Data di pubblicazione: 14/03/2025
La sentenza trasmessa dall’Ufficio d’Ambito s’inserisce nell’ambito di un contenzioso seriale che vede l’amministrazione scolastica soccombente in via generalizzata in materia di retribuzione professionale docente. L’esecuzione della sentenza compete all’ufficio scolastico regionale solo per quanto riguarda il pagamento delle spese di lite. Invece, per quanto attiene alla corresponsione, ora per allora, della retribuzione professionale docente, l’adempimento spetta alle singole istituzioni scolastiche. Si dovrà pertanto predisporre apposito decreto che rechi, nelle premesse, a) I riferimenti del ricorso, compresi gli estremi del ricorrente e la descrizione del petitum; b) La data di notificazione e i riferimenti della sentenza con l’enunciazione del dispositivo in essa contenuta; c) La specificazione se si tratta di sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva alla quale è stata fatta opposizione; d) La dichiarazione che nessuna procedura esecutiva sia stata posta in essere, e che l’interessato non hanno percepito somme al medesimo titolo. Si dovrà calcolare quanto spettante all’interessato sulla base dei medesimi importi che il collega di ruolo avrebbe al tempo percepito, salvo che sia la sentenza a liquidare quanto dovuto, nel qual caso bisogna attenersi a quanto esplicitamente riconosciuto dal giudice. Ovviamente, occorre esaminare con attenzione il dispositivo della sentenza alla luce di quanto indicato nelle motivazioni. Corrisponde al vero che la Ragioneria Generale ha dato indicazione alle Ragionerie Territoriali di non procedere più alla liquidazione delle spettanze in materia di RPD. Tale disposizione è stata resa dalla Ragioneria Generale dello Stato con nota 1676 del 2.2.24, secondo cui al pagamento degli importi deve provvedere direttamente l’amministrazione scolastica per il tramite delle scuole e il Ministero, in caso di incapienza, dovrà assicurare la relativa provvista finanziaria. A tale ultimo riguardo si precisa che il MEF, con nota Prot. n. 24978 del 29.01.2024, e con successiva nota Prot. n. 13656 del 12.02.2024 ha disposto che le RRTTS provvedano a rifiutare il pagamento degli importi come sopra statuiti nelle rispettive sentenze, anche per coloro che, una volta supplenti brevi, abbiano avuto negli anni successivi una partita stipendiale aperta a fronte di un contratto di differente categoria. Si consideri che la retribuzione dei supplenti brevi e saltuari è gestita dalle istituzioni scolastiche sui propri capitoli di bilancio con il canale NoiPA a cui si accede attraverso la piattaforma SIDI alla voce: “Gestione giuridica e retributiva contratti scuola” in cooperazione applicativa. Quanto al pagamento degli emolumenti, in linea di principio la scuola non può utilizzare liberamente le somme che ha in giacenza ma che hanno una destinazione vincolata, a meno che non vi siano indicazioni specifiche da parte del MIUR di utilizzo delle suddette somme anche al di fuori della loro originaria destinazione. Va tuttavia evidenziato come, nel caso di specie, il mancato tempestivo adempimento alla sentenza (sollecitato dal MIM) determina l’aggravio di spese processuali conseguente a una procedura esecutiva a carico dell’amministrazione scolastica. In difetto di altre voci di bilancio dedicate e capienti, la soluzione di attingere all’aggregato z appare percorribile con richiesta al Ministero di tempestivo rimborso.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
Vorrei avere delle delucidazioni in merito a una nota di rimostranze che mi è giunta da xx sindacati, a seguito di alcune modifiche...
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
L’investimento 3.1 “Nuove competenze e nuovi linguaggi” della Missione 4 – Componente 1 del PNRR intende raggiungere due obiettivi: 1) promuovere l’integrazione, all’interno dei curricula di tutti i cicli scolastici, di attività, metodologie e contenuti volti a sviluppare le competenze STEM, digitali e di innovazione; 2) potenziare le competenze multilinguistiche di studenti e insegnanti. A tali fini con il D.M. n. 65/2023 vengono destinate cospicue risorse in favore di tutte le istituzioni scolastiche chiamate a operare nell’ambito di due distinte linee di intervento: - l’intervento A che prevede la realizzazione di percorsi didattici, formativi e di orientamento per studentesse e studenti finalizzati a promuovere l’integrazione, all’interno dei curricula di tutti i cicli scolastici, di attività, metodologie e contenuti volti a sviluppare le competenze STEM, digitali e di innovazione, nonché quelle linguistiche, garantendo pari opportunità e parità di genere in termini di approccio metodologico e di attività di orientamento STEM. Ciò deve avvenire nel rispetto del target M4C1-16 vale a dire “almeno 8.000 sedi scolastiche che abbiano attivato e svolto progetti di orientamento STEM entro il 30 giugno 2025”; - l’Intervento B che è destinato alla realizzazione di percorsi formativi di lingua e di metodologia di durata annuale, finalizzati al potenziamento delle competenze linguistiche dei docenti in servizio e al miglioramento delle loro competenze metodologiche di insegnamento; il target, in questo caso, è che siano attivati “almeno 1.000 corsi di durata annuale di lingua e metodologia a tutti gli insegnanti entro il 30 giugno 2025”. Sulla linea di intervento A l’unico vincolo imposto dalle Istruzioni operative di cui al D.M. n. 65/2023, pubblicate il 15 novembre 2023 con prot. n. 132935, è che per lo svolgimento dei “percorsi di orientamento e formazione per il potenziamento delle competenze STEM, digitali e di innovazione, finalizzate alla promozione di pari opportunità di genere” siano destinate risorse almeno pari al 50% del totale del finanziamento dell’intervento. Su tali percorsi, inoltre, è riconosciuto un importo pari al tasso forfettario del 40% dei costi ammissibili di personale dell’UCS per il rimborso degli altri costi sostenuti per l’organizzazione del percorso. Venendo al quesito, alla luce di quanto detto, la percentuale del 50% va calcolata sull’importo assegnato all’intera linea di intervento e non su quello speso effettivamente dall’istituzione scolastica beneficiaria del finanziamento. La redazione comprende la criticità rappresentata ovvero il raggiungimento concreto di tale 50%, ma fa presente che è sempre necessario ricordare che il target, citato nelle Istruzioni operative e nell’accordo di concessione, risiede nell’avere l’istituzione scolastica, in quanto soggetto attuatore, avviato i percorsi di cui alle Linee di intervento A e B. Infatti, nel paragrafo 4 delle citate Istruzioni, sezione “Contenuti e compilazione”, è riportato che per target deve essere inteso il valore numerico riportato (pari al valore minimo di 1) riferito: - al numero di sedi scolastiche (plessi) che hanno attivato e concluso alla data del 15 maggio 2025 progetti di orientamento STEM nel 2024/25. Il valore è incrementato dalla scuola in fase di rendicontazione sulla base del numero effettivo di sedi scolastiche (plessi) in cui sono stati attivati progetti di orientamento STEM; - al numero di corsi di lingua e metodologia per docenti attivati e conclusi alla data del 15 maggio 2025. Il valore è incrementato dalla scuola in fase di rendicontazione sulla base del numero effettivo di corsi di lingua e metodologia per docenti attivati e conclusi alla data del 15 maggio 2025.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
In premessa alcune utili precisazioni. Innanzitutto, i permessi previsti per il lavoratore disabile con connotazione di gravità per sé stesso previsti dall’art. 33 co. 6 della legge 104/92, non vanno confusi con i permessi per assistenza al familiare disabile sempre disabile con connotazione di gravità previsti dallo stesso art. 33 ma dal comma 3. Il lavoratore per se stesso può usufruire alternativamente (in genere un mese per un altro) dei tre giorni di permesso citati previsti dall'art. 33. comma 3 della legge (genericamente definiti per assistenza), oppure, di ore di permesso orario giornaliero previste dall'art. 33, comma 2 della legge, permesso equiparato ai riposi per allattamento. La scelta della prima o della seconda soluzione è un atto unilaterale del lavoratore, per il quale il Dirigente non ha nessun poter discrezionale. Per consolidata giurisprudenza e regola, come evidenziato, la scelta in ore è equiparata al riposo per allattamento (circolari INPDAP n. 49 del 2000 e n. 33 del 2002, circolare INPS n. 139 del 2002, prot.16866 del 28/06/2007 e 3114 del 07/08/2018) e, come tale, è prevista analoga distribuzione: - due ore al giorno per un orario lavorativo giornaliero pari o superiore alle sei ore, - un’ora al giorno per un orario inferiore alle sei ore. In genere, la scelta dell'interessato, lavoratore dipendente sia con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato o determinato (in riferimento al rapporto contrattuale in essere), è proprio quella della riduzione oraria giornaliera. Mentre, in merito alle modalità, la riduzione dell’orario di lavoro giornaliero può essere richiesta per posticipare o per anticipare le ore di servizio ma, non è nemmeno preclusa a priori la possibilità di programmare/concordare la collocazione oraria dei riposi con l’amministrazione di appartenenza, secondo i principi generali di correttezza e buona fede nell’esecuzione della norma e del contratto di lavoro. Fra l’altro la programmazione seppur non prevista per legge, si ritiene un atto opportuno e necessario affinché il datore di lavoro possa organizzare il lavoro e i servizi. Per quanto chiarito, proprio per non incorrere in eventuali contenziosi, la domanda ad ore non può essere rifiutata e, l’interessato: personale docente o ATA con orario normale 18-24-25-36 ore contrattuali, in generale ha diritto alla prevista riduzione oraria: a) personale docente istituti di primo e secondo grado 1 ora per ogni giorno di servizio effettivo b) personale docente scuola primaria e dell’infanzia sempre 1 ora per ogni giorno di servizio effettivo con orario inferiore alle 6 ore, 2 ore per alcuni giorni con orario di lavoro pari o superiore alle 6 ore c) personale ATA sempre 2 ore ogni giorno con un orario di lavoro pari o superiore alle 6 ore. L’interessato, sempre a sua scelta, invece, può optare (in genere difficilmente) di usufruire dei 3 giorni di permesso mensile. Anche per questa scelta però, sono necessari alcuni specifici chiarimenti: a) Il CCNL vigente all’art. art. 68 commi 1-2-3 (che ha ripreso l’art. 32 comma 1 del precedente CCNL 2016-2018) per il solo personale ATA, ha previsto così come avviene per altri contratti del pubblico e per il settore privato la possibilità di poter utilizzare in maniera frazionata oraria anche i tre giorni di permesso mensile previsti per legge, per assistenza al familiare disabile con connotazione di gravità dall’art. 33 comma 3 della legge, con un monte ore mensile massimo di 18 ore. Questa scelta di frazionare in ore (esempio: 1 ora oppure 2 ore oppure 3 ore in quel determinato giorno) i 3 giorni di permesso mensile per un totale massino di 18 ore, non deve essere confusa con la riduzione oraria di permesso per ogni giorno; b) il personale docente, invece, può fruire dei tre giorni di permesso previsti per assistenza solo in modalità giornaliera e non oraria.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
