atteso che trattasi di part time richiesto ad inizio A.S., se comunque il contratto non è ancora stato stipulato, in via generale si ritiene che si possa annullare il decreto di concessione a monte. Ciò al netto di eventuali interlocuzioni con l'AT competente allorchè detto Ufficio fosse già stato coinvolto nella gestione della richiesta in questione.
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
In attesa della nomina da interpello del DSGA, il DS può conferire incarico ad interim temporaneo ad un a.a. in possesso della seconda posizione economica?
Nel caso di assenza del DSGA titolare si applicano le disposizioni dettate dall’art. 57 del CCNL 2019/2021: 1. Nel caso in cui il titolare di incarico di DSGA si assenti per un periodo superiore a 15 giorni o comunque di durata tale da compromettere il corretto funzionamento dell’istituzione scolastica o educativa, il dirigente scolastico conferisce un incarico temporaneo di DSGA ad altro personale in servizio presso l’istituzione scolastica ed inquadrato nell’Area dei Funzionari e dell’Elevata Qualificazione o, in sua assenza, nell’Area degli Assistenti che, a sua volta, è sostituito secondo le vigenti disposizioni in materia di supplenze. L’incarico di cui al presente comma non può comunque eccedere la durata massima di tre mesi continuativi, incluse proroghe. 2. Al personale che, ai sensi del comma 1, sostituisce il titolare di incarico di DSGA è corrisposta, per ogni giorno di effettivo servizio e con risorse a carico del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, l’indennità di cui all’art. 56 (Trattamento economico del personale con incarico di DSGA) in luogo del compenso individuale accessorio. 3. Qualora nella vigenza dell’incarico triennale di cui al comma 5 dell’art. 55 (Incarichi di elevata qualificazione), il titolare dell’incarico di DSGA sia assente dall’inizio e per l’intero anno scolastico (fino al 31 agosto), o per un unico periodo continuativo superiore a 3 mesi, il responsabile dell’ufficio relativo all’Ambito territoriale: a) conferisce un incarico di DSGA ad altro funzionario privo di incarico di DSGA in servizio presso la stessa o diversa istituzione scolastica, secondo i criteri definiti dal MIM previo confronto di cui all’art. 30, comma 9, lett. a5) (Livelli, soggetti e materie di relazioni sindacali); b) laddove non siano presenti funzionari privi di incarico di DSGA, può conferire un incarico ad interim ad altro funzionario titolare di incarico di DSGA. Il M.I.M., con la Circolare 25 luglio 2024, n. 115135, ha fornito le indicazioni operative in materia di attribuzione di supplenze al personale scolastico per l’A.S. 2024/2025. Viene precisato che per il profilo di DSGA (ora appartenente all’area dei funzionari e dell’elevata qualificazione), alla copertura di eventuali posti disponibili e/o vacanti, si provvede secondo le modalità dell’articolo 14 del CCNI sulle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie, così come modificato dall’articolo 1, comma 10, dell’Intesa del 27 giugno 2024 di proroga del menzionalo CCNL. È stato, infatti, riformulato il contenuto dell’articolo 14 del CCNI relativo alle modalità di copertura dei posti vacanti o disponibili della posizione di lavoro di DSGA; ferma restando l’applicazione degli articoli 12 e 13 del CCNI, al personale aspirante alle utilizzazioni ex art. 14 CCNI gli incarichi dovranno, pertanto, essere conferiti secondo l’ordine di priorità e sulla base dei criteri definiti con l’Intesa del 27 giugno 2024. Con riguardo alla copertura dei posti vacanti o disponibili per l’intero anno scolastico e nelle more della definizione delle procedure per la progressione all’area dei Funzionari e dell’Elevata Qualificazione e del concorso ordinario relativo alla stessa area, l’Ambito territoriale conferisce incarico di DSGA secondo il seguente ordine di priorità: a) ai funzionari, inquadrati nel ruolo di DSGA secondo il previgente ordinamento professionale, in situazione di esubero; b) ai funzionari di cui all’art. 57, comma 3, lettere a) e b) CCNL, sulla base dei criteri definiti in sede di confronto di cui all’art. 30, comma 9, lettera a)5, del CCNL 2019/2021; c) al personale inserito nella procedura valutativa di progressione all’area dei funzionari e dell’elevata qualificazione, secondo la posizione occupata nella graduatoria di merito e per la durata della stessa; d) ad assistenti amministrativi di ruolo con laurea magistrale e almeno 5 anni di esperienza maturata nell’Area degli Assistenti e/o nell’equivalente area del precedente sistema di classificazione oppure con diploma di scuola secondaria di secondo grado ed almeno 10 anni di esperienza maturata nell’Area degli Assistenti e/o nell’equivalente area del precedente sistema di classificazione; e) ad altro personale di ruolo inquadrato nell’area degli assistenti amministrativi con priorità per il personale in possesso della II posizione economica e in subordine della I posizione economica; f) al personale risultato idoneo nella procedura valutativa di progressione all’area dei funzionari e dell’elevata qualificazione di altre Regioni, graduato secondo il punteggio della propria graduatoria di merito. Il personale di cui alle lettere d) ed e) è graduato sulla base delle tabelle allegate alla procedura valutativa per le progressioni verticali di cui al D.M. 74/2024. Per quanto sopra esposto, il Dirigente Scolastico, salvo i casi di cui al comma 1 dell’art. 57, non può conferire nomina ad interim temporanea ad un assistente amministrativo in possesso della seconda posizione economica, pur se giustificato da scadenze imminenti.
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Dipendente in part-time che riveste la carica di socio accomandatario di una SAS: sussiste incompatibilità?
