Data di pubblicazione: 02/09/2025
L'art. 15, comma 3, del CCNL 2007, non modificato dal CCNL 2024, prevede per il personale docente e Ata a tempo indeterminato un permesso retribuito di quindici giorni consecutivi in occasione del matrimonio, con decorrenza indicata dal dipendente medesimo, ma comunque fruibili da una settimana prima a due mesi successivi al matrimonio stesso. L'ARAN. con l'O.A. CFL97, seppur relativo ad altro comparto, ha precisato che la peculiare situazione determinata dall’emergenza epidemiologica da Covid-19 non può consentire la fruizione del congedo matrimoniale oltre il limite temporale previsto dal CCNL di riferimento. L'ARAN così precisa: "Ogni problematica relativa all'impossibilità di fruire del predetto permesso entro il limite contrattualmente stabilito per cause riconducibili alle particolari situazioni collegate allo stato di emergenza derivante dal Covid-19, pertanto, non dipende dall’interpretazione della richiamata norma contrattuale che, come ricordato, pur riconoscendo un più ampio margine di flessibilità nella fruizione della tutela ha tuttavia confermato la necessità di un termine finale per la fruizione stessa e non ha previsto che la materia possa costituire oggetto di diversa regolamentazione sulla base di una eventuale concorde volontà del datore e del dipendente. Anche nel caso di specie, quindi, nonostante ogni migliore considerazione, la scrivente Agenzia non può che uniformarsi alla sua costante interpretazione della normativa contrattuale in oggetto giusta la quale il rispetto dei limiti temporali ivi previsti non può essere derogato". Conclusivamente, in applicazione analogica dei chiarimenti dell’ARAN, stante la mancanza di previsioni specifiche previste nel CCNL ( che, ad esempio, prevede la sospensione delle ferie per malattia - cfr. art. 13 comma 13 CCNL 2007 o il rinvio all’A.S. successivo per giustificati motivi – cfr art. 13 comma 10 CCNL 2007), si ritiene che il congedo matrimoniale non possa essere interrotto/sospeso con conseguente diritto ad una fruizione differita in caso di assenza per maternità all'interno del periodo di fruizione previsto dal CCNL Pertanto, a nostro avviso, la dipendente non può essere autorizzata ora alla fruizione del congedo matrimoniale.
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Data di pubblicazione: 02/09/2025
Gentile utente, in base ai principi dell’autonomia scolastica e della flessibilità oraria può essere prevista una diversa articolazione delle unità di insegnamento, non necessariamente coincidente con l’unità oraria. Il Regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, DPR 275/99, nell’art. 4 comma 2, stabilisce, infatti, che “Nell'esercizio dell'autonomia didattica le istituzioni scolastiche regolano i tempi dell'insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni. A tal fine le istituzioni scolastiche possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune e tra l'altro: a) l'articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività; b) la definizione di unità di insegnamento non coincidenti con l'unità oraria della lezione e l'utilizzazione, nell'ambito del curricolo obbligatorio di cui all'articolo 8, degli spazi orari residui; […]” Ogni istituzione scolastica può decidere, quindi, autonomamente la riduzione della durata oraria dai canonici 60 minuti, sulla base delle esigenze e necessità che emergono nella scuola. Se, come nel caso illustrato, la riduzione della durata dell’ora di lezione è determinata da motivazioni esclusivamente didattiche, sussiste l’obbligo di recuperare le ore di lezione non svolte sia per i docenti, sia per gli studenti, come stabilisce l’art. 43, comma 7 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021, che ha abrogato, sostituendoli, sia l’art. 28 del CCNL comparto scuola 2007 che l’art. 28 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2016-2018: “Al di fuori dei casi previsti dal comma 8, qualunque riduzione della durata dell'unità oraria di lezione ne comporta il recupero prioritariamente in favore dei medesimi alunni nell’ambito delle attività didattiche programmate dall’istituzione scolastica. La relativa delibera è assunta dal collegio dei docenti”. Il Collegio dei Docenti, deve quindi programmare, in coerenza con le finalità che hanno determinato la modifica, le modalità del recupero delle ore di insegnamento sia per gli alunni (che hanno diritto al monte orario annuo di lezione per ciascuna disciplina previsto dal curricolo), sia per i docenti (i quali sono tenuti agli obblighi contrattuali). Relativamente al recupero su base plurisettimanale, la scelta è pienamente legittima, considerato che lo stesso Regolamento (DPR 275/99) all’art. 5 c.3 prevede che “L’orario complessivo del curricolo e quello destinato alle singole discipline e attività sono organizzati in modo flessibile, anche sulla base di una programmazione plurisettimanale, fermi restando l’articolazione delle lezioni in non meno di cinque giorni settimanali e il rispetto del monte ore annuale, pluriennale o di ciclo previsto per le singole discipline e attività obbligatorie”. Anche l’ipotesi di recupero da parte dei docenti in classi diverse da quelle assegnate è percorribile, attraverso il ricorso ad attività a classi aperte, gruppi diversi dai gruppi classe, ecc…, purché per ogni classe/gruppo/alunno sia tassativamente rispettato il monte orario annuo di lezione per ciascuna disciplina previsto dal curricolo.
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Data di pubblicazione: 02/09/2025
Un docente di scuola secondaria di primo grado, che prenderà servizio in anno di prova (graduatoria di merito regionale) dal 01/09/2025...
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Data di pubblicazione: 02/09/2025
Per quanto concerne la compatibilità con l'esercizio della professione forense, il Regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 che disciplinava originariamente l'Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore” prevedeva all'art. 3 che l'esercizio della professione di avvocato è incompatibile con l'esercizio della professione di notaio, con l'esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui, con la qualità di ministro di qualunque culto avente giurisdizione o cura di anime, di giornalista professionista, di direttore di banca, di mediatore, di agente di cambio, di sensale, di ricevitore del lotto, di appaltatore di un pubblico servizio o di una pubblica fornitura, di esattore di pubblici tributi o di incaricato di gestioni esattoriali. Il secondo comma dell'art. 3 citato prevedeva anche incompatibilità con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni, delle istituzioni pubbliche di beneficenza, della Banca d'Italia, della lista civile, del gran magistero degli ordini cavallereschi, del Senato, della Camera dei deputati ed in generale di qualsiasi altra Amministrazione o istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle Province e dei Comuni. Era infine incompatibile con ogni altro impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non avesse carattere scientifico o letterario. Ai sensi del quarto comma del citato articolo 3 erano eccettuati dalla disposizione del secondo comma: A. i professori e gli assistenti delle università e degli altri istituti superiori ed i professori degli istituti secondari dello Stato; B. gli avvocati ed i procuratori degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti di cui allo stesso secondo comma, per quanto concerne le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera. Essi sono iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo. Successivamente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22623 dell'8 novembre 2010, avevano esteso la possibilità di iscrizione all'albo degli avvocati anche ai docenti del primo grado di istruzione. È stato, infatti, affermato che, vista l'unitarietà della funzione docente e l'indipendenza nell'insegnamento, fosse possibile ampliare il novero delle professioni escluse da quelle incompatibili con l'esercizio dell'avvocatura inserendo tra quelle pienamente compatibili l'insegnamento nelle scuole elementari. Pertanto, alla luce della sentenza delle Sezioni Unite, potevano esercitare la professione forense sia i professori degli istituti secondari sia i docenti del primo grado di istruzione, i quali, pur essendo dipendenti statali, non subiscono alcuna limitazione ai fini dell'esercizio della professione forense, non essendo neanche richiesta la trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro part-time. Vediamo però come è mutata la normativa alla luce della Legge n. 247 del 2012. La "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense" di cui alla Legge 247/2012, "conferma l'operatività delle disposizioni che sanciscono l'incompatibilità tra impiego pubblico e professione forense". L'articolo 18 lettera d), infatti, prevede espressamente l'incompatibilità della professione di avvocato anche "con qualsiasi attività di lavoro subordinata anche se con orario di lavoro limitato". Il successivo articolo 19 prevede che in deroga a quanto stabilito nell'articolo 18, l'esercizio della professione di avvocato é compatibile con l'insegnamento o la ricerca in materie giuridiche nell'università, nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate e nelle istituzioni ed enti di ricerca e sperimentazione pubblici. Quindi alla luce della nuova previsione la libera professione di avvocato è ora possibile solo per i docenti di scuola secondaria (e con ciò vengono travolti i principi affermati dalla Cassazione n. 22623 dell'8 novembre 2010) e che insegnano materie giuridiche. In materia si sono pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione con la Sentenza n. 21949 del 28 ottobre 2015. E' stato affermato che nel nuovo ordinamento professionale forense di cui alla legge n. 247 del 2012, ferma l'incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato "con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato" (art. 18, comma 1, lett. d) - l'art. 19, al comma 1, fa salva un'eccezione con riguardo all'"insegnamento o alla ricerca in materie giuridiche nell'università, nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate e nelle istituzioni ed enti di ricerca e sperimentazione pubblici". Ai fini dell'operatività dell'eccezione alla regola generale dell'incompatibilità con qualunque attività di lavoro subordinato, anche part-time, la nuova legge da quindi rilievo non solo al luogo nel quale l'insegnamento o la ricerca si svolge (nelle università, nelle scuole secondarie e nelle istituzioni ed enti di ricerca e sperimentazione), ma - e ciò costituisce una novità rispetto alla normativa precedente - anche all'ambito disciplinare dell'insegnamento o della ricerca, il quale, per espressa previsione, è esclusivamente quello delle "materie giuridiche". L'univoco tenore letterale dell'art. 19 non ne consente una lettura estensiva tale da ricomprendere nell'ambito dell'eccezione, in nome dell'unitarietà della funzione docente, anche i docenti della scuola primaria, che insegnanti in materie giuridiche non sono. Pertanto, in forza degli art. 18 e 19 Legge n. 247 del 2012, entrata in vigore il 2 febbraio 2013, la professione di avvocato è incompatibile con l'attività di docente della scuola elementare statale. Tuttavia, l'articolo 19 non si applica agli avvocati già iscritti agli albi alla data di entrata in vigore della legge n. 247/2012 ( 2 febbraio 2013), per i quali restano ferme le disposizioni dell'articolo 3, quarto comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 sopra riportato. Pertanto, se il docente di cui al quesito era già iscritto all'albo degli avvocati prima dell'entrata in vigore della legge n. 247, potrà continuare ad esercitare detta libera professione anche se non non insegna materie giuridiche. Ad ogni modo il DS può negare l'autorizzazione con riferimento alle cause in cui sia parte l'Amministrazione (Cass. Sent. 18/10/2018 n. 26016). Nel caso di specie è stato ritenuto legittimo il provvedimento con cui il dirigente scolastico vincoli la concessione dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività libero-professionale per l'anno scolastico oggetto della richiesta al divieto di patrocinare cause a favore o contro l'amministrazione di appartenenza. Da ultimo la Corte di Cassazione, con l’Ordinanza 08/05/2025 n° 12204, ha affermato che l’autorizzazione eventualmente rilasciata ad un docente per l'esercizio dell'attività forense ha comunque in sé il limite implicito del divieto di esercizio in conflitto potenziale o concreto di interessi, nel senso che è in ogni caso non consentita la cura il patrocinio, anche sul piano consulenziale, di vertenze promosse o da promuoversi contro l'Amministrazione di appartenenza, sicché la violazione di tale divieto costituisce inadempimento e possibile illecito disciplinare.