Come già detto in precedenti risposte, le Istruzioni operative del MIM prot. 141549 del 07/12/2023, riguardanti la Formazione del personale scolastico per la transizione digitale (D.M. 66/2023), prevedono, sia per i Percorsi di formazione sulla transizione digitale che per i Laboratori di formazione sul campo, che “È riconosciuto, altresì, un importo pari al 40% dei costi diretti di personale dell’UCS per il rimborso degli altri costi sostenuti per l’organizzazione del percorso”. Con successive FAQ, riguardanti il DM 65/2023 e diramate con prot. n. 30662 del 28 febbraio, sono state altresì esplicitate alcune applicazioni di tali indicazioni generali a situazioni e circostanze specifiche e particolari presenti nel contesto scolastico. In particolare, le risposte alle FAQ n. 4 e n. 5 precisano, rispettivamente, che: - […] “In applicazione dell’art. 56 del Regolamento (UE) 2021/1060, il tasso forfettario viene riconosciuto in % fissa (40%) sul valore dei costi della relativa UCS. Il tasso forfetario può coprire i costi necessari per lo svolgimento del percorso formativo (spese di gestione del corso, di acquisto di testi e materiali di consumo per la didattica, di noleggio di eventuali attrezzature didattiche calcolate sulla durata effettiva di utilizzo per il percorso, etc.).” - […] “se il percorso progettato dalla scuola prevede il rilascio anche della certificazione, l’eventuale costo necessario può essere ricompreso nel tasso forfetario”. Come è possibile evincere dalla lettura delle istruzioni e dei chiarimenti forniti dal MIM, la tipologia di spese riferibili alla quota forfetaria del 40% è piuttosto vasta, articolata ed anche lasciata aperta (vedi “ecc.”) alle esigenze progettuali, didattiche e organizzative della singola Istituzione Scolastica. L’importante è, comunque, che i costi sostenuti siano strettamente necessari, direttamente finalizzati e indispensabili alla realizzazione dei percorsi. Tanto premesso, riteniamo ammissibile imputare al 40% dei costi indiretti del DM 66/2023 le spese per acquistare le certificazioni necessarie. Si ricorda infine che, come anche indicato nella risposta fornita dall’Unità di Missione, “Il tasso forfetario non forma oggetto di rendicontazione sulla piattaforma. Tali spese non saranno quindi caricate in piattaforma, ma la documentazione delle procedure effettuate sarà archiviata agli atti a disposizione degli eventuali controlli a cura degli organi competenti (revisori).” Concludiamo, come di consueto, precisando che, in materia di attuazione dei Progetti PNRR, contano molto le indicazioni che periodicamente vengono dal Ministero, che raccoglie casi e poi pubblica indicazioni per le scuole o le fornisce direttamente in risposta ad appositi quesiti. Tanto premesso, occorre sottolineare che le risposte date tengono conto dello stato delle conoscenze attuali.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
In riferimento ai DM 65 e 66 PNRR, si chiede se nelle spese dei costi indiretti possa rientrare l'acquisto di software...
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
Occorre esaminare la questione in base a due distinti profili: il primo (stante la mancata esplicita indicazione dell’IVA nella Trattativa diretta) riguardante il regime IVA applicabile ai servizi di formazione e istruzione, il secondo concernente la definizione del principio del risultato e della correlata interpretazione giurisprudenziale. In merito al primo profilo, come già esposto in precedenti risposte, si rappresenta che l’art. 10 comma 20 del DPR 633/1972 prevede l’esenzione dall'imposta sul valore aggiunto per le prestazioni educative dell'infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l'aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo settore di natura non commerciale, comprese le prestazioni relative all'alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale. Inoltre, l’art. 14 comma 10 della Legge 537/93 ha disposto che i versamenti eseguiti dagli enti pubblici per l'esecuzione di corsi di formazione, aggiornamento, riqualificazione e riconversione del personale costituiscono in ogni caso corrispettivi di prestazioni di servizi esenti dall'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Occorre a questo punto richiamare testualmente le norme citate: - Il comma 20 del predetto art. 10 così recita, "le prestazioni...didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l'aggiornamento e la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da ONLUS, comprese le prestazioni relative all'alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati...". - La suddetta normativa è stata poi integrata dal comma 10 dell'art. 14 della legge 537/93, che ha disposto che "i versamenti eseguiti dagli enti pubblici per l'esecuzione di corsi di formazione, aggiornamento, riqualificazione e riconversione del personale costituiscono in ogni caso corrispettivi di prestazioni di servizi esenti dall'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633". Pertanto, con effetto a decorrere dal 1° gennaio 1994, l'articolo 14, comma 10, della L. 24 dicembre 1993, n. 537 ha previsto un regime di esenzione da Iva, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, n. 20) del D.P.R. 633/1972, per i corrispettivi versati dagli enti pubblici a fronte dell'esecuzione di corsi di formazione, aggiornamento, riqualificazione e riconversione del personale. La risoluzione del 4 aprile 2003, n. 84/E dell’Agenzia delle Entrate ha fornito precisazioni sull'applicabilità dell'esenzione da Iva prevista dal citato comma 10 dell'articolo 14 della L. 537/1993 ai costi sostenuti da un ente pubblico per l'organizzazione diretta dei corsi di formazione. La disposizione di cui al comma 10 del citato articolo 14 non contiene alcuna indicazione in merito alle caratteristiche dei soggetti che effettuano nei confronti di enti pubblici prestazioni aventi ad oggetto l'esecuzione dei corsi di formazione. Pertanto, per tali corsi, l'esenzione dall'applicazione dell'Iva non è subordinata alla condizione che si tratti di istituti riconosciuti da Pubbliche Amministrazioni (o da organismi a loro volta riconosciuti da Pubbliche Amministrazioni). Non rileva, inoltre, che i partecipanti al corso siano dipendenti dell'ente pubblico che effettua i versamenti, né che il corso sia riservato esclusivamente al personale dipendente. Nella risoluzione del 4 aprile 2003, n. 84/E citata sono state considerate soggette ad Iva le prestazioni di servizi ricevute dagli enti pubblici che organizzano in proprio i corsi di formazione. Infatti, l'Agenzia delle Entrate ha confermato il consolidato orientamento del Ministero delle Finanze secondo il quale l'esenzione di cui al comma 10 dell'articolo 14 della L. 537/1993 si applica esclusivamente nei casi in cui gli enti pubblici stipulino convenzioni/contratti con terzi persone giuridiche per l'esecuzione di corsi formativi, e non anche nell'ipotesi di corsi organizzati e gestiti in via autonoma dall'ente stesso. Qualora, invece, gli enti pubblici procedano alla gestione diretta dei corsi di formazione, non costituiscono il corrispettivo per l'esecuzione di un corso formativo e, quindi, sono soggetti ad Iva con l'aliquota Iva propria, i pagamenti effettuati dagli enti stessi per l'acquisizione di beni e servizi, quali: - fornitura di energia elettrica, gas e acqua; - spese telefoniche; - locazione degli immobili, pulizia dei locali e operazioni simili; - docenze di liberi professionisti. Nello specifico, la risoluzione dell'Agenzia delle Entrate del 4 aprile 2003, n. 84/E ha chiarito che, se i corsi di formazione e aggiornamento del personale sono effettuati da docenti liberi professionisti incaricati direttamente dall'ente pubblico, i compensi corrisposti a favore di tali docenti non rientrano nella previsione agevolativa dell'esenzione da Iva prevista dal comma 10 dell'articolo 14 della L. 537/1993 (si vedano anche la risoluzione del 30 luglio 1990, n. 430290, la risoluzione del 12 maggio 1995, n. 119/E e la risoluzione del 2 novembre 2000, n. 164/E). È, invece, applicabile l'esenzione da Iva se l'esecuzione di un corso di formazione nei confronti di un ente pubblico avviene incaricando un organismo/ente (persona giuridica) esistente e specializzato in tale attività e dotato di adeguata struttura (risoluzione del 2 agosto 1994, n. 24). Arrivando alla circolare n. 22/E del 18 marzo 2008, in essa viene ulteriormente chiarito e rimarcato che la norma citata, coerentemente con quanto previsto dall'art. 132 della direttiva CE n. 112 del 2006, subordina l'applicazione del beneficio dell'esenzione dall'IVA al verificarsi di due requisiti, uno di carattere oggettivo e l'altro soggettivo, stabilendo che le prestazioni a cui