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Data di pubblicazione: 21/10/2024
Compensi legati a progetti Pon, Pnrr, Erasmus: incidono sulla determinazione della pensione?
In merito al quesito posto si precisa che i compensi legati a progetti pon, pnrr, erasmus rientrano tra i compensi accessori e possono essere utilizzati solo per l’importo eccedente il 18% per il calcolo della Quota B (Media delle Retribuzioni annue per individuare la Retribuzione media pensionabile) e Quota C (accantonamento del 0,33 dell’imponibile anno lordo che costituisce il Montante Contributivo) dell’importo pensionistico.
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Data di pubblicazione: 21/10/2024
Consegna dei cellulari degli studenti all'inizio delle lezioni con conservazione in un luogo sicuro: che ne pensate?
Sono la ds di un istituto secondario superiore e molti docenti del mio istituto vorrebbero far approvare una delibera da parte degli organi collegiali...
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Data di pubblicazione: 21/10/2024
Sviluppo della filiera formativa tecnologico professionale: è possibile attivare un percorso quadriennale del tecnico meccatronico per l'a.s. 2025/26?
Sono DS di un ISI che ha al suo interno un indirizzo tecnico meccatronico. Non si è aderito per l'anno scolastico 2024/2025 alla sperimentazione...
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Data di pubblicazione: 21/10/2024
PNRR: un esperto esterno è stato erroneamente contrattualizzato con lettera di incarico invece che contratto di prestazione d'opera occasionale...
Nella fase c.d. pubblicistica l’amministrazione agisce secondo moduli autoritativi (nell’ambito del “procedimento” selettivo ad evidenza pubblica), disciplinati dal diritto interno, in conformità alle direttive europee e retto dai principi di trasparenza e pubblicità, proporzionalità ed economicità. Giova precisare, ad ogni buon conto, che per statuizione dell’art. 1 comma 1-bis della L. 241/1990 “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”. Occorre a questo punto ricordare che l’incarico, alla stregua del contratto, è un atto di diritto privato in base al dettato dell'articolo 2 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 - Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e ss.mm.ii - che stabilisce che "i rapporti individuali di lavoro sono regolati contrattualmente", sancendo così, definitivamente, che fonte del rapporto di lavoro dei dipendenti di pubbliche amministrazioni è un atto di diritto privato, e non più un atto amministrativo unilaterale. Tuttavia, sia l’incarico a un dipendente che un contratto di collaborazione sono atti conseguenti alla fase pubblicistica svolta dall’Amministrazione, necessariamente preceduti da un provvedimento di individuazione emanato nell’ambito del “procedimento” selettivo ad evidenza pubblica. Ciò posto, il perimetro delle modalità e degli effetti che l’attività “emendativa” della P.A. produce rispetto alla correzione di vizi ed imperfezioni del documento qualora gli stessi dovessero risultare colpiti da un c.d. errore materiale (per sua natura non incidente sulla finalità e sulla sostanza della volontà rappresentata dalla P.A.), si appalesano come doverosi, necessari e funzionali alla migliore realizzazione dell’interesse collettivo e, pertanto, non altrimenti procrastinabili e ineludibili. Peraltro, la natura dell’intervento di correzione degli errori materiali determina un esito conservativo mediante l’adozione dì un rimedio con funzione “sanante” dai vizi che affliggevano il documento. La riferita esigenza di salvaguardare la validità e l’efficacia degli atti compiuti si esplica nel potere di revisione degli atti adottati sotto il profilo della legittimità o dell’opportunità al fine di assicurarne la costante rispondenza al pubblico interesse assegnato dalla legge. Orbene, tra i procedimenti ad esito conservativo, specifico interesse riveste l’istituto della rettifica con riferimento alla correzione dell’errore materiale. In buona sostanza, affinchè in senso tecnico-giuridico si manifesti la fattispecie dell’errore materiale, occorre che lo stesso sia il frutto di una svista che determini una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell’atto e la volontà sostanziale dell’autorità emanante, obiettivamente rilevabile dall’atto medesimo e riconoscibile come errore palese secondo un criterio di normalità “senza necessità di ricorrere ad un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo”. In estrema sintesi, nell’ambito dell’autotutela decisoria, l’attività di riesame determina un procedimento di secondo grado, anche ad iniziativa d’ufficio, riferito ad un provvedimento (di primo grado) già emanato. I provvedimenti conseguenti (c.d. secondo grado) hanno effetti retroattivi dal momento in cui i provvedimenti di primo grado sono divenuti efficaci. Anche il Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. 05 marzo 2014, n. 1036, ha analizzato gli elementi costitutivi dell’istituto della rettifica precisando che lo stesso: ”…consiste nella eliminazione di errori ostativi o di errori materiali in cui l’amministrazione sia incappata, di natura non invalidante ma che diano luogo a mere irregolarità. Affinché ricorra un’ipotesi di errore materiale in senso tecnico-giuridico, occorre che esso sia il frutto di una svista che determini una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell’atto e volontà sostanziale dell’autorità emanante, obiettivamente rilevabile dall’atto medesimo e riconoscibile come errore palese secondo un criterio di normalità, senza necessità di ricorrere ad un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo, valendo il requisito della riconoscibilità ad escludere l’insorgenza di un affidamento incolpevole del soggetto destinatario dell’atto in ordine alla corrispondenza di quanto dichiarato nell’atto a ciò che risulti effettivamente voluto. Né alla rettifica si può far luogo oltre un congruo limite temporale, onde non pregiudicare la certezza dei rapporti, specie in caso di incidenza pregiudizievole sulla situazione giuridica del destinatario dell’atto”. Un ulteriore valido contributo è contenuto nella Sentenza del Consiglio di Stato Sezione II 4 giugno 2020, n. 3537 che rassegna alcuni interessanti passaggi ermeneutici e sostanziali: “…Il provvedimento di rettifica…ha natura di atto di autotutela (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, 13 dicembre 2010, n. 36323) e dunque ne è corretta la qualificazione come “di secondo grado” in quanto va ad incidere su un sottostante provvedimento. Esso, tuttavia, si caratterizza per il suo fondarsi su un errore che non attiene all’accertamento dei presupposti dell’agire dell’amministrazione, all’interpretazione della disciplina applicabile alla fattispecie, ovvero all’esercizio dell’eventuale discrezionalità; bensì consiste nella mera errata trasposizione nel provvedimento della volontà dell’amministrazione, per come risultante dallo stesso atto. …D’altro canto, la mera correzione di errori materiali non implica, per sua natura, alcuna ponderazione di interessi, non essendo astrattamente configurabile un’esigenza pubblica alla conservazione di un atto a contenuto errato (sul punto cfr. T.A.R. Lazio, sez. II, 5 marzo 2020, n. 2990). I principi in questione sono a tal punto immanenti all’ordinamento giuridico che il legislatore impone persino al giudice di intervenire sui propri provvedimenti in presenza di un’istanza di correzione di errore materiale, senza che ciò determini alcuna violazione del divieto del ne bis in idem (cfr., per il processo amministrativo, l’art. 86 c.p.a.). Mutuando peraltro le risultanze giurisprudenziali cristallizzatesi proprio in ambito giudiziario, può affermarsi che sussistono gli estremi di un errore materiale quando ci si trovi di fronte ad «una inesattezza o svista accidentale rilevando una discrepanza tra la volontà del giudicante e la sua rappresentazione, chiaramente riconoscibile da chiunque e che è rilevabile dal contesto stesso dell’atto» (C.d.S., sez. III, 5 agosto 2011, n. 4695). …La natura doverosa della rettifica…, impone peraltro solo che la motivazione dia conto dell’errore di fatto commesso (T.A.R. Calabria, sez. II, 9 maggio 2014, n. 699)… …Inquadrata dunque la rettifica che sia effettivamente tale nell’ambito di quei particolari provvedimenti di secondo grado connotati dall’avere tipicamente ad oggetto l’eliminazione di un errore materiale, gli eventuali vizi formali e/o procedurali dai quali essa risulti affetta non possono che ricadere nel paradigma automaticamente conformativo, anziché caducatorio, declinato nel primo alinea del comma 2 dell’art. 21-octies della l. n. 241/1990, senza che sia richiesta alcuna allegazione aggiuntiva da parte dell’Amministrazione procedente”. Inoltre, con precedente pronuncia del T.A.R. Lazio Latina, Sez. I, 17 /7/2013, n.644, erano stati stati delineati i limiti e le caratteristiche del provvedimento di rettifica precisando che: “…La giurisprudenza è, infatti, costante nell’affermare che la rettifica è il provvedimento mediante cui, di regola, viene eliminato l’errore materiale in cui è incorsa l’Autorità emanante nella determinazione del contenuto del provvedimento (cfr., ex multis, T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 8 ottobre 2012, n. 1973). Invero, la rettifica, quale provvedimento di secondo grado volto alla semplice correzione di errori materiali o di semplici irregolarità involontarie (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 13 luglio 2012, n. 1548), si distingue profondamente dall’annullamento d’ufficio e dalla revoca, non avendo natura di vero e proprio provvedimento di riesame e non essendo assoggettato alla disciplina di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, in quanto: a) non riguarda atti affetti da vizi di merito o di legittimità e non presuppone alcuna valutazione, più o meno discrezionale, in ordine alla modifica del precedente operato della P.A. (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 1548/2012, cit.), anzi secondo parte della giurisprudenza, ha natura doverosa, in luogo della discrezionalità insita nel potere di annullamento d’ufficio (T.A.R. Calabria, Catanzaro, 7 luglio 1988, n. 297); b) non coinvolge la valutazione dell’interesse pubblico sotteso all’emanazione del provvedimento di primo grado (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 1973/2012, cit.); c) non comporta nessuna valutazione tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato (cfr. T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, Sez. I, 19 luglio 2009, n. 271); d) non richiede una motivazione rigorosa (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 1973/2012, cit.); e) si distingue, altresì, dalla regolarizzazione e dalla correzione, le quali, normalmente, comportano l’integrazione dell’atto (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 1548/2012, cit.)”. In relazione a quanto precede, individuati i limiti dell’esercizio del potere di rettifica con riferimento alla correzione di errori materiali, è possibile, in relazione ai fini pubblicistici che connotano l’attività della P.A., adottare provvedimenti di correzione di errori materiali nei documenti propedeutici e conseguenti (vedi incarico/contratto) all’affidamento, elementi questi non incidenti sulla volontà effettiva della P.A. Riepilogando, è nostro avviso che l’Istituto possa sanare l’errore nel seguente modo: - emanazione di motivato e circostanziato provvedimento dirigenziale con cui - dato atto degli esiti della procedura selettiva svolta e dell’errore materiale commesso in fase di conferimento, viene disposto l’annullamento dell’atto di incarico all’esperto e la sua contestuale sostituzione con un contratto di prestazione d'opera occasionale, ai sensi dell'art. 2222 cc., avente decorrenza ed efficacia retroattiva dalla data di conferimento dell’incarico erroneo. - predisposizione e sottoscrizione (con decorrenza ed efficacia retroattiva dalla data di conferimento dell’incarico erroneo) del contratto di prestazione d'opera occasionale ex art. 2222 cc, Concludiamo, come di consueto, precisando che, in materia di attuazione dei Progetti PNRR, contano moltissimo le indicazioni che periodicamente vengono dal Ministero, che raccoglie casi e poi pubblica indicazioni per le scuole o le fornisce direttamente in risposta ad appositi quesiti.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Docente legale rappresentante di un'associazione senza fini di lucro: sussiste incompatibilità?