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Data di pubblicazione: 02/09/2025
Un dipendente ATA a tempo indeterminato, dopo i primi tre mesi di servizio, chiede aspettativa non retribuita per svolgere l'incarico di docente a...
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Data di pubblicazione: 02/09/2025
Preliminarmente si rileva che se l’aspettativa richiesta era quella prevista dall’art. 18 co. 3 del CCNL 2007 questa non poteva essere prorogata non potendo andare oltre l'Anno Scolastico di riferimento. Infatti, l'ARAN, con l'Orientamento Applicativo SCU_100 del 1° agosto 2016, ha ribadito in merito all'aspettativa di cui all’art. 18, comma 3, del CCNL 2007 per svolgimento di altra attività lavorativa che: - è senza retribuzione; - l’anno scolastico risulta essere il periodo massimo di durata; - può essere richiesta anche per un più breve periodo ma comunque esaurirà i suoi effetti alla fine dell’anno scolastico; - una volta fruita, anche se per un periodo inferiore all’anno scolastico, la stessa non potrà essere prorogata. Il dipendente, a nostro avviso, potrebbe chiedere l'aspettativa prevista dall'art. 23-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 il quale prevede che "in deroga all'articolo 60 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli appartenenti alle carriere diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato sono collocati, salvo motivato diniego dell'amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. Resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti. Il periodo di aspettativa comporta il mantenimento della qualifica posseduta. È sempre ammessa la ricongiunzione dei periodi contributivi a domanda dell'interessato, ai sensi della legge 7 febbraio 1979, n. 29, presso una qualsiasi delle forme assicurative nelle quali abbia maturato gli anni di contribuzione. Quando l'incarico è espletato presso organismi operanti in sede internazionale, la ricongiunzione dei periodi contributivi è a carico dell'interessato, salvo che l'ordinamento dell'amministrazione di destinazione non disponga altrimenti". Il riferimento allo svolgimento di "attività" presso "soggetti pubblici" è generico e, in mancanza di indicazioni contrarie da parte delle Amministrazioni competente, si può applicare anche al caso di un docente che vuole svolgere docente presso una Istituzione AFAM. Si ricorda, altresì, che il Dipartimento della Funzione Pubblica, con il Parere n. 7147 del 3 febbraio 2021, pubblicato in data 8 marzo 2021, ha fornito chiarimenti in merito al fatto se - alla luce delle previsioni dell’art. 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 - sia possibile concedere al pubblico dipendente l’aspettativa per lo svolgimento di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato presso altra Pubblica Amministrazione o organizzazione privata. La Funzione Pubblica, dopo aver ricordato che è vigente nel nostro ordinamento il divieto di cumulo di impieghi pubblici posto dall’art. 65 del DPR n. 3 del 1957, ritiene che - in ragione della sua specialità - l’aspettativa di cui all’art. 23-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 possa trovare applicazione esclusivamente in termini di residualità rispetto ad altri istituti previsti da norme di rango legislativo che disciplinano con maggior dettaglio fattispecie in cui il dipendente pubblico può prestare servizio per un’amministrazione diversa da quella nei cui ruoli è inquadrato e, comunque, subordinatamente alla previa valutazione dell’esigenze organizzative e in funzione del perseguimento di obiettivi di crescita professionale del dipendente interessato. Più specificamente, ad avviso del Dipartimento, l’aspettativa di cui all’art. 23-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 per espressa previsione del legislatore costituisce una deroga del principio dell’esclusività del lavoro alle dipendenze dell’amministrazione. In assenza di previsioni espresse sul rapporto con il divieto generale di cumulo degli impieghi, la Funzione Pubblica è del parere che tale aspettativa non sia utilizzabile nell’ipotesi di instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato con altra amministrazione conseguente al positivo esperimento di procedure a carattere selettivo. È opportuno che le amministrazioni che si debbano esprimere sulla richiesta di aspettativa di cui all’art. 23-bis del D.Lgs. n. 165 adottino criteri generali per assicurare la regolare prosecuzione delle attività istituzionali e scongiurare la sussistenza di potenziali conflitti di interesse. La ratio sottesa alla norma, ossia quella di favorire lo sviluppo di esperienze lavorative più articolate da parte dei dipendenti pubblici, dovrebbe riferirsi a situazioni e contesti contigui ma non identici, in modo tale da generare esperienze professionali diverse non altrimenti conseguibili nell’organizzazione di provenienza. La previsione normativa, che pone a carico del soggetto presso cui è svolta la diversa esperienza lavorativa gli oneri relativi al trattamento previdenziale, è sintomatica dell’applicabilità dell’istituto in situazioni non coperte da discipline già tipizzate che consentono il lavoro presso altre amministrazioni. In conclusione, come evidenziato in nostre precedenti risposte, anche se l'aspettativa ne esce molto ridimensionata per quanto concerne il campo di applicazione, si ritiene che comunque possa essere utilizzata nella fattispecie di cui al quesito (docenza al Conservatorio). Per quanto concerne la durata il comma 4 dell'art. 23-bis si limita a prevedere che "nel caso di svolgimento di attività presso soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche (ma nel caso di specie il Conservatorio è amministrazione pubblica), il periodo di collocamento in aspettativa di cui al comma 1 non può superare i cinque anni, è rinnovabile per una sola volta e non è computabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza"; quindi la durata non deve coincidere con l'anno scolastico o comunque concludersi nello stesso AS come per l'art. 18, c. 3 e del CCNL 2007. Per l' aspettativa per incarichi presso soggetti pubblici non c'è un limite massimo e può essere concessa, quindi, anche a scavalco di due anni scolastici. In merito al rinvio dell’anno di prova l’art. 2, c. 3 del D.M. n. 226/2022 stabilisce espressamente che: “Il percorso di formazione e periodo annuale di prova in servizio è rinviabile nei casi di fruizione di assegno di ricerca o di frequenza di dottorato di ricerca, sino al primo anno scolastico utile dopo la fine dell’impegno, oltre che in tutti gli altri casi previsti dalla normativa vigente.” La disciplina del periodo di prova del personale docente è attualmente contenuta nei cc. 116-120 dell’art. 1 della legge n. 107/2015 e, per quanto compatibili con essi, negli artt. 437-440 del D.Lgs. n. 297/1994 nonché, infine, nel citato D.M. n. 226/2022. Dal complesso di queste disposizioni, si evince chiaramente che si accede alla valutazione del comitato di valutazione solo se si realizzano i presupposti dei 180 giorni di servizio effettivo di cui almeno 120 di attività didattica. In questo senso risultano chiari sia il c. 116 della legge n. 107/2015, sia l’art. 3 del D.M. n. 226/2022 che subordinano il superamento del periodo di prova al compimento di detti presupposti, sia infine l’art. 438, c. 5, D.Lgs. n. 297/1994 secondo cui: “Qualora nell'anno scolastico non siano stati prestati 180 giorni di effettivo servizio, la prova è prorogata di un anno scolastico, con provvedimento motivato, dall'organo competente per la conferma in ruolo.” A differenza della ripetizione del periodo di prova, “non rinnovabile” e pertanto possibile solo una volta in caso di esito sfavorevole del primo periodo di prova (cfr. art. 439 D.Lgs. n. 297/1994; c. 119 legge n. 107/2015 e art. 14, c. 4, D.M. n. 226/2022), la proroga di cui parla l’art. 438, c. 5, D.Lgs. n. 297/1994 non incontra tale limite. Ciò significa, in buona sostanza, che non vi è un numero predeterminato di proroghe del periodo di prova di cui il personale docente può fruire. Fino a quando non raggiunge 180 giorni di servizio effettivo, di cui almeno 120 di attività didattiche non accede alla valutazione del comitato e ha diritto alla proroga. Ovviamente, tuttavia, come affermato da Cassazione, sez. lav., n. 40406/2021, fa eccezione il superamento del periodo di comporto che impone di sottoporre il personale docente a visita medico-collegiale per accertare la idoneità al servizio, cui può conseguire la risoluzione del rapporto di lavoro ex art. 8 D.P.R. n. 171/2011.