Data di pubblicazione: 04/12/2025
Purtroppo, in una situazione di questo genere, non vi sono soluzioni dirimenti o che non comportino un aggravio organizzativo se si vuole garantire il diritto allo studio degli alunni. Infatti, data la necessità di assicurare la continuità dell’insegnamento, la strada da percorrere risiede necessariamente, una volta esaurite le possibilità legate alla flessibilità organizzativa e in assenza di organico di potenziamento afferente alla classe di concorso interessata, nella individuazione di un sostituto a partire dal primo giorno di assenza del titolare. Ciò è consentito dal comma 14 dell’art. 13 dell’O.M. n. 88/2024, secondo cui “Ai sensi dell’articolo 1, comma 333, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, non e? possibile conferire al personale docente, per il primo giorno di assenza del titolare, le supplenze temporanee di cui all’articolo 2, comma 5, lettera c), della presente ordinanza, fatte salve la tutela e la garanzia dell’offerta formativa e il rispetto delle norme di prevenzione e protezione dei rischi.” Tale disposizione non distingue tra ordini di scuola diversi rendendo legittima, al ricorrere delle esigenze di “tutela” e “garanzia dell’offerta formativa”, la sostituzione del titolare assente a partire dal primo giorno. Ovviamente il dirigente dovrà far precedere la individuazione del supplente da una determina in cui esplicita detti presupposti e, dunque, motiva la necessità di ricorrere alla nomina di un docente a tempo determinato. Questa la soluzione a breve termine. Nel medio termine, in vista della elaborazione del PTOF e della quantificazione delle risorse umane necessarie alla realizzazione dell’offerta formativa, occorrerà valutare l’inserimento in detto piano di una unità di potenziamento nella classe di concorso interessata, ovviamente inscrivendola in una specifica progettualità di ampliamento dell’offerta formativa. Alla luce del PTOF, il dirigente potrebbe così formulare richiesta all’Ufficio organici territorialmente competente di detta unità di potenziamento e avere a disposizione, nel prossimo anno scolastico, uno strumento ulteriore di garanzia della continuità dell’insegnamento.
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Data di pubblicazione: 04/12/2025
La proposta sindacale, per quanto rivestita di un’apparente nobiltà, è nettamente in contrasto con le norme contrattuali e quindi non può essere accolta. Il CCNL di comparto 2019/21 non prevede distinzioni di ruolo e di prestigio tra le diverse funzioni alle quali può essere assegnato un docente. Al contrario, si è sempre fatto sostenitore di una unitarietà sostanziale della categoria docente, portata alle volte anche alle estreme conseguenze. L’art. 42, comma 1, provvede a definire il profilo professionale del docente chiarendo che è costituito da elementi differenti, anche se necessariamente congruenti. Si dichiara infatti che: “Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, informatiche, linguistiche, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, di orientamento e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica. I contenuti della prestazione professionale del personale docente si definiscono nel quadro degli obiettivi generali perseguiti dal sistema nazionale di istruzione e nel rispetto degli indirizzi delineati nel piano dell’offerta formativa della scuola.”. Quindi è l’offerta formativa della scuola, correlata agli obiettivi generali del sistema nazionale, a determinare quali funzioni assegnare al personale docente, per coprire le esigenze direttamente connesse alla programmazione curricolare ma anche quelle individuate e attivate a supporto, integrazione, arricchimento dell’offerta all’utenza. Il successivo art. 43, comma 11, aggiunge: “L’orario … può anche essere parzialmente o integralmente destinato allo svolgimento di attività per il potenziamento dell’offerta formativa di cui al comma 12 o a quelle organizzative di cui al comma 13, dopo aver assicurato la piena ed integrale copertura dell’orario di insegnamento previsto dagli ordinamenti scolastici e nel limite dell’organico di cui all’art. 1, comma 201, della legge n. 107 del 2015. Le eventuali ore non programmate nel PTOF dei docenti della scuola primaria e secondaria sono destinate alle supplenze sino a dieci giorni.”