si riferisce devono essere: - di natura educativa dell'infanzia e della gioventù o didattica di ogni genere, ivi compresa l'attività di formazione, aggiornamento, riqualificazione e riconversione professionale; - rese (ndr. direttamente) da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni. Con riferimento, poi, ai sevizi disciplinati dal comma 20, vale a dire le attività di natura educativa e didattica, la circolare n. 22/2008 ribadisce che sono esenti e, pertanto assoggettate ai fini del regime di favore, se rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni o approvate e finanziate da enti pubblici (come nel caso in trattazione). In ordine al secondo profilo, è necessario premettere che il D.lgs. 36/2023 , a differenza dei precedenti codici, apre l’articolato con l’elenco dei principi generali che presiedono la materia degli appalti. Trattasi di una novità assoluta che consente di comprendere i criteri e le regole ritenute prioritarie nell’interpretazione e attuazione della normativa sui contratti pubblici (cfr. art. 4 del Codice). Il primo dei criteri è il principio del risultato, contenuto all’art. 1 del Codice che, anche per ordine sistematico, si dispone come canone sovraordinato rispetto agli elementi che governano il mercato pubblico. In realtà, gli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione della pubblica amministrazione erano già presenti nel nostro Ordinamento poiché discendenti dall’originaria matrice dell’art. 97 della Costituzione, attuato in maniera strutturata attraverso le riforme introdotte negli anni ’90 che hanno portato all’adozione di leggi fondamentali come la l. 7 agosto 1990, n. 241, che ha disciplinato in modo compiuto la trasparenza e la partecipazione nei procedimenti amministrativi, per poi giungere ad interventi più articolati nell’ambito delle c.d. “Riforme Bassanini” ( l. 15 maggio 1997, n. 59, l. 15 maggio 1997, n. 127, l. 16 giugno 1998, n. 191 e l. 8 marzo 1999, n. 50). Il principio di risultato, di cui all’art. 1 del Codice, si sostanzia nel procedere all’affidamento dei contratti di appalto - e nella loro esecuzione - “con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, concorrenza e trasparenza”. Già la definizione consente di valutare alcuni importanti elementi di novità: in primo luogo il risultato non si limita a costituire obiettivo della fase procedurale dell’evidenza pubblica, bensì si estende anche all’esecuzione del contratto, ponendosi come finalità ultima dell’azione amministrativa, presente per tutta la durata del rapporto negoziale. In secondo luogo, esso si manifesta in due elementi significativi: il tempo e la qualità dell’affidamento. La tempestività della procedura di gara, in particolare, si pone come espressione del risultato da perseguire in coordinamento con i termini di durata massima delle procedure, come previsti nell’Allegato I.3 del Codice. Il superamento di tali termini, ai sensi dell’art. 17, comma 3, “costituisce silenzio inadempimento e rileva anche al fine della verifica del rispetto del dovere di buona fede, anche in pendenza di contenzioso”. La tempestività, pertanto, costituisce un obbligo giuridico. Il principio della trasparenza (che nei precedenti codici aveva un ruolo centrale e prevalente), diventa nel nuovo Codice funzionale al perseguimento del risultato, assumendo valenza subordinata rispetto a quest’ultimo. L’art. 1, comma 2, infatti, specifica che “La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del Codice”. È interessante anche notare che per la prima volta si introduce il criterio della “semplicità”, contrapposto alla complessità normativa che regola i contratti pubblici, derivante dall'intreccio di norme europee e nazionali, atti regolatori (ANAC, MIT) e orientamenti giurisprudenziali. Il successivo comma 4 dell’art. 1 stabilisce, inoltre, che il principio del risultato deve essere considerato come criterio prioritario nell’esercizio del potere discrezionale e nella determinazione delle regole per ogni caso concreto. La discrezionalità, dunque, deve essere riferita al perseguimento del risultato, come sopra delineato, e la valutazione del suo corretto esercizio non potrà più prescindere dal conseguimento degli obiettivi prefissati. Se ne può dedurre una rinnovata valorizzazione della discrezionalità amministrativa nelle procedure di gara, con maggiore flessibilità e autonomia della stazione appaltante nell’individuazione delle regole auto-vincolati e nella gestione operativa delle diverse questioni che possono emergere durante l’iter procedurale. Da questo punto di vista il principio del risultato è intimamente connesso al nuovo principio della fiducia, di cui all’art. 2 del Codice, considerato che il risultato costituisce criterio di valutazione della “responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative e tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione del contratti” (art. 1, comma 4). Recenti sentenze hanno interpretato e applicato a casi concreti il principio del risultato, concludendo che la violazione di tale principio costituisce un nuovo vizio dell’atto amministrativo. Al riguardo si indicano alcune pronunce che ribadiscono la preminenza del risultato come criterio guida dell’azione amministrativa nell’ambito delle procedure di gara: - il Consiglio di Stato, sez. III, 29 dicembre 2023, n. 11322, ha affermato che “il richiamo alla nozione di risultato integra i parametri di legittimità dell’azione amministrativa con riguardo ad una categoria che implica verifiche sostanziali e non formali, di effettività del raggiungimento degli obiettivi (di merito, e di metodo) oltre che di astratta conformità al paradigma normativo” (Consiglio di Stato). - La valenza del principio del risultato quale cardine dell’azione amministrativa, è stata affermata nuovamente dal Consiglio di Stato, sez VI, con la sentenza 4 giugno 2024, n.4996, ove si è chiarito che esso “non deve essere posto in chiave antagonista rispetto al principio di legalità. Al contrario, come chiarito dalla terza Sezione (Cons. Stato, sez. III, 26.03.2024 n. 2866), il valore del risultato concorre ad integrare il paradigma normativo del provvedimento e dunque ad “ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale piuttosto che diminuirlo”, facendo “transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili”. - Tale concetto era già stato collegato dalla dottrina al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, ancor prima che fosse esplicitamente sancito nell’art. 1 del decreto legislativo n. 36 del 2023 con specifico riferimento ai contratti pubblici. In tal senso, infatti, il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza del 26 marzo 2024 n. 2866, aveva stabilito che, “pur essendo la fornitura in questione non ancora soggetta, ratione temporis, alla disciplina di cui al d. lgs. 36/2023, l’utilizzo da parte della legge di gara del parametro del risultato esplicita e conferma, nello specifico procedimento per cui è causa, il carattere immanente al sistema della c.d. amministrazione di risultato (che la dottrina ha ricondotto al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, già prima dell’espressa affermazione contenuta nell’art. 1 del citato d. lgs. n. 36 del 2023 con specifico riferimento alla disciplina dei contratti pubblici)”. Gli orientamenti giurisprudenziali richiamati consolidano quindi la tendenza verso un’applicazione pratica del principio in esame, che privilegia il conseguimento di risultati effettivi e la qualità delle prestazioni, piuttosto che una mera applicazione formale delle norme. L’interpretazione giurisprudenziale del principio di risultato assume particolare rilievo, soprattutto quando si tratta di tipologie contrattuali vincolate al rispetto di tempistiche rigorose e stringenti, in quanto correlate alla concessione di finanziamenti pubblici, come ad esempio quelli derivanti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La valenza preminente dell’elemento temporale ai fini del risultato trova conferma nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 18 agosto 2024, n. 7114 che ha sottolineato che “l’impostazione accelerata della sequenza procedimentale (che nella gara qui controversa trova un ulteriore presidio in ragione del fatto che si tratta di appalto PNRR) si inscrive in un contesto di rispetto del principio del risultato”. Alla luce delle citate pronunce, è possibile stimare l’estensione della portata applicativa del principio del risultato che si pone quindi come criterio-guida per garantire che l’azione amministrativa sia orientata verso l’efficienza e la tempestività Richiamato, ancorché succintamente, il complessivo quadro normativo e giurisprudenziale, nel merito del caso in trattazione riteniamo di poter esprimere quanto segue: - la Trattativa diretta è con certezza lacunosa per quanto concerne le specifiche relative all’ambito di applicazione dell’IVA. Va comunque considerato che, nonostante l’omissione/errore, il risultato in termini economici non cambia in virtù dell'esenzione IVA, ai sensi dell’art. 10, comma 20, del DPR 633/72, applicabile nel caso di specie (servizi di Formazione nell'ambito del PNRR D.M. 19/24). - Alla luce del preminente principio di risultato, come sopra illustrato, deve inoltre essere considerato che trattasi di procedura di affidamento diretto (Trattativa diretta MEPA) con unico operatore economico e non di procedura comparativa/competitiva che, data la maggior complessità, richiederebbe diversa analisi. Siamo pertanto dell’avviso che non occorra procedere con l’annullamento in autotutela, ma che sia comunque necessario inviare una formale comunicazione all’Operatore economico tesa a chiarire che l'importo della trattativa è soggetto all’esenzione IVA, in quanto riguardante servizi di formazione e istruzione, ex art. 10, comma 20, del DPR 633/1972. - Tanto premesso, è opinione di chi scrive che, fatte salve le precisazioni e indicazioni sopra riportate, sia possibile procedere con la Trattativa in essere, potendosi considerare il risultato raggiunto come conforme al principio di risultato, sancito dall’art D.Lgs 36/2023 e, pertanto, l’offerta dell'operatore confacente al conseguimento degli obiettivi.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