L'art. 53 del D.Lgs. 165/2001 dispone che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del DPR 10/01/1957, n. 3. Lo stesso articolo prevede che gli incarichi retribuiti conferiti ai pubblici dipendenti devono essere previamente autorizzati dall'Amministrazione di appartenenza. Tali incarichi sono quelli, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Per poter svolgere attività ed incarichi extraistituzionali è necessaria l'autorizzazione del dirigente scolastico (cfr art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001). A meno che non si tratti di personale in part time con prestazione lavorativa non superiore al 50% i presupposti per il conferimento di incarichi extraistituzionali a dipendenti pubblici sono l'occasionalità, la saltuarietà, la mancanza di conflitto di interessi anche potenziale, la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con l'ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio (cfr Circolare Funzione Pubblica n. 3 del 1997; Parere Funzione Pubblica 24 gennaio 2012, n. 1). Più in generale la normativa prevede che possono essere autorizzati altri incarichi di lavoro che rispondano a tali condizioni: - la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico; - il non conflitto con gli interessi dell’amministrazione e con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione; - la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento. Ricordiamo, inoltre, che a chiusura dei lavori del tavolo tecnico, a cui hanno partecipato il Dipartimento della Funzione Pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013 in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, è stato formalmente approvato il documento contenente "Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti". Nel Documento è precisato che sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche della abitualità e professionalità nonchè che si pongano in conflitto di interessi. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche del conflitto di interessi. Gli incarichi che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell'art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà "esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro". L'incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003). Sono altresì vietati gli incarichi che, sebbene considerati singolarmente e isolatamente non diano luogo ad una situazione di incompatibilità, considerati complessivamente nell'ambito dell'anno solare, configurano invece un impegno continuativo con le caratteristiche della abitualità e professionalità, tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione previsti. Ricordiamo che già la Circolare n. 3 del 19 febbraio 1997 del Dipartimento della Funzione Pubblica, aveva chiarito che le attività consentite sono un’eccezione rispetto al prevalente e generale principio di incompatibilità, con la conseguenza che il potere di autorizzazione delle amministrazioni deve essere esercitato secondo criteri oggettivi e idonei a verificare la compatibilità dell’attività extra istituzionale in base alla natura della stessa, alle modalità di svolgimento e all’impegno richiesto. Conseguentemente, le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando oltrepassano i limiti della saltuarietà e occasionalità. Pertanto i requisiti per autorizzare un incarico sono: - la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico. Sono, quindi, autorizzabili le attività esercitate sporadicamente ed occasionalmente, anche se eseguite periodicamente e retribuite, qualora per l’aspetto quantitativo e per la mancanza di abitualità, non diano luogo ad interferenze con l’impiego; - la necessità che l’attività svolta non sia in conflitto con gli interessi dell’Amministrazione e con il principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione; - la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con la ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio. La carica in questione è compatibile - e quindi potrà essere concessa l'autorizzazione - se connotata da temporaneità e saltuarietà della prestazione; alla stessa stregua non è incompatibile se a titolo gratuito. Ricordiamo che però non deve mai esserci la sussistenza di conflitto di interessi (es. attività della associazione con alunni delle classi del docente). In tal senso ricordiamo anche l'art. 5 del DPR 62/2013 ai sensi del quale "Nel rispetto della disciplina vigente del diritto di associazione, il dipendente comunica tempestivamente al responsabile dell’ufficio di appartenenza la propria adesione o appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio. Il presente comma non si applica all’adesione a partiti politici o a sindacati".
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Mancata partecipazione al bando PNRR sulla dispersione scolastica: quali conseguenze?
La nostra scuola sta valutando le possibili conseguenze della mancata partecipazione al bando del DM 19/24 del PNRR, focalizzato sulla dispersione scolastica...
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Presunta inidoneità di una docente di sostegno: come procedere per richiedere una visita ispettiva all’ufficio di ambito territoriale competente?
Preliminarmente, va precisato che le visite ispettive vengono comandate dal Direttore generale e non dai dirigenti degli Ambiti territoriali, per cui la dettagliata e motivata richiesta va inviata alla Direzione regionale e per conoscenza allo UAT provinciale che, tuttavia, non ha competenza diretta sugli accertamenti ispettivi. Qualora anche il parere del dirigente tecnico inviato dall’USR collimi con le risultanze emerse dall’istruttoria della scuola, il Dirigente scolastico emetterà il decreto di dispensa. Non vi è dubbio riguardo alla competenza del dirigente della scuola, ove il docente presta servizio ad emettere il decreto di dispensa, stante la contrattualizzazione del pubblico impiego e l’attribuzione alle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'art. 14 del d.P.R.275/1999, delle funzioni già di competenza dell'amministrazione centrale o periferica in materia di stato giuridico ed economico del personale. Deve peraltro rilevarsi la tacita abrogazione dell'art. 513 del TU Scuola per incompatibilità con la disposizione generale di cui al combinato disposto degli art. 14 del d.P.R. n. 275 del 1999 e 25, comma 4, del D.Lgs.165/2001 che attribuisce al dirigente scolastico la competenza ad adottare i provvedimenti di gestione delle risorse e del personale. Tra gli elementi fondamentali del decreto di dispensa, si segnala la necessità di specificare gli elementi salienti della decisione, affinché il decreto risulti adeguatamente motivato e non generico. E’ necessario cioè esprimere dettagliatamente le lacune riscontrate e le incompetenze rilevate nel merito, con riferimento all’istruttoria compiuta, esplicitando, in chiusura, la possibilità di impugnazione. Va, peraltro, ricordato, come recentemente espresso dalla sentenza Cass.Civ.sez.lav n.17897 del 22 giungo 2023 che “la dispensa non discende da comportamenti colpevoli dell’insegnante e, pertanto, non implica una responsabilità né postula un giudizio di proporzionalità, poiché non ha carattere sanzionatorio, trattandosi di atto che si limita a constatare l’oggettiva inidoneità a svolgere la funzione di insegnante. È stata, quindi, esclusa la natura disciplinare dell’atto di dispensa per incapacità didattica, in quanto atto reso all’esito di un giudizio che, seppur valutativo, è privo di natura discrezionale, si limita a constatare, sulla base di dati oggettivi convergenti tra loro e sintomatici della mancanza di attitudine all’impiego, o l’oggettiva inidoneità del docente a svolgere le mansioni inerenti all’insegnamento”. Infine si precisa che l’istituto della dispensa ha un effetto esterno specifico, in quanto, oltre a causare la risoluzione del rapporto di lavoro in atto, inibisce la partecipazione a tutti i successivi concorsi per l’accesso alla stessa tipologia di posto. Riguardo all’accesso alle GPS, l’OM 88/2024, in continuità con le ordinanze precedenti, all’art.6 comma 2 lett.d) stabilisce che: “Non possono partecipare alla procedura di inserimento nelle GPS e nelle correlate graduatorie di istituto: […] coloro che siano stati dispensati dal servizio per incapacità didattica ai sensi dell’articolo 512 del Testo Unico, relativamente alla medesima classe di concorso o tipologia di posto per cui è stata disposta la dispensa dal servizio”. Ciò detto si precisa che se il provvedimento di dispensa intervenisse nel periodo intermedio della validità delle graduatorie, l’art. 14, comma 4 della richiamata OM 88/24, stabilisce che: “ ... I soggetti che siano incorsi nelle situazioni di cui all’articolo 6, comma 2, lettera c) e d) sono esclusi dalle GAE, dalle GPS e dalle graduatorie d’istituto unicamente con riferimento alla medesima classe di concorso o tipologia di posto per cui è stata disposta la dispensa dal servizio. Conseguentemente all’adozione dei suddetti provvedimenti, si provvede alla risoluzione del contratto di lavoro eventualmente stipulato, dichiarando il servizio prestato non valido ai fini giuridici”. Si deve quindi ritenere che la docente, in questione, una volta dispensata dal sevizio cesserà di permanere nella graduatorie GPS quanto al servizio su posto sostegno, cui si riferisce l’incapacità né potrà partecipare a procedure concorsuali per l’insegnamento per il quale è stata dispensata per incapacità.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Progetto musicale: possiamo continuare a coinvolgere un docente, ora in quiescenza, come esperto esterno?