. Il comma stabilisce quindi che, una volta coperte le ore curricolari la restante disponibilità di organico può essere utilizzata per potenziare l’offerta formativa attraverso l’organizzazione delle attività previste all’art. 1, comma 7 della legge 107/2015; ciò che avanza può andare a copertura delle supplenze brevi. Infine al comma 13 dello stesso articolo si precisa che: “Le attività organizzative sono quelle di cui all’articolo 25, comma 5, del d.lgs. n.165 del 2001, nonché quelle di cui all’articolo 1, comma 83, della legge n. 107 del 2015.” E qui finalmente si riconosce il valore di tutti coloro che il dirigente chiama a lavorare all’interno del funzionigramma d’istituto e dello staff dirigenziale, istituito dall’art. 1, comma 83, della legge 107/2015. La funzione docente è dunque, per norma contrattuale, la somma di tutte queste possibili e necessarie articolazioni del lavoro e delle relative responsabilità. In nessun passaggio del l’articolato si accenna ad una possibile graduazione di valore delle funzioni svolte. Pertanto sarebbe del tutto improprio, se non addirittura illegittimo, penalizzare dal punto di vista retributivo i docenti non direttamente, o solo parzialmente, impegnati nell’attività di insegnamento in classe. La pretesa tradisce un atteggiamento di pregiudizio nei confronti di coloro che non rientrano nel canone classico del docente di classe e, soprattutto, di coloro che accettano di dedicarsi a funzioni organizzative e di supporto, considerate troppo legate alle esigenze del dirigente scolastico e ad una visione della scuola troppo “aziendalistica”, secondo un mantra ricorrente. Si dimentica, in questi casi, che le istituzioni scolastiche dotate di autonomia (per quanto parziale) sono diventate sistemi complessi, che non possono basarsi sullo spontaneismo né sull’autoreferenzialità, ma richiedono un sistema organizzato di gestione e di controllo dei processi che concorrono ad attribuire maggiore o minore qualità al servizio scolastico. I compensi a carico del FIS e in genere del Fondo MOF sono attribuiti, a seguito di contrattazione da svolgere su proposta della parte pubblica, sulla base non delle funzioni svolte ma delle attività e degli incarichi aggiuntivi assegnati, o anche di incarichi che comportino un aggravio di lavoro ad orario di servizio inalterato. Il fine della retribuzione accessoria non è quello di distinguere tra le funzioni ordinarie assegnate ai docenti ma quello di incentivare “l’efficacia e la produttività dei servizi pubblici, incentivando l'impegno e la qualità della performance” (Art. 40, comma 3-bis, del D.lgs. 165/2001). Si ritiene pertanto la proposta sindacale estranea e incoerente rispetto alla linea contrattuale ed anche alla legge; è quindi impossibile adottarla a livello istituto, in quanto la retribuzione accessoria deve avere altre finalità e altre destinazioni e anche perché facilmente sarebbe fatta oggetto di impugnazione da parte di chi si riterrebbe giustamente penalizzato per una funzione ritenuta “inferiore”, anche se svolta efficacemente e con tutto l’impegno necessario.
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Data di pubblicazione: 04/12/2025
La fattispecie risulta regolata dall’art. 38 del D.I. n. 129/2018, secondo cui: “1. Le istituzioni scolastiche possono concedere a terzi l'utilizzazione temporanea dei locali dell'edificio scolastico, nel rispetto di quanto previsto nella delibera di cui all'articolo 45, comma 2, lett. d), a condizione che ciò sia compatibile con finalità educative, formative, ricreative, culturali, artistiche e sportive e con i compiti delle istituzioni medesime. 2. La concessione in uso dei locali dell'edificio scolastico può avvenire anche nei periodi di sospensione dell'attività didattica, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1, comma 22, della legge n. 107 del 2015. 3. Il concessionario assume gli obblighi di custodia dei locali ricevuti e dei beni ivi contenuti ed è gravato in via esclusiva di ogni responsabilità connessa alle attività che svolge nei predetti locali, con riferimento agli eventuali danni arrecati a persone, a beni, nonché alle strutture scolastiche. Il concessionario assume, altresì, l'obbligo di sostenere le spese connesse all'utilizzo dei locali. 4. Fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente, i locali dell'edificio scolastico possono essere concessi esclusivamente per utilizzazioni precarie e di carattere sporadico e previa stipulazione, da parte del concessionario, di una polizza per la responsabilità civile con un istituto assicurativo.” La procedura da seguire per la concessione di locali a terzi risulta pertanto articolata come segue: - in forza del richiamo dell’art. 45, comma 2, lettera d) del D.I. n. 129/2018, spetta innanzitutto al consiglio di istituto deliberare “criteri e dei limiti per lo svolgimento, da parte del dirigente scolastico, delle seguenti attività negoziali: […] utilizzazione da parte di soggetti terzi di locali, beni o siti informatici, appartenenti alla istituzione scolastica o in uso alla medesima […]”. In altri termini, occorre innanzitutto acquisire una delibera dell’organo collegiale che individui: possibili destinatari della concessione, tenendo presente la compatibilità della concessione con le finalità