Secondo quanto previsto dalle circolari del MEF n. 27 del 06/10/2017 e dalla successiva del 15/05/2024 quando il decreto di ricostruzione della carriera, sia a seguito di domanda da parte dell’interessato sia quando deve essere emessa d’ufficio, come nel caso di riallineamento della carriera per il recupero delle anzianità non di ruolo riconosciute ai soli fini economici, viene emesso oltre 5 anni dalla data della domanda dell’interessato o dal momento in cui il riallineamento produce i suoi effetti, si applica la prescrizione quinquennale degli assegni, a meno che l’interessato non abbia prodotto un atto interruttivo della prescrizione. Nel caso prospettato l’interessato matura il diritto al recupero delle anzianità non di ruolo riconosciute ai soli fini economici dal 08/11/2015 mentre il decreto è stato emesso dalla scuola il 20/01/2025, per cui se lo stesso non ha prodotto un atto interruttivo della prescrizione alla scadenza dei 5 anni al 08/11/2015, i benefici economici derivanti dal decreto in parola sono prescritti dal 01/11/2015 al 31/12/2024. La richiesta della locale Ragioneria dello Stato trova il fondamento proprio nelle due circolare sopra indicate.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
Si premette che le controversie in materia di infortunio scolastico riguardano la sfera giuridica del Ministero (che è l’unico soggetto legittimato passivo come da giurisprudenza costante). Si precisa, comunque, che in queste eventualità, l’amministrazione scolastica assicurata ha sempre le mani legate, non potendo pregiudicare le ragioni dell’assicuratore per responsabilità civile e, quindi, non potendo concludere intese senza il diretto coinvolgimento dell’assicuratore medesimo. Si suggerisce pertanto di effettuare i seguenti adempimenti: 1) estendere copia dell’invito all’Ufficio scolastico regionale (articolazione periferica del Ministero) il cui direttore generale è il soggetto provvisto del potere di conciliare e transigere. Nella lettera si avrà cura di riferire anche sui fatti e su quanto praticato. 2) Estendere copia dell’invito anche alla società assicuratrice, intimandole di intervenire alla negoziazione e di effettuare un’offerta a saldo e stralcio come consentito dall’art.1917 del codice civile. Nella lettera di trasmissione alla compagnia assicuratrice con la quale è intrattenuta polizza per responsabilità civile – da comunicarsi secondo le modalità indicate nella polizza e, comunque, anche mediante posta elettronica certificata- si dovrà quindi anche formulare un’espressa richiesta di essere manlevati con dichiarazione inequivoca di volersi avvalere della polizza RC. Si avrà inoltre cura di evidenziare che, in difetto, l’amministrazione scolastica si riserva di chiamare in garanzia la predetta assicurazione nell’eventuale giudizio risarcitorio. 3) Rispondere tempestivamente al legale della controparte evidenziando anzitutto l’erronea individuazione dell’ente legittimato passivo (che è il Ministero e non la scuola). Secondariamente, si suggerisce di inserire nella lettera il seguente passaggio: “Con riferimento alla domanda avanzata con la richiesta in oggetto, come noto alla S.V., questa amministrazione è assicurata per la responsabilità civile (art. 1917 c.c.) per i danni prodotti a terzi nello svolgimento di attività istituzionali. La partecipazione dell’Amministrazione assicurata alla negoziazione, con totale o parziale riconoscimento della propria responsabilità in sede transattiva, cagionerebbe la perdita della garanzia assicurativa, non essendo l’assicuratore, evidentemente, tenuto ad adeguarsi all’esito della conciliazione né nell’an né nel quantum. Da ciò deriva, allo stato, l’impossibilità giuridica di partecipare alla negoziazione, da non intendersi come rifiuto ai sensi di legge. Si assicura comunque di aver esteso l’invito alla società assicuratrice con nota di data …”. 4) Si suggerisce infine di interessare della questione la competente Avvocatura dello Stato. Conclusivamente, con ogni probabilità la negoziazione assistita non avrà concretamente luogo. Ciò che effettivamente conta, invece, è che la società assicuratrice per responsabilità civile sia tempestivamente attivata. Sarà altresì necessario assumere periodicamente informazioni dalla predetta compagnia su quanto praticato al riguardo.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
Si sottolinea preliminarmente che alla domanda di seguito riportata, posta da un Istituto scolastico al Ministero dell’Istruzione – Direzione Generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione, in merito ai Viaggi di istruzione: “Prima di intraprendere un viaggio o una visita di istruzione è sempre obbligatorio darne comunicazione o richiedere l'intervento della Polizia stradale?”, la stessa Direzione Generale, con Nota prot. n. 2059 del 14 marzo 2016, ha risposto nei seguenti termini: “No non è obbligatorio né comunicare la partenza o richiedere l'intervento preventivo. Chi finora si rivolgeva alla Polizia Locale può continuare a farlo. La nota informa che c'è la possibilità di rivolgersi anche alla Sezione di Polizia Stradale più vicina alla scuola e richiedere l'intervento della stessa per un controllo del mezzo di trasporto e la verifica dell'idoneità del veicolo e del conducente la mattina, prima della partenza, in caso sorgano dubbi sulla regolarità degli stessi.” Alla luce di quanto sopra non sussiste, quindi, alcun obbligo che imponga all’Istituto scolastico di comunicare la partenza del viaggio di istruzione o di richiedere l’intervento preventivo alle suddette forze di Polizia. Va peraltro osservato che l’Istituto scolastico ha la responsabilità di verificare che l'azienda di trasporto sia in possesso di tutte le autorizzazioni necessarie e che i mezzi siano in regola con le revisioni e le certificazioni. In ogni caso, come riportato in precedenti risposte ad analoghi quesiti, appare opportuno che in merito all’idoneità del veicolo utilizzato l’Istituto scolastico tenga in debita considerazione quanto precisato al paragrafo 3 del “Vademecum per viaggiare in sicurezza”, elaborato dalla Polizia Stradale ed allegato alla Nota MIUR 03.02.2016, Prot. 674, che recita: “3. Idoneità del veicolo L’idoneità del veicolo è attestata essenzialmente dalla visita di revisione annuale, il cui esito è riportato sulla carta di circolazione. (V. art. 80, commi 4 e 14, Codice della strada, ndr). In maniera empirica si dovrà prestare attenzione alle caratteristiche costruttive, funzionali e ad alcuni importanti dispositivi di equipaggiamento: l’usura dei pneumatici, l’efficienza dei dispositivi visivi, di illuminazione, dei retrovisori. Se l’autobus è dotato di sistema di ritenuta-cinture di sicurezza i passeggeri devono utilizzarli e devono essere informati, mediante cartelli-pittogrammi o sistemi audiovisivi, di tale obbligo. Se il mancato uso riguarda un minore ne risponde il conducente o chi è tenuto alla sua sorveglianza, qualora si trovi a bordo del veicolo. L’autobus deve, inoltre, essere dotato di estintori e di "dischi" indicanti le velocità massime consentite, applicati nella parte posteriore dei veicolo: 80 Km/h e 100 Km/h. La copertura assicurativa R.C.A. è rilevabile dal certificato assicurativo, che deve trovarsi a bordo del veicolo. Il numero massimo di persone che l’autobus può trasportare può invece essere tratto dalla carta di circolazione.” Si osserva, altresì, che nel caso in cui si ritenga opportuno, in particolare prima di intraprendere il viaggio d’Istruzione e/o durante lo stesso se la condotta del conducente o l’idoneità del mezzo di trasporto non dovessero rispondere ai requisiti riassunti nel citato Vademecum , dovrà essere richiesta la collaborazione e l’intervento degli Uffici della Polizia Stradale territorialmente competenti. Pertanto, a fronte della domanda: “Qualora la scuola comunichi le giornate in cui si effettueranno i viaggi e non ci fosse disponibilità da parte della Polizia per il controllo, il viaggio potrà essere comunque effettuato?”, tenuto conto di quanto sopra esposto la risposta non può che essere affermativa.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
Come è noto, il presupposto per poter ricorrere alla procedura cosiddetta “di interpello”, disciplinata dall’articolo 13, comma 23, dell’ordinanza ministeriale n. 88 del 2024, è l’esaurimento delle graduatorie di istituto. A tal proposito, va necessariamente operato un approfondimento volto a individuare quali sono le condizioni per poter considerare esaurita una graduatoria. Per quanto riguarda le graduatorie ad esaurimento e le graduatorie provinciali per le supplenze, il presupposto per ritenere esaurita una graduatoria è che l’Ufficio provinciale, che ne ha la competenza, abbia scorso la graduatoria stessa fino all’ultima posizione per attribuire le supplenze fino al termine dell’anno scolastico o fino al termine delle attività didattiche. In tal caso, proprio per la natura giuridica dei posti che vengono assegnati attraverso lo scorrimento di queste graduatorie, una graduatoria esaurita in un dato momento rimane tale per l’intero anno scolastico. Viceversa, poiché le graduatorie di istituto sono finalizzate alla copertura delle supplenze brevi e saltuarie, l’esaurimento della graduatoria (vale a dire lo scorrimento fino all’ultima posizione) che si verifica a una certa data non può essere definitivamente acquisito come tale per l’intero anno scolastico: all’insorgere di una nuova necessità di sostituzione in un momento diverso, gli aspiranti inseriti in graduatoria che non erano in condizione di accettare l’incarico in quanto impegnati al momento dell’assegnazione, potrebbero essere nuovamente disponibili, divenendo legittimamente i destinatari primi dell’incarico e rendendo fruibile la graduatoria stessa. Detto in altri termini, l’esaurimento della graduatoria va verificato ogniqualvolta insorga una nuova necessità di sostituzione. Pertanto, in caso di assenza fino a 10 giorni, sarà necessario consultare gli appositi elenchi prima di ricorrere alle disponibilità fornite a riscontro dell’”interpello preventivo”.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