La società in accomandita semplice (S.a.s.) è una società di persone nella quale sono presenti due tipi di soci: gli accomandatari e gli accomandanti. I soci accomandatari sono gli unici soci che possono amministrare la società e rispondono solidalmente e illimitatamente dei debiti della società. Infatti, ai sensi dell'art. 2313 c.c. nella società in accomandita semplice i soci accomandatari rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, e i soci accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita. Il successivo art. 2318 prevede che i soci accomandatari hanno i diritti e gli obblighi dei soci della società in nome collettivo e l'amministrazione della società può essere conferita soltanto a soci accomandatari. In sintesi, i soci accomandatari: – rispondono solidamente e illimitatamente per tutte le obbligazioni sociali; – se l’atto costitutivo non dispone diversamente, hanno tutti disgiuntamente l’amministrazione e la rappresentanza della società. Il socio accomandatario risponde dei debiti sociali assunti nel periodo in cui rivestiva tale carica, anche successivamente allo scioglimento del suo rapporto con la società (cfr Tribunale di Parma sez. I, Sent. 16/03/2015, n. 515). A norma dell'art. 2313 c.c. i soci accomandatari della società in accomandita semplice rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, regola questa da estendere, per effetto dei richiami normativi contenuti negli artt. 2315 e 2293 c.c., anche con riferimento alle obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio, siccome previsto dall'art. 2269 c.c.; peraltro, in base al combinato disposto degli artt. 2315 e 2304 c.c., il socio accomandatario, al quale sia richiesto il pagamento di un debito della società, è titolare del c.d. beneficium excussionis, potendo cioè opporre al creditore sociale la previa escussione del patrimonio sociale (T.A.R. Piemonte, sez. II, Sent. 15/11/2013, n. 1197). Per contro, ai sensi dell'art. 2320, i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'articolo 2286. Pertanto, il socio accomandatario, all'interno della società in accomandita semplice, è il solo responsabile per l'emissione di fatture per lo svolgimento di operazioni societarie inesistenti, poiché il socio accomandante non ha potere decisionale o di rappresentanza della società; poteri riconosciuti, invece, in capo al socio accomandatario (Comm. trib. prov.le Milano, sez. XLVI, 27/06/2016, n. 5637). Il socio accomandante assume la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, a norma dell'art. 2320 c.c., solo ove contravvenga al divieto di trattare o concludere affari in nome della società, o di compiere atti di gestione aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull'amministrazione della stessa (Cassazione civile, sez. lav., 31/05/2016, n. 11250). Ciò premesso, a nostro avviso, il dipendente pubblico può assumere la qualità di socio accomandante (limitata, appunto, all’apporto di capitale e relativi eventuali benefici e, trattandosi di mera partecipazione societaria senza svolgimento di attività commerciale) ma non quella di socio accomandatario, che ha responsabilità di amministrazione, allorchè si tratti di dipendente a tempo pieno o con part time superiore al 50%. Precisiamo quest'ultimo punto. L’art. 53, primo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve essere considerata come esercizio del commercio e dell’industria ogni attività imprenditoriale; deve, inoltre, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore di società di capitali. Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. È, quindi, incompatibile con lo status di pubblico dipendente l'assunzione di cariche in società aventi scopo di lucro, che possono essere svolte soltanto previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza (Corte Conti Liguria Sent. 22/10/2015, n. 83). Invece, il divieto in questione di cui all'art. 53 citato non pone limiti alla partecipazione di un pubblico dipendente in società commerciali in qualità di mero socio di capitale. Esso esclude, invece, come detto sopra, che egli possa ricoprire cariche sociali, compiere atti di amministrazione nella società, trattare o concludere affari in nome della stessa. In giurisprudenza (cfr Corte di Cassazione, sez. lav., Sent. 26/11/2012, n. 20857) è stato affermato che l'impiegato della Pubblica Amministrazione non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione, senza alcun riferimento ad attività retribuita, onde il divieto deve ritenersi assoluto, a prescindere dalla sussistenza o meno di una remunerazione, ovvero di una continuità della prestazione lavorativa diversa da quella espletata alle dipendenze della P.A. (nel caso di specie è stata confermata la legittimità del licenziamento inflitto ad una dipendente pubblica sorpresa all'interno del negozio della sorella, intenta a svolgere mansioni di commessa ed attività di vendita, anche durante il normale orario di lavoro in giornate di assenza dal lavoro giustificate dallo stato di malattia). Fermo restando quanto già detto sopra in tema di divieto di esercizio dell'attività imprenditoriale, la Corte dei Conti, con la Sentenza n. 9 del 7 maggio 2019, ha affermato che per un dipendente pubblico a tempo indeterminato è assolutamente vietata l’attività di amministratore unico di una società di capitali, in quanto carica sociale palesemente e testualmente vietata e non autorizzabile ex art.60, d.P.R. n.3 del 1957, richiamato dall’art.53, co.1, D.Lgs. n.165 del 2001. Il Consiglio di Stato ha affermato che non vale ad escludere la situazione d'incompatibilità di un pubblico dipendente, che eserciti un'attività imprenditoriale, il fatto che egli eserciti regolarmente il suo lavoro, in quanto la norma d'incompatibilità mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente stesso, ai fini di un miglior rendimento nei confronti della p.a. datrice di lavoro (cfr. Consiglio Stato sez. V sent. 13 gennaio 1999 n. 24). In giurisprudenza è stato altresì affermato: - Consiglio di Stato sez. VI, 24/09/1993, n.629: rientra tra le ipotesi di incompatibilità con il pubblico impiego previste dall'art. 60 t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 la titolarità di un'impresa artigiana. - T.A.R., Lazio sez. I, 20/05/1987, n. 1085: nell'ampia locuzione adoperata dall'art. 60 t.u.imp.civ.st. (d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) in tema d'incompatibilità (commercio, industria e professione) deve intendersi inclusa anche l'attività lavorativa svolta in qualità di artigiano. Come già rilevato in precedenti risposte in argomento, a nostro avviso, la titolarità di un'attività commerciale resterebbe vietata anche nel caso si trattasse di part time non superiore al 50%. A queste conclusioni è giunto anche l'USR Emilia-Romagna nella Nota 2456 del 9 febbraio 2007. Nel Parere citato viene precisato che la titolarità di una attività commerciale resta assolutamente vietata all’intera categoria dei dipendenti, così come risulta vietata, per la medesima categoria, la possibilità di accettare cariche in società costituite a fine di lucro. Il citato art. 53, al comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dagli articoli 57 e seguenti della Legge 23 dicembre 1996, n. 662. Il comma 56 dell'art. 1 della Legge n. 662 del 1996 prevede che le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (ora art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001), e successive modificazioni ed integrazioni, nonché le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l'iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. Ai sensi del successivo comma 58, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere concessa dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione stessa. La trasformazione non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa. Dall'analisi della normativa di cui alla Legge n. 662 del 1996 e delle disposizioni del CCNL 2007 ( cfr. art. 58 co. 9) si evince che il riferimento è alla attività di lavoro autonomo o subordinato. Conclusivamente, abbiamo in precedenza ritenuto che vi fosse incompatibilità tra status di dipendente pubblico (seppur in part time non superiore al 50%) e l'attività commerciale o di amministratore di società. Per completezza si deve però rilevare che, come appreso anche durante i nostri corsi di formazione, da parte di alcuni Uffici Scolastici vi è negli ultimi tempi una interpretazione più estensiva sulla questione di cui al quesito (compatibilità o meno della attività commerciale in caso di dipendente con part time non superiore al 50%) Ad esempio l'USR Piemonte con la Nota 12437 del 26 agosto 2022 ha ribadito la regola dell’incompatibilità assoluta con riferimento al personale scolastico, sia a tempo pieno che parziale con prestazione lavorativa superiore al 50%, è posta dall’art. 508, comma 10, d.lgs 297/1994 (Testo unico Istruzione) rispetto all’esercizio di attività commerciali, industriali e professionali ovvero svolte alle dipendenze di soggetti privati o, ancora, comportanti l’accettazione di cariche in società costituite a scopo di lucro. ( in senso analogo cfr la Nota operativa USR Sicilia n. 21198 del 31 agosto 2020) Pertanto, il dipendente se a tempo pieno (o con part time superiore al 50%) non può esercitare attività commerciale (o assumere cariche in società) mentre se in part time non superiore al 50% i recenti orientamenti di cui abbiamo detto sopra ammettono la possibilità di autorizzazione. Ciò, ovviamente, al netto di eventuali indicazioni diverse da parte dell'USR di riferimento. In tal senso si muove anche la recente giurisprudenza. Ad esempio (cfr Cassazione civile sez. lav., 18/07/2022, n.22497 seppur con riferimento ad un dipendente di un ente locale) ha affermato che i dipendenti pubblici con un part time non superiore al 50% possono instaurare rapporti con altri enti anche in assenza di autorizzazione da parte della pubblica amministrazione di appartenenza. Nella motivazione si richiama Cass., Sez. L, n. 28757 del 7 novembre 2019, "In tema di pubblico impiego privatizzato, alla stregua della disciplina di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (applicabile "ratione temporis"), D.P.C.M. n. 117 del 1989, art. 6, comma 2, e della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 58-bis, si deve escludere che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale superiore al 50 per cento possano essere implicitamente autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa in esame consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part-time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento" (per lo sviluppo giurisprudenziale in materia, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010)".