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Sul tema della formazione il CCNL del comparto “Istruzione e ricerca” 2019-2021 sottoscritto il 18 gennaio 2024 chiarisce con l’articolo 36, comma 5, che “i corsi di formazione organizzati dall'amministrazione a livello centrale o periferico o dalle istituzioni scolastiche avvengono, di norma, durante l’orario di servizio e in ogni caso fuori dell'orario di insegnamento. Il personale che vi partecipa è considerato in servizio a tutti gli effetti. Qualora i corsi si svolgano fuori sede, la partecipazione ad essi comporta il rimborso delle spese di viaggio.” Il comma 6, poi, disciplina la partecipazione da parte del personale a iniziative di aggiornamento organizzate dall'amministrazione o svolte dall'Università o da enti accreditati previa autorizzazione del dirigente scolastico che deve valutarle in relazione alle esigenze di funzionamento del servizio, nel limite delle ore necessarie alla realizzazione del processo formativo, come prioritariamente serventi allo sviluppo e all’arricchimento della professionalità. In quest'ultimo caso il numero di ore può essere aumentato secondo le esigenze, tenendo conto anche del tempo necessario per raggiungere la sede dell’attività di formazione. Da tali disposizioni si evince che in caso di iniziative formative o di aggiornamento che il dipendente decide di frequentare in autonomia senza previa autorizzazione del datore di lavoro, esse non vanno in alcun modo considerate attività in servizio né danno diritto a forme di recupero compensativo. Il caso oggetto del quesito riguarda una formazione di natura non obbligatoria finalizzata allo sviluppo delle competenze digitali e al sostegno dei processi di transizione tecnologica del sistema scolastico nell’ambito del PNRR, Missione 4 – Istruzione e ricerca. Componente 1 –Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle Università. Investimento 2.1 “Didattica digitale integrata e formazione sulla transizione digitale del personale scolastico”. Essa è disciplinata dal D.M. 12 luglio 2024, n. 140, che individua per il triennio 2024/25, 2025/26 e 2026/27 i criteri di riparto del Fondo per le posizioni economiche del personale A.T.A. nel quale confluiscono, nei loro valori annuali, le risorse finanziarie previste dall’articolo 79 del C.C.N.L. 2024. L’attribuzione di dette posizioni avviene mediante procedure selettive alle quali possono partecipare, come riportato nell’articolo 8 del citato decreto, i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato inquadrati nell’Area dei Collaboratori, nell’Area degli Operatori o nell’Area degli Assistenti che, all’avvio dell’anno scolastico in cui è indetta la selezione, abbiano maturato nell’area un’anzianità di servizio di almeno cinque anni. Essendo in possesso di tali requisiti, il personale interessato può produrre istanza ai sensi del successivo articolo 9. Al termine del corso di formazione – delineato dall’articolo 11 – i partecipanti, se garantiscono una frequenza non inferiore ai tre quarti della sua durata, sostengono una prova finale di valutazione (articolo 12) all’esito della quale vengono formate le graduatorie per ciascun profilo professionale in ogni provincia. La risposta ai quesiti sarebbe fornita proprio dal citato articolo 11 che al comma 1 afferma che “la frequenza dei corsi di formazione è considerata servizio a tutti gli effetti” mentre al comma 5 puntualizza che “il personale che sia assente dal servizio per giustificato motivo può partecipare, a richiesta, all’attività formativa.” Ne discende che il personale interessato a tale attività possa chiedere il riconoscimento formale della formazione solo se svolta durante l’effettivo servizio, acquisendo “de plano” l’autorizzazione del dirigente e maturando, così, il diritto al recupero compensativo delle ore. Diversamente, se detto personale risulta assente giustificato o in ferie, tali ore non danno diritto ad alcun recupero. Si tratterebbe, infatti, di un’attività di formazione che il personale effettua solo come “richiesta”, decidendo di frequentare in autonomia senza previa autorizzazione del datore di lavoro e restando assente dal servizio pur se per motivi legittimi. Il comma 7 del medesimo articolo, inoltre, dispone che “La mancata partecipazione al corso di formazione o la frequenza inferiore ai tre quarti della durata del corso ovvero il mancato svolgimento delle attività proposte comporta l’esclusione dalla prova finale e la decadenza dalla procedura.”. Quindi, poiché i corsi sono strutturati in attività asincrone in modalità e-learning consistenti in videolezioni fruibili autonomamente sulla piattaforma Futura, quest’ultima dovrebbe restituire il percorso effettuato dai partecipanti proprio perché c’è una frequenza minima da garantire. Verosimilmente la piattaforma riporta l’indicazione delle date in cui le attività sono state svolte. È onere dei dipendenti fornire tale attestazione al datore di lavoro nel momento in cui chiedono il recupero compensativo delle ore di corso. Qualora non lo facciano, risulta del tutto legittimo, oltre che doveroso, che il dirigente scolastico chieda la documentazione probante gli accessi alla piattaforma.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
L'U.S.R. per la Sicilia, con la Nota operativa n. 20548 del 26 agosto 2020, ha fornito utili indicazioni in merito alla presa di servizio dei docenti neo immessi in ruoli ed alle relative questioni di incompatibilità e richiesta di aspettativa (si possono applicare le indicazioni anche ai casi di nomina di supplenti). In aderenza anche alla deliberazione n. 47/2015 della Sezione Controllo Regione Piemonte della Corte dei Conti, è stato ricordato che il momento della verifica di compatibilità ai sensi dell'articolo 60 d.p.r. n. 3/57 e dell'articolo 508 del decreto legislativo n. 297/94 è quello dell'assunzione, cioè della stipula del contratto di lavoro. Quando si sottoscrive il contratto con l'Istituzione scolastica si deve dunque essere liberi da precedenti rapporti di lavoro situazione, questa, che, tra l'altro, viene richiesta al docente di attestare in una dichiarazione ad hoc da sottoscrivere al momento della presa di servizio. È, infatti, con l'acquisizione dello status di pubblico dipendente, e dunque con la sottoscrizione del contratto, che sorge il vincolo di esclusività a tutela del buon andamento dell'Amministrazione (art. 98 Cost.). In tale momento non devono sussistere situazioni ostative la sottoscrizione del contratto di assunzione e, fra queste, l'esistenza di precedenti rapporti di impiego, siano essi di natura pubblica o privata. Alla luce di tale precisazione, ad avviso dell'USR, non potranno e non dovranno essere accolte eventuali richieste di differimento della presa di servizio finalizzate alla prosecuzione di altra attività lavorativa. Né tantomeno, in base agli stessi principi, potranno essere accolte richieste di aspettativa o di differimento della presa di servizio che trovino la propria giustificazione nella sussistenza di un precedente rapporto di impiego. Con particolare riguardo all'istituto del differimento della presa di servizio - tale essendo quello che, in presenza di un giustificato motivo (ad es. di natura medica), impedisce la decadenza dalla nomina in ruolo con conseguente traslazione degli effetti economici derivanti dalla compiuta costituzione del rapporto di lavoro - la sua operatività va limitata ai casi tassativamente individuati dal legislatore (artt. 436 e 560, d.lgs. 297/1994). Si precisa che la valutazione di un idoneo e giustificato motivo per il differimento della presa di servizio è di competenza del dirigente scolastico. Infatti diversamente opinando, tale istituto diverrebbe strumento per aggirare il regime delle incompatibilità . La Corte dei Conti sez. regionale di controllo per il Piemonte del 27 febbraio 2015 ha affermato che "Il diritto a fruire dell'aspettativa in oggetto (ndr aspettativa ex art. 18 co. 3 CCNL 2007), come di tutti gli altri istituti contrattuali, sorge con la sottoscrizione del contratto e la formale assunzione come docente [...]