Per rispondere al quesito è necessaria una premessa che tenga conto di quanto esplicitato in materia dal Regolamento di contabilità delle II.SS. D.I. n 129 del 28 agosto 2018. Quando il Direttore SGA cessa dal suo ufficio il passaggio di consegne avviene mediante ricognizione materiale dei beni in contradditorio con il consegnatario subentrante in presenza del Dirigente Scolastico e del Presidente del Consiglio di Istituto. Sul consegnatario gravano, infatti, non solo gli obblighi inerenti alla restituzione dei beni oggetto di consegna, ma anche un complesso di doveri di servizio, derivanti da espresse previsioni normative e dalle comuni regole di prudenza volte a garantire il corretto utilizzo dei mezzi appartenenti alla P.A., la custodia, la vigilanza ed il dovere di restituire all'amministrazione quanto residuato dopo il corretto impiego. L’operazione deve risultare da apposito verbale ed è effettuata entro 60 giorni dalla cessazione dell’ufficio. • L’art. 30 c 5 del nuovo Regolamento di contabilità, stabilisce quanto sopra enunciato e tra l'altro, la mancata formalizzazione del passaggio può dar luogo, ricorrendone i presupposti, ad ipotesi di responsabilità amministrativa, come pure evidenziato nella circolare 18 settembre 2008, n. 26/RGS. L’operazione di passaggio di consegne deve risultare da un apposito verbale, nel quale devono essere sinteticamente riportati, previa ricognizione materiale in contraddittorio, la tipologia, la quantità e il valore complessivo dei beni inventariati esistenti al momento della consegna. Tale verbale è redatto in più esemplari perché: 1. Una copia è conservata dal DSGA subentrante 2. Una copia è rilasciata al DSGA uscente 3. Una copia a DSGA e Presidente del Consiglio d’Istituto presenti al passaggio 4. Una copia è conservata agli atti della scuola • Qualora in quella circostanza dovessero emergere discordanze tra la situazione di fatto e quella di diritto, è necessario esplicitare le relative giustificazioni. • Il 'Regolamento' attribuisce al Dirigente Scolastico il potere di emettere il provvedimento formale di discarico dei beni nel quale deve essere indicato l’obbligo di reintegro a carico degli eventuali responsabili. • Il provvedimento di discarico - deve riportare, per ciascun bene mancante, la descrizione, gli elementi registrati in inventario e la motivazione dello scarico – esso non produce alcun effetto legale di liberazione, rimanendo impregiudicata l'eventuale azione di responsabilità amministrativa. • Se dovessero emergere presupposti per l’azione di responsabilità amministrativa – essendo rimasta senza esito l’azione diretta di reintegro o, in alternativa la rifusione del prezzo corrente del bene mancante – dovrà essere prodotta la relativa segnalazione alla competente Procura Regionale della Corte dei Conti, seguendo le indicazioni fornite con la nota del 2 agosto 2007, n. PG9434/2007P, del Procuratore Generale della Corte dei Conti. • Il Dirigente Scolastico avrà cura di individuare una data, d'intesa con i Direttori interessati, per procedere al passaggio di consegne, adottando allo scopo anche un provvedimento formale. • Se non si riesce a realizzare un normale passaggio di consegne, incomberà sempre al Dirigente Scolastico assumere l'iniziativa per regolarizzare la posizione del Direttore subentrante, quale consegnatario dei beni mobili nonché responsabile della gestione ordinaria di tutti i beni (immobili, mobili e valori). • In tale evenienza, con l’obiettivo di perfezionare il passaggio di consegne non oltre il termine di 2 mesi dal momento in cui il Direttore subentrante ha assunto l'incarico, il Dirigente Scolastico provvede ad inviare una lettera raccomandata con avviso di ricevimento per mettere in mora il Direttore uscente - ai sensi e per gli effetti degli articoli 1219 e 2943 del codice civile - invitandolo a prendere parte, nella data e orari prefissati, alle operazioni dl passaggio di consegne in contraddittorio con il Direttore subentrante, con l'espressa avvertenza che, in difetto, si procederà, dando atto dell'assenza, egualmente a redigere il verbale previsto dall'articolo 30 del 'Regolamento' con la partecipazione del medesimo Dirigente Scolastico e con l'assistenza del Presidente del Consiglio d'Istituto (o di Circolo). Quest'ultimo, potrà anche delegare al riguardo un componente del medesimo Consiglio. • Ovviamente, la lettera di messa in mora dovrà essere partecipata, preferibilmente tramite consegna diretta, agli altri soggetti coinvolti (Direttore subentrante e Presidente del Consiglio d'Istituto). • Nel caso in cui il Direttore uscente non ottemperasse all'invito senza idonea giustificazione e, comunque, qualora dovesse prospettare un rinvio incompatibile con le tempistiche sopra esplicitate, il Dirigente Scolastico ed il Direttore subentrante, con l'assistenza del Presidente del Consiglio d'Istituto, procederanno - previa ricognizione materiale - a redigere e sottoscrivere il verbale di passaggio di consegne, avendo cura di evidenziare in modo compiuto e documentabile le ragioni che hanno condotto a seguire un tale procedimento. • Per evidenti ragioni di trasparenza, il predetto verbale deve essere tempestivamente trasmesso al Direttore cessante, per comunicargli le operazioni compiute e le relative risultanze, al fine di poter formulare le proprie controdeduzioni. • In ogni caso, qualora in sede di passaggio di consegne - sia in contraddittorio, sia nella forma suppletiva appena delineata - dovessero emergere delle mancanze, sarà il Dirigente Scolastico ad operare gli opportuni accertamenti volti ad individuare la sussistenza di eventuali ipotesi di responsabilità amministrativa. • Nell'esercizio delle sue funzioni, il D.S.G.A. può, infatti, incorrere in: • una responsabilità di tipo amministrativo, da intendersi come quella responsabilità di natura patrimoniale nella quale incorrono gli amministratori e i dipendenti pubblici che per inosservanza degli obblighi di servizio, abbiano arrecato un danno erariale all'Amministrazione, ai sensi degli artt. 18 e 19 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; • una responsabilità di tipo contabile, da intendersi come quella responsabilità imputabile agli agenti contabili, ovvero a tutti coloro che hanno a qualsiasi titolo in consegna denaro, beni o altri valori pubblici, o comunque ne abbiano avuto la disponibilità materiale (di cui agli artt. 74, 84 e 85 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 e art. 194 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827). • Per completezza si aggiunge che il 'Regolamento' non contempla la possibilità di apporre la clausola della riserva al passaggio di consegne, per cui tale opzione è da ritenersi preclusa. In risposta al quesito posto si ritiene che la procedura corretta è quella di fare il passaggio di consegne, ora per allora, tra il DSGA titolare nell’anno 2023/2024 e l’assistente che lo ha sostituito e poi procedere al passaggio di consegne tra l’assistente e l’attuale DSGA titolare. Se per problemi insormontabili questo non sarà possibile, ma deve risultare dalla corrispondenza intercorsa tra DS e relativi destinatari coinvolti, cioè DSGA dimissionario e assistente amministrativo, allora si potrà procedere alla forma sostitutiva in cui l’attuale DSGA titolare procederà alla ricognizione inventariale con il supporto dell’assistente amministrativo e alla successiva stesura del verbale di passaggio di consegne alla presenza del DS e del Presidente del Consiglio di Istituto.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 14/03/2025
Si premette che non è chiaro se il bene oggetto di furto appartenesse alla scuola oppure a uno o più studenti. Parimenti non si conosce l’età dei soggetti eventualmente offesi dal reato. In ogni caso, si conviene che, ai sensi dell’art.624, comma 3, del codice penale, il delitto di furto “è punibile a querela della persona offesa”. La stessa disposizione, tuttavia, prevede che il delitto sia procedibile d’ufficio “se la persona offesa è incapace, per età o per infermità ovvero se ricorre taluna delle circostanze di cui all'articolo 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis)”. Le circostanze aggravanti di cui all’art.625 c.p. che rendono il furto procedibile d’ufficio sono: 7) se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, […] o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza; 7-bis) se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica. Alla luce di quanto precede, se le vittime fossero minorenni (incapaci per età) il reato potrebbe considerarsi procedibile d’ufficio. Parimenti, alla luce di quanto riferito, non può escludersi la ricorrenza dell’aggravante di cui al numero 7. Invero, secondo una giurisprudenza risalente, per cosa esistente in uffici pubblici, non si intenderebbe solo una cosa di proprietà dell’ufficio, ma anche una cosa di privati che ivi sia collocata. Appare pertanto prudenziale effettuare la denuncia all’autorità giudiziaria. La denuncia del pubblico ufficiale, in linea di principio, è doverosa quando si tratti di notizia di reato appresa in ragione del proprio ufficio e non è subordinata al consenso della vittima.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/03/2025
I servizi prestati come dipendenti degli enti locali nelle scuole statali non sono riconoscibili ai fini della carriera. In merito alla non valutabilità dei servizi indicati nel quesito si richiama quanto previsto dalla deliberazione della Corte dei Conti – sezione centrale del controllo – n. 743 del 24/07/1977, secondo la quale “il presupposto logico – giuridico per il riconoscimento dei servizi pregressi e che questi siano prestati esclusivamente nell’ambito di un rapporto istituito direttamente con lo Stato e non già di un servizio nell’interesse dello Stato medesimo”. Alla luce di quanto sopra, pertanto, si conferma che non pare sussistano i requisiti per la valutabilità ai fini della progressione giuridica ed economica dei servizi indicati.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/03/2025