educative, formative, ricreative, culturali, artistiche e sportive e con i compiti delle istituzioni medesime; criteri di priorità della concessione dei locali in caso di più richieste concomitanti; procedura di scelta del concessionario (termine e modalità di presentazione della richiesta dei locali, termine per la conclusione del procedimento); periodi dell’anno in cui detta concessione può avvenire (solo durante i periodi di sospensione dell’attività didattica oppure no); determinazione dell’eventuale deposito cauzionale da introitare in caso di danni arrecati dal concessionario ai locali stessi; determinazione dell’eventuale “canone” richiesto, salve le precisazioni successive; obblighi e diritti delle parti (istituzione scolastica e concessionario); ipotesi di recesso dalla concessione stessa; - procedura di individuazione del concessionario secondo quanto stabilito nella delibera del consiglio di istituto; - adozione dell’atto di concessione del dirigente scolastico cui accede il contratto con le modalità di utilizzo dei locali per il terzo concessionario e delle attrezzature in essi collocate (sulle cui condizioni sarà stata gestita la procedura selettiva di cui al punto precedente); - stipulazione con il concessionario prescelto del contratto di cui al punto precedente con particolare attenzione, così come richiesto dal comma 4 dell’art. 38 citato, alla previa stipula, da parte del concessionario, di apposita polizza per responsabilità civile. Quanto alla possibilità di imporre un “canone”, essa non risulta esclusa dalla normativa vigente e, in particolare, dal Regolamento di contabilità delle istituzioni scolastiche che, anzi, richiede al concessionario di farsi carico delle spese per l’utilizzo dei locali. Proprio per questo è bene informarne formalmente l’Ente locale proprietario che potrebbe richiederne almeno una quota a titolo di copertura delle maggiori spese per utenze (riscaldamento, elettricità, acqua). Dunque, prima di inserire tale possibilità nella delibera del consiglio di istituto è opportuno effettuare una simile comunicazione formale e acquisire l’assenso dell’Ente all’incameramento del compenso o di una parte dello stesso. Del resto, l’istituzione scolastica potrebbe essere gravata delle pulizie dei locali o dover comunque richiedere l’effettuazione di lavoro straordinario al personale ATA per garantire l’ampliamento degli orari di apertura dei plessi.
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Data di pubblicazione: 04/12/2025
La questione è regolata sostanzialmente dal Regolamento Generale per la Protezione dei Dati UE 679/2016 e dal D. Lgs. 33/2013, che ha istituito l’amministrazione trasparente. Il Piano annuale delle attività del personale ATA NON deve essere pubblicato integralmente nell’amministrazione trasparente, con nomi, cognomi e orari di servizio. La pubblicazione di tali informazioni non è ammessa, sia perché costituisce dato personale non previsto tra gli obblighi di trasparenza, sia in riferimento al principio di minimizzazione e di limitazione della finalità (art. 5 del GDPR). Più nello specifico, il Piano annuale delle attività ATA non rientra tra gli atti da pubblicare obbligatoriamente in “Amministrazione Trasparente”, perché: • non è un atto di programmazione generale (come PTOF, PDM) • non è un atto di organizzazione generale dell’ente nel senso inteso dal Dlgs 33/2013. Per completezza si riporta, inoltre, che il Piano non risulta essere soggetto alla pubblicità legale, per quanto previsto dalle Linee Guida AgID sulla pubblicità legale dei documenti della PA. Sulla questione si è più volte espresso il Garante per la Protezione dei Dati Personali (nel seguito GPDP), chiarendo che non possono essere pubblicati online orari di servizio del personale, turnazioni nominative, assegnazioni individuali a plessi, piani, uffici, ecc., dati che permettono di inferire presenza/assenza, turni, sostituzioni, in quanto costituiscono dati personali che non sono oggetto di alcun obbligo di pubblicazione nell’amministrazione trasparente (D. Lgs. 33/2013), esponendo il personale interessato a rischi concreti circa la perdita di riservatezza o alla possibilità di profilazione. Inoltre, nel suo documento “Linee guida per i siti web della PA – trattamenti di dati personali per finalità di trasparenza/pubblicità sul web”, il GPDP chiarisce che la pubblicazione di dati personali richiede una norma specifica e che deve rispettarsi sempre il principio di necessità e proporzionalità. Tanto premesso, se la scuola ritiene utile la diffusione del Piano sul sito web istituzionale, allora si potrebbe pubblicare una versione non nominativa descrivendo in linea generale le attività del personale ATA, i criteri di organizzazione del servizio, l’articolazione delle funzioni (centralino, protocollo, sorveglianza, ecc.), senza alcun riferimento a nomi, cognomi, orari di servizio, turnazioni individuali, sedi o piani assegnati a persone riconoscibili. In conclusione e in linea generale, quando una scuola valuta la pubblicazione di un documento deve: 1. Controllare se esiste un obbligo normativo (es. D.Lgs. 33/2013, norme riferite al comparto Scuola, regolamenti Ministeriali). 