. Realizzare l'esperienza di una diversa attività lavorativa, infatti, significa attuare una conoscenza diretta di un diverso lavoro: se tale conoscenza già sussiste, non si realizza il presupposto normativo che fonda il diritto all'aspettativa". La Corte dei Conti sez. regionale di controllo per il Piemonte del 18/01/2016, con la delibera n. 3/2016 ha ricusato il visto e la conseguente registrazione del provvedimento di un dirigente scolastico avente ad oggetto la concessione, a favore di una docente di scuola primaria, dell'aspettativa ex art. 18 CCNL per svolgere attività di docente di scuola materna presso una società cooperativa. Sulla scorta del predetto ragionamento non è legittimo l'accoglimento da parte del D.S. di richieste di differimento della presa di servizio finalizzate alla prosecuzione di altra attività lavorativa. Allo stesso non possono essere accolte richieste di aspettativa che trovino la propria giustificazione nella sussistenza di un precedente rapporto di impiego (Cfr. altresì USR Piemonte Circolare 22/8/2022, n. 12340; delibera Corte dei Conti Piemonte n. 47/2015). Questa precisazione è importante perché si ricollega all'applicazione di un istituto contrattuale che, per come è concepito, è suscettibile di interferire con il regime delle incompatibilità di legge. Si tratta dell'aspettativa per motivi di lavoro in cui, per un anno scolastico e senza assegni, può essere collocato, a domanda, il dipendente che voglia realizzare l'esperienza di una diversa attività lavorativa o per superare un periodo di prova (art. 18, comma 3, CCNL comparto scuola del 16/11/2007). La Corte dei Conti, sez. regionale di controllo per il Piemonte del 18/1/2016, delibera n. 3/2016, ha ricusato il visto e la conseguente registrazione del provvedimento di un dirigente scolastico avente ad oggetto la concessione, a favore di una docente di scuola primaria, dell'aspettativa ex art. 18 CCNL per svolgere attività di docente di scuola materna presso una società cooperativa. Infatti, l'aspettativa in parola presuppone, ai fini della sua valida concessione, l'esercizio di un'attività lavorativa nuova, ontologicamente difforme da quella svolta in via principale. L'aspettativa per motivi di lavoro può essere concessa, dunque, solo nell'ambito di un rapporto di impiego già validamente costituito. Diversamente opinando, l'istituto diverrebbe strumento per aggirare il regime delle incompatibilità di legge con conseguente invalidità del successivo contratto di assunzione (Corte dei Conti, sez. reg. di controllo per il Piemonte, delib. n. 149 del 14 settembre 2017). La Cassazione, con la Sentenza 01/03/2022 n° 6743, ha affermato che il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 436, al pari delle analoghe disposizioni dettate dal D.P.R. n. 3 del 1957, e dal D.P.R. n. 487 del 1994, rimette alla Pubblica Amministrazione il potere di valutare la sussistenza o meno del giustificato motivo e non riconosce, quindi, un diritto incondizionato al differimento della presa di servizio perché il termine è imposto a tutela di interessi pubblici, che possono divenire recessivi rispetto a quelli dell'assunto solo qualora quest'ultimo faccia valere ragioni gravi ed obiettive che impediscano la condotta doverosa. Infatti, si deve essere in presenza di un impedimento, seppure non assoluto, connotato da gravità, mentre non rileva il motivo personale che renda il differimento solo più conveniente, atteso che in tal caso nella necessaria comparazione fra l'interesse del singolo e quelli generali garantiti dall'imposizione del termine, il primo non può essere prevalente. Nel caso di specie è stata confermata la sentenza della Corte di Appello che aveva ritenuto che il richiesto differimento di un anno dell'assunzione in servizio di una docente non potesse essere giustificato dalla necessità di concedere il periodo di preavviso al datore di lavoro privato con il quale la medesima intratteneva un rapporto a tempo indeterminato. Inoltre, a fronte del diniego opposto dal dirigente scolastico, la docente avrebbe dovuto comunque assumere servizio per scongiurare la pronuncia di decadenza e che l'eventuale illegittimità del rigetto dell'istanza avrebbe al più potuto legittimare un'azione risarcitoria. Con la successiva Sentenza 01/08/2022 n° 23885 la Cassazione ha ribadito che l’art. 436 del d.lgs. n. 297 del 1994, nel prevedere la decadenza dalla nomina per colui che, pur avendola accettata, non assume servizio senza giustificato motivo entro il termine stabilito, rimette alla pubblica amministrazione il potere di valutare la sussistenza o meno del giustificato motivo e non attribuisce, quindi, un diritto incondizionato al differimento della presa di servizio, atteso che il termine in questione è imposto a tutela di interessi pubblici, che possono divenire recessivi rispetto a quelli dell’assunto solo qualora quest’ultimo faccia valere ragioni gravi ed obiettive che impediscano la condotta doverosa. In altre parole, deve ricorrere un impedimento, seppure non assoluto, connotato da gravità, mentre non rileva il motivo personale che renda il differimento solo più conveniente, atteso che, in questo caso, nella necessaria comparazione fra l’interesse del singolo e quelli generali garantiti dall’imposizione del termine, il primo non può essere prevalente. Nel caso di specie la Cassazione ha ritenuto legittimo il provvedimento di decadenza dall’impiego emanato nei confronti del ricorrente che, dopo aver vinto un concorso per il personale docente nell’ambito del piano straordinario di assunzioni 2015/2016, aveva chiesto un differimento della presa di servizio per poter eseguire un contratto di ricerca universitaria. La normativa relativa al piano straordinario di assunzioni aveva previsto la possibilità di differire la presa in servizio per i titolari di contratti di supplenza diversi da quelli per supplenze brevi e saltuarie, al fine di assicurare la continuità didattica. Una prima autorizzazione al differimento era stata già concessa con riferimento a un assegno di ricerca in quanto il contratto era stato stipulato prima dell’invito ad assumere l’incarico. Nel caso in oggetto, invece, il differimento autorizzato era scaduto e la Corte ha ritenuto prevalente l’esigenza della PA di salvaguardare la priorità della scuola coprendo i posti vacanti sulle esigenze del privato. La Nota USR Campania n. 33274 del 1° settembre 2022 così afferma: "Dalla norma richiamata discende chiaramente l’incompatibilità tra pubblico impiego e altra attività lavorativa già in atto, incompatibilità che non deve sussistere al momento della stipula del contratto, e che non può essere sanata con la concessione dell’aspettativa per diversa esperienza lavorativa. Tale diritto all’aspettativa si matura solo con la sottoscrizione senza cause ostative del contratto di lavoro con l’amministrazione scolastica". Nella suddetta Nota, è stato inoltre così precisato: "Il divieto di cumulo di impegni da parte dei dipendenti della P.A. di cui all’art. 53 del D.lgs. 165/200 (e successive modifiche ed integrazioni) non riguarda i dottorandi, in quanto il dottorato di ricerca è un corso di studio universitario, come lo sono i corsi di laurea, master, corsi di perfezionamento. Pertanto, le SS.LL. dopo aver acquisito la comunicazione di accettazione della nomina in ruolo, provvederanno ad emettere il provvedimento di differimento della assunzione in ruolo, per la durata del corso di dottorato, reiterandolo per ogni anno scolastico e fino al completamento del corso stesso. La C.M. n. 15 del 22/02/2011 estende le disposizioni relative ai dottorandi ai beneficiari di borse post-dottorato ed agli assegnisti universitari". Tuttavia, nel caso di specie si è in presenza non di un dottorato ma di un contratto di lavoro per ricerca universitaria. Conclusivamente, nel caso di specie, a nostro avviso, se il docente è titolare di un contratto di ricerca presso una Fondazione straniera (quindi ente privato), non è nelle condizioni di poter accettare la nomina stante la situazione di incompatibilità né, come sopra precisato, può chiedere l’aspettativa per differire la presa di servizio stante la suddetta situazione. Ciò al netto di eventuali indicazioni diverse da parte dell'USR competente.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Dirigo un istituto che comprende anche percorsi di istruzione per gli adulti di 1 e 2 livello. A proposito dei crediti formali da riconoscere agli studenti...