In riferimento alle novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2025 che riguardano il superamento dei limiti ordinamentali per il personale della scuola, la circolare del 31 gennaio prevedeva la permanenza in servizio di quei dipendenti che entro il 31/08/2025 avessero raggiunto la massima anzianità contributiva, 41 anni 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, compiendo almeno 65 anni entro tale data. Gli stessi, qualora avessero ritenuto di essere collocati in quiescenza dal 1° settembre 2025, avrebbero dovuto produrre istanza, in modalità cartacea, entro il 28 febbraio 2025, per il tramite dell’istituzione scolastica, all’Ufficio Scolastico territoriale competente. La circolare “de qua” prevedeva, altresì, che i provvedimenti di collocamento d’ufficio per limiti ordinamentali già disposti e notificati dai dirigenti scolastici al personale in base alla precedente normativa fossero da ritenersi ANNULLATI. La nota MIM prot. n. 45357 del 21 febbraio u.s. ha “ribaltato parzialmente” tale scenario. A differenza di quanto disposto nella circolare del 31 gennaio 2025, la nota del 21 febbraio prevede, per il personale della scuola e dirigenti scolastici per i quali l'INPS accerterà, il raggiungimento del requisito della massima anzianità contributiva (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne) e l'età di 65 anni (precedente limite ordinamentale), entro il 31 dicembre 2024, resteranno validi i provvedimenti di cessazione dal servizio con collocamento a riposo d'ufficio già adottati dall'Amministrazione. Alla luce di quanto sopra esposto i dipendenti che hanno raggiunto i requisiti "de quibus" entro il 31/12/2024 devono essere collocati d'ufficio per limiti ordinamentali, pertanto il decreto di collocamento d'ufficio dovrebbe essere ripristinato citando la nuova normativa. Cordiali saluti.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/03/2025
La lunga controversia in materia di ferie “non godute” è stata recentemente risolta in termini sfavorevoli per l’amministrazione dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 17/06/2024 n° 16715. Con tale decisione la Suprema Corte ha cassato la sentenza n.688/2022 con la quale la Corte di Appello di Milano aveva affermato la non spettanza dell’indennità per ferie non godute nei giorni di sospensione delle lezioni per tale intendendosi anche il periodo successivo al termine delle lezioni. Secondo la pronuncia della Cassazione (che, per la verità, riprende principi declinati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea) il docente a tempo determinato che non ha chiesto di fruire delle ferie durante il periodo di sospensione delle lezioni ha diritto all'indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo inutilmente invitato a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie e alla indennità sostitutiva, in quanto la normativa interna - e, soprattutto, l'art. 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012, come integrato dall'art. 1, comma 55, della legge n. 228 del 2012 - deve essere interpretata in senso conforme all'art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE, che, secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia, Grande Sezione (con sentenze del 6 novembre 2018 in cause riunite C-569/16 e C-570/16, e in cause C-619/16 e C-684/16), non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e dell'indennità sostitutiva, senza la previa verifica che il lavoratore, mediante una informazione adeguata, sia stato posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare effettivamente il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, il detto docente non può essere considerato automaticamente in ferie nel periodo fra il termine delle lezioni e il 30 giugno di ogni anno. Questo è pertanto il quadro normativo che l’amministrazione scolastica deve fronteggiare in sede contenziosa, peraltro estesa su tutto il territorio nazionale. Ancorché, l’esito delle singole controversie appaia, per lo più, ormai compromesso, si dubita che tale circostanza possa integrare i profili di colpa grave legittimanti un’azione di responsabilità per danno all’erario nei confronti dei dirigenti scolastici. Ciò in quanto, prima del riferito arresto interpretativo della Cassazione, il panorama giurisprudenziale era variegato e non mancavano sentenze di rigetto delle pretese dei docenti. Del resto, esistono -purtroppo- una molteplicità di contenziosi seriali destinati a certa soccombenza che non hanno prodotto conseguenze di tale natura (si pensi, alle note vicende della ricostruzione di carriera o della carta docente). Importante è comunque prendere buona nota del principio affermato dalla Corte: non esistono automatismi in materia, ergo la sospensione delle lezioni non consente di considerare in ferie i docenti. Va da sé che, laddove fosse documentalmente provato che i docenti fossero stati invitati a chiedere le ferie ai sensi della menzionata pronuncia -quindi anche con l’avvertenza di perdita del diritto, l’eventuale decisione sfavorevole potrebbe essere impugnabile in appello da parte dell’Avvocatura dello Stato. Sennonché, la valutazione dell’appello implica una valutazione delle circostanze del caso concreto e presuppone, pertanto, un’interpretazione non stereotipata dell’invito a godere delle ferie in termini di adeguatezza rispetto agli standard richiesti dal diritto unionale. Infine, l’esecuzione delle sentenze sfavorevoli comporterà il pagamento, ora per allora, dell’indennità sostitutiva non erogata, da parte dell’organo che avrebbe dovuto provvedervi al momento della maturazione del diritto. In questi termini non appare appropriato parlare di “rivalsa” da parte del Ministero. Quanto, invece, alle spese legali, esse gravano, com’è noto, esclusivamente sul capitolo di bilancio del Ministero e non delle singole scuole.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/03/2025
L'art. 33 Comma 3 della Legge n. 104/1992 Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un'unione civile ai sensi dell'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un'unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l'assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Pertanto, i permessi spettano anche se il figlio è maggiorenne. Per quanto concerne la fruizione l'art. 15 comma 6 del CCNL 2007 prevede che i permessi in questione devono essere possibilmente fruiti dai docenti in giornate non ricorrenti; la dicitura "possibilmente" sta a significare che non è un obbligo ferma restando la regola della programmazione mensile al netto di situazioni di urgenza. Dal momento che l'assistenza al familiare disabile può essere integrata anche da attività che non ineriscono alla mera assistenza materiale ( es. richiesta di certificati, disbrigo di pratiche etc) si ritiene che la docente possa prendere il permesso anche se il figlio al mattino è a scuola. In tal senso ricordiamo che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con l'interpello n. 30/2010, considerata la ratio della norma ispirata all'assistenza, all'integrazione sociale e alla tutela dei diritti delle persone disabili, ha stabilito che il diritto alla fruizione dei benefici in argomento da parte del dipendente che assiste il familiare disabile non può essere escluso a priori nei casi in cui lo stesso disabile svolga nel medesimo periodo attività lavorativa. Conseguentemente, l'Amministrazione non può negare a priori l'autorizzazione alla fruizione dei permessi richiesti da un dipendente per assistere un familiare disabile lavoratore nelle giornate in cui lo stesso è impegnato in attività lavorativa. La Funzione Pubblica, con il Parere prot. n. 44274 del 5/11/2012 reso al Complesso ospedaliero San Giovanni-Addolorata, ha fornito precisazioni in merito al riconoscimento dei benefici ex art. 33, comma 3, della L. n. 104 del 1992 a dipendente che assiste un congiunto lavoratore in situazione di disabilità grave, il quale fruisce dei permessi per se stesso; in particolare, si chiede se i giorni di permesso dei due soggetti interessati debbano essere fruiti nelle stesse giornate. Ad avviso della Funzione Pubblica, la normativa citata, accordando la possibilità al lavoratore che assiste una persona disabile in situazione di disabilità grave di beneficiare dei permessi per l'assistenza alla stessa, non preclude espressamente la fruizione del beneficio ove il disabile prenda i permessi per se stesso, né tantomeno indica le modalità di fruizione per il caso prospettato. Nel citato Parere n. 44274 il Dipartimento della Funzione Pubblica precisa quanto segue: “ la situazione ordinaria è che le giornate fruite come permesso coincidano, ma ciò non esclude che qualora il lavoratore che assiste il disabile abbia la necessità di assentarsi per svolgere attività, per conto del disabile, nelle quali non è necessaria la sua presenza, il primo possa usufruire dei permessi anche nelle giornate in cui la persona disabile si rechi regolarmente al lavoro”. Non solo, ma il Dipartimento della Funzione Pubblica precisa pure come, “considerando anche la varietà delle situazioni che di fatto possono presentarsi, si è dell'avviso che una limitazione dell'agevolazione da questo punto di vista difficilmente potrebbe giustificarsi in base alla legge”. Infine, nessuna documentazione è richiesta in quanto, in materia di permessi L. 104/1992, le attestazioni sono richieste solo in caso di familiare residente ad oltre 150 km dal dipendente che lo assiste ( cfr. art. 33 comma 3 bis L. 104/1992).
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/03/2025
Dovendo affidare il servizio triennale di noleggio di stampanti multifunzione a colori, il nostro Istituto, avendo quantificato l'importo....