2. Verificare se il documento contiene dati personali identificativi (nomi, cognomi, orari, dati particolari). 3. Se ci sono dati personali: o valutare se la finalità giustifica la pubblicazione; o applicare minimizzazione / anonimizzazione (omettere nomi, dati sensibili, orari, info non essenziali); o verificare la liceità del trattamento, ad esempio per obbligo di legge o interesse pubblico. In assenza di obbligo o norma specifica, è preferibile non procedere alla pubblicazione, ovvero a pubblicare solo versioni anonime, che presentano i dati in forma aggregata.
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Data di pubblicazione: 04/12/2025
Come detto precedenti risposte riguardanti gli incarichi conferibili personale ATA , le indicazioni di riferimento sono le linee guida dell'Unità di Missione del PNRR - e le FAQ pubblicate nell'area dedicata della Piattaforma FUTURA - nelle quali viene stato chiarito e specificato che gli incarichi conferiti al personale ATA dell'istituzione scolastica devono essere di tipo tecnico operativo, prestati come attività aggiuntiva oltre l'orario di servizio, ed al di fuori della funzione ordinariamente ed istituzionalmente esercitata. Per quanto riguarda il personale ATA, pertanto, possono essere conferiti, nell’ambito del PNRR, solamente incarichi retribuiti per l’espletamento di mansioni specificatamente e strettamente finalizzate alla realizzazione degli interventi del PNRR (come ad esempio la funzione di supporto tecnico e organizzativo al RUP, il collaudo tecnico-amministrativo, ecc), non rientranti nelle attività ordinarie proprie dei servizi generali, tecnici e amministrativi della scuola . Per rispondere esaustivamente al quesito occorre quindi ripercorrere e riesaminare quanto previsto nelle varie Istruzioni operative e nelle FAQ diramate dal MIM. In primo luogo, le Istruzioni operative per tutte le Azioni del PNRR (Scuola 4.0, DM 170/2022, 65/2023, 66/2023 e 19/2024), dispongono analogamente che “ Le attività retribuite al personale scolastico interno devono essere svolte al di fuori dell’orario di servizio, devono essere prestate unicamente per lo svolgimento delle azioni strettamente connesse ed essenziali per la realizzazione del progetto finanziato, funzionalmente vincolate all’effettivo raggiungimento di target e milestone di progetto, ed espletate in maniera specifica per assicurare le condizioni di realizzazione del medesimo progetto. […] Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, del Regolamento (UE) 2021/241, non sono ammissibili i costi relativi alle attività di preparazione, monitoraggio, controllo, RENDICONTAZIONE, audit e valutazione, in particolare: studi, analisi, ATTIVITÀ DI SUPPORTO AMMINISTRATIVO alle strutture operative, azioni di informazione e comunicazione, consultazione degli stakeholders, spese legate a reti informatiche destinate all’elaborazione e allo scambio delle informazioni. Non sono, altresì, ammissibili i costi relativi al funzionamento ordinario dell’istituzione scolastica. I costi per l’espletamento di tutte queste attività non possono essere imputati alle risorse del PNRR e, quindi, non possono formare oggetto di rendicontazione all’Unione europea.” Anche nella FAQ n. 4 del 14.1.2023 (Scuola 4.0) viene precisato, in relazione al personale ATA, che: “Come già chiarito nelle Istruzioni operative, tutto il personale interno alla scuola (DS, DSGA, ATA, Docenti) può svolgere le attività aggiuntive in coerenza con i rispettivi contratti collettivi di lavoro. Tali spese […] evono essere classificate, per il personale amministrativo, come spese di supporto tecnico-operativo. Tra queste spese possono essere ricomprese quelle di progettazione degli spazi e allestimento degli ambienti, collaudo tecnico-amministrativo, altre attività tecnico-operative funzionali ed essenziali alla realizzazione delle attività di progetto e al raggiungimento del target. A titolo esemplificativo e non esaustivo, le attività possono essere declinate nelle seguenti funzioni secondo i fabbisogni di ciascuna scuola: project manager (coordinamento generale del progetto: es. dirigente scolastico), attività specialistiche di supporto tecnico e organizzativo al RUP (es. DSGA e personale ATA), componente di commissione giudicatrice in relazione allo svolgimento di gare, progettazione architettonica, progettazione didattica e del setting d’aula, consulenza pedagogica (es. docenti), collaudo tecnico-amministrativo (quest’ultima