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Dal punto di vista meramente formale, la posizione illustrata nel quesito potrebbe, in linea di principio, essere ritenuta corretta. Peraltro, si osserva che il comma 4 dello stesso articolo 7 richiamato nel quesito utilizza la formulazione "trimestre" o "quadrimestre", facendo pensare che l'intendimento del legislatore fosse quello di prevedere una divisione in tre periodi (trimestre) o in due periodi (quadrimestre). Certo è che il successivo quadro normativo sull'autonomia scolastica fornisce a ciascuna istituzione ampi margini di discrezionalità organizzativa e didattica, ampliando altresì le competenze del dirigente scolastico. E' però necessaria una riflessione che possa andare oltre la interpretazione letterale della norma. La suddivisione dell'anno scolastico in diversi periodi ha ricadute sia didattiche che organizzative e si riflette sulle attività dei consigli di classe, sia per la progettazione didattica che per la valutazione degli apprendimenti. E' quindi diritto/dovere del dirigente scolastico non solo fornire linee di indirizzo, ma anche garantire una gestione unitaria e una armonica "coesistenza" tra i diversi organi collegiali, rispettando le competenze di ognuno , ma ricordando sempre che il Collegio dei docenti è un organo tecnico-didattico ed elabora il PTOF. Non si ritiene quindi consigliabile rischiare una potenziale contrapposizione tra i due organi collegiali e tra di essi e le legittime competenze di gestione del dirigente. Si ritiene necessario, pertanto, approfondire la discussione in Collegio, in modo che la posizione (legittima) del dirigente, quella del Consiglio e quella del Collegio possano trovare una sintesi il più possibile condivisa; imporre al Collegio una decisione "sgradita", con riferimenti normativi non proprio "lineari" potrebbe avere conseguenze negative sul clima organizzativo e sull'efficacia dell'offerta formativa.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Gentile utente, la materia è tuttora disciplinata dall’art. 39 del CCNL comparto scuola 2007, non novellato dal CCNL 19-21. Come afferma il comma 13 del suddetto articolo “per la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale e viceversa si applicano, nei limiti previsti dal presente articolo, le disposizioni contenute nell’O.M. n.446/97, emanata in applicazione delle norme del CCNL 4 agosto 1995 e delle leggi n.662/96 e n. 140/97, con le integrazioni di cui all’O.M. n.55/98”. Ai sensi dell’art. 2, comma 2.2 dell’Ordinanza Ministeriale 13 febbraio 1998, n. 55, la domanda di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere presentata entro il 15 marzo di ogni anno scolastico. Tale disposizione si applica per il personale docente a tempo indeterminato. In caso di accettazione dell’istanza, il contratto di variazione del rapporto di lavoro avrà decorrenza dal 1° settembre successivo, a prescindere dalla sede di servizio. Si tenga conto che il comma 1 dell’articolo 39 sopracitato dispone quanto segue: “l'Amministrazione scolastica costituisce rapporti di lavoro a tempo parziale sia all'atto dell'assunzione sia mediante trasformazione di rapporti a tempo pieno su richiesta dei dipendenti interessati, nei limiti massimi del 25% della dotazione organica complessiva di personale a tempo pieno di ciascuna classe di concorso a cattedre o posti o di ciascun ruolo e, comunque, entro i limiti di spesa massima annua previsti per la dotazione organica medesima”. Relativamente al personale docente, l’articolo 39, comma 4, del CCNL Comparto Istruzione e Ricerca 19-21 prevede, inoltre, che “l'assunzione a tempo determinato e a tempo indeterminato può avvenire con rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale. In quest'ultimo caso, il contratto individuale di cui al comma 2 indica anche l'articolazione dell'orario di lavoro”. In sintesi, i docenti a tempo indeterminato possono richiedere il part-time entro il 15 marzo di ogni anno scolastico con decorrenza, in caso di approvazione della domanda, dal 1° settembre successivo. I docenti neo-assunti e i docenti a tempo determinato hanno facoltà di produrre richiesta di part-time in sede di presa di servizio e di contestuale stipula del contratto. In tutti i casi, l’accoglimento delle domande è subordinato al rispetto dei limiti di cui al comma 1 dell’articolo 39 CCNL 2007. Nel caso in esame, la docente a tempo indeterminato, trasferita presso una nuova istituzione scolastica dal 1° settembre 2025, non può presentare istanza di part-time. Potrà produrla entro il 15 marzo 2026 con decorrenza, qualora fosse accolta, dal 1° settembre 2026. Precisiamo che questo parere è stato formulato basandosi esclusivamente sulle informazioni fornite nel quesito. Per quanto non indicato, si rimanda alla normativa vigente e alla nostra banca dati.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Innanzitutto va precisato che l’assegnazione dei docenti ai “posti” – comuni, nel caso della scuola dell’infanzia o di potenziamento – è di competenza del dirigente scolastico come portato del fatto che l’assegnazione dei docenti alle classi è un atto datoriale. Un simile atto deve essere formato sì in osservanza dei criteri stabiliti dal consiglio di istituto e delle proposte formulate dal collegio dei docenti (cfr. art. 10, c. 4 e art. 7, c. 2, lettera b), D.Lgs. n. 297/1994), come da ultimo ribadito dalla sentenza della Cassazione 15/6/2020, n. 11548, ma da essi il dirigente può motivatamente discostarsi. Inoltre, “i criteri riguardanti le assegnazioni alle sedi di servizio all’interno dell’istituzione scolastica del personale docente, educativo ed ATA” costituiscono materia di confronto con la parte sindacale ex art. 30, c. 9, lettera b2) del CCNL di comparto 2019-2021. Nessun ruolo in materia riveste il contratto integrativo di istituto che della questione non deve occuparsi, dal momento che l’assegnazione dei docenti alle classi è espressione di un potere datoriale che deve esercitarsi alla luce dei criteri del consiglio di istituto e delle proposte del collegio dei docenti e previo confronto con la parte sindacale nei termini anzidetti. Alla luce di quanto precede, dunque, il dirigente ha margine per assegnare tutti i neoassunti a un posto comune, individuando per il posto di potenziamento altro docente in servizio, pur nel rispetto dei criteri e delle proposte formulati dagli organi collegiali. Infatti, se la scuola dell’infanzia è articolata in sezioni omogenee, nessuna continuità deve essere garantita agli alunni delle sezioni dei tre anni e questo apre ampio margine per la assegnazione di tutti e tre i docenti alle sezioni. Se invece la scuola dell’infanzia è articolata in sezioni eterogenee, il dirigente potrebbe avere più difficoltà a garantire l’assegnazione di tutti e tre i neoassunti alle sezioni a causa dell’esigenza di garantire la continuità agli alunni di 4 e 5 anni. Solo in questa ipotesi residuale, dunque, può risultare giustificata l’assegnazione del docente neoassunto al posto di potenziamento: infatti, l’attività di potenziamento è del tutto fungibile rispetto all’attività di insegnamento, nel quadro dell’art. 43, cc. 11 e ss. CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 ma è indubbio, tuttavia, che la valutazione del neoassunto implichi una osservazione delle sue competenze didattiche e metodologiche che solo un contatto assiduo con gli alunni può portare alla luce. In altri termini, non rileva tanto il disposto dell’art. 438, c. 3 del D.Lgs. n. 297/1994 (“Durante il periodo di prova il personale deve essere impiegato sulla cattedra, sul posto o nell'ufficio per il quale la nomina è stata conseguita. […]”), quanto il fatto che l’assegnazione a un posto di potenziamento potrebbe limitare l’osservazione di dette competenze. In questo senso è indicativo quanto riportato nell’art. 4 del D.M. n. 226/2022, là dove dispone: “1. Il percorso di formazione e periodo di prova annuale in servizio è finalizzato specificamente a verificare la padronanza degli standard professionali con riferimento ai seguenti ambiti, propri della professione docente: a. possesso ed esercizio delle competenze culturali, disciplinari, informatiche, linguistiche, pedagogico - didattiche e metodologiche, con riferimento ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza e agli obiettivi di apprendimento previsti dagli ordinamenti vigenti; b. possesso ed esercizio delle competenze relazionali, organizzative e gestionali; possesso ed esercizio delle competenze di orientamento e di ricerca, documentazione e valutazione; d. osservanza dei doveri connessi con lo status di dipendente pubblico e inerenti la funzione docente; e. partecipazione alle attività formative e raggiungimento degli obiettivi dalle stesse previsti. 2. Il percorso di formazione e il periodo annuale di prova in servizio è altresì finalizzato ad accertare e verificare, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 13, comma 1, del Decreto Legislativo, la traduzione in competenze didattiche pratiche delle conoscenze teoriche, disciplinari e metodologiche del docente, particolarmente negli ambiti di cui al comma 1, lettere a), b) e c) a tal fine significativi. 3. Ai fini della verifica di cui al comma 1, lettere a) e c), il dirigente scolastico garantisce la disponibilità per il docente in periodo di prova del piano triennale dell'offerta formativa, del rapporto di autovalutazione (RAV) e della documentazione tecnico-didattica relativa alle classi, ai corsi e agli insegnamenti di sua pertinenza, sulla cui base il docente in periodo di prova redige la propria programmazione annuale, in cui specifica, condividendoli con il tutor, gli esiti di apprendimento attesi, le metodologie didattiche, le strategie inclusive e di sviluppo dei talenti gli strumenti e i criteri di valutazione, che costituiscono complessivamente gli obiettivi dell'azione didattica, la cui valutazione è parte integrante della procedura di cui agli articoli 13 e 14. 4. La programmazione è correlata ai traguardi di competenza, ai profili culturali, educativi e professionali, ai risultati di apprendimento e agli obiettivi specifici di apprendimento previsti dagli ordinamenti vigenti e al piano dell'offerta formativa. 4. Ai fini della verifica di cui al comma 1, lettera b), sono valutate la capacità collaborativa nei contesti didattici, progettuali, collegiali, l’abilità di affrontare situazioni relazionali complesse e dinamiche interculturali, nonché la partecipazione attiva e il sostegno ai piani di miglioramento dell'istituzione scolastica. […]” Appare dunque evidente che la rilevazione delle competenze suindicate richieda, nel caso di assegnazione del neoassunto a un posto di potenziamento, una oculata e attenta valutazione da parte del dirigente scolastico circa le attività di ampliamento dell’offerta formativa da affidargli in coerenza con il PTOF. Come ovvio, l’individuazione di esse passa attraverso la delibera del collegio dei docenti (art. 43, c. 11 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021) ma spetta al dirigente scolastico indirizzare l’organo collegiale. A tal fine può risultare utile: - limitare le attività di potenziamento a un numero esiguo di sezioni, in modo da far emergere con maggiore continuità le competenze metodologiche e didattiche del docente in questione e così da porlo in condizione di articolare una programmazione più compiuta e distesa delle attività a lui affidate, in collaborazione e compresenza con il personale assegnato alla sezione; - affidargli di preferenza attività che necessitano di una programmazione mirata per gruppi di alunni in modo da consentire, per l’appunto, una articolazione per gruppi per il tempo in cui vi è la presenza in sezione del docente di potenziamento (si pensi alle attività di pregrafismo che riguardano gli alunni di 5 anni o attività di sostegno e supporto ad alunni con BES o con disabilità). Impiegare detto docente in tal modo consente non solo di lavorare per gruppi di livello ma anche di far emergere le competenze organizzative e gestionali, oltreché didattiche e metodologiche, del docente stesso, chiamato autonomamente a organizzare e gestire un gruppo di alunni. Occorre tenere presente che l’assegnazione delle attività di potenziamento può far emergere con più forza, in positivo, “quella capacità collaborativa nei contesti didattici, progettuali, collegiali” di cui parla l’art. 4 citato. Infatti, dovendo necessariamente svolgere dette attività in compresenza con i docenti di sezione, l’insegnante neoassunto in questione dovrà programmare i propri interventi e la propria attività con colleghi di sezioni diverse e modulare la propria attività didattica su contesti differenziati. Dunque, l’applicazione del D.M. n. 226/2022 al docente eventualmente assegnato su posto di potenziamento dovrà tenere conto di tali elementi di attenzione.