L'art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (come modificato dall'art. 6, comma 1, della legge n. 114 del 2014 e da ultimo dall’art. 17, comma 3) della Legge n. 124 del 7 agosto 2015 prevede che è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011 (tra le quali, come noto, rientrano anche le scuole), di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Gli incarichi di cui sopra sono comunque consentiti a titolo gratuito. In definitiva è stato introdotto che è fatto divieto per le Amministrazioni Pubbliche, ivi comprese le scuole, di conferire a ex lavoratori privati o pubblici collocati ora in quiescenza: a) incarichi di studio e di consulenza b) incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni. Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con la Circolare n.6 del 4 dicembre 2014, ha fornito chiarimenti sull' interpretazione e applicazione dell'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 recante il divieto di incarichi a soggetti in quiescenza. Incarichi vietati, ad avviso della Funzione Pubblica, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati. Il legislatore ha voluto perseguire gli obiettivi sopra ricordati, vietando il conferimento a soggetti in quiescenza di incarichi e cariche che, indipendentemente dalla loro natura formale, consentono di svolgere ruoli rilevanti al vertice delle amministrazioni. Gli incarichi di studio e consulenza sono quelli che presuppongono competenze specialistiche e rientrano nelle ipotesi di contratto d'opera intellettuale, di cui agli articoli 2229 e seguenti del codice civile. Costituiscono incarichi di studio quelli consistenti nello svolgimento di un'attività di studio, che possono essere individuati con riferimento ai parametri indicati dal decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 338. Costituiscono consulenze le richieste di pareri a esperti (così Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, delibera 15 febbraio 2005, n. 6/CONTR/05). Tutte le ipotesi di incarico o collaborazione non rientranti nelle categorie finora elencate sono da ritenersi sottratte ai divieti di cui alla disciplina in esame. Pertanto la normativa di cui alla legge n. 135 riteniamo non sia applicabile al caso descritto nel quesito in quanto l'attività in questione non rientra nelle consulenze o negli incarichi di studio secondo l'accezione di cui sopra. Per quanto concerne la selezione di esperti esterni (previa ovviamente l'impossibilità di personale interno competente e disponibile) l'art. 7, comma 6-bis, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione. Quindi, rilevata in via generale la necessità dell'espletamento di una procedura comparativa ogni volta che una amministrazione deve conferire incarichi a esperti esterni, la circolare n. 2 del 2008 della Funzione Pubblica ha precisato che le collaborazioni meramente occasionali che si esauriscono in una sola azione o prestazione, caratterizzata da un rapporto "intuitu personae" che consente il raggiungimento del fine, e che comportano, per loro stessa natura, una spesa equiparabile ad un rimborso spese, quali ad esempio la partecipazione a convegni e seminari, la singola docenza, la traduzione di pubblicazioni e simili, non debbano comportare l'utilizzo delle procedure comparative per la scelta del collaboratore. La Corte dei Conti ha precisato che il ricorso a procedure comparative può essere derogato con affidamento diretto nei seguenti casi: 1) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo (C. Conti, sez. contr. Piemonte, 20 giugno 2014, n. 122); 2) interventi formativi che si svolgono nell’arco di una sola giornata (Corte Conti Emilia Romagna Delib. n. 50/2016). Con la Deliberazione n. 122/2014 sopra citata è stato precisato che la materia è estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso a detti criteri; pertanto, il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato e che può prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale. Ne consegue che in caso di esperti esterni, con i quali sono stati stipulati contratti di lavoro autonomo, le uniche condizioni per non porre in essere una procedura comparativa sono quelle di cui alla circolare Funzione Pubblica e della Corta dei Conti sopra ricordate. L'impossibilità del ricorso alla procedura comparativa, a causa della peculiarità o specificità dell'attività oggetto dell'incarico, si dovrà evincere con chiarezza dalla determina dirigenziale. In giurisprudenza è stato ulteriormente affermato che: - è illegittima una generica esclusione del principio concorsuale che, prescindendo da circostanze particolari, si basi in modo generalizzato sul modico valore del corrispettivo o sulla individuazione di una soglia di valore (cfr CC Lombardia deliberazione n. 162/2010/REG; CC Calabria deliberazione n. 36/2009/REG, CC Piemonte 34/2018/REG) - C.C. Piemonte Deliberazione n. 24/2019: al di fuori della ricorrenza di quelle specifiche e peculiari circostanze tipizzate dalla giurisprudenza, quali, ad esempio, l’unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, cui potrebbero ricondursi a titolo esemplificativo gli incarichi di docenza, deve escludersi che la natura meramente occasionale della prestazione o la modica entità del compenso corrisposto possano giustificare una deroga alle ordinarie regole di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento nell’assegnazione dell’incarico - non può costituire in nessun modo esimente dalla regola della comparazione il riferimento all’esiguità dell’erogazione” (Corte Conti, sez. Contr. Lombardia, 3.7.2013 n. 294). I suddetti principi sono stati riportati anche nel Quaderno n. 3 del MI ove è stato ribadito che l’obbligo di ricorrere a procedure comparative potrà essere derogato in casi eccezionali e congruamente motivati (a titolo esemplificativo, nei casi di unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, di assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità di conferire l’Incarico o di procedura comparativa andata deserta). Sul punto, rileva quanto ribadito dalla Deliberazione della Corte di Conti, Sez. regionale di controllo per il Piemonte n. 39/2018 «[…] Come sottolineato a più riprese dalla giurisprudenza contabile, infatti, le deroghe a tale principio hanno carattere eccezionale e sono sostanzialmente riconducibili a circostanze del tutto particolari quali “procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale” (Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 122/2014/REG ed in senso analogo, ex multis, Sezione regionale di controllo per il Piemonte, n. 61/2014; Sezione regionale di controllo per la Lombardia n. 59/2013 n. 59; Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 22/2015/REG; Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n. 28/2013/REG) […]». Conclusivamente i passaggi sono i seguenti: - verifica della mancanza di personale interno competente e disponibile - procedura selettiva ( a meno che non si tratti di una delle ipotesi di cui sopra che consentono l'affidamento diretto) - in caso di conferimento dell'incarico al docente in quiescenza si tratterà di contratto di prestazione d'opera a lavoratore autonomo occasionale (il riferimento ai 5000 euro inerisce esclusivamente all'obbligo di iscrizione alla Gestione Separata INPS).
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Un docente di scienze motorie chiede l'autorizzazione a svolgere l'attività di personal trainer senza fornire ulteriori dettagli: può essere concessa?
La scuola dovrà chiedere chiarimenti sulle modalità con cui verrà svolta detta attività ( se come libero professionista oppure con contratto co.co.co. o di natura occasionale) per verificare se ci sono o meno i presupposti per autorizzare quanto richiesto. Con la pubblicazione nella G.U. del 4/9/2023 del decreto legislativo 120 del 29 agosto 2023 sono state apportate numerose modifiche alla disciplina del lavoro sportivo ivi compresa la questione della compatibilità dei dipendenti pubblici. Più specificamente il decreto, entrato in vigore il 5 settembre 2023, ha dettato disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 28 febbraio 2021, nn. 36, 37, 38, 39 e 40. Il nuovo art. 25 del decreto 28/02/2021 - n. 36 disciplina la figura del lavoratore sportivo L'art. 25 al comma 6 contempla la fattispecie in cui sia prevista una retribuzione per l'attività sportiva prestata disponendo che qualora l'attività dei dipendenti pubblici rientri nell'ambito del lavoro sportivo e preveda il versamento di un corrispettivo, la stessa può essere svolta solo previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza che la rilascia o la rigetta entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, sulla base di parametri definiti con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con l'Autorità politica delegata in materia di sport, sentiti il Ministro della difesa, il Ministro dell'interno, il Ministro dell'istruzione e del merito e il Ministro dell'università e delle ricerca. Se, decorso il termine (trenta giorni) di cui sopra, non interviene il rilascio dell'autorizzazione o il rigetto dell'istanza, l'autorizzazione è da ritenersi in ogni caso accordata. Il Decreto 10 novembre 2023 "Parametri per il rilascio delle autorizzazioni allo svolgimento di attività di lavoro sportivo retribuita al personale delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165" è stato pubblicato in G.U. Serie Generale n.296 del 20-12-2023. Il citato decreto individua i parametri sulla base dei quali le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, valutano la sussistenza delle condizioni per il rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività di lavoro sportivo retribuita, di cui al decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, da parte dei dipendenti pubblici. Ai fini del rilascio dell'autorizzazione le amministrazioni titolari del rapporto di lavoro devono autorizzare lo svolgimento dell'attività di lavoro sportivo al verificarsi delle seguenti condizioni: a) assenza di cause di incompatibilità di diritto, che possano ostacolare l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente. La valutazione deve essere effettuata tenendo presente la qualifica del dipendente, la posizione professionale e le attività assegnate; b) l'insussistenza di conflitto di interessi in relazione all'attività lavorativa svolta nell'ambito dell'amministrazione. L'attività di lavoro sportivo autorizzata deve essere svolta al di fuori dell'orario di lavoro e non deve pregiudicare il regolare svolgimento del servizio ne' intaccare l'indipendenza del lavoratore, esponendo l'amministrazione al rischio di comportamenti che non siano funzionali al perseguimento dei canoni di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. Resta fermo che l'attività autorizzata, in relazione al tempo di svolgimento e alla durata della prestazione di lavoro sportivo, non deve pregiudicare il regolare svolgimento delle attività dell'ufficio cui il dipendente é assegnato. A tal fine, in relazione ai dipendenti che svolgono attività a contatto con il pubblico, le amministrazioni verificano, ai fini dell'autorizzazione, che la prestazione di lavoro sportivo non confligga con il regolare e ordinato svolgimento del servizio. L'amministrazione, per i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo pieno, verifica, altresì, che la prestazione di lavoro sportivo non rivesta carattere di prevalenza in relazione al tempo e alla durata. Si considera prevalente l'attività che impegna il dipendente per un tempo superiore al 50% dell'orario di lavoro settimanale stabilito dal contratto collettivo nazionale di riferimento. Le condizioni previste per il rilascio dell'autorizzazione di cui al comma 1, lettera a) e b), devono sussistere congiuntamente e permanere per tutta la durata di svolgimento dell'attività di lavoro sportivo da parte del dipendente. Pertanto, ai fini dell'autorizzazione dovranno essere