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/03/2025
L'ipotesi di CCNI del 29-01-2025, concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per il triennio scolastico 2025/26, 2026/27, 2027/28 prevede la deroga al vincolo triennale di permanenza nella sede in favore dei figli di genitori ultrasessantacinquenni, ossia che compiano 65 anni anni di età fra il 1° gennaio e il 31 dicembre dell'anno in cui si presenta la domanda di mobilità. Sia in caso di nuovo matrimonio, sia in caso di convivenza come nel caso in oggetto, non si stabilisce alcun legame fra il "genitore acquisito" (detto anche "genitore sociale") e i figli del coniuge o del convivente. Il caso sarebbe diverso, qualora il genitore acquisito decidesse di adottare tali figli (adozione di maggiorenni). In tal caso, fra il genitore e i figli adottivi si crea un rapporto che la legge equipara a quello di filiazione, sia pure con alcune limitazioni (in particolare, in questi casi non si creano rapporti civili fra l'adottante e la famiglia dell'adottato, né fra l'adottato e i parenti dell'adottante). Si esprime, pertanto, il parere che la deroga di cui al CCNI suddetto valga solo in relazione ai genitori (padre o madre biologici o adottivi), ma non in relazione al coniuge o al convivente stabile del genitore.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/03/2025
Anche se l’interessato non ha mai presentato una domanda di ricostruzione della carriera la scuola, al momento del pensionamento dello stesso, la scuola dovrà emettere un decreto dal quale risulti la data di conferma in ruolo e la progressione giuridica ed economica della carriera sulla base dell’anzianità di ruolo. Se il docente è stato immesso in ruolo dall’anno scolastico 1997/1998 n poi Il decreto predetto dovrà essere emesso seguendo il seguente percorso: Fascicolo personale scuola > gestione giuridica > gestione della carriera > riconoscimento servizi personale immesso in ruolo dall’a.sc. 1997/98. Se il docente è stato immesso in ruolo prima dell’anno scolastico 1997/1998 l’emissione del decreto predetto non è di competenza della scuola.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/03/2025
Dovendo provvedere al rinnovo dell'assicurazione scolastica, questa istituzione scolastica ha la necessità di affidare...
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/03/2025
Gentile utente, il comma 10 dell'art. 8 dell'O.M. 88\2024 dispone che: "Conseguentemente alle determinazioni di cui al comma 9, l'eventuale servizio prestato dall'aspirante sulla base di dichiarazioni mendaci è, con apposito provvedimento emesso dal dirigente scolastico, dichiarato come prestato di fatto e non di diritto, con la conseguenza che lo stesso non è menzionato negli attestati di servizio richiesti dall'interessato e non è attribuito alcun punteggio, né è utile ai fini del riconoscimento dell'anzianità di servizio e della progressione di carriera, salva ogni eventuale sanzione di altra natura." In base a quanto sopra, nel caso sottoposto se l'errata valutazione degli anni di servizio non è dovuta ad una dichiarazione mendace da parte della candidata, ma ad un errore dell'ufficio territoriale che è responsabile delle GPS, il servizio prestato deve essere considerato sia di fatto che di diritto.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/03/2025
L’art. 15, comma 1, del CCNL 2007 (non modificato dal CCNL 2024) relativamente ai permessi retribuiti precisa: spettano 3 giorni per lutti per perdita del coniuge (cui è equiparata per legge la parte dell'unione civile), di parenti entro il secondo grado, di soggetto componente la famiglia anagrafica o convivente stabile e di affini di primo grado: spettano gg. 3 per evento, anche non continuativi. L'affinità è il vincolo che unisce un coniuge ed i parenti dell’altro coniuge. Sono affini, perciò, i cognati, il suocero e la nuora, ecc.. Per stabilire il grado di affinità si tiene conto del grado di parentela con cui l’affine è legato al coniuge; così suocera e nuore sono affini in primo grado; i cognati sono affini di secondo grado, ecc. Il codice civile al riguardo precisa: l'affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell'altro coniuge (art. 78). Pertanto, mentre il “suocero” (cioè il padre del coniuge) è un’affine di I grado e il permesso in caso di lutto è concesso, nel caso di genitore del convivente di fatto il permesso non può essere concesso perché non vi è rapporto di affinità in quanto quest’ultimo presuppone, per l’appunto, il rapporto di coniugio. Inoltre, nel caso di specie si ritiene che non si tratta neanche di componente la famiglia anagrafica. Infatti, l'art. 4 del DPR 223 del 1989 prevede agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. La persona deceduta non è né parente, né affine né fa parte della famiglia anagrafica in quanto, da quanto emerge dal quesito, non coabitava con il dipendente. Pertanto, a nostro avviso, al dipendente di cui al quesito non spetta il permesso per lutto previsto dal CCNL. Tale nostra interpretazione trova conferma anche nella circolare INPS n. 36 del 7 marzo 2022, relativa al al riconoscimento dei permessi, di cui alla Legge n. 104/1992 e del congedo straordinario, ai sensi dell’articolo 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151/2001, in favore dei parenti dell’altra parte dell’unione civile (Legge n. 76/2016). L'INPS ha precisato che il rapporto di affinità non è riconoscibile tra il “convivente di fatto” e i parenti dell’altro partner, non essendo la “convivenza di fatto” un istituto giuridico, ma una situazione di fatto tra due persone che decidono di formalizzare il loro legame affettivo stabile di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale. Pertanto, a differenza di quanto avviene per i coniugi e gli uniti civilmente, il “convivente di fatto” può usufruire dei permessi di cui alla Legge n. 104/1992 unicamente nel caso in cui presti assistenza al convivente e non nel caso in cui intenda rivolgere l’assistenza a un parente del convivente.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/03/2025
Nel caso di specie si presume che trattasi di dipendente a tempo pieno. Inoltre l'attività in questione non è di lavoro sportivo e quindi non si applica la relativa recente disciplina specifica. L’art. 53, primo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici (senza distinzione tra docenti e ATA) la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Più specificamente il comma 6 dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che la normativa in materia di incompatibilità disciplinata dal medesimo articolo si applica ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, oltre che dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero professionali. Per quanto concerne i profili dell'incompatibilità, ricordiamo che già la Circolare n. 3 del 19 febbraio 1997 del Dipartimento della Funzione Pubblica, aveva chiarito che le attività consentite sono un’eccezione rispetto al prevalente e generale principio di incompatibilità, con la conseguenza che il potere di autorizzazione delle amministrazioni deve essere esercitato secondo criteri oggettivi e idonei a verificare la compatibilità dell’attività extra istituzionale in base alla natura della stessa, alle modalità di svolgimento e all’impegno richiesto. Conseguentemente, le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando oltrepassano i limiti della saltuarietà e occasionalità. A chiusura dei lavori del tavolo tecnico, a cui hanno partecipato il Dipartimento della Funzione Pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013 in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, è stato formalmente approvato il documento contenente "Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti". Nel documento viene precisato che sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche della abitualità e professionalità nonché che si presentano in conflitto di interessi. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che comunque presentano le caratteristiche del conflitto di interessi. L'incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri dell'abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003). Sono vietati anche gli incarichi che, pur rientrando nelle ipotesi di deroga dall'autorizzazione di cui all'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, presentano una situazione di conflitto di interesse. In generale, tutti gli incarichi che presentano un conflitto di interesse per la natura o l'oggetto dell'incarico o che possono pregiudicare l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente. La valutazione operata dall'amministrazione circa la situazione di conflitto di interessi va svolta tenendo presente la qualifica, il ruolo professionale e/o la posizione professionale del dipendente, la sua posizione nell'ambito dell'amministrazione, la competenza della struttura di assegnazione e di quella gerarchicamente superiore, le funzioni attribuite o svolte in un tempo passato ragionevolmente congruo. La valutazione deve riguardare anche il conflitto di interesse potenziale, intendendosi per tale quello astrattamente configurato dall'art. 7 del d.P.R. n. 62/2013. Ricordiamo che l'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001, al comma 6, disciplina i seguenti incarichi per i quali non è richiesta la preventiva autorizzazione: a) collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali; c) partecipazione a convegni e seminari; d) incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; f) incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita; f-bis) attività di formazione diretta ai dipendenti della Pubblica Amministrazione, nonché di docenza e di ricerca scientifica. f-ter) le prestazioni di lavoro sportivo, fino all'importo complessivo di 5.000 euro annui, per le quali è sufficiente la comunicazione preventiva. Sono altresì incompatibili: - gli incarichi che si svolgono durante l'orario di ufficio o che possono far presumere un impegno o una disponibilità in ragione dell'incarico assunto anche durante l'orario di servizio, salvo che il dipendente fruisca di permessi, ferie o altri istituti di astensione dal rapporto di lavoro o di impiego; - gli incarichi che, aggiunti a quelli già conferiti o autorizzati, evidenziano il pericolo di compromissione dell'attività di servizio, anche in relazione ad un eventuale tetto massimo di incarichi conferibili o autorizzabili durante l'anno solare, se fissato dall'amministrazione. Ai fini della valutazione dell'incompatibilità di una attività extraistituzionale rilevano quindi le modalità di svolgimento di detta attività e non il superamento di un determinato compenso. Pertanto, il DS potrà chiedere maggiori informazioni sulle modalità di svolgimento della attività di segreteria che il dipendente dovrebbe svolgere in modo tale da avere effettiva contezza che trattasi di incarico occasionale, temporaneo e non continuativo cosicchè da poter autorizzare quanto richiesto. Trattandosi di dipendente a tempo pieno, se il lavoro di segreteria nel pomeriggio presso una associazione sportiva dilettantistica avesse carattere continuativo, sarebbe incompatibile e quindi la scuola non potrà autorizzare quanto richiesto.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/03/2025