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Gentile abbonato, in primo luogo si ritiene necessaria una premessa: nell’ambito della normativa vigente la qualifica di vicario non è più esistente. Si tratta di una terminologia utilizzata ancora nelle istituzioni scolastiche per ragioni di prassi e di consuetudine, come quella del “vicepreside”. La norma prevede, invece, la presenza di collaboratori dei quali il dirigente scolastico può avvalersi nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e gestionali. Dette figure, a mente dell’articolo 88, comma 2, lettera f) del CCNL comparto scuola 2007, non dovrebbero essere di numero superiore alle due unità. Tale limite è stato successivamente superato sia dall’articolo 25, comma 5 del D.lgs. n. 165/2001 che dall’articolo 1, comma 83 della Legge n. 107/2015. Infatti, la prima disposizione prevede che il dirigente possa avvalersi di docenti da lui individuati – senza che siano posti limiti al loro numero – ai quali delegare specifici compiti; la seconda, poi, consente al dirigente scolastico di “individuare nell'ambito dell'organico dell'autonomia fino al 10 per cento di docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico dell'istituzione scolastica.” Pertanto, acclarato che il dirigente è comunque legittimato a delegare quanti docenti ritiene opportuno per garantire le piene funzionalità ed efficienza del servizio, nell’ambito delle canoniche figure comunemente definite “primo” e “secondo” collaboratore, può avvalersi di due docenti di fiducia senza definirli gerarchicamente. Tuttavia, è opportuno che egli fornisca precise disposizioni in merito allo svolgimento delle funzioni organizzative e gestionali delegate dato che il compito principale dei collaboratori è garantire la continuità delle attività ordinarie e straordinarie dell’istituzione scolastica sostituendo il dirigente in caso di sua assenza o impedimento. Occorre, dunque, evitare eventuali sovrapposizioni o ambiguità poiché anche al cosiddetto “secondo” collaboratore vengono delegate funzioni dirigenziali in assenza del dirigente e in assenza dell’altrettanto cosiddetto “primo” collaboratore. Il dirigente scolastico deve sempre agire in ossequio al principio di buon andamento di cui all’articolo 97 della Costituzione e assicurare la continuità dell’azione amministrativa organizzando opportunamente gli uffici qualora egli sia assente per ragioni legittime o impegnato in altre attività di sua competenza o impossibilitato a svolgerle. In sintesi, deve impedire l’interruzione dell’erogazione dei servizi. L’atto datoriale di gestione del personale da utilizzare nel caso in oggetto è la delega, declinabile come sia come “delega di funzioni” che come “delega di firma”. La prima consiste nel trasferimento di alcune competenze dirigenziali tramite attribuzione dal dirigente/delegante al dipendente/delegato. Per ben comprendere cosa comporti la delega di funzioni risulta utile la lettura di quanto affermato nella sentenza n. 47822/2019 dalla Corte di Cassazione: “La delega comporta il subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante a condizione che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento fermo restando, comunque, l'obbligo di vigilanza sul corretto esercizio della delega." La delega di firma, invece, non modifica il regime di responsabilità in capo al dirigente scolastico che, con tale atto datoriale, conferisce a un suo collaboratore esclusivamente la possibilità di sottoscrivere materialmente atti. Pertanto, egli mantiene il suo potere di firma in qualsiasi momento e il delegato non ha responsabilità su contenuto ed effetti dell’atto. L’articolo 17, comma 1 del citato D.lgs.n, 165/2001 intesta al dirigente le seguenti funzioni: a) formula proposte ed esprime pareri ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali; b) cura l'attuazione dei progetti e delle gestioni a lui assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adotta i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercita i poteri di spesa e d acquisizione delle entrate; c) svolge tutti gli altri compiti a lui delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali; d) dirige, coordina e controlla l'attività degli uffici che da lui dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia; e) provvede alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici. Il comma 1-bis del medesimo articolo puntualizza che, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, ai dirigenti è data la possibilità di delegare – per un periodo di tempo determinato e con atto scritto e motivato – “alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati.” Si sottolinea, poi, che anche l’articolo 44, comma 3 del decreto interministeriale n. 129/2018 dispone che il dirigente scolastico può delegare lo svolgimento di singole attività negoziali al D.S.G.A. o a uno dei propri collaboratori individuati in base alla normativa vigente. Non è invece delegabile lo svolgimento di attività di competenza del dirigente scolastico sulle quali la norma pone espliciti limiti. Ad esempio, l’articolo 17 del D.lgs. n. 81/2008 definisce non delegabili la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del DVR di cui all’articolo 28 e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi. Identico status di non delegabilità rivestono la titolarità delle relazioni sindacali, la rappresentanza legale dell’istituzione scolastica e l’esercizio della responsabilità disciplinare nei confronti del personale docente e ATA. Non si dispone di un elenco puntuale delle funzioni delegabili poiché dovrebbe essere necessariamente calibrato sulle specifiche caratteristiche degli uffici di ciascuna istituzione scolastica. Tuttavia, a titolo esemplificativo e non esaustivo, a parere di chi scrive è possibile delegare funzioni ordinarie connesse alla gestione del rapporto di lavoro del personale scolastico e alla gestione delle risorse finanziarie, purché ciò sia espressamente riportato nell’atto di delega. Con particolare riferimento ai mandati di pagamento, è necessario che il docente delegato depositi la firma in banca per poterli firmare ma, lo si evidenzia ancora una volta, solo in caso di assenza o impedimento del dirigente scolastico. In tale scenario, è indispensabile che il dirigente effettui uno scrupoloso controllo di gestione. Infatti, l’istituto della delega, se riguardante funzioni derivate da disposizioni legislative o regolamentari, non lo esonera da responsabilità. In sostanza, in caso di illeciti commessi dal delegato, se il delegante non riuscisse a provare di avere vigilato con la dovuta attenzione sul suo operato potrebbe risponderne per “culpa in vigilando” ed, eventualmente, anche per “culpa in eligendo”.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
L'inserimento di alunni provenienti dall'estero che hanno già superato il periodo dell'obbligo di istruzione è regolamentato dall'articolo 192 del testo unico (d.Lgs 297/94) che al comma 3 testualmente recita: .....3. Subordinatamente al requisito dell'età, che non può essere inferiore a quella di chi abbia seguito normalmente gli studi negli istituti e scuole statali del territorio nazionale a partire dai dieci anni, il consiglio di classe può consentire l'iscrizione di giovani provenienti dall'estero, i quali provino, anche mediante l'eventuale esperimento nelle materie e prove indicate dallo stesso consiglio di classe, sulla base dei titoli di studio conseguiti in scuole estere aventi riconoscimento legale, di possedere adeguata preparazione sull'intero programma prescritto per l'idoneità alla classe cui aspirano... In sostanza, il consiglio di classe verificherà il possesso di adeguate competenze relative all'indirizzo e alla classe richiesti. L'idoneità alla classe quinta non è quindi automatica, ma andrà attentamente verificata, anche, e per alcuni aspetti soprattutto, in relazione alle possibilità di affrontare i contenuti disciplinari con limitate competenze in lingua italiana. A tal proposito, la scuola potrà organizzare attività di inserimento ed accompagnamento, eventualmente utilizzando docenti di Italiano L2.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Nonostante le disposizioni di cui alla Legge 107/2015 e le indicazioni delle successive note ministeriali (cfr nota 2852/2016) attribuiscano al dirigente scolastico ampi margini di flessibilità nella gestione integrata dell’organico dell’autonomia, non si può fare a meno di sottolineare due elementi che possono indurre a ritenere la soluzione prospettata, seppur organizzativamente possibile, per certi versi inopportuna e, per un aspetto, di dubbia legittimità. In primo luogo, si osserva che i posti di potenziamento sul sostegno vengono attribuiti per implementare meglio il sistema di inclusione dell’istituzione scolastica nel suo complesso e degli alunni della secondaria di primo grado in particolare. Non dovrebbero essere certo sei ore in meno a condizionare la realizzazione del piano di inclusione, ma la scelta di sottrarre anche in minima parte una risorsa deve essere attentamente vagliata tenendo conto delle effettive necessità degli alunni BES frequentanti. Si esprimono, altresì, forti dubbi sulla possibilità di utilizzare una docente titolare su altra classe di concorso per un insegnamento per il quale, pur essendo dotata di titolo di studio coerente, non è in possesso di abilitazione specifica. L’utilizzazione su altra classe di concorso per un docente non abilitato ma dotato di idoneo titolo di studio è senza dubbio consentita in caso di carenza di risorse professionale disponibile, ma non pare questo il caso. Le considerazioni precedente sviluppate rendono quindi sconsigliabile la soluzione prospettata nel quesito.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Il dirigente scolastico dovrà procedere alla surroga nominando il primo dei non eletti inserito nella stessa lista del consigliere decaduto. Ciò in applicazione di quanto disposto dall’art. 35 del D. Lgs. 297/1994, che di seguito si riporta. "Per la sostituzione dei membri elettivi degli organi collegiali a durata pluriennale, di cui al presente titolo, venuti a cessare per qualsiasi causa, o che abbiano perso i requisiti di eleggibilità, si procede alla nomina di coloro che, in possesso dei detti requisiti, risultino i primi fra i non eletti delle rispettive liste. In caso di esaurimento delle liste si procede ad elezioni suppletive.”