attività è specifica e non è compatibile con lo svolgimento di altre funzioni o incarichi all’interno dello stesso progetto), attività operative strumentali all’allestimento degli ambienti e all’utilizzo tecnico delle attrezzature (ad esempio, personale tecnico e ausiliario per supportare e coadiuvare l’organizzazione degli allestimenti degli ambienti, l’effettuazione delle verifiche e dei collaudi, personale amministrativo e ausiliario necessario per allestimenti necessariamente effettuati in orario extra-scolastico, etc.). Come già previsto nelle Istruzioni operative, per il personale interno le attività aggiuntive devono essere svolte comunque al di fuori dell’orario di servizio, devono essere prestate unicamente per lo svolgimento delle azioni strettamente connesse ed essenziali per la realizzazione del progetto finanziato, funzionalmente vincolate all’effettivo raggiungimento di target e milestone di progetto, ed espletate in maniera specifica per assicurare le condizioni di realizzazione del medesimo progetto.” Successivamente, in ordine alle spese ammissibili sui costi indiretti previsti per i progetti a Costi standard, è stato fornito ulteriore chiarimento nella risposta alla FAQ n. 9 (prot. 21092 del 20.02.2023), relativa al DM 170/2022, in cui si legge che “Le Istruzioni operative specificano che con la quota forfettaria del 40% dei costi indiretti è possibile coprire tutti i costi indiretti sostenuti dalla scuola per l’organizzazione del percorso e l’accesso alla frequenza da parte dei beneficiari. A titolo esemplificativo e non esaustivo, possono rientrare all’interno della quota forfettaria del 40% i costi indiretti relativi a […] attività gestionali di progettazione e tecnico-operative del personale interno coinvolto nella realizzazione del progetto svolte al di fuori dell’orario di servizio e prestate unicamente per lo svolgimento delle azioni strettamente connesse ed essenziali per la realizzazione del progetto finanziato, funzionalmente vincolate all’effettivo raggiungimento di target e milestone di progetto. Sempre a titolo esemplificativo e non esaustivo, le attività gestionali di progettazione e tecnico-operative possono essere declinate nelle seguenti funzioni secondo l’organizzazione stabilita da ciascuna scuola per la realizzazione dei percorsi: […], attività specialistiche di supporto tecnico e organizzativo al RUP (es. DSGA e personale ATA), […] attività operative strumentali alla gestione dei percorsi formativi (ad esempio, personale per l’attività di segreteria didattica, la registrazione delle presenze e il rilascio degli attestati, personale tecnico e ausiliario per garantire l’apertura della scuola in orario extracurricolare per lo svolgimento specifico dei percorsi e la tenuta e pulizia degli spazi, personale di assistenza per garantire l’inclusione agli studenti con disabilità, etc.)” Dalla lettura comparata delle varie disposizioni, emerge chiaramente che l’attribuzione di incarichi rientranti nella fattispecie del “Supporto tecnico-operativo”, sono l’unica tipologia di attività remunerate conferibile al personale Amministrativo, essendo esclusa la possibilità di retribuire attività aggiuntive svolte in ragione della funzione ordinariamente ed istituzionalmente esercitata, quali le “attività di preparazione, monitoraggio, controllo, RENDICONTAZIONE, [..], in particolare: […] ATTIVITÀ DI SUPPORTO AMMINISTRATIVO alle strutture operative, azioni di informazione e comunicazione,[…]”. Inoltre, come si evince dalle FAQ citate, le spese per il personale ATA (imputabili sui costi indiretti) possono essere sostenute solo in relazione alle ore di lavoro straordinario “prestate unicamente per lo svolgimento delle azioni strettamente connesse ed essenziali per la realizzazione del progetto finanziato, funzionalmente vincolate all’effettivo raggiungimento di target e milestone di progetto”, ovvero necessarie e direttamente finalizzate all’organizzazione e realizzazione dei percorsi e non svolte dopo il termine delle attività formative previste dal progetto (che altro non potrebbero consistere nelle attività, non ammissibili, di amministrazione e rendicontazione, come per il caso in trattazione) Tanto premesso, riteniamo che, trascorsi ormai quasi tre mesi dalla conclusione delle attività progettuali del DM 19/2024 (15.9.2025), non sia possibile incrementare il numero di ore di incarico agli assistenti amministrativi per attività lavorative che, come è ovvio, verrebbero svolte oltre il termine delle azioni formative e, soprattutto, non potrebbero configurarsi quale “Supporto tecnico-operativo” finalizzato all’organizzazione e realizzazione dei percorsi, bensì inquadrabili nelle funzioni di amministrazione e rendicontazione, ordinariamente esercitate, non ammissibile in base al Regolamento (UE) 2021/241.