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Una docente contesta l'orario di servizio settimanale minacciando, se non modificato, di usufruire del congedo parentale...
L’atteggiamento della docente non è certamente dei più collaborativi, ma va aggiunto che non fa altro che rivendicare una situazione protetta dalla legge (ricorso al congedo parentale che per giurisprudenza pacifica è qualificato come diritto potestativo), anche se lo fa in modo poco simpatico e anche un tantino ricattatorio. Che cosa conviene all’istituto? Si potrebbe mantenere l’orario in adozione, ma è probabile che la docente ricorra effettivamente al congedo parentale, tanto più che ne è stato reso più vantaggioso l'utilizzo (cfr art. 34 CCNL 2024 sotto il profilo del preavviso ridotto a cinque giorni) e che può anche essere frazionato in ore. Oppure si potrebbe eliminare la prima ora e soddisfare la richiesta della docente. La seconda soluzione creerebbe un precedente, ma eviterebbe di incorrere nel comportamento annunciato dalla docente, che non le potrebbe essere rimproverata in quanto limitata ad usufruire di un beneficio di legge. Conclusivamente sembra che la scelta sia in qualche modo obbligata, anche se lo stile della rivendicazione rimane discutibile.
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Possibilità di utilizzare la piattaforma PCP per tutti gli affidamenti inferiori a 5.000 euro: la vostra interpretazione del comunicato ANAC...
Si chiede parere in merito al Comunicato Anac del 28 giugno 2024: "Adozione del provvedimento di proroga di alcuni adempimenti previsti con la Delibera n. 582...
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Docente impegnato in un progetto finanziato dal Fondo Asilo Migrazione e Integrazione: può essere considerato progetto internazionale per il trattenimento in servizio?
Secondo quanto indicato nella circolare ministeriale prot. n. 150796 del 25 settembre 2024 avente ad oggetto "Decreto ministeriale 25 settembre 2024, n. 188. Cessazioni dal servizio del personale scolastico dal 1° settembre 2025. Trattamento di quiescenza e di previdenza. Indicazioni operative." al paragrafo "Applicazione dell’articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (Personale dirigente, docente, educativo ed ATA)." si legge testualmente: "L’articolo 1, comma 257, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, modificato dall’articolo 1, comma 630, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, ha tuttavia previsto che, al fine di assicurare continuità alle attività previste negli accordi sottoscritti con scuole o università dei Paesi stranieri, il personale della scuola impegnato in innovativi e riconosciuti progetti didattici internazionali svolti in lingua straniera, al raggiungimento dei requisiti per la quiescenza, possa chiedere di essere autorizzato al trattenimento in servizio retribuito per non più di tre anni". Dalla lettura dell'allegato "FAMI - PRILS Lazio 6" l’obiettivo generale del progetto è diffondere e migliorare la conoscenza della lingua italiana e delle nozioni base di educazione civica tra i cittadini di Paesi Terzi regolarmente soggiornanti nel Lazio, compresi i titolari di protezione umanitaria ed internazionale, categorie vulnerabili e a rischio marginalita?. La realizzazione del progetto prevede una serie programmata di azioni formative ed informative su tutto il territorio con corsi gratuiti e personalizzati per i livelli alfa, preA1, A1, A2 e B1 previsti dal Quadro comune europeo di Riferimento per la conoscenza delle lingue, formazione in presenza con metodologie didattiche innovative; accoglienza e orientamento per valutare le esigenze di ogni persona; servizi di baby sitting e tutoraggio e mediazione culturale. Tanto premesso, il progetto non sembrerebbe rispettare le condizioni indicate nella circolare ministeriale, a meno che, per lo svolgimento dello stesso, non siano stati sottoscritti accordi con scuole e Università di paesi stranieri e che tali attività vengano svolte in lingua straniera, altrimenti non può essere considerato un "progetto internazionale".
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
DSGA di ruolo, con contratto a tempo indeterminato: può svolgere attività di supporto amministrativo per conto di una società privata?