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Come indicato ormai da alcuni anni nella nota di accompagnamento alla definizione delle dotazioni organiche del personale docente (per il prossimo anno scolastico vedi nota prot. 93862 del 17 aprile 2025), le attività di potenziamento introdotte dalla L. 107/2015, finalizzate al raggiungimento di obiettivi formativi individuati come prioritari, sono da ritenersi comuni a tutti gli alunni e quindi, analogamente a quanto avviene per quelle curriculari, devono restare estranee alle attività alternative all’insegnamento della Religione cattolica. Quindi, i docenti che vengono utilizzati su cattedre “miste” (in parte in classe, in parte per attività di potenziamento) non possono svolgere le attività alternative alla religione cattolica se non in orario aggiuntivo con specifica contrattualizzazione e retribuzione
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Ai sensi dell’art.10, comma 10 del CCNL scuola 2006/2009, che è attualmente vigente per effetto dell’art.1, comma 10 del CCNL 2016-2018 e l’art.1, comma 16 del CCNL 2019-2021, il docente che ottiene un’assegnazione provvisoria in un grado di Istruzione superiore a quello di titolarità, ha diritto a percepire il maggior trattamento economico. A tal proposito, l’art.10, comma 10 del CCNL scuola 2006/2009, specifica: “Ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo n. 165/2001, il personale docente utilizzato, a domanda o d’ufficio, ivi compresa l’assegnazione provvisoria, in altro tipo di cattedra o posto, ha diritto all’eventuale trattamento economico superiore, rispetto a quello di titolarità, previsto per detto tipo di cattedra o posto. La maggiore retribuzione è corrisposta per il periodo di utilizzazione, in misura corrispondente a quella cui l’interessato avrebbe avuto titolo se avesse ottenuto il passaggio alla cattedra o posto di utilizzazione. In caso di utilizzazione parziale, la corresponsione avrà luogo in rapporto proporzionale con l’orario settimanale d’obbligo”. Occorre a questo punto precisare che nei casi di passaggio dal ruolo dei docenti nell’ambito delle scuole di istruzione secondaria (Docente diplomato scuola secondaria a docente scuola secondaria 1° grado o 2° grado, docente scuola secondaria 1°grado a docente scuola secondaria 2° grado) si applica l’art. 487 del decreto legislativo 16/4/1994 n. 297 che testualmente prevede: “in caso di passaggio, anche a seguito di concorso, del personale direttivo e docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica da un ruolo inferiore ad uno superiore il servizio prestato nel ruolo inferiore viene valutato per intero nel nuovo ruolo” Premesso quanto sopra, il docente ha quindi diritto alla conservazione dell’anzianità maturata nel ruolo dei docenti diplomati scuola superiore (KA06 con fascia 9-14) e, conseguentemente, a percepire, limitatamente all’anno scolastico di assegnazione provvisoria, lo stipendio - nella medesima classe di anzianità del ruolo di titolarità - dei docenti laureati di scuola superiore (KA07). Stipendio che, nello specifico, è pari ad euro 25.995,81 per la fascia di anzianità 9-14.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Una assistente amministrativa chiede con documentata motivazione la possibilità di poter svolgere lavoro da remoto per un mese intero...
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Come chiaramente specificato nell’articolo 8, comma 4 del D.M. 17 ottobre 2018, “[…] Al fine del conseguimento dell’idoneità all'insegnamento della lingua inglese, la prova orale per la scuola primaria valuta l’abilità di comprensione scritta (lettura) e produzione orale (parlato) in lingua inglese almeno al livello B2 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue e la relativa competenza didattica. La griglia nazionale di valutazione di cui all'art. 9, comma 2 definisce i criteri di valutazione delle suddette abilità linguistiche e della competenza didattica.” Che l’idoneità conseguita in seno a detto concorso costituisca requisito di accesso all’insegnamento dell’inglese nella scuola primaria lo conferma l’articolo 13, comma 17 dell’O.M. n. 112/2022 e, in particolare la lettera f) di detta disposizione, secondo cui: “Le supplenze conferite da graduatorie di istituto da disporsi sui posti di scuola primaria i cui titolari provvedono all’insegnamento della lingua inglese, sono conferite, secondo l’ordine di posizione occupato nella relativa graduatoria scolastica: [… ] f) agli aspiranti inclusi nelle graduatorie per la scuola primaria del concorso straordinario indetto con D.D.G. n. 1546 del 7 novembre 2018 che abbiano conseguito la relativa idoneità ai sensi dell’articolo 8, comma 4, secondo e terzo periodo, del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 17 ottobre 2018.” Dunque, a meno che la docente in questione non sia in possesso di almeno uno dei titoli specificati nelle lettere da a) ad e) dell’articolo 13, comma 17 citato, non può erogare l’insegnamento della lingua inglese nella scuola primaria. Si ricorda che i titoli elencati nelle lettere specificate all’interno di quella disposizione dell’O.M. n. 112/2022 sono i seguenti: - a) inclusione nella graduatoria di merito nei concorsi per esami e titoli per l’accesso all’insegnamento nella scuola primaria e superamento della prova facoltativa di accertamento della conoscenza della lingua inglese; - b) superamento della medesima prova nelle sessioni riservate di esami per il conseguimento dell’idoneità all’insegnamento nella scuola primaria; - c) conseguimento della laurea in Scienze della formazione primaria, in relazione agli esami di lingua straniera previsti nel piano di studi; - d) inclusione nella relativa graduatoria di scuola primaria in possesso dei titoli di cui ai punti B.2 e B.6 delle tabelle A/1 e A/2 (rispettivamente: conseguimento del diploma di laurea, laurea specialistica o laurea magistrale costituente titolo di accesso alle classi di concorso A-24 e A-25 per la lingua inglese e conseguimento della laurea triennale nelle classi di laurea L-11 e L-12, purché il piano di studi abbia ricompreso 24 crediti nei settori scientifico disciplinari L-LIN 01 ovvero L-LIN 02 e 36 crediti nei settori scientifico disciplinari L-LIN 11 ovvero L-LIN 12); - e) inclusione nelle graduatorie dei concorsi ordinari per titoli ed esami per la scuola primaria banditi nel 2012 e nel 2016; inclusione nelle graduatorie del concorso ordinario per titoli ed esami per la scuola primaria bandito con DD n. 498 del 2020 con raggiungimento della soglia di idoneità all’insegnamento della lingua inglese.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Durante l'aspettativa per motivi di famiglia (cfr. art. 18 co. 1 del CCNL 2007) il dipendente non può svolgere attività incompatibile stante il generale principio (cfr da ultimo Cassazione - Sez. Lavoro - Ord. 9 marzo 2020, n. 6637) ai sensi del quale l'autorizzazione allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita è necessaria anche ove il dipendente si trovi in regime di aspettativa, in quanto il regime di aspettativa non esclude la persistenza del rapporto di lavoro pubblico, nè l'applicazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 53. Infatti, l'aspettativa non fa cessare il rapporto di lavoro e la norma di cui al citato art. 53 non contiene una distinzione a seconda dello stato del rapporto stesso, mentre l'appartenere comunque ancora del dipendente ad una pubblica amministrazione, non fa cessare i rischi di conflitto di interessi o di possibile utilizzazione di entrature cui la norma, insieme ad altri interessi, è preposta a prevenire. I suddetti principi possono essere applicati analogicamente anche al dipendente in congedo per dottorato. Pertanto, il docente se vuole svolgere un'attività extraistituzionale - anche se si trova in dottorato - dovrà fare apposita richiesta di autorizzazione al DS che ne dovrà valutare la compatibilità in via generale con lo status di dipendente pubblico (quindi incarico autorizzabile se occasionale, temporaneo e non in conflitto di interessi - cfr. Linee Guida Funzione Pubblica del 2013 sulle incompatibilità). Ciò premesso, è del tutto evidente che la richiesta di autorizzazione per lo svolgimento di una supplenza per insegnamento part time a tempo determinato presso l'Università estera dove sta svolgendo il dottorato (che quindi presuppone una attività continuativa formalizzata con un relativo contratto) non solo esula dal concetto di attività sporadiche e occasionali ma entra in contraddizione con il congedo che era stata richiesto per l'appunto per frequentare un dottorato. Pertanto, a nostro avviso, ci sono i presupposti per non autorizzare quanto richiesto. Diverso sarebbe il caso se si trattasse di un contratto di insegnamento per pochi giorni.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Gli adempimenti dell’istituto, che ha avuto la intitolazione, sono i seguenti. 1) Comunicazioni istituzionali. a) Comunicazione della intitolazione a: Comune, Regione, Ufficio Scolastico Territoriale, MIM (tramite SIDI). 2) Aggiornamenti amministrativi. a) Aggiornare il nuovo nome al codice meccanografico nel SIDI b) Aggiornare denominazione su: carta intestata, timbri, PEC e firme digitali, registro elettronico, Portale NoiPA, Portale PagoInRete, Siti e Piattaforme ministeriali (INVALSI; PNRR ecc) 3) Comunicazioni individuali a) Informare personale scolastico e genitori b) Inviare comunicazioni a enti terzi (banche, assicurazione, fornitori, ecc) 4) Comunicazione generale a) Aggiornare sito WEB con nuova denominazione b) Modificare intestazione mail, social e documentazione interna
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Gentile utente, la circolare annuale sulle supplenze del personale della scuola n. 157048/2025 valida per l’anno scolastico 2025/2026 nelle disposizioni comuni al personale docente ed ata prevede che: “La stipula del contratto, analogamente a quanto avviene per le assunzioni a tempo indeterminato, opportunamente perfezionata dal dirigente scolastico attraverso le funzioni del sistema informativo, rende immediatamente fruibili gli istituti di aspettativa e congedo previsti dal CCNL. È inoltre, estesa al personale a tempo determinato la possibilità di differire la presa di servizio per i casi contemplati dalla normativa (a titolo esemplificativo, maternità, malattia, infortunio).” Nel caso sottoposto se l’assistente ammnistrativa ha accettato la nomina per l’anno scolastico 2025/2026 ma non ha potuto perfezionare il contratto a causa dei problemi di salute, rientra nella situazione prevista dalla nota ministeriale sul differimento della presa di servizio fino al momento in cui potrà rientrare dalla malattia e perfezionare il contratto. In mancanza della formale assunzione e del perfezionamento del contratto, la scuola non può procedere alla sostituzione con supplenza breve.