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Data di pubblicazione: 04/12/2025
Si chiede con quali fondi è possibile retribuire le n. 32 ore di formazione RLS svolte al di fuori dell'orario di servizio da un docente (discente del corso) individuato per tale ruolo...
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Data di pubblicazione: 04/12/2025
Gentile utente, le norme sulla proroga delle supplenze in corso d'anno non consentono di garantire lo stesso supplente se il titolare non sia assente in maniera continuativa. Infatti la circolare annuale sulle supplenze del personale della scuola n. 157048/2025 nelle disposizioni comuni al personale docente ed ata, ribadendo anche quanto previsto dall'art. 13 comma 11 dell'O.M. 88/2024 precisa che: "Ove al primo periodo di assenza del titolare ne consegua un altro, o più altri, senza soluzione di continuità o interrotto da giorno festivo, o da giorno libero, ovvero da entrambi, la supplenza temporanea, è prorogata nei riguardi del medesimo supplente già in servizio, a decorrere dal giorno successivo a quello di scadenza del precedente contratto." Nel caso sottoposto il titolare si assenta di venerdì ma il lunedì successivo rientra in servizio, interrompendo la continuità dell'assenza e impedendo la possibilità di proroga dello stesso supplente. D'altra parte la continuità didattica sul sostegno è stata prevista da quest'anno scolastico dal D.M. 32/2025 per le supplenze annuali e fino al termine delle attività didattiche su posti vacanti o sicuramente disponibili per tutto l'anno ma non per le supplenze brevi e temporanee in sostituzione di titolari assenti. Nel caso sottoposto, se la classe è coperta da ulteriori docenti di sostegno in organico, si deve ricorrere al personale interno, con un 'organizzazione del servizio che abbia cura di assegnare ad uno dei docenti lo stesso alunno disabile anche oltre le ore del venerdì. Infatti la continuità della sostituzione dell'insegnante che ha richiesto congedo va garantita per tutte le ore di cui ha bisogno un singolo alunno. E ' importante assicurare l'unicità dell'insegnamento, facendo sì che sullo stesso alunno disabile non vi siano assegnati contemporaneamente due insegnanti. In questo modo sarebbe garantito il principio dell'unicità che deve essere rispettato in tutti i casi di lavoro a tempo parziale nella scuola e anche la continuità del docente sullo stesso alunno. L'insegnante che usufruisce del congedo parentale frazionato nelle giornate del venerdì potrebbe essere assegnato ad altri alunni, con un'organizzazione dell'orario delle attività di sostegno nel plesso che sia idonea al rispetto delle norme che disciplinano le supplenze.