richiesti ulteriori chiarimenti per verificare che, trattandosi di docente a tempo pieno, l'attività non sia prevalente secondo i criteri sopra riportati. Per completezza ricordiamo che l'art. 3, comma 1, lettera a), del D.L. 31 maggio 2024, n. 71, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2024, n. 106, ha aggiunto la lettera f-ter) al comma 6 dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 ai sensi della quale per le prestazioni di lavoro sportivo, fino all'importo complessivo di 5.000 euro annui, non è necessaria l'autorizzazione preventiva ma è sufficiente la comunicazione preventiva. Invece, nel caso di attività prestata sotto forma di libera professione si rileva quanto segue. La normativa di riferimento sulla possibilità per i docenti di svolgere la libera professione è rappresentata dal comma 15 dell’art. 508 del D.Lgs. n. 297 del 1994. Presupposto per lo svolgimento della libera professione è la titolarità di partita iva. Detta norma prevede che al personale docente (anche a tempo pieno) è consentito, previa autorizzazione del Dirigente Scolastico, l’esercizio della libera professione a condizione che non sia di pregiudizio all’ordinato e completo assolvimento delle attività inerenti alla funzione docente. Più specificamente questo il tenore letterale della norma "Al personale docente è consentito, previa autorizzazione del direttore didattico o del preside, l'esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio all'assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano compatibili con l'orario di insegnamento e di servizio". I presupposti richiesti dalla norma di cui all’art. 508, comma 15 citato sono quindi: a) esercizio di una libera professione; b) l’autorizzazione del dirigente scolastico. Ai fini della autorizzazione il dirigente deve valutare che l’esercizio della libera professione: 1. non sia di pregiudizio alla funzione docente; 2. sia compatibile con l'orario di insegnamento e di servizio. La libera professione è un’attività svolta in maniera autonoma, a livello professionale, normalmente per più committenti. L’attività in parola dev’essere riconducibile alla regolazione giuridica della “professione intellettuale” di cui agli artt. 2229 e seg. del codice civile che attribuiscono alla legge stabilire quali siano le professioni intellettuali per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, previo iter formativo stabilito dalla legge e superamento di un esame di abilitazione. Per svolgere la gran parte delle libere professioni non è richiesto l'iscrizione ad un albo professionale. Infatti, le cosiddette "attività riservate" a soggetti iscritti in albi o collegi sono precisamente indicate dalle leggi e costituiscono un elenco limitato rispetto al vasto campo di servizi professionali centrati sull'apporto intellettuale. Quando si iscrive a un albo professionale, il libero professionista diventa "professionista protetto" o appartenente al sistema ordinistico. Con la legge 14 gennaio 2013, n. 4 sono state disciplinate le professioni non regolamentate, chiunque svolga una delle professioni non regolamentate di cui sopra contraddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l'espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della citata legge. In forza di ciò in ogni documento i professionisti di cui sopra dovranno apporre l’indicazione: “professionista di cui alla legge 4/2013". Quindi, a partire dal 10 febbraio 2013, chi svolge una professione non regolamentata (ad esempio quelle relative alla ristorazione, alla musica etc) dovrà indicare, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, la seguente dicitura «Professionista di cui alla legge n. 4/2013». Per quanto concerne i margini di manovra spettanti al dirigente scolastico in sede di rilascio della prescritta autorizzazione, il Ministero ha precisato che il dirigente "è tenuto a richiedere le informazioni che ritiene opportune in merito all'attività che l'interessato intende svolgere, proprio al fine di valutare se l'esercizio dell'attività medesima possa arrecare pregiudizio al rendimento della professione di docente, ovvero se sussistano situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi e in tal caso, lo stesso dirigente scolastico può negare l’autorizzazione” (cfr la Circolare n. 480 del 2015 del Consiglio nazionale degli ingegneri (CNI) sull’attività libero professionale dei docenti, diffusa a seguito delle risposte ottenute dalla direzione generale per il personale scolastico del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca (MIUR ora MIM). In giurisprudenza è stato affermato che il rilascio o il diniego di autorizzazione, ai sensi dell'art. 508 comma 15, D.Lgs. n. 297 del 1994, richiede che si valuti e conseguentemente si motivi la ricorrenza del presupposto della compatibilità con le attività inerenti alla funzione docente e con l'orario di insegnamento e di servizio, oltre che, a monte, sia verificata la natura libero-professionale dell'attività da espletare (cfr. TAR Campania 3 luglio 2012 n. 3163). Sempre in merito alla valutazione da parte del DS, è stato affermato che il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività libero professionale deve seguire all’assenza di pregiudizio per lo svolgimento dell’attività istituzionale e che a tal fine è necessaria un’indicazione in questo senso da parte del docente, cui l’autorizzazione va a conformarsi. Pertanto, il docente non può limitarsi a dichiarare di svolgere una certa professione una volta per sempre, occorrendo, per poter avanzare richiesta di autorizzazione con piena consapevolezza del legittimo svolgimento dell’incarico professionale, che la stessa sia inoltrata una volta divenuta nota la portata degli impegni e dei vincoli temporali connessi con lo svolgimento della docenza. Ciò rende appunto necessario che l’interessato, nel caso in cui ritenga di svolgere attività libero professionale, avanzi la richiesta di autorizzazione anno per anno (nei limiti appunto in cui ritenga di svolgere incarichi professionali), posto che gli impegni di docente scolastico notoriamente variano annualmente (Tribunale Forlì - Sezione Lavoro - Sentenza 07/07/2020, n. 105 confermata anche in sede di appello dalla CdA di Bologna). Quindi, (cfr anche Tribunale Modena - Sezione Lavoro - Sentenza 29/05/2020) il personale docente è obbligato a richiedere l’autorizzazione all'esercizio della libera professione con cadenza annuale, stante la specificità, anche oraria, dell’attività di insegnamento e dell’organizzazione scolastica, che si rinnova in forme e orari diversi all’inizio di ogni anno scolastico.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Docente supplente con handicap visivo che non permette un'adeguata vigilanza degli alunni: può essere richiesta la visita collegiale?
In punto di norma il dipendente a t.d. non può essere sottoposto a visita collegiale. Infatti, ai sensi del DPR 171/2011, art. 3, il dirigente scolastico avvia la procedura per l'accertamento dell'inidoneità psicofisica del dipendente, in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova, nei seguenti casi: a) assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento (cfr CCNL Scuola art. 17 non modificato dal CCNL 2024); b) disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti, che fanno fondatamente presumere l'esistenza dell'inidoneità psichica permanente assoluta o relativa al servizio; c) condizioni fisiche che facciano presumere l'inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio. Pertanto, il presupposto è che trattasi di personale che ha comunque superato l'anno di prova. Ad ogni modo, si deve, altresì, osservare che la prassi, riscontrata anche nei nostri corsi di formazione in materia e nei quesiti che ci vengono posti, è quella dell'invio anche del personale a t.d. (o che non ha superato il periodo di prova) a visita collegiale in presenza di condizioni psico fisiche che ne facciano presumere una inidoneità (anche relativa) al lavoro. Le Commissioni non rifiutano in sostanza l'effettuazione degli accertamenti con la precisazione che dette visite comunque hanno la finalità di accertare se il dipendente, seppur a t.d. o che non ha superato il periodo di prova, sia idoneo a prestare servizio e ciò al fine della tutela della sua incolumità. Pertanto, se le condizioni di salute o comportamentali sono effettivamente tali da rappresentare indice di una inidoneità al servizio, tale anche da comportare rischi per la stessa salute del dipendente, si ritiene che la scuola possa procedere a richiesta di visita collegiale motivando la suddetta richiesta alla luce delle condizioni di salute che fanno, per l'appunto, presumere una inidoneità al servizio. Anche in giurisprudenza è stato affermato che ai sensi dell'art. 3, terzo comma, DPR n. 171/2011 è legittima la sottoposizione a visita del dipendente anche durante il periodo di prova quando detto periodo, anche in virtù del disposto dell'art. 438 D.Lgs. n. 297/1994, si protragga per un tempo indefinito. Infatti, la Corte di Cassazione, con la Sentenza 16/12/2021 n. 40406, nel confermare la Sentenza n. 201 del 2019 della Corte di Appello di Genova, ha affermato che l'art. 3 del DPR 27 luglio 2011 n. 171 attribuisce l'iniziativa per l'avvio della procedura di accertamento dell'inidoneità psicofisica permanente all'Amministrazione di appartenenza del dipendente ovvero al dipendente interessato, in entrambe le ipotesi “in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova”. La norma non intende assicurare un beneficio al dipendente in prova, che non sarebbe consentito dalla norma primaria, in quanto essa non esonera dal licenziamento per inidoneità psicofisica il lavoratore in prova; piuttosto, il regolamento rinvia ogni accertamento al riguardo all'esito della valutazione della prova, che potrebbe ex se determinare la risoluzione del rapporto di lavoro (dispensa per mancato superamento della prova). Il regolamento ha riguardo all'ipotesi ordinaria, in cui la prova ha carattere temporaneo; a voler ammettere che, in caso di mancato compimento del periodo di 180 giorni di servizio, possano esservi proroghe ripetute, per un tempo potenzialmente illimitato, sarebbe evidente il venir meno della temporaneità della prova. La Cassazione ha quindi ritenuta legittima , la procedura prevista dal DPR n. 171/2011, attivata dall'amministrazione scolastica una volta decorsi i primi due anni scolastici di prova, senza che da parte del docente sia stato prestato servizio per il periodo minimo di 180 giorni; trattasi di situazione diversa da quella del quesito ma un utile appiglio, in senso analogico, all'invio a visita collegiale anche del personale non confermato in ruolo in caso di evidente necessità di accertamento delle condizioni di salute. In tal senso si registra la Nota USR Piemonte del 25 novembre 2022 n.17320 che sul punto ha così specificato " Il Regolamento recato dal d.P.R. n. 171/2011 condiziona l’avvio del procedimento di accertamento dell’idoneità al fatto che il dipendente abbia superato il periodo di prova. La disciplina normativa pertanto esclude formalmente dalla procedura attivabile innanzi alla Commissione medica di verifica il personale a tempo determinato (art. 3). La limitazione introdotta dal dettato normativo pone un evidente discrimine tra le tutele della salute previste a favore del lavoratore a tempo indeterminato che abbia superato il periodo di prova, e i lavoratori che non lo hanno ancora superato o addirittura che versano in condizioni di precarietà. A fronte del dettato normativo non sono infrequenti le richieste da parte dei dirigenti scolastici di verifica presso la Commissione medica anche nei confronti del personale a tempo determinato il cui comportamento in servizio abbia fatto presumere la sussistenza di patologie invalidanti per la prosecuzione del rapporto. In questi casi la Commissione medica di verifica valuterà se procedere all’accertamento essendo in gioco la tutela dell’incolumità, oltre che del dipendente, anche del resto della comunità scolastica allorquando i comportamenti posti in essere costituiscano fonte di pericolo, o se inoltrare ai sensi della legge 241/1990 ad altra istituzione competente. Il problema semmai sarà quello di individuare i provvedimenti da adottare a seconda dell’esito del giudizio medico. Infatti, mentre nel caso in cui venga accertata un’inidoneità assoluta allo svolgimento del servizio il dipendente potrà essere collocato in malattia d’ufficio fino al termine del contratto, nell’ipotesi di inidoneità relativa non sarà possibile per il supplente procedere alla stipula di un contratto che ne consenta l’utilizzazione temporanea in altri compiti dal momento che anche il CCNI del 25 giugno 2008 esclude detto personale dall’applicazione della relativa disciplina (art. 2, comma 1). Qualche apertura si ritrova nella giurisprudenza del giudice del lavoro che, in una recente pronuncia, ha preso posizione sull’argomento anche se limitatamente al caso del docente in prova. Il caso di specie prende le mosse dall’impugnazione del licenziamento irrogato ai sensi dell’art. 6, comma 3 del d.P.R. n. 171/2011 a un docente in anno di formazione e prova rifiutatosi, per tre volte e senza giustificazione, di sottoporsi alle visite medico collegiali richieste dal dirigente scolastico per la verifica dell’idoneità. Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione la ricorrente, che si era vista prorogare per più di un anno scolastico il periodo di prova a causa del mancato raggiungimento dei 180 giorni richiesti ai fini della valutazione, riteneva di non poter essere legittimamente sottoposta a visita proprio perché non ancora confermata in ruolo e, sulla base di tale interpretazione del dettato normativo, si rifiutava di presentarsi alle convocazioni da parte della Commissione medica. Il giudice del lavoro ha ritenuto illegittimo il rifiuto opposto dalla lavoratrice che, in questo modo, non presentandosi a lavoro, avrebbe determinato il protrarsi del periodo di prova illimitatamente. Da altro lato ha ritenuto legittimo l’operato dell’amministrazione scolastica che, una volta decorsi i primi due anni dalla prova, correttamente ha dato avvio alla procedura prevista dal d.P.R. n. 171/2011. Secondo i giudici di legittimità, infatti, la diversa interpretazione (letterale) orientata ad escludere la possibilità di visita nel periodo di prova non sarebbe compatibile con un’organizzazione orientata al buon andamento dell’amministrazione scolastica perché legittimerebbe una situazione in cui una cattedra viene occupata da un soggetto che non presta servizio per lungo tempo, pur percependo la retribuzione, senza alcuna possibilità di verificarne la sua idoneità al servizio e costringendo il dirigente a ricorrere a supplenze temporanee con conseguente pregiudizio per l’utenza e per la continuità didattica". L'art. 6 del DPR 171/2011 (che come detto sopra per la visita collegiale in punto di norma si applicherebbe solo al personale che ha superato il periodo di prova) prevede la possibilità di disporre la sospensione cautelare dal servizio nelle seguenti ipotesi: a) in presenza di evidenti comportamenti che fanno ragionevolmente presumere l'esistenza dell'inidoneità psichica, quando gli stessi generano pericolo per la sicurezza o per l'incolumità del dipendente interessato, degli altri dipendenti o dell'utenza, prima che sia sottoposto alla visita di idoneità; b) in presenza di condizioni fisiche che facciano presumere l'inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio, quando le stesse generano pericolo per la sicurezza o per l'incolumità del dipendente interessato, degli altri dipendenti o dell'utenza, prima che sia sottoposto alla visita di idoneità; c) in caso di mancata presentazione del dipendente alla visita di idoneità, in assenza di giustificato motivo. Infine, si ricorda che la Legge 4 giugno 1962, n. 601, allarga il ventaglio delle discipline che possono essere insegnate dai docenti non vedenti. Mentre prima dell’emanazione della citata legge, l’art. 1 della Legge 5 gennaio 1955, n. 12, recitava : “Art.1 - I laureati e diplomati ciechi sono ammessi alla partecipazione ai concorsi per l'insegnamento nelle scuole statali e pareggiate per le materie giuridiche ed economiche, la storia, la filosofia, la musica e il canto, e per tutte quelle altre materie che non comportino la correzione di elaborati di classe, esperienze di laboratorio o esercitazioni grafiche”, l’art. 1 della Legge 601/1962, dispone invece: “Art. 1. L'articolo 1 della legge 5 gennaio 1955, n. 12, è sostituito dal seguente: "I laureati e diplomati ciechi sono ammessi alla partecipazione ai concorsi per l'insegnamento nelle scuole statali e pareggiate delle materie giuridiche ed economiche, storia, filosofia, musica e canto. I laureati ciechi sono altresì ammessi a partecipare ai concorsi a cattedre per l'insegnamento dell'italiano, latino e greco nei Licei classici; italiano, latino e storia negli Istituti magistrali; italiano e latino nei Licei scientifici; italiano e storia negli Istituti tecnici; lingue straniere in qualsiasi tipo di scuola.”
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Un docente in servizio presso il nostro istituto, vorrebbe versare una somma alla scuola, a beneficio di un determinato progetto...
L’erogazione del docente può rientrare nell'ambito di una donazione liberale che, pertanto, deve essere trattata alla luce delle vigenti disposizioni del D.I. n.129/2018. Nello specifico la donazione formulata dal docente parrebbe connotare la particolare fattispecie della donazione modale, ex art. 793 del codice civile. La donazione modale è un contratto di donazione gravato da un “modus”, cioè da un onere a carico del donatario che, però, non è tenuto al suo adempimento oltre i limiti del valore della cosa donata. Lo spirito di liberalità tipico della donazione è perfettamente compatibile con l'imposizione di un onere al beneficiato, purché tale onere, non assumendo il carattere di corrispettivo, costituisca una modalità del beneficio senza snaturare l'essenza di atto di liberalità della donazione. Nel caso specifico l’adempimento (onere) posto dal donatore consiste nel finanziare un determinato progetto della scuola. Attualmente la disciplina vigente prevede che la formale volontà di accettare la donazione o l'atto di liberalità venga espressa dal dirigente scolastico, previa deliberazione del Consiglio di circolo o istituto, e sia immediatamente efficace, senza la necessità di alcuna ulteriore autorizzazione (art. 25 del D.lgs. 165/2001, artt. 3, 4, 44, 45 e 48 del DI 129/2018). In linea generale, sarebbe quindi necessario, in primis, che l’Istituto acquisisse apposita comunicazione da parte del docente, contenente indicazioni circa la specifica volontà di destinazione, e che il Dirigente Scolastico sottoponesse quanto prima al Consiglio di Istituto la delibera di accettazione della donazione in parola, vincolando l'importo elargito alle finalità indicate dal donante.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Il nipote può usufruire dei permessi L. 104 per lo zio in presenza di figli che non possono occuparsi del padre?
Secondo la norma, art. 33, comma 3 della legge 104/92, in linea generale, la legittimazione alla fruizione dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave spetta al coniuge, alla parte dell’unione civile, al convivente e ai parenti ed affini entro il secondo grado. La stessa legge ha altresì previsto un'eccezione per i casi in cui i genitori o il coniuge della persona da assistere abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, siano affetti da patologie invalidanti, deceduti o mancanti. L'art. 33 comma 3 citato prevede testualmente che "il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un'unione civile di cui all'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti". In queste ipotesi, la legge prevede la possibilità di estendere la legittimazione alla titolarità dei permessi anche ai parenti e agli affini entro il terzo grado. Il nipote (zio) ai sensi dell’art. 75 del C.C. in linea collaterale è di terzo grado quindi, il diritto ai tre giorni di permesso rientra nelle eccezioni. La Funzione Pubblica nella circolare 13/2010 (stesse indicazioni da parte dell’INPS per il settore privato) a prescindere dall’età anagrafica over sessantacinque, ha definito come devono essere dimostrate le relative condizioni. L’espressione “mancanti”, è intesa non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono, risultanti da documentazione dell’autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità. Nel merito della definizione di “patologie invalidanti”, nella documentazione sanitaria che deve essere allegata alla domanda, invece, devono essere prese in considerazione le sole patologie a carattere permanente indicate dall’articolo 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del Decreto Interministeriale n. 278 del 21 luglio 2000 . L' interpello Ministero del Lavoro n. 19 del 26 giugno 2014 ha chiarito che il parente o affine entro il terzo grado può fruire dei permessi anche qualora le condizioni sopra descritte si riferiscano ad uno solo dei soggetti menzionati dalla norma (genitori o il coniuge della persona da assistere) in quanto, il legislatore utilizza la congiunzione disgiunta. Nel caso specifico e in risposta al quesito, si ritiene che la dichiarazione dei figli dello zio di non potersi occupare del padre invalido non rientra nelle previste eccezioni quindi, a nostro parere la domanda non può essere accettata. Infatti, per poter assistere lo zio è necessario verificare quanto sopra e cioè che "i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità ( lo zio) abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti". Al riguardo, si precisa che in merito alla eventuale documentazione probatoria che deve essere allegata alla domanda, gli interessati sono tenuti a presentare il verbale dal quale risulti l'accertamento della situazione di disabilità grave, riconoscimento del comma 3 dell’art. 3 della stessa legge 104/92. Inoltre, sono tenuti a certificare, attraverso apposita dichiarazione sostitutiva, resa ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, la sussistenza delle condizioni soggettive e oggettive che legittimano la fruizione delle agevolazioni. In proposito, si rammenta che, secondo quanto previsto nell'art. 76 del predetto D.P.R. “Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso (…) nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia”.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Le 5 giornate di formazione possono essere fruite a ore?
La formazione prevista dal comma 8 art.36 CCNL 2019/21, riguarda iniziative di formazione autonomamente scelte dal docente, per cui egli “ha diritto alla fruizione di cinque giorni nel corso dell’anno scolastico per la partecipazione a iniziative di formazione con l’esonero dal servizio e con sostituzione ai sensi della normativa sulle supplenze brevi vigente nei diversi gradi scolastici”. La partecipazione alle infrascritte attività di aggiornamento costituisce un diritto per il personale che il contratto collettivo prevede in misura giornaliera e non oraria e riguarda il personale docente, sia con contratto a tempo indeterminato che determinato. Il diritto a fruire dei 5 giorni di permesso riconosciuto al personale docente non va sovrapposto con la previsione dedicata all'aggiornamento e formazione del personale amministrativo, tecnico e ausiliario che può partecipare, previa autorizzazione del dirigente scolastico ed in relazione alle esigenze di funzionamento del servizio, alle iniziative di aggiornamento nel limite delle ore necessarie per la partecipazione alle iniziative di aggiornamento.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Le attività funzionali all'insegnamento sono esclude dal calcolo delle ore di allattamento?