Per quanto concerne le assenze per malattia del personale in part-time verticale, l'ARAN con l'orientamento applicativo Comparto Scuola del 27 febbraio 2013 SCU055, in merito a come debba essere effettuato il computo dei giorni di assenza per malattia, ha specificato che occorre andare a considerare se l’assenza sia giustificata da un unico certificato medico o da più certificati medici rilasciati solo per i giorni per i quali il dipendente in part-time è tenuto a svolgere la prestazione lavorativa, senza ricomprendere le giornate intermedie non lavorate; solo in quest’ultimo caso l’ARAN ritiene che essi vadano considerati separatamente, in quanto attestanti eventi morbosi distinti. Per completezza, va altresì osservato che in nostre risposte precedenti abbiamo sempre applicato il principio del riproporzionamento per le assenze per malattia (cioè di considerare solo i giorni di assenza coincidenti con le giornate di servizio del dipendente) anche a prescindere dal fatto che si fosse in presenza di certificati separati e distinti; a detta modalità di calcolo corrispondeva il riproporzionamento del periodo di comporto che conseguiva, per l’appunto, dal fatto di considerare malattia solo i giorni in cui il dipendente avrebbe servizio con l'Amministrazione indipendentemente dalla unicità o meno del certificato medico. Infatti, l'ARAN con il successivo Orientamento SCU_070 del 14 giugno 2013 ha così precisato: "Il periodo massimo di comporto relativo alle assenze per malattia deve essere rapportato al periodo lavorato presso l’Amministrazione in caso di regime di part-time verticale? ...Sulla base quindi dei principi desumibili dalla normativa di legge, dalla contrattazione collettiva e dalla giurisprudenza (vedi in particolare le sentenze di Cassazione Sez. lavoro, 30/12/2009 n. 27762 e 14 dicembre 1999 n. 14065 che hanno affermato il principio del riproporzionamento del periodo di comporto in caso di part time verticale) si ritiene che il trattamento del lavoratore a tempo parziale verticale debba necessariamente tenere conto della ridotta entità della prestazione lavorativa, relativamente sia ai trattamenti economici per malattia, sia alle assenze dovute a malattia, sia ai permessi retribuiti che al periodo massimo di conservazione del posto, tutti elementi che dovranno essere rideterminati tenendo conto di tale criterio". L'ARAN, con l'Orientamento Applicativo M_256 del 5 aprile 2016 (applicabile analogicamente anche al Comparto Scuola) ha precisato che in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione un principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, avrà ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto); il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto; i periodi di retribuzione intera e ridotta. Nel medesimo Orientamento viene altresì precisato che: "In proposito, si precisa che, ai fini della verifica dell’eventuale superamento del periodo di comporto, vengono presi in considerazione esclusivamente i giorni di malattia coincidenti con quelli in cui il dipendente avrebbe dovuto rendere la prestazione lavorativa. In relazione ai giorni festivi e non lavorativi, ricadenti in tale periodo, si ritiene applicabile la medesima presunzione di continuità, alla quale si ricorre per calcolare il periodo di comporto del personale con rapporto di lavoro a tempo pieno. Sussiste, infatti, un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale, in mancanza di una diversa previsione contrattuale, nel calcolo del periodo di assenza per malattia, devono essere computati anche i giorni festivi o non lavorativi, che ricadano all’interno di tale arco temporale (Cass. Civ., sez. lavoro, sentenza 10/11/2004, n. 21385, sentenza 18/10/2000, n. 13816; sentenza 14/12/1999, n. 14065)". L'ARAN, con Orientamento RAL del 05/06/2011, ha affermato che in conseguenza di tale riproporzionamento del periodo massimo di conservazione del posto, ai fini della verifica del suo eventuale superamento si computano solo i giorni di malattia del lavoratore coincidenti con quelli nei quali, in base all'articolazione dell'orario del rapporto di lavoro a tempo parziale, è tenuto a rendere la sua prestazione lavorativa. Pertanto, alla luce degli Orientamenti ARAN, in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione il principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, e con specifico riferimento a quanto richiesto nel quesito, ha ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: - il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto) che per i dipendenti della Scuola è disciplinato dall’art. 17 comma 1 del CCNL 2007 e dall'art. 35 del CCNL 2024 per il personale a t.d.); - il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto (o il diverso periodo stabilito per il personale a t.d); - i periodi di retribuzione intera e ridotta (cfr art. 17 comma 8 del CCNL 2007 e art. 35 CCNL 2024 per il personale a t.d.). Affermato il principio di riproporzionamento vediamo come procedere. In tal senso utili indicazioni le possiamo trovare nell'Orientamento Applicativo ARAN RAL353 del 4/6/2011 (che richiama l'OA RAL352). L'ARAN ha precisato che in caso di assenza per malattia di un dipendente in part-time verticale, l'ente deve procedere a riproporzionare il periodo massimo di conservazione del posto, il periodo di riferimento all'interno del quale sommare tutte le assenze per malattia effettuate dal lavoratore, e i periodi a retribuzione intera e ridotta previsti dal CCNL di riferimento. L'ARAN precisa quindi, ad esempio, che in caso di dipendente che in ogni settimana lavora 3 giorni su 5, detti riproporzionamenti andranno effettuati in ragione di 3/5; se il dipendente lavora 3 giorni su 6, detti riproporzionamenti andranno effettuati in ragione di 3/6. In conseguenza di tale riproporzionamento del periodo massimo di conservazione del posto ai fini della verifica del suo eventuale superamento si computano solo i giorni di malattia del lavoratore coincidenti con quelli nei quali, in base all'articolazione dell'orario del rapporto di lavoro a tempo parziale, è tenuto a rendere la sua prestazione lavorativa. Secondo detti Orientamenti si dovranno considerare solo i giorni di malattia corrispondenti a quelli in cui il lavoratore deve rendere la sua prestazione. Pertanto, si dovranno considerare solo i giorni di malattia corrispondenti ai giorni della settimana in cui il lavoratore deve rendere la sua prestazione. Tuttavia, nel caso in cui, nel giorno stabilito per la ripresa dell'attività lavorativa ( nel caso di specie il venerdì) , il lavoratore si assenti di nuovo per malattia, nel computo del periodo di comporto si dovrebbe tenere conto anche della domenica (o anche il sabato in presenza di orario di servizio strutturato su cinque giorni lavorativi) in virtù della presunzione di continuità della malattia costantemente affermata dalla giurisprudenza, anche al fine di evitare sia situazioni di disparità di trattamento con i lavoratori a tempo indeterminato sia comportamenti non corretti dei lavoratori a tempo parziale che, attraverso opportuni calcoli, potrebbero assentarsi per lunghi periodi di tempo. Tuttavia si deve evidenziare che la stessa giurisprudenza (Cass. Civ., sez.lav., 18.10.2000, n. 13816; Cass.Civ., sez.Lav., 14.12.1999, n.14065; App.Torino, 19.6.2000), anche con riferimento al periodo di comporto del dipendente con rapporto di lavoro a tempo pieno, ammette con uguale costanza che tale presunzione di continuità opera solo in mancanza di prova contraria che è onere del lavoratore stesso fornire. Pertanto, secondo gli Orientamenti prevalenti in materia, in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale trova applicazione un principio di riproporzionamento mediante il quale l’Amministrazione dovrà imputare a malattia le giornate di assenza del dipendente ricomprese nel certificato medico e coincidenti con i giorni in cui avrebbe dovuto prestare l’attività lavorativa. Inoltre, con riguardo al giorno di riposo settimanale (di norma, la domenica o anche il sabato in presenza di orario di servizio strutturato su cinque giorni lavorativi) è applicabile la medesima presunzione di continuità alla quale si ricorre per calcolare il periodo di comporto del personale con rapporto di lavoro a tempo pieno. Sul punto, infatti, sussiste un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale i giorni festivi, i giorni non lavorativi nonché il giorno di riposo settimanale ricadenti all’interno di tale arco temporale non vengono computati solo nel caso in cui vi sia una previsione contrattuale in tal senso (ex multis, Cass. Civ. sez. Lavoro sent. del 24/11/2016 n. 24027; Cass. sent. del 24/9/2014 n. 20106; Cass. sent. del 15/12/2008 n. 29317). Anche l'Orientamento CFC citato nel quesito prevede che in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione un principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia e fermo restando il triennio di riferimento entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto, avrà ad oggetto: a) il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto); b) periodi in cui compete la retribuzione intera o ridotta. L'ARAN ribadisce che, ai fini della verifica dell’eventuale superamento del periodo di comporto, vengono presi in considerazione esclusivamente i giorni di malattia coincidenti con quelli in cui il dipendente avrebbe dovuto rendere la prestazione lavorativa. In relazione ai giorni festivi e non lavorativi, ricadenti in tale periodo, è applicabile la medesima presunzione di continuità, alla quale si ricorre per calcolare il periodo di comporto del personale con rapporto di lavoro a tempo pieno. Sul punto sussiste anche un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale i giorni festivi e/o i giorni non lavorativi ricadenti all’interno dell’arco temporale cui si riferisce il certificato medico, salva l’ipotesi di diversa previsione contrattuale, vengono computati come assenze per malattia (ex multis, Cass. Civ. sez. Lavoro sent. del 24/11/2016 n. 24027; Cass. sent. del 24/9/2014 n. 20106; Cass. sent. del 15/12/2008 n. 29317). Conclusivamente, in merito al quesito posto, seppur si è in presenza di unico certificato medico, si ritiene che la scuola debba effettuare il calcolo comprendendo solo le giornate in cui il dipendente avrebbe avuto servizio (quindi dal lunedì al venerdì) ed anche la domenica in virtù della presunzione di continuità dell'assenza. Secondo gli Orientamenti dell'ARAN sopra riportati non va quindi calcolata la giornata del sabato (in cui non presta servizio visto il part time verticale).
KEYWORDS
Se sei abbonato a LexForSchool abbiamo trovato questi contenuti che ti potrebbero interessare:
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella COOKIE POLICY.
Gentile utente, se vede questo messaggio è possibile che ci sia un problema con l'account che sta utilizzando per accedere a Italiascuola.it.
Per verificare che il suo utente sia abilitato, selezioni l'icona del profilo in alto a destra. L'account sul quale cliccare presenterà l'icona "ITLS" sulla sinistra.
Se l'icona "ITLS" non è presente, significa che il suo utente non è abilitato. Se desidera abbonarsi oppure richiedere il nostro supporto, visiti la sezione "Abbonamenti e Contatti" presente sul sito. Grazie!