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Data di pubblicazione: 04/12/2025
Gentile utente, i riferimenti normativi per la risoluzione del contratto del docente B sono relativi alla diversa natura delle due supplenze, precisata nell'O.M. 88/2024 che all'art. 2, comma 4, distingue tra le tipologie di contratti a tempo determinato , prevedendo che: "5. In subordine alle operazioni di cui ai commi precedenti, si provvede con la stipula di contratti a tempo determinato secondo le seguenti tipologie: a) supplenze annuali per la copertura delle cattedre e posti d’insegnamento, su posto comune o di sostegno, vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano presumibilmente tali per tutto l’anno scolastico; b) supplenze temporanee sino al termine delle attività didattiche per la copertura di cattedre e posti d’insegnamento, su posto comune o di sostegno, non vacanti ma di fatto disponibili, resisi tali entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell’anno scolastico e per le ore di insegnamento che non concorrano a costituire cattedre o posti orario; c) supplenze temporanee per ogni altra necessità diversa dai casi precedenti. 6. Per l’attribuzione delle supplenze annuali e delle supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche di cui al comma 5, lettere a) e b), sono utilizzate le GAE. In caso di esaurimento o incapienza delle stesse, in subordine, si procede allo scorrimento delle GPS di cui all’articolo 3. In caso di esaurimento o incapienza delle GPS, sono utilizzate le graduatorie di istituto di cui all’articolo 11. 7. Per le supplenze temporanee di cui al comma 5, lettera c), si utilizzano le graduatorie di istituto di cui all’articolo 11. 8. L’individuazione del destinatario della supplenza e? operata dal dirigente dell’ufficio scolastico territorialmente competente nel caso di utilizzazione delle GAE e delle GPS e dal dirigente scolastico nel caso di utilizzazione delle graduatorie di istituto. 9. Il conferimento della supplenza si perfeziona con la stipula del contratto di lavoro a tempo determinato, sottoscritto dal dirigente scolastico e dal docente interessato, che produce effetti dal giorno dell’assunzione in servizio fino al seguente termine: a) per le supplenze annuali di cui al comma 5, lettera a), il 31 agosto; b) per le supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche di cui al comma 5, lettera b), il giorno annualmente per una dal relativo calendario scolastico quale termine delle attività didattiche; c) per le supplenze temporanee di cui al comma 5, lettera c), l’ultimo giorno di effettiva permanenza delle esigenze di servizio. " Nel caso sottoposto il posto, prima occupato dalla docente A si è reso disponibile nuovamente entro il 31\12 per dimissioni della stessa e quindi per una nuova supplenza fino al termine delle attività didattiche da attribuire scorrendo le GPS , a seguito di individuazione da parte dell'ufficio territoriale, secondo quanto previsto dalle norme sopra citate. La scuola deve far riferimento alla comunicazione inviata dall'ufficio e all'individuazione che lo stesso ufficio farà di altro titolare della supplenza fino al 30/6.
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Data di pubblicazione: 03/12/2025
L’art. 53, primo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici, anche a tempo determinato, la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve essere considerata come esercizio del commercio e dell’industria ogni attività imprenditoriale; deve, inoltre, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore delegato di società di capitali. Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. È, quindi, incompatibile con lo status di pubblico dipendente l'assunzione di cariche in società aventi scopo di lucro, che possono essere svolte soltanto previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza (Corte Conti Liguria Sent. 22/10/2015, n. 83). Invece, il divieto in questione di cui all'art. 53 citato non pone limiti alla partecipazione di un pubblico dipendente in società commerciali in qualità di mero socio di capitale. Esso esclude, invece, come detto sopra, che egli possa ricoprire cariche sociali, compiere atti di amministrazione nella società, trattare o concludere affari in nome della stessa. In giurisprudenza (cfr Corte di Cassazione, sez. lav., Sent. 26/11/2012, n. 20857) è stato affermato che l'impiegato della Pubblica Amministrazione non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione, senza alcun riferimento ad attività retribuita, onde il divieto deve ritenersi assoluto, a prescindere dalla sussistenza o meno di una remunerazione, ovvero di una continuità della prestazione lavorativa diversa da quella espletata alle dipendenze della P.A.. La Corte dei Conti, con la Sentenza n. 9 del 7 maggio 2019, ha affermato che per un dipendente pubblico a tempo indeterminato è assolutamente vietata l’attività di amministratore unico di una società di capitali, in quanto carica sociale palesemente e testualmente vietata e non autorizzabile ex art. 60, d.P.R. n. 3 del 1957, richiamato dall’art. 53, co.1, D.Lgs. n.165 del 2001 (che, nel caso di specie, tra l’altro, era stata svolta non in modo occasionale