L’articolo 39 del DLGS 151/2001, stabilisce il diritto della lavoratrice, durante il primo anno di vita del figlio, a due periodi di riposo di un’ora ciascuno, anche cumulabili durante la giornata, quando l’orario lavorativo è superiore alle sei ore; nel caso di orario giornaliero inferiore a sei ore, la disposizione prevede invece una sola ora di riposo. La natura di tali riposi è chiarita dal comma 2 dello stesso articolo 39, che stabilisce che essi debbano essere “considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro”. Dalla formulazione utilizzata dal legislatore, quindi, si evince che le ore di riposo in questione possono concorrere a determinare la durata dell’orario di lavoro strutturale, quindi indirettamente ad una riduzione di un orario di lavoro effettivo stabilito per contratto. L’INPS nella circolare n. 95bis/2006 precisa che “ai fini del diritto ai riposi giornalieri di cui trattasi (e al relativo trattamento economico), va preso a riferimento l’orario giornaliero contrattuale normale – quello, cioè, in astratto previsto- e non l’orario effettivamente prestato in concreto nelle singole giornate”. Quindi, in risposta al quesito come redazione abbiamo sempre considerato che nel comparto scuola, per il personale docente, l’orario di lavoro da prendere in considerazione è quello definito nell'art. 43, comma 5, del CCNL 2024 "Nell’ambito del calendario scolastico delle lezioni definito a livello regionale, l'attività di insegnamento si svolge in 25 ore settimanali nella scuola dell’infanzia, in 22 ore settimanali nella scuola primaria e in 18 ore settimanali nelle scuole e istituti d'istruzione secondaria ed artistica, distribuite in non meno di cinque giornate settimanali. Alle 22 ore settimanali di insegnamento stabilite per gli insegnanti della scuola primaria, vanno aggiunte 2 ore da dedicare, anche in modo flessibile e su base plurisettimanale, esclusivamente alla programmazione didattica da attuarsi in incontri collegiali dei docenti interessati, in tempi non coincidenti con l'orario delle lezioni. Nell'ambito delle 22 ore d'insegnamento, la quota oraria eventualmente eccedente l'attività frontale e di assistenza alla mensa è destinata, previa programmazione, ad attività di arricchimento dell'offerta formativa e di recupero individualizzato o per gruppi ristretti di alunni con ritardo nei processi di apprendimento, anche con riferimento ad alunni con cittadinanza non italiana, in particolare provenienti da Paesi extracomunitari". Ne consegue che sono escluse dal calcolo le ore di cui all’art. 44 del CCNL 2024 (che ha abrogato l'art. 29 del CCNL 2007) ovvero le attività funzionali all’insegnamento.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Una docente chiede la compensazione oraria relativa ai tempi di raggiungimento della scuola e di spostamento tra le sedi scolastiche...
Sebbene le disposizioni del D.Lgs. 66/2003 per espressa previsione legislativa “non si applicano al personale della scuola di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297”, per la specificità del regime orario applicato ai docenti che costituisce un unicuum in tutto il panorama lavoristico sia pubblico che privato, tuttavia appare significativa la generale definizione ivi resa dall’art. 1, comma 2, secondo cui per "orario di lavoro" si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. Alcun cenno è posto al tragitto per raggiungere la sede di servizio. Sul punto il CCNL Scuola 2019/21 all’art. 43 comma 5 stabilisce infatti che: “[…], l'attività di insegnamento si svolge in 25 ore settimanali nella scuola dell’infanzia, in 22 ore settimanali nella scuola primaria e in 18 ore settimanali nelle scuole e istituti d'istruzione secondaria ed artistica, distribuite in non meno di cinque giornate settimanali”. In nessun passaggio contrattuale si fa riferimento ai tempi necessari al raggiungimento della sede scolastica o allo spostamento tra sedi diverse nel caso in COE o di lavoro su più plessi dello stesso istituto. Le ore indicate sono ore dedicate alle “attività di insegnamento” e non anche di altre azioni come l’attesa o il tragitto. Inoltre, la possibilità di svolgimento di ore di lavoro straordinario – che non rientra comunque nell’accezione legislativa del D.Lgs.66/2003, si limita alle ore eccedenti per supplire colleghi improvvisamente assenti o per i quali non sia ancora stato assunto un supplente. Si tratta tuttavia di evenienze espressamente normate. A margine poi dell’ovvia considerazione per cui nel nostro sistema giuridico le sentenze non hanno valore di precedente vincolante, si nota che le presunte decisioni favorevoli non riguardano il comparto istruzione e si attestano su presupposti di fatto radicalmente differenti da quelli dedotti in quesito. Al fine di chiarire la portata delle pronunce, si dà conto del filone giurisprudenziale che fa riferimento ad alcune sentenze della Corte di Cassazione (Cass., sez.Lav., n. 5775 del 11 aprile 2003; Cass., sez. lav., n. 5701 del 22 marzo 2004 e Cass., sez.Lav n. 17511 del 26 luglio 2010 ), aventi sempre ad oggetto rapporti di lavoro afferenti al settore privato (due società cooperative e una s.n.c.). La massima delle sentenze citate esprime uniformemente il concetto per cui “ Il tempo per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell'attività lavorativa vera e propria (e va, quindi, sommato al normale orario di lavoro come straordinario) allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione; in particolare, sussiste il carattere di funzionalità nei casi in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta destinato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa”. Nella estrema sinteticità della massima, va chiarito che le questioni trattate si attestano su fattispecie che nulla hanno in comune con quella dedotta in parere (ad esempio, per la sentenza del 2010 la questione faceva riferimento al compenso per lavoro straordinario prestato dal lavoratore per il trasporto giornaliero da lui effettuato, di circa un'ora, di operai e mezzi dalla sede della società ai singoli cantieri). Pertanto si ritiene che nell’ordinamento scolastico e nelle norme contrattuali vigenti non è prevista alcuna forma di compensazione oraria relativa ai tempi di raggiungimento della scuola e di spostamento tra le sedi scolastiche, sotto alcuna forma.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Selezione esperto L2 italiano: che contratto stipulare con una docente in part time presso altra scuola?
L'incarico a docente di altra scuola va configurato quale collaborazione plurima. Il Quaderno n. 3 del Ministero sugli incarichi individuali ha, infatti, ribadito che qualora la ricerca di personale interno dia esito negativo, le Istituzioni scolastiche potrebbero ricorrere all’istituto delle collaborazioni plurime con personale delle altre Istituzioni, nel rispetto degli art. 35 e 57 del CCNL Comparto Scuola del 29 novembre 2007, per l’individuazione, rispettivamente, di personale docente e di personale ATA. L'art. 35 del CCNL 2007, non modificato dal CCNL 2024, prevede che i docenti possono prestare la propria collaborazione ad altre scuole statali che, per la realizzazione di specifici progetti deliberati dai competenti organi, abbiano necessità di disporre di particolari competenze professionali non presenti o non disponibili nel corpo docente della istituzione scolastica. Tale collaborazione non comporta esoneri anche parziali dall’insegnamento nelle scuole di titolarità o di servizio ed è autorizzata dal dirigente scolastico della scuola di appartenenza, a condizione che non interferisca con gli obblighi ordinari di servizio. Il Quaderno 3 del Ministero precisa che "i docenti possono prestare la propria collaborazione ad altre scuole statali che, per la realizzazione di specifici progetti deliberati dai competenti organi, abbiano necessità di disporre di particolari competenze professionali non presenti o non disponibili nel corpo docente della istituzione scolastica. Tale collaborazione, ai sensi dell’art. 35 del CCNL Comparto Scuola del 29 novembre 2007: (i) deve essere autorizzata dal Dirigente Scolastico della scuola di appartenenza; (ii) non comporta esoneri, neanche parziali, dall’insegnamento nelle scuole di titolarità o di servizio; (iii) non deve interferire con gli obblighi ordinari di servizio". Il contratto di prestazione d'opera (contratto di lavoro autonomo) è invece utilizzabile allorchè la scuola conferisca un incarico ad un esperto esterno.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Docente assente per malattia dovuta a grave patologia: può essere autorizzata all'esercizio della libera professione?
L'art. 508 comma 15 del D.Lgs. n. 297 del 1994 quale prevede che al personale docente (senza distinzione tra docenti a tempo pieno e docenti in part time) è consentito, previa autorizzazione del dirigente scolastico, l'esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio all'assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano compatibili con l'orario di insegnamento e di servizio. Pertanto, la verifica che il dirigente scolastico dovrà compiere al fine di autorizzare o meno l’esercizio della libera professione dovrà tener conto: a) del carattere di autonomia o di subordinazione del rapporto di lavoro; b) dell’eventuale pregiudizio dell’attività all’ordinato e completo assolvimento delle attività inerenti alla funzione docente. Per quanto concerne l’autorizzazione del dirigente in giurisprudenza è stato precisato che il suddetto dirigente è chiamato a verificare che l'esercizio di tale attività non pregiudichi l'attività di docente e la compatibilità con l'orario di insegnamento e di servizio (cfr. T.A.R. Lombardia – Brescia – Sent. 07 ottobre 1996 n. 963) . In altra occasione il Consiglio Stato con sentenza 05 febbraio 1994 n. 102 ha ritenuto legittimo il provvedimento di diniego di autorizzazione all'esercizio di libera attività professionale motivato dal dirigente scolastico con riguardo al minor rendimento del docente in conseguenza della condizione di affaticamento del docente stesso nell'espletamento del servizio e dell'esercizio professionale. In tal senso, peraltro, si è pronunciato il T.A.R. Sicilia, sez. Catania, con sentenza n. 141 del 15 Marzo 1984, in cui si sottolinea che l’eventuale diniego dell’autorizzazione all’esercizio della libera professione deve essere motivato con l’indicazione dei motivi di pubblico interesse e delle circostanze soggettive ed oggettive che impediscano, nell’interesse della scuola, l’esercizio professionale. Quindi, il rilascio o il diniego di autorizzazione, ai sensi dell'art. 508 comma 15, d.lg. n. 297 del 1994, richiede che si valuti e conseguentemente si motivi la ricorrenza del presupposto della compatibilità con le attività inerenti alla funzione docente e con l'orario di insegnamento e di servizio, oltre che, a monte, sia verificata la natura libero — professionale dell'attività da espletare. ( cfr. TAR Campania 3 luglio 2012 n. 3163). Sempre in merito alla valutazione da parte del DS, è stato affermato che il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività libero professionale deve seguire all’assenza di pregiudizio per lo svolgimento dell’attività istituzionale e che a tal fine è necessaria un’indicazione in questo senso da parte del docente, cui l’autorizzazione va a conformarsi. Pertanto, il docente non può limitarsi a dichiarare di svolgere una certa professione una volta per sempre, occorrendo, per poter avanzare richiesta di autorizzazione con piena consapevolezza del legittimo svolgimento dell’incarico professionale, che la stessa sia inoltrata una volta divenuta nota la portata degli impegni e dei vincoli temporali connessi con lo svolgimento della docenza. Ciò rende appunto necessario che l’interessato, nel caso in cui ritenga di svolgere attività libero professionale, avanzi la richiesta di autorizzazione anno per anno (nei limiti appunto in cui ritenga di svolgere incarichi professionali), posto che gli impegni di docente scolastico notoriamente variano annualmente (Tribunale Forlì - Sezione Lavoro - Sentenza 07/07/2020, n. 105 confermata anche in sede di appello). Ciò premesso, si ritiene che il fatto che nel caso la docente sia assenti per malattia dovuta a grave patologia art. 17 co. 9 CCNL 2007), anche per un lungo periodo, non comporta un diniego automatico all'autorizzazione o che il dirigente debba procedere alla revoca dell'eventuale autorizzazione già concessa. La scuola dovrà limitarsi ad applicare il trattamento economico e giuridico per le assenze per grave patologia, mentre detta assenza nessuna rilevanza assume, in senso dirimente, ai fini dell'autorizzazione all'esercizio della libera professione che, si precisa, è gestita in modo totalmente autonomo dal professionista.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
I requisiti per accedere alla valorizzazione della professionalità del personale docente...