La materia della incompatibilità del personale del Comparto Scuola è regolata dall’art. 53 del D.Lgs. 30 marzo 2001 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze pubbliche”, dagli artt. 60 e seguenti del DPR 10 gennaio 1957 n. 3 “Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, dall’art. 508 del D.L.vo n. 297 del 16 aprile 1994 e da alcune disposizioni del CCNL-Scuola del 29 novembre 2007 non modificate dai successivi CCNL. L’art. 53, primo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Tuttavia, il medesimo art. 53 del Testo Unico del 2001 ha introdotto un regime di incompatibilità “relativa”, consentendo, in presenza di determinate condizioni sostanziali e procedimentali, sia il conferimento di incarichi diversi dai compiti di ufficio da parte delle Amministrazioni ai propri dipendenti, sia l’autorizzabilità di incarichi provenienti da soggetti terzi. Infatti, il comma 6 del più volte citato art. 53 prevede che la normativa in materia di incompatibilità disciplinata dal medesimo articolo si applica ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, oltre che dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero professionali. Per quanto concerne i profili dell'incompatibilità, ricordiamo che già la Circolare n. 3 del 19 febbraio 1997 del Dipartimento della Funzione Pubblica, aveva chiarito che le attività consentite sono un’eccezione rispetto al prevalente e generale principio di incompatibilità, con la conseguenza che il potere di autorizzazione delle amministrazioni deve essere esercitato secondo criteri oggettivi e idonei a verificare la compatibilità dell’attività extra istituzionale in base alla natura della stessa, alle modalità di svolgimento e all’impegno richiesto. Conseguentemente, le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando oltrepassano i limiti della saltuarietà e occasionalità. A chiusura dei lavori del tavolo tecnico, a cui hanno partecipato il Dipartimento della Funzione Pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013 in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, è stato formalmente approvato il documento contenente "Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti". Nel documento viene precisato che sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche della abitualità e professionalità nonché che si presentano in conflitto di interessi. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che comunque presentano le caratteristiche del conflitto di interessi. L'incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri dell'abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003). Sono escluse dal divieto di cui sopra, ferma restando la necessità dell'autorizzazione e salvo quanto previsto dall'art. 53, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001: a) l'assunzione di cariche nelle società cooperative, in base a quanto previsto dall'art. 61 del d.P.R. n. 3/1957; b) i casi in cui sono le disposizioni di legge che espressamente consentono o prevedono per i dipendenti pubblici la partecipazione e/o l'assunzione di cariche in enti e società partecipate o controllate (si vedano a titolo esemplificativo e non esaustivo: l'art. 60 del d.P.R. n. 3/1957; l'art. 62 del d.P.R. n. 3/1957; l'art. 4 del d.l. n. 95/2012); c) l'assunzione di cariche nell'ambito di commissioni, comitati, organismi presso amministrazioni pubbliche, sempre che l'impegno richiesto non sia incompatibile con il debito orario e/o con l'assolvimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro; d) altri casi speciali oggetto di valutazione nell'ambito di atti interpretativi/di indirizzo generale (ad esempio, circolare n. 6 del 1997 del Dipartimento della funzione pubblica, in materia di attività di amministratore di condominio per la cura dei propri interessi; parere 11 gennaio 2002, n. 123/11 in materia di attività agricola). Sono altresì vietati gli incarichi che, sebbene considerati singolarmente e isolatamente non diano luogo ad una situazione di incompatibilità, considerati complessivamente nell'ambito dell'anno solare, configurano invece un impegno continuativo con le caratteristiche della abitualità e professionalità, tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione previsti. Sono vietati anche gli incarichi che, pur rientrando nelle ipotesi di deroga dall'autorizzazione di cui all'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, presentano una situazione di conflitto di interesse. Sono altresì incompatibili: - gli incarichi che si svolgono durante l'orario di ufficio o che possono far presumere un impegno o una disponibilità in ragione dell'incarico assunto anche durante l'orario di servizio, salvo che il dipendente fruisca di permessi, ferie o altri istituti di astensione dal rapporto di lavoro o di impiego; - gli incarichi che, aggiunti a quelli già conferiti o autorizzati, evidenziano il pericolo di compromissione dell'attività di servizio, anche in relazione ad un eventuale tetto massimo di incarichi conferibili o autorizzabili durante l'anno solare, se fissato dall'amministrazione. Pertanto, alla luce della giurisprudenza in materia e dei chiarimenti della Funzione Pubblica, le condizioni ed i criteri in base ai quali il dipendente a tempo pieno può essere autorizzato a svolgere un’altra attività possono così sintetizzarsi: - la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico. Sono, quindi, autorizzabili le attività esercitate sporadicamente ed occasionalmente, anche se eseguite periodicamente e retribuite, qualora per l’aspetto quantitativo e per la mancanza di abitualità, non diano luogo ad interferenze con l’impiego; - la necessità che l’attività svolta non sia in conflitto (anche potenziale) con gli interessi dell’Amministrazione e con il principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione; - la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con la ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio. Ricordiamo che l'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001, al comma 6, disciplina i seguenti incarichi per i quali non è richiesta la preventiva autorizzazione: a) collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali; c) partecipazione a convegni e seminari; d) incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; f) incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita; f-bis) attività di formazione diretta ai dipendenti della Pubblica Amministrazione, nonché di docenza e di ricerca scientifica. f-ter) le prestazioni di lavoro sportivo, fino all'importo complessivo di 5.000 euro annui, per le quali è sufficiente la comunicazione preventiva. Conclusivamente, l’art. 53 del D.lgs. n. 165 appone una serie di deroghe al principio della incompatibilità dei dipendenti pubblici con altre attività, che possono così essere individuate: 1) deroghe di tipo soggettivo per magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato, per i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali 2) deroghe di tipo oggettivo, poiché non violano il regime di incompatibilità alcune attività elencate dal comma 6 dell’art.53 (collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, l’utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali, la partecipazione a convegni e seminari, attività di formazione diretta ai dipendenti della PA etc), che costituiscono estrinsecazione di valori costituzionalmente tutelati quali la libertà di insegnamento e di ricerca, la libertà di manifestazione del pensiero; 3) deroghe per gli incarichi retribuiti, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, conferiti da altre amministrazioni pubbliche o da soggetti privati, previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza (commi 7, 8, 9 e 10). In quest’ultimo caso l’'autorizzazione è rilasciata dagli organi competenti dell'amministrazione di appartenenza del dipendente su istanza dello stesso o del soggetto pubblico o privato conferente l’incarico secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione. Conclusivamente, nel quesito si parla di attività di supporto amministrativo per conto di una società privata ma non viene specificato in cosa esattamente consisterebbe nè le modalità di articolazione della prestazione. Ad ogni modo l'incarico è autorizzabile in presenza delle condizioni di cui sopra. Resta fermo che se trattasi di attività di formazione diretta, formazione/azione, formazione sul campo, formazione pratica a distanza, formazione con attività di affiancamento, formazione con attività laboratoriali sempre rivolta a pubblici dipendenti, l'incarico rientra tra quelli pienamente compatibili non soggetti ad autorizzazione (cfr. la citata lett. fbis).
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Designazione RSPP: quando può essere affidato l'incarico a un dipendente di altra scuola?
Per quanto concerne la designazione del RSPP nelle scuole, l’art. 32, ai commi 8 e 9, del D.Lgs. 81/08, recita: “8. Negli istituti di istruzione, di formazione professionale e universitari e nelle istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica, il datore di lavoro che non opta per lo svolgimento diretto dei compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dei rischi designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, individuandolo tra: a) il personale interno all’unità scolastica in possesso dei requisiti di cui al presente articolo che si dichiari a tal fine disponibile; b) il personale interno ad una unità scolastica in possesso dei requisiti di cui al presente articolo che si dichiari disponibile ad operare in una pluralità di istituti. 9. In assenza di personale di cui alle lettere a) e b) del comma 8, gruppi di istituti possono avvalersi in maniera comune dell’opera di un unico esperto esterno, tramite stipula di apposita convenzione, in via prioritaria con gli enti locali proprietari degli edifici scolastici e, in via subordinata, con enti o istituti specializzati in materia di salute e sicurezza sul lavoro o con altro esperto esterno libero professionista.” La scuola deve quindi rispettare l'ordine di priorità sopra descritto. In argomento il T.A.R. Campania, Sezione Quarta, con la Sentenza 15/01/2018 n. 334, ha ribadito che, nel bando di selezione indetto da un istituto per la carica di RSPP, l'incarico debba essere affidato a personale esterno alla scuola esclusivamente se non è disponibile personale interno all'unità scolastica, in possesso dei requisiti specifici o personale interno ad un'altra unità scolastica in possesso dei medesimi requisiti che si dichiari disponibile ad operare in una pluralità di istituti. Conclusivamente, in caso di indisponibilità di personale interno (lettera a), l'incarico potrà essere affidato ad un dipendente di altra scuola con incarico di collaborazione plurima ma detto affidamento presuppone una procedura selettiva (che potrà essere anche unica purchè, nell'avviso di selezione, siano state precisate le precedenze previste dalla normativa che abbiamo sopra riportato).
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Mancata presentazione di candidature per la Consulta Provinciale degli studenti: sono previste elezioni suppletive?
Nel caso dedotto nel quesito la normativa vigente non prevede elezioni suppletive. E tale soluzione, per questo organo di partecipazione, è coerente con l’impostazione che in materia di elezioni suppletive per organi collegiali, è stata data agli istituti, strettamente correlati, della surroga e delle elezioni suppletive. Il punto di riferimento è rintracciabile nel D.Lgs. 297/1994 (art. 35). Qui si prevede che in caso di decadenza di membri elettivi di organi di durata pluriennale si procede alla “nomina di coloro che, in possesso dei detti requisiti, risultino primi tra i non eletti delle rispettive liste” E," in caso di esaurimento delle liste si procede alle elezioni suppletive”. Se ne deduce che si ricorre alle elezioni suppletive nel caso in cui non sia possibile ricoprire i posti rimasti scoperti per decadenza di uno o più componenti di un organo collegiale ricorrendo alla nomina del /iprimo/i non eletto/i nella rispettiva lista: la cosiddetta surroga. Le elezioni suppletive sono previste quindi per “sostituire” un membro di un organo ove non sia possibile la surroga. Nessuna norma prevede invece elezioni suppletive nel caso in cui, nella procedura elettorale ordinaria di un organismo collegiale di durata pluriennale, per una componente non sia stata presentata alcuna lista ; e quindi tale componente non abbia una sua rappresentanza nell’organo. In altre parole le elezioni suppletive, in caso dell’impossibilità di procedere alla surroga, rispondono alla finalità di “sostituire” un membro decaduto in in determinato organo; non possono essere utilizzate per scopo diverso, come – ad esempio, consentire di avere una rappresentanza a una componente che, nelle elezioni “ordinarie”, non abbia presentato candidature. E infatti il MIM, nella nota n. 2560 del 29/8/2924, prevede elezioni suppletive, in caso di impossibilità di surroga, solo per “sostituire” un membro “decaduto” e non già per consentire, a una componente, che non abbia espresso nelle elezioni ordinarie una sua rappresentanza, di poter rimediare con la presentazione di una sua lista alla mancanza di rappresentanza scaturita nelle elezioni ordinarie secondo i tempi stabiliti.
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Attività svolte da più docenti di strumento: da chi deve essere espressa la valutazione?
La questione sollevata è molto interessante e riguarda l'interpretazione del Regolamento 176/2022, in particolare degli articoli 4 e 8. L'articolo 8 prevede che, quando le attività siano svolte da più docenti di strumento, debba essere espressa una sola valutazione. Questo implica che, anche se le attività includono teoria musicale e pratica musicale (individuale e d'insieme), si deve arrivare ad una sintesi che rappresenti l'andamento complessivo dell'alunno. La valutazione unitaria rappresenta un'opportunità fondamentale per promuovere una visione più completa e integrata delle competenze musicali degli alunni al fine di giungere ad una valutazione equa, trasparente e formativa. In riferimento al caso in esame in cui i docenti di strumento desiderano valutazioni separate per teoria e pratica musicale, il Regolamento è orientato ad un'unica valutazione per garantire coerenza e uniformità e, dato che due docenti diversi impartiscono teoria e pratica musicale, entrambi dovrebbero partecipare ai consigli di classe e collaborare per concordare un'unica valutazione: non è prevista la possibilità di esprimere due voti distinti, in quanto il Regolamento richiede una valutazione unitaria. A tal fine è importante che i docenti discutano e mettano in comune le osservazioni raccolte durante le lezioni per arrivare a una valutazione finale che tenga conto di tutte le componenti dell'apprendimento musicale dell'alunno contribuendo ad una valutazione più informata e giustificata. Potrebbe essere possibile, ad esempio, fornire una valutazione complessiva accompagnata da una breve descrizione qualitativa che evidenzi le diverse competenze acquisite dall'alunno (teoria, pratica individuale, pratica d'insieme). In concreto si propone di creare una griglia di valutazione che tenga conto delle diverse competenze musicali (teoria, pratica individuale, pratica d'insieme) e che definisca chiaramente i criteri di valutazione, stabilendo momenti di incontro regolari tra i docenti per discutere i casi degli alunni, condividere le osservazioni e concordare la valutazione finale.
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Assenza per "Stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta" e congedo per cure invalidanti: sono cumulabili nello stesso anno?
La risposta è affermativa trattandosi di istituti diversi. L’art. 7 del D.Lgs. n. 119 del 2011 “Attuazione dell'articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi” prevede che, salvo quanto previsto dall'articolo 3, comma 42, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni - che abroga le disposizioni in materia di congedo straordinario per cure termali dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni - i lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa superiore al cinquanta per cento possono fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni. Il congedo di cui sopra è accordato dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all'infermità invalidante riconosciuta (pertanto non è sufficiente solo il certificato medico con la spunta stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta). Il terzo comma del citato articolo prevede che durante il periodo di congedo, non rientrante nel periodo di comporto, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l'avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell'assenza può essere prodotta anche attestazione cumulativa. Il Ministero del Lavoro, con l'Interpello n. 10 dell'8 marzo 2013, ha fornito indicazioni in ordine alla corretta interpretazione dell'art. 7, D.Lgs. n. 119/2011, concernente la disciplina del congedo per cure riconosciuto in favore dei lavoratori mutilati ed invalidi civili. È stato ribadito che: - il suddetto congedo non rientra nel periodo di comporto ed è concesso dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata da idonea documentazione comprovante la necessità delle cure connesse alla specifica infermità invalidante; - la fruizione frazionata dei permessi deve essere intesa come un solo episodio morboso di carattere continuativo, ai fini della corretta determinazione del trattamento economico corrispondente, in quanto connesso alla medesima infermità invalidante riconosciuta. Il Ministero del Lavoro osserva che l'art. 7 del Decreto n. 119/2011 ha stabilito che durante la fruizione del congedo il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Pertanto, le caratteristiche del congedo in questione possono così riassumersi: - il congedo (30 giorni fruibili in modo anche frazionato) è accordato per cure che si riferiscono all'infermità invalidante riconosciuta; - il periodo di congedo non rientra nel periodo di comporto; - il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia; - il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l'avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell'assenza può essere prodotta anche attestazione cumulativa. La Funzione Pubblica, con il Parere 7 febbraio 2022, n. 12173 pubblicato in data 23 dicembre 2022, ha fornito chiarimenti circa le modalità di applicazione dell’istituto del congedo straordinario per cure riservato ai lavoratori invalidi civili, ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 119 del 2011, con particolare riferimento alla computabilità delle giornate del sabato e della domenica nel caso di un dipendente che ha chiesto di fruire di trenta giorni consecutivi di congedo straordinario per cure. Viene ribadito che durante il suddetto periodo di congedo il dipendente ha diritto a percepire il trattamento secondo il regime economico delle assenze per malattia e che tale periodo non è computabile nel periodo di comporto individuato dai CCNL. Invece, l'assenza per “Stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta” è soggetta sia alle ritenute economiche previste dalla normativa vigente che computabile ai fini del superamento del periodo di comporto mentre, l'unico trattamento più favorevole concerne la non assoggettabilità del dipendente alle fasce orarie di reperibilità e la conseguente astensione da parte dell'Amministrazione di richiedere la visita fiscale (Pareri Funzione Pubblica n. 2 del 15 marzo 2010 e n. 30536 del 24/7/2012; DM 206/2017 - nuovo Regolamento sule visite fiscali- che per quanto concerne l'esenzione dalle visite fiscali richiede "stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%").
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Docente in part-time orizzontale: ha diritto ai permessi per motivi personali, L. 104 e ai sei giorni di ferie?
Una docente di scuola superiore, chiede la concessione di un part time orizzontale di 15 ore su 5 giorni. Ha diritto a tre giorni retribuiti...
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Una dipendente a t.d. chiede di poter aprire una Partita IVA per poter collaborare con il coniuge in un'attività privata...
Per il corrente A.S. la dipendente è assistente amministrativa a t.d. e quindi si applica la normativa per il personale ATA. Preliminarmente occorre verificare se trattasi di attività libero professionale o commerciale. In tal senso sarà opportuno richiedere ulteriore precisazioni alla docente sul codice ATECO relativo alla partita iva e sulla copertura previdenziale (se vi è Gestione Separata INPS si tratterà di attività libero professionale; se vi è iscrizione alla Camera di Commercio vi sarà esercizio di attività commerciale). Poniamo il caso che, a seguito delle precisazioni richieste, nel caso di specie si trattasse di svolgimento di attività commerciale/imprenditoriale. Trattasi di dipendente a tempo pieno in quanto ora l'art. 70 CCNL 2024 prevede che la supplenza sia solo su posto intero e quindi se la partita iva è per attività commerciale, si è in presenza di una situazione di incompatibilità assoluta non autorizzabile. L’art. 53, primo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve essere considerata come esercizio del commercio e dell’industria ogni attività imprenditoriale; deve, inoltre, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore delegato di società di capitali. Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. In giurisprudenza (cfr Corte di Cassazione, sez. lav., Sent. 26/11/2012, n. 20857) è stato affermato che l'impiegato della Pubblica Amministrazione non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione, senza alcun riferimento ad attività retribuita, onde il divieto deve ritenersi assoluto, a prescindere dalla sussistenza o meno di una remunerazione, ovvero di una continuità della prestazione lavorativa diversa da quella espletata alle dipendenze della P.A. Il titolare della ditta individuale è l’unico responsabile dell’attività ed è esposto al rischio d’impresa. Infatti, egli risponde delle obbligazioni assunte in nome della ditta con tutto il proprio patrimonio presente e futuro (responsabilità illimitata). Come già rilevato in precedenti risposte, a nostro avviso, le ditte individuali rientrano nella definizione di operatori economici, per cui la ditta individuale risulta impresa e non lavoratore autonomo. In giurisprudenza è stato altresì affermato: - Consiglio di Stato sez. VI, 24/09/1993, n.629: rientra tra le ipotesi di incompatibilità con il pubblico impiego previste dall'art. 60 t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 la titolarità di un'impresa artigiana. - T.A.R., Lazio sez. I, 20/05/1987, n.1085: nell'ampia locuzione adoperata dall'art. 60 t.u.imp.civ.st. (d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) in tema d'incompatibilità (commercio, industria e professione) deve intendersi inclusa anche l'attività lavorativa svolta in qualità di artigiano. Se, invece, si trattasse di partita iva per attività libero professionale, ricordiamo che per il personale ATA l'attività libero-professionale è autorizzabile solo se il dipendente si trovi in part time con prestazione lavorativa non superiore al 50% (legge 662 del 1996) e sempre che non arrechi pregiudizio alle esigenze di servizio e non sia incompatibile con l'attività di istituto (fermo restando ovviamente che l’ordinamento della libera professione consenta l’esercizio da parte di pubblici dipendenti ma nel caso di specie, come detto sopra, si tratta di libera professione non regolamentata). Infatti l’art. 1, comma 56 e seguenti, della citata legge 662/1996 consente ai dipendenti pubblici con prestazione di lavoro part-time non superiore al 50% di quella a tempo pieno di svolgere attività libero- professionale ed attività di lavoro subordinato o autonomo. In tali ipotesi, pertanto, il cumulo di rapporto lavorativo viene legislativamente consentito, con la conseguenza che, per i dipendenti in regime di tempo parziale, non superiore al 50% di quello a tempo pieno, le disposizioni di cui all’art. 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché quelle contenute in leggi o regolamenti che vietano l’iscrizione in albi professionali, risultano inapplicabili. Trattandosi di dipendente a tempo pieno, si rileva che, anche se si trattasse di partita iva per esercizio di libera professione, non potrà essere data l'autorizzazione.
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Alcuni genitori chiedono di anticipare l'accesso a scuola dei figli prima delle lezioni: i collaboratori scolastici sono responsabili della vigilanza?
La richiesta di anticipare l’accesso per un tempo precedente alle lezioni particolarmente lungo, non può trovare copertura contrattuale nel servizio ordinario dei Collaboratori scolastici, ma impone una progettualità specifica. Sul punto si ricorda che il CCNL 2019/21, attualmente in vigore, nell’allegato A definisce le mansioni professionali specifiche del Collaboratore scolastico, prevedendo che esso “È addetto ai servizi generali della scuola quali, a titolo esemplificativo: - accoglienza e sorveglianza nei confronti degli alunni- nei periodi immediatamente antecedenti e successivi all’orario delle attività didattiche, […]”. Or bene, dalla disposizione contrattuale emerge che l’assistenza agli alunni in ingresso non può essere ragionevolmente anticipata di oltre 5/7 minuti prima del suono della campanella di avvio dell’orario scolastico mattutino. Per poter corrispondere alle richieste delle famiglia sarà necessaria una progettualità specifica con il coinvolgimento del personale interno (con stanziamento di risorse da FIS) o eventualmente mediante accordi con l'Ente Locale per l'organizzazione di un servizio di pre scuola.
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Docente che al 31/08/2025 ha 67 anni di età e una contribuzione di 9 anni e 11 mesi: deve chiedere il trattenimento in servizio per raggiungere i requisiti del pensionamento?
Secondo quanto indicato nella circolare ministeriale prot. n. 150796 del 25 settembre 2024 avente ad oggetto: "Decreto ministeriale 25 settembre 2024, n. 188. Cessazioni dal servizio del personale scolastico dal 1° settembre 2025. Trattamento di quiescenza e di previdenza. Indicazioni operative." nulla è innovato rispetto al comma 3 dell'art. articolo 509 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 che disciplina i trattenimenti in servizio per raggiungere il minimo ai fini del trattamento di pensione. Ne consegue che nel 2025 permarranno in servizio i soli soggetti che, avendo compiuto 67 anni di età entro il 31 agosto 2025, non siano in possesso di 20 anni di anzianità contributiva entro tale data. La docente in questione che compie 67 anni entro il 31 agosto 2025 ed, entro la stessa data, possiede un'anzianità contributiva complessiva di 9 anni e 11 mesi, pur non raggiungendo il minimo contributivo all'età di 70 anni può essere trattenuta in servizio fino al 71esimo anno di età perché la contribuzione decorre dal 1° gennaio 1996. A chiarirlo è la circolare n. 2 del 19 febbraio 2015 della Funzione Pubblica che recita testualmente: ”Per coloro che abbiano il primo accredito contributivo a decorrere dal 1° gennaio 1996, peraltro, il collocamento potrà essere disposto solo se l’importo della pensione non risulterà inferiore all’importo soglia di 1,5 volte l’assegno sociale annualmente rivalutato (ai sensi dell’articolo 24, comma 7, del citato decreto legge n. 201 del 2011). Se, invece, anche considerando tutti i periodi contributivi, il dipendente non raggiungerà il minimo di anzianità contributiva entro il raggiungimento dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia prevista dall’articolo 24, comma 6, del predetto decreto-legge n. 201 del 2011, l’amministrazione dovrà valutare se la prosecuzione del rapporto di lavoro fino al compimento dei 70 anni di età (oltre all’adeguamento alla speranza di vita) consentirebbe il conseguimento del requisito contributivo. In caso affermativo, l’amministrazione dovrà proseguire il rapporto di lavoro al fine di raggiungere l’anzianità contributiva minima.” Tanto premesso, la docente in questione non avendo contribuzione prima del 1996 deve chiedere il trattenimento in servizio per raggiungere i requisiti del pensionamento di vecchiaia a 71 anni (adeguamento speranza di vita) con almeno 5 anni di contribuzione. Come indicata nella circolare ministeriale "de qua", la domanda di trattenimento in servizio – ai sensi dell’articolo 1, comma 257, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, modificato dall’articolo 1, comma 630, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 – dovrà essere presentata all’Ufficio di Ambito Territoriale in formato analogico o digitale, al di fuori della piattaforma POLIS, entro il termine del 21 ottobre 2024. Se la docente non chiede il trattenimento in servizio, il dirigente scolastico dovrà procedere con la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, senza diritto a pensione, motivando che la dipendente non ha presentato istanza di trattenimento in servizio e non raggiunge i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia.
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Nella mia scuola, in concomitanza della pubblicazione della circolare con le varie ipotesi di cessazione dal servizio per l'a.s. 2025/2026, si presentano casistiche da attenzionare. In particolare, viene segnalata la situazione di un docente che non ha raggiunto i 20 anni di contribuzione contributiva nel profilo di appartenenza. E fin qui nessun problema: potrebbe rimanere in servizio per raggiungere il ventennio di contribuzione. Ma non finisce qui perchè il docente ha versato, prima dell'assunzione in servizio come docente, contributi per cui non ha ritenuto opportuno richiedere la ricongiunzione. Può, in questo caso, richiedere la permanenza in servizio fino al compimento del ventesimo annodi contribuzione?
A dirimere la questione è la circolare n. 2 del Dipartimento della Funzione Pubblica del 19 febbraio 2015, che al paragrafo 2.3.1 recita testualmente: "Per valutare la sussistenza del requisito contributivo minimo per il diritto a pensione e, quindi, la possibilità della risoluzione del rapporto di lavoro, dovranno essere considerati il rapporto di lavoro in essere con l'amministrazione e gli eventuali precedenti rapporti di lavoro, a cui corrispondano contributi versati presso le diverse gestioni previdenziali. Infatti, se il totale dei 20 anni, previsto dall'articolo 24, comma 7, del citato decreto-legge n. 201 del 2011, è raggiunto attraverso la somma di anzianità contributive relative a diverse gestioni previdenziali, il dipendente potrà accedere all'istituto gratuito della totalizzazione, di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, o a quello del cumulo contributivo, di cui all'articolo 1, commi 238-248, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che gli permetteranno di conseguire il requisito contributivo minimo." Tanto premesso il docente dovrebbe presentare istanza di pensione all'Inps per l'accertamento del diritto al pensionamento per limiti di età (vecchiaia) e contestualmente presentare istanza di trattenimento in servizio, dichiarando che lo stesso dovrà essere disposto nel caso di accertamento negativo del diritto a pensione da parte dell'ente previdenziale. L'istituzione scolastica, entro il 28 febbraio 2025, a seguito di certificazione del diritto a pensione da parte dell'Inps deve notificare, al docente, formale provvedimento di collocamento a riposo per il raggiungimento dei requisiti del pensionamento di vecchiaia oppure, nel caso contrario, procedere con il decreto di trattenimento in servizio se il docente ha presentato tale richiesta come indicato nella circolare ministeriale prot. n. 150796 del 25 settembre 2024 secondo cui, ai sensi dell’articolo 1, comma 257, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, modificato dall’articolo 1, comma 630, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, l'istanza di trattenimento in servizio dovrà essere presentata all’Ufficio territorialmente competente in formato analogico o digitale, al di fuori della piattaforma POLIS, entro il termine del 21 ottobre 2024.
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Data di pubblicazione: 03/10/2024
Un dipendente chiede di poter fruire dei permessi L. 104 per assistenza alla suocera a seguito di rinuncia della moglie...
La risposta necessita di una breve e opportuna premessa. L’art. 33, comma 3 della legge 104/92, stabilisce i soggetti principali legittimati alla fruizione dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave che sono: il coniuge, la parte dell’unione civile, il convivente e i parenti ed affini entro il secondo grado. La stessa legge, ha altresì previsto un'eccezione per i casi in cui i genitori o il coniuge della persona da assistere abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti. In queste ipotesi, stimando eccessivamente onerosa o impossibile l'opera di assistenza a causa dell'età non più giovane o della patologia del famigliare, la legge prevede la possibilità di estendere la legittimazione alla titolarità dei permessi anche ai parenti e agli affini entro il terzo grado. La suocera nel grado di parentela è affine di 1 grado (cfr. art. 78 del C.C.), non è quindi una eccezione ma, rientra fra i soggetti legittimati ai permessi previsti per assistenza da parte del familiare, lavoratore dipendente. Quindi, per quello che concerne la prima risposta, considerato il principio universale di assistenza, presupposto principale della stessa legge 104/92, si ritiene che la domanda non può essere rifiutata. La rinuncia della moglie/figlia, senza alcuna patologia, non è motivo di esclusione per il genero/coniuge, dagli aventi diritto. Ciò precisato, è necessario che la domanda sia supportata dalla pertinente documentazione. La Funzione Pubblica, per quello che concerne il personale tutto del pubblico impiego (ma stesse indicazioni per il settore privato da parte dell’INPS) già nella circolare 13/2010 al punto 7 indica alcuni precisi presupposti. Presupposto principale e indispensabile per la fruizione dei permessi è che la persona sia portatrice di disabilità grave riconosciuto ai sensi dell’art. 3, comma 3 della stessa Legge 104/92 quindi, alla domanda è necessario allegare il relativo verbale di accertamento. Inoltre, deve essere allegata una dichiarazione sostituiva di certificazione presentata ai sensi degli artt. 46 e 47 e, sottoscritta ai sensi dell’art. 76 dalla stessa docente che attesti: - che il familiare non è ricoverato a tempo pieno (si intende per ricovero a tempo pieno quello che si svolga nelle 24 ore) presso strutture ospedaliere o comunque presso strutture pubbliche o private che assicurino assistenza sanitaria, fatte salve alcune possibili eccezioni; - che i permessi sono uno strumento di assistenza del disabile e pertanto il loro riconoscimento comporta la conferma dell’impegno morale e giuridico a prestare la propria opera di assistenza; - che è consapevole che la possibilità di fruire dei permessi comporta un onere per l’Amministrazione e un impegno di spesa pubblica che lo Stato e la collettività sopportano solo per l’effettiva tutela del disabile; - che si impegna a comunicare tempestivamente ogni variazione delle condizioni necessarie al diritto ai permessi. In ultimo si aggiunge che, il novellato articolo 33, comma 3, della Legge 104/1992 dopo le modifiche di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), n. 2), del decreto legislativo n. 105/2022 con decorrenza dal 13 agosto 2022, stabilisce che, fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli aventi diritto, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Di fatto è stata abrogata la condizione di Referente Unico, infatti, tale previsione normativa comporta che, a fare data dal 13 agosto 2022, a differenza del passato, più soggetti aventi diritto possano richiedere l’autorizzazione a fruire dei permessi in argomento alternativamente tra loro, per l’assistenza alla stessa persona disabile grave. Quindi, nella citata dichiarazione sostitutiva è altresì necessario indicare se: altri familiari utilizzano o non utilizzano (nel caso specifico potrebbe essere un altro familiare lavoratore dipendente del settore privato) degli stessi permessi. Si rammenta che, con la firma ai sensi dell’art. 76 il dichiarante si assume ogni responsabilità e deve essere anche consapevole che:” Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso (…) nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia anche penale. L'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso”.
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Data di pubblicazione: 02/10/2024
Utilizzo, durante gli intervalli, della filodiffusione di brani musicali con playlist realizzate dagli studenti: è necessario pagare i diritti SIAE?
Nella nostra scuola vorremmo usare, durante gli intervalli, la filodiffusione di brani musicali con playlist realizzate dagli studenti. E' possibile o è necessario...
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Data di pubblicazione: 02/10/2024
Graduatorie: una docente licenziata può essere destinataria delle procedure di assunzione?
Va innanzitutto premesso che l’articolo 6 dell’ordinanza ministeriale 16 maggio 2024, n. 88, rubricato “Requisiti generali di ammissione e condizioni ostative”, al comma 2 recita testualmente “Non possono partecipare alla procedura di inserimento nelle GPS e nelle correlate graduatorie di istituto […] e) coloro che siano stati licenziati dall’impiego presso una Pubblica Amministrazione per giusta causa o giustificato motivo soggettivo ovvero siano incorsi nella sanzione disciplinare del licenziamento con o senza preavviso, ovvero della destituzione”. La procedura di interpello prevista dall’articolo 13, comma 23, della medesima ordinanza viene attivata in caso di esaurimento delle graduatorie di istituto della specifica istituzione scolastica e delle scuole viciniori. Rappresenta pertanto una forma di reclutamento residuale, che necessariamente sfugge ad alcuni dei principi ordinariamente applicati nel sistema di reclutamento, primo fra tutti il diritto di graduatoria. Il fatto però che si tratti di una forma di reclutamento residuale ed emergenziale non ne fa una sorta di “chiamata libera” senza regole. Lo stesso comma 23, all’ultimo periodo, recita “gli eventuali contratti a tempo determinato stipulati sono soggetti ai vincoli previsti dalla presente ordinanza, ivi incluse le disposizioni di cui all’articolo 14”. Nella gestione ordinaria, le condizioni ostative di cui all’articolo 6 inibiscono l’inserimento in graduatoria per inibire la stipula dei conseguenti contratti a tempo determinato, così come il possesso dei requisiti generali di ammissione non è solo finalizzato alla compilazione della graduatoria, ma anche alla successiva possibilità di conseguire un eventuale contratto. In sintesi, anche se il cosiddetto interpello rappresenta una forma di reclutamento per definizione fuori graduatoria, si ritiene che il possesso dei requisiti generali di ammissione e l’assenza di condizioni ostative siano elementi costitutivi della possibilità di stipulare un rapporto di lavoro a tempo determinato. Stante quanto sopra, la docente in questione non potrebbe essere destinataria delle procedure di assunzione. Ovviamente la nostra è una interpretazione prudenziale; non è escluso che qualche giudice del lavoro possa pensarla diversamente. Ma, per ora, in attesa di eventuali indicazioni diverse dall'Amministrazione, riteniamo corretta questa linea.
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