ma sistematico). La giurisprudenza della Corte dei Conti è molto rigida in materia Il dipendente pubblico non può assumere incarichi di amministrazione in società di capitali. Sussistendo un divieto assoluto di legge, l'attività non è neanche autorizzabile dall' amministrazione di appartenenza. ( Corte Conti Umbria n. 60 del 2022). La Corte dei Conti della Sardegna, con la Sentenza n. 130/2024, ha ribadito i suesposti principi. Il Consiglio di Stato ha affermato che non vale ad escludere la situazione d'incompatibilità di un pubblico dipendente, che eserciti un'attività imprenditoriale, il fatto che egli eserciti regolarmente il suo lavoro, in quanto la norma d'incompatibilità mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente stesso, ai fini di un miglior rendimento nei confronti della p.a. datrice di lavoro (cfr. Consiglio Stato sez. V sent. 13 gennaio 1999, n. 24). Come già rilevato in precedenti risposte in argomento, a nostro avviso, la titolarità di un'attività commerciale resterebbe vietata anche nel caso si trattasse di part time non superiore al 50% ( o spezzone orario come in caso di personale a t.d.). A queste conclusioni era giunto anche l'USR Emilia-Romagna nella Nota 2456 del 9 febbraio 2007. Nel Parere citato viene precisato che la titolarità di una attività commerciale resta assolutamente vietata all’intera categoria dei dipendenti, così come risulta vietata, per la medesima categoria, la possibilità di accettare cariche in società costituite a fine di lucro. Il citato art. 53, al comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dagli articoli 57 e seguenti della Legge 23 dicembre 1996, n. 662. Il comma 56 dell'art. 1 della Legge n. 662 del 1996 prevede che le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (ora art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001), e successive modificazioni ed integrazioni, nonché le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l'iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. Ai sensi del successivo comma 58, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere concessa dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione stessa. La trasformazione non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa. Il CCNL Scuola all'art. 39, comma 9, del CCNL 2007 (non modificato sul punto dal CCNL 2024) prevede che al personale docente in part time interessato è consentito, previa motivata autorizzazione del dirigente scolastico, l'esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non siano incompatibili con le attività d'istituto. Dall'analisi della normativa di cui alla Legge n. 662 del 1996 e delle disposizioni del CCNL si evince che il riferimento è alla attività di lavoro autonomo o subordinato. Conclusivamente, abbiamo in precedenza ritenuto che vi fosse incompatibilità tra status di dipendente pubblico (seppur in part time non superiore al 50%) e l'attività commerciale o di amministratore di società. Per completezza si deve però rilevare che, come appreso anche durante i nostri corsi di formazione, da parte di alcuni Uffici Scolastici vi è negli ultimi tempi una interpretazione più estensiva sulla questione di cui al quesito (compatibilità o meno della attività commerciale in caso di dipendente con part time non superiore al 50%) Ad esempio l'USR Piemonte con la Nota 12437 del 26 agosto 2022 ha ribadito la regola dell’incompatibilità assoluta con riferimento al personale scolastico, sia a tempo pieno che parziale con prestazione lavorativa superiore al 50%, è posta dall’art. 508, comma 10, d.lgs 297/1994 (Testo unico Istruzione) rispetto all’esercizio di attività commerciali, industriali e professionali ovvero svolte alle dipendenze di soggetti privati o, ancora, comportanti l’accettazione di cariche in società costituite a scopo di lucro. ( in senso analogo cfr la Nota operativa USR Sicilia n. 21198 del 31 agosto 2020) Le Linee Guida della Funzione Pubblica del 2013 così precisano: "Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche indicate nei paragrafi a) [abitualità e professionalità] e b) [conflitto di interessi]. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche di cui al paragrafo b) [conflitto di interessi]. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a prescindere dal regime dell’orario di lavoro gli incarichi che presentano le caratteristiche indicate nel paragrafo c) [preclusi a prescindere dalla consistenza dell’orario di lavoro], fermo restando quanto previsto dai paragrafi a) e b). Gli incarichi considerati nel presente documento sono sia quelli retribuiti sia quelli conferiti a titolo gratuito. a) ABITUALITÀ E PROFESSIONALITÀ. 1. Gli incarichi che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà “esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro”. L’incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003)". Pertanto, il dipendente se a tempo pieno (o con part time superiore al 50%) non può esercitare attività commerciale mentre in caso di part time non superiore al 50%, i recenti orientamenti di cui abbiamo detto sopra ammettono la possibilità di autorizzazione. In tal senso si muove anche la recente giurisprudenza. Ad esempio (cfr Cassazione civile sez. lav., 18/