Vi scrivo per avere un Vs parere su un docente che è stato segnalato dal MIM quale assegnatario della "Valorizzazione della professionalità del personale docente...
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Ricostruzione di carriera: sono valutabili i servizi di insegnamento nelle scuole statali della durata minima di 180 giorni nello stesso a.s.?
Per fornire una risposta più conforme alla normativa sarebbe stato necessario conoscere la data d’immissione in ruolo del docente. Ad ogni buon conto si forniscono le due ipotesi: 1) Se il docente è stato immesso in ruolo sino all’anno scolastico 2022/2023 il servizio non di ruolo è valutabile ad anno scolastico intero, secondo quanto previsto dall’art. 11 della legge 124/1999 se prestato per almeno 180 giorno o continuativamente dal 01/02 al termine degli scrutini e questo è applicabile ai docenti della scuola dell’infanzia. 2) Se il docente è stato immesso in ruolo dall’anno scolastico 2023/204, secondo quanto previsto dall’art. 14 della legge 103/2023, sono riconoscibili tutti i servizi effettivamente prestati e per la loro durata. Tanto premesso nel caso rappresentato si ritiene che, seppure con modalità diverse, il periodo indicato sia valutabile.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Un supplente prende servizio, dopo alcuni giorni si assenta per malattia inviando al termine dimissioni volontarie che poi revoca chiedendo di proseguire con la malattia...
Il docente a t.d. può dare le dimissioni ma queste sono comunque sanzionate come “abbandono del servizio”. La norma di riferimento è rappresentata dall'art. 14 dell'O.M. n. 88 del 2024 che disciplina gli effetti del mancato perfezionamento e risoluzione anticipata del rapporto di lavoro. Viene previsto che in caso di assegnazione dell’incarico di supplenza da GAE e GPS l’abbandono del servizio comporta la perdita della possibilità di conseguire supplenze di cui all’articolo 2, comma 5, lettere a) e b), sia sulla base delle GAE che delle GPS, nonché, in caso di esaurimento o incapienza delle medesime, sulla base delle graduatorie di istituto, per tutte le classi di concorso/tipologie di posto di ogni grado di istruzione per l’intero periodo di vigenza delle graduatorie medesime Ad ogni modo si osserva che la Cassazione, con la Sentenza 28/05/2021 n° 14993, ha affermato che a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 29 del 1993, essendo il cd. rapporto di pubblico impiego privatizzato regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul lavoro, nonchè dalle norme sul pubblico impiego, solo in quanto non espressamente abrogate e non incompatibili, le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui vengano a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest'ultimo di accettarle, sicchè non necessitano più, per divenire efficaci, di un provvedimento di accettazione da parte della pubblica amministrazione. Proprio in ragione dell'effetto immediato di tali dimissioni, la successiva revoca è inidonea ad eliminare l'effetto risolutivo già prodottosi, restando peraltro salva la possibilità, per le parti, in applicazione del principio generale di libertà negoziale, di porre nel nulla le dimissioni con la conseguente prosecuzione a tempo indeterminato del rapporto stesso, e con l'onere, in tal caso, di fornire la dimostrazione del raggiungimento del contrario accordo, a carico del lavoratore. Pertanto, le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui l'atto venga a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest'ultimo di accettarle. Ne consegue che, una volta risolto il rapporto, per la sua ricostituzione è necessario che le parti stipulino un nuovo contratto di lavoro, non essendo sufficiente ad eliminare l'effetto risolutivo che si è prodotto la revoca delle dimissioni da parte del lavoratore, neppure se la revoca sia manifestata in costanza di preavviso. (Cassazione civile sez. lav., 11/11/2021, n.33632) Conclusivamente, a nostro avviso, la fattispecie va inquadrata come abbandono della supplenza e quindi l'istanza del docente non può essere accolta, fermo restando ogni opportuno coordinamento con l'Ambito Territoriale.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Un docente chiede autorizzazione a svolgere la professione di naturopata, iridologo e osteopata: sussiste incompatibilità?
La normativa di riferimento sulla possibilità per i docenti di svolgere la libera professione è rappresentata dal comma 15 dell’art. 508 del D.Lgs. n. 297 del 1994. Detta norma prevede che al personale docente (anche a tempo pieno) è consentito, previa autorizzazione del Dirigente Scolastico, l’esercizio della libera professione a condizione che non sia di pregiudizio all’ordinato e completo assolvimento delle attività inerenti alla funzione docente. L'esercizio della libera professione presuppone l'apertura della partita iva. I presupposti richiesti dalla norma di cui all’art. 508, comma 15 citato sono quindi: a) esercizio di una libera professione; b) l’autorizzazione del dirigente scolastico. Ai fini della autorizzazione il dirigente deve valutare che l’esercizio della libera professione: 1. non sia di pregiudizio alla funzione docente; 2. sia compatibile con l'orario di insegnamento e di servizio; La libera professione è un’attività svolta in maniera autonoma, a livello professionale, normalmente per più committenti. L’attività in parola dev’essere riconducibile alla regolazione giuridica della “professione intellettuale” di cui agli artt. 2229 e seg. del codice civile che attribuiscono alla legge stabilire quali siano le professioni intellettuali per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, previo iter formativo stabilito dalla legge e superamento di un esame di abilitazione. Per svolgere la gran parte delle libere professioni non è richiesto l'iscrizione ad un albo professionale. Infatti, le cosiddette "attività riservate" a soggetti iscritti in albi o collegi sono precisamente indicate dalle leggi e costituiscono un elenco limitato rispetto al vasto campo di servizi professionali centrati sull'apporto intellettuale. Quando si iscrive a un albo professionale - regolamentato da apposita normativa - il libero professionista diventa "professionista protetto" o appartenente al sistema ordinistico. Con la legge 14 gennaio 2013, n. 4 sono state disciplinate le professioni non regolamentate, chiunque svolga una delle professioni non regolamentate di cui sopra contraddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l'espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della citata legge. In forza di ciò in ogni documento i professionisti di cui sopra dovranno apporre l’indicazione: “professionista di cui alla legge 4/2013". Le nuove norme definiscono "professione non organizzata in ordini o collegi" l'attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell'articolo 2229 c.c., e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative. Si introduce il principio del libero esercizio della professione fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica del professionista. Si consente inoltre al professionista di scegliere la forma in cui esercitare la propria professione riconoscendo l’esercizio di questa sia in forma individuale, che associata o societaria o nella forma di lavoro dipendente. I professionisti possono costituire associazioni professionali (con natura privatistica, fondate su base volontaria e senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva) con il fine di valorizzare le competenze degli associati, diffondere tra essi il rispetto di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza. Ad ogni modo chiunque svolga una delle professioni non regolamentate di cui sopra contraddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l'espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della citata legge. In forza di ciò in ogni documento i professionisti di cui sopra dovranno apporre l’indicazione: “professionista di cui alla legge 4/2013". Quindi, a partire dal 10 febbraio 2013, chi svolge una professione non regolamentata (ad esempio quelle relative alla ristorazione, alla musica etc) dovrà indicare, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, la seguente dicitura «Professionista di cui alla legge n. 4/2013». Per quanto concerne i margini di manovra spettanti al dirigente scolastico in sede di rilascio della prescritta autorizzazione, il Ministero ha precisato che il dirigente "è tenuto a richiedere le informazioni che ritiene opportune in merito all'attività che l'interessato intende svolgere, proprio al fine di valutare se l'esercizio dell'attività medesima possa arrecare pregiudizio al rendimento della professione di docente, ovvero se sussistano situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi e in tal caso, lo stesso dirigente scolastico può negare l’autorizzazione” (cfr la Circolare n. 480 del 2015 del Consiglio nazionale degli ingegneri (CNI) sull’attività libero professionale dei docenti, diffusa a seguito delle risposte ottenute dalla direzione generale per il personale scolastico del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca (MIUR ora MIM). In giurisprudenza è stato affermato che il rilascio o il diniego di autorizzazione, ai sensi dell'art. 508 comma 15, D.Lgs. n. 297 del 1994, richiede che si valuti e conseguentemente si motivi la ricorrenza del presupposto della compatibilità con le attività inerenti alla funzione docente e con l'orario di insegnamento e di servizio, oltre che, a monte, sia verificata la natura libero — professionale dell'attività da espletare (cfr. TAR Campania 3 luglio 2012, n. 3163). Sempre in merito alla valutazione da parte del DS, è stato affermato che il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività libero professionale deve seguire all’assenza di pregiudizio per lo svolgimento dell’attività istituzionale e che a tal fine è necessaria un’indicazione in questo senso da parte del docente, cui l’autorizzazione va a conformarsi. Pertanto, il docente non può limitarsi a dichiarare di svolgere una certa professione una volta per sempre, occorrendo, per poter avanzare richiesta di autorizzazione con piena consapevolezza del legittimo svolgimento dell’incarico professionale, che la stessa sia inoltrata una volta divenuta nota la portata degli impegni e dei vincoli temporali connessi con lo svolgimento della docenza. Ciò rende appunto necessario che l’interessato, nel caso in cui ritenga di svolgere attività libero professionale, avanzi la richiesta di autorizzazione anno per anno (nei limiti appunto in cui ritenga di svolgere incarichi professionali), posto che gli impegni di docente scolastico notoriamente variano annualmente (Tribunale Forlì - Sezione Lavoro - Sentenza 07/07/2020, n. 105 confermata anche in sede di appello). Quindi, (cfr anche Tribunale Modena - Sezione Lavoro - Sentenza 29/05/2020) il personale docente è obbligato a richiedere l’autorizzazione all'esercizio della libera professione con cadenza annuale, stante la specificità, anche oraria, dell’attività di insegnamento e dell’organizzazione scolastica, che si rinnova in forme e orari diversi all’inizio di ogni anno scolastico. La ratio di detto orientamento giurisprudenziale si fonda sul principio che l’amministrazione deve essere portata a conoscenza della persistenza dell’incarico, in modo da poter compiere la verifica di compatibilità in relazione alle nuove condizioni didattiche e all’orario di insegnamento e di servizio. Non sono ammissibili rinnovi taciti, posto che la normativa richiede una previa autorizzazione del direttore dirigente scolastico, incompatibile con l’emanazione di un provvedimento in forma tacita. Nè il pregresso svolgimento, ad opera del medesimo dipendente, di incarichi similari e la comunicazione degli emolumenti percepiti negli anni pregressi al datore di lavoro sono idonei a fondare il ragionevole affidamento che la necessaria autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza sia stata concessa, sicché essa va, comunque, nuovamente richiesta. Inoltre, il docente deve presentare la richiesta anche in caso di assenza dal servizio giustificata dai vari istituti del rapporto di lavoro. Pertanto: - l'attività di cui al quesito può, in linea generale, essere svolta sotto forma di libera professione. Nel richiedere al Dirigente Scolastico l'autorizzazione tuttavia, la docente dovrà precisare che si tratta per l’appunto di attività libero professionale esercitata ai sensi della Legge n. 4 del 14/01/2013 (non risulta ancora l'esistenza di un albo nel caso di specie) con possesso di partita iva ( l'esercizio della libera professione presuppone il possesso della partita iva). Alla stessa stregua dovrà dichiarare che non vi è iscrizione alla Camera di commercio il che inquadrerebbe l'attività come commerciale e quindi vietata. Una volta pervenuta la richiesta di autorizzazione all’esercizio della libera professione, con la specifica che trattasi di attività esercitata ai sensi della Legge 4 del 2013, il dirigente potrà concedere la suddetta autorizzazione richiesta previa valutazione dei requisiti di cui al comma 15 dell’art. 508 del D.Lgs. n. 297 del 1994.
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Data di pubblicazione: 18/10/2024
Finanziamenti per attività progettuali erogati dal Comune: alcune docenti chiedono di poterle destinare per stipulare contratti con associazioni teatrali...
I progetti didattici possono avere natura curricolare o extra-curricolare, a seconda della loro collocazione oraria, e la decisione rientra nell’autonomia didattica attribuita alle istituzioni scolastiche dall’art. 4 del DPR n. 275/1999. Nel primo caso lo svolgimento del progetto deve prevedere che il docente-esperto (anche nel caso il contratto della scuola sia con l'Associazione che poi invia propri esperti) operi in compresenza con il docente di classe, nel secondo caso l’esperto può essere chiamato a gestire personalmente il gruppo o la classe affidatigli. In secondo luogo va tenuto presente che qualora il progetto abbia natura curricolare è necessario che faccia esplicitamente riferimento agli obiettivi e ai traguardi di competenza disciplinari stabiliti per le diverse classi all’interno delle Indicazioni nazionali per il curricolo,. La natura curricolare dei progetti deve essere dichiarata in sede di PTOF, in coerenza, come detto, con le Indicazioni nazionali per il curricolo e deve rispondere alla logica generale che deve ispirare l’offerta formativa dell’istituto, con espresso riferimento alle priorità, agli obiettivi e alle azioni di miglioramento che l’istituto ha precedentemente elaborato e adottato. È all’interno di questa cornice che va strutturata l’offerta formativa, che va deciso se attivare o meno iniziative progettuali e quale ruolo debbano avere i diversi progetti che si intende realizzare all’interno della logica complessiva che ispira il Piano dell’offerta formativa. In terzo luogo andrebbe applicato, nei limiti del possibile, il criterio secondo il quale le iniziative che costituiscono parte organica del curricolo non dovrebbero avere un costo per le famiglie. Un progetto di natura curricolare deve essere esteso all’intera classe, quindi anche agli alunni provenienti da famiglie meno abbienti. Sarebbe quindi opportuno, se possibile, che si optasse per una soluzione non a carico delle famiglie, ricorrendo a contributi di imprese, dell'ente locale (come nel caso di specie) o agli stanziamenti del diritto allo studio o a fondi di bilancio. Ai sensi della normativa vigente l'Amministrazione scolastica, in via prioritaria, preventiva ed obbligatoria, deve sempre accertare la presenza all'interno della scuola stessa di risorse professionali ed umane che abbiano le competenze richieste per tutte le diverse attività formative e didattiche progettate ed organizzate all'interno del PTOF, per l'ampliamento dell'offerta formativa. Solo in mancanza la scuola potrà realizzare l'attività ricorrendo a persone giuridiche (appalto di servizi) o esperti esterni persone fisiche (contratti di lavoro autonomo ex art. 7, co. 6 D.Lgs. n. 165 del 2001). Pertanto, alla luce di quanto argomentato, se tutte le procedure sono espletate nel rispetto delle norme citate e di quanto esposto in premessa, non vi sono, a nostro avviso, elementi di responsabilità erariale.
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Data di pubblicazione: 17/10/2024
Dipendente in aspettativa senza assegni per svolgere l'incarico di docente a t.d.: come trattarla dal punto di vista pensionistico?
Le voci stipendiali da considerare nell'ultimo miglio per determinazione pensione si riferiscono all'inquadramento economico alla data di cessazione, pertanto la dipendente sarà collocata in quiescenza nel profilo da docente IRC. I contributi versati in qualità di assistente amministrativo alimenteranno pro quota il montante contributivo ma la retribuzione fissa e continuativa e la retribuzione base da inserire nell'ultimo miglio saranno quelli del docente.
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Data di pubblicazione: 17/10/2024
Dipendente che presta servizio a t.d. in un'altra scuola su altro profilo: decade da membro del CdI?
Il punto di riferimento è costituito dall'art. 15 dell'O.M. 215/1991 che di seguito si riporta. "Art. 15 - Assenze dal servizio del personale A.T.A.: perdita del diritto di elettorato 1. Il personale A.T.A. che non presta effettivo servizio di istituto perché, ai sensi di disposizioni di legge, esonerato dagli obblighi di ufficio per l'espletamento di altre funzioni o perché comandato o collocato fuori ruolo perde il diritto di elettorato attivo o passivo per l'elezione degli organi collegiali a livello di circolo o di istituto, salvo quanto stabilito nel precedente comma 5° dell'art. 14." E il predetto comma dell'art. 14 esclude dalla perdita di elettorato attivo e passivo il personale ATA assente dal servizio per motivi sindacali o in quanto componente del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione. Considerato che il collaboratore scolastico in questione, nell'anno in corso, non presta effettivo servizio nell'istituto decade da membro del consiglio.
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Data di pubblicazione: 17/10/2024
Dipendente in congedo biennale retribuito: può, durante tale periodo, continuare a svolgere attività sindacale?
Sono necessarie alcune precisazioni. Il parere dell’ARAN riportato nel quesito è riferito alla eventuale possibilità di svolgere un’altra attività lavorativa nel periodo di congedo biennale per assistenza di soggetto portatore di handicap. La risposta non poteva che essere negativa dal momento che è possibile svolgere un altro lavoro soltanto nel caso in cui sia autorizzato dall’amministrazione scolastica in quanto compatibile con l’incarico nella scuola. Il proselitismo sindacale non costituisce attività lavorativa, salvo il caso in cui il docente stabilisca un rapporto di lavoro con la propria organizzazione sindacale e riceva da questa una retribuzione. Inoltre va tenuto presente che il proselitismo sindacale è tutelato dalla legge. Infatti la legge n. 300/1970, più nota come Statuto dei lavoratori, prevede all’art. 14 che: “Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro.”. Al successivo art. 26 viene aggiunto inoltre che: “I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale.”. Questo per ricordare che l’attività sindacale è libera e tutelata, alla sola condizione che non rechi disturbo allo svolgimento dell’attività scolastica. Pertanto il comportamento della docente può forse essere valutato sul piano della opportunità e della correttezza deontologica, visto che sta usufruendo di un beneficio di legge, ma non su quello della illegittimità. Altra puntualizzazione va fa fatta in merito al rapporto tra congedo biennale e incarico nella RSU e all’eventualità che la messa in aspettativa comporti la decadenza dalla RSU. Sulla questione si è espresso l’ANCQ del 12 aprile 2022, in particolare l’art. 9, comma 4, il quale prescrive: “Il componente RSU decade in caso di incompatibilità di cui all’art. 8 (Incompatibilità), in caso di cessazione del rapporto di lavoro, in caso di trasferimento, comando o altra forma di assegnazione temporanea presso altra amministrazione o ufficio della stessa amministrazione ricompreso in altra RSU. Il componente RSU decade, inoltre, nell’ipotesi di assenza continuativa dall’ufficio superiore a 6 mesi qualora tale assenza comporti che il numero di componenti effettivamente in servizio nella sede RSU che possono assumere le decisioni sia inferiore al 50% del numero previsto all’art. 4 (Numero dei componenti). In tali casi l’amministrazione informa la RSU la quale ne dà comunicazione ai lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti o pubblicandola nell’intranet dell’amministrazione.”. L’ARAN è tornato sulla questione attraverso un suo parere (CQRSI 72), nel quale conferma che: “la circostanza che un componente della RSU sia assente da oltre sei mesi o sia stato assente per più di sei mesi non comporta di per sé la decadenza dello stesso in quanto la decadenza, in tali casi, opera solo nell’ipotesi in cui i componenti presenti siano scesi al di sotto del 50% del numero previsto dall’art. 4 dell’ACNQ del 12 aprile 2022. In via esemplificativa, se una RSU è composta da 3 componenti e uno di questi è assente da oltre sei mesi, il componente assente non decade se nella RSU sono ancora operativi 2 componenti, ovvero più del 50% di 3. Diversamente, si configura un caso di decadenza qualora l’assenza prolungata (oltre 6 mesi) di un componente non permette alla RSU di poter prendere decisioni poiché sono rimasti in servizio meno del 50% dei componenti.”. È possibile quindi concludere che: - Occorre verificare che l’assenza prolungata della docente in congedo biennale faccia o meno decadere la RSU nella sua totalità, in applicazione dell’art. 9, comma 4, dell’ANCQ/2022. - L’attività di proselitismo sindacale non costituisce attività lavorativa e non è quindi incompatibile con il congedo biennale. - Qualora la RSU non sia decaduta nella sua totalità la docente può continuare ad esercitare il proprio mandato, compatibilmente con le esigenze del soggetto da lei assistito. - Il dirigente scolastico non può intraprendere azioni particolari se non valutare, con la docente, non formalmente e in forma strettamente riservata, se il supporto al soggetto disabile sia compatibile con il grande impegno sindacale, ma si tratta di un passaggio completamente informale e da valutare bene nell'opportunità, ipotizzando anche la reazione della persona che si ha di fronte.
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