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Una novità importante per il personale ATA dal nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale del comparto Istruzione e Ricerca Periodo 2019-2021 del 18 Gennaio 2024, è stata introdotta dall’art. 70; tale articolo abroga l’art. 59, e prevede che il personale di ruolo possa accettare supplenze su posto intero al 30 giugno o 31 agosto per area superiore o anche stessa area per diverso profilo professionale o come docente. L’art. 70 del citato CCNL 2019-21 dispone: 1. Il personale ATA in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato può accettare, nell’ambito del settore scuola, contratti a tempo determinato, su posto intero di Area superiore o – a parità di Area – di diverso profilo professionale o relativo alle categorie di cui all’art. 33, comma 2 (Categorie professionali), di durata non inferiore al 30 giugno o ad un anno scolastico (31 agosto), mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni scolastici, la titolarità della sede. 2. L’accettazione dell’incarico comporta l’applicazione della relativa disciplina prevista dal presente CCNL per il personale assunto a tempo determinato, ivi inclusa quella relativa alle ferie. 3. L’accettazione di un incarico comporta in ogni caso la richiesta di un periodo di aspettativa non retribuita non inferiore alla durata dell’incarico per come stabilita nell’atto di conferimento dello stesso. 4. Il presente articolo abroga l’art. 59 del CCNL 29/11/2007. Nella dichiarazione congiunta n. 6 viene specificato che “il periodo complessivo di tre anni scolastici ivi indicato ricomincia a decorrere in caso di nuova assegnazione di sede di titolarità “. Le categorie professionali del personale docente, declinate dal contratto al richiamato articolo 33, sono le seguenti: a) i docenti della scuola dell’infanzia; b) i docenti della scuola primaria; c) i docenti della scuola secondaria di 1° grado; d) gli insegnanti tecnico-pratici e i docenti della scuola secondaria di 2° grado; e) il personale educativo dei convitti e degli educandati femminili Per quanto sopra esposto, il personale ex DSGA, facente parte comunque della categoria professionale del “personale amministrativo, tecnico e ausiliario statale degli istituti e scuole dell’infanzia, di istruzione primaria e secondaria, delle istituzioni educative e degli istituti e scuole speciali statali”, ha il pieno diritto a poter accettare incarichi nel profilo di docente purché siano interi e di durata non inferiore al 30 giugno o ad un anno scolastico (31 agosto).
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Data di pubblicazione: 01/09/2025
Gentile utente, premesso che la riduzione dell’orario di servizio del personale ATA non è oggetto di contrattazione integrativa d’istituto ma di informazione e confronto ai sensi dell’art. 30, comma 9, lettera b1 CCNL 19-21, la materia è tuttora disciplinata dall’art. 55 del CCNL comparto scuola 2007, non novellato dal CCNL 19-21. Il suddetto articolo dispone quanto segue: “1. Il personale destinatario della riduzione d’orario a 35 ore settimanali è quello adibito a regimi di orario articolati su più turni o coinvolto in sistemi d’orario comportanti significative oscillazioni degli orari individuali, rispetto all’orario ordinario, finalizzati all’ampliamento dei servizi all’utenza e/o comprendenti particolari gravosità nelle seguenti istituzioni scolastiche: - Istituzioni scolastiche educative; - Istituti con annesse aziende agrarie; - Scuole strutturate con orario di servizio giornaliero superiore alle dieci ore per almeno 3 giorni a settimana. 2. Sarà definito a livello di singola istituzione scolastica il numero, la tipologia e quant’altro necessario a individuare il personale che potrà usufruire della predetta riduzione in base ai criteri di cui al comma 1.” Dalla formulazione della norma è possibile dedurre i vincoli (non derogabili) che il dirigente scolastico è tenuto a rispettare per individuare il personale Ata eventualmente destinatario della riduzione dell’orario di lavoro. Nello specifico, è imprescindibile che sussistano due condizioni, una oggettiva e una soggettiva: 1. La condizione oggettiva si riferisce alla tipologia di scuola (istituzioni scolastiche educative o con annesse aziende agrarie) o alla specifica organizzazione oraria che prevede un orario di servizio giornaliero superiore alle dieci ore per almeno tre giorni settimanali. Tale assetto è finalizzato a soddisfare determinate esigenze di funzionamento, a garantire un miglior livello di efficienza e ad ampliare i servizi a favore dell’utenza. È opportuno precisare, come già evidenziato in precedenti risposte, che per "orario di servizio" si intende l'orario di funzionamento della scuola. Di conseguenza, non è sufficiente che l'istituto rimanga aperto per oltre dieci ore, ma è necessario che tale orario sia strettamente funzionale all'ampliamento dei servizi, causando una particolare gravosità lavorativa. Questo implica che nel calcolo delle dieci ore utili per l’applicazione dell'art. 55 non si debbano includere attività come la pulizia dei locali (per esempio, se le lezioni terminano alle 16:30 ma le pulizie si protraggono sino alle 18:30, le ore utili ai fini dell’applicazione dell'art. 55 sono quelle sino alle 16:30). 2. La condizione soggettiva è soddisfatta qualora il personale ATA, a seguito dell'ampliamento dei servizi o di altre circostanze di particolare gravosità, sia sottoposto a un orario di lavoro articolato su più turni o a significative oscillazioni. Solitamente, il concorso di entrambi i requisiti ("regimi d'orario articolati su più turni" e "orari comportanti significative oscillazioni") costituisce il fondamento per la decisione del dirigente scolastico. Si precisa che la riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore settimanali costituisce una forma di compensazione per la particolare gravosità della prestazione lavorativa, equiparando di fatto il personale ATA individuato ai sensi dell'art. 55 alla figura del lavoratore turnista, in conformità a quanto disposto dall'art. 66 del CCNL 2019-2021. Tale condizione si verifica allorquando l'orario di lavoro è articolato su più turni ovvero comporti una significativa oscillazione, come evidenziato dalle note USR Emilia Romagna n. 16098/C2 del 6 dicembre 2006 e USR Lombardia n. 3056 del 13 febbraio 2007. Inoltre, la nota n. 73072 del 6 giugno 2006 della Ragioneria Generale dello Stato ha esplicitamente escluso che tale beneficio possa essere riconosciuto al personale che svolge turni fissi o che effettua rientri pomeridiani a carattere sporadico. In virtù di quanto esposto, il dirigente scolastico è legittimato a procedere all'individuazione del personale ATA avente diritto alla riduzione dell'orario di lavoro solo qualora concorrano congiuntamente i due presupposti, oggettivo e soggettivo, precedentemente descritti. In considerazione di ciò, deve ritenersi esclusa l'attribuzione del beneficio in esame in via generalizzata, essendo lo stesso subordinato a una valutazione puntuale delle singole posizioni individuali. Nel caso di specie, in assenza di informazioni precise sull'assetto organizzativo di questa istituzione scolastica (dati che non possono essere dedotti dal quesito), si consiglia di esaminare la questione alla luce di quanto esposto precedentemente. Si raccomanda, infine, di richiedere un parere preventivo ai revisori dei conti al fine di acquisire un orientamento preliminare ed evitare potenziali rilievi da parte dell'organo di controllo. Precisiamo che questo parere è stato formulato basandosi esclusivamente sulle informazioni fornite nel quesito. Per quanto non indicato, si rimanda alla normativa vigente e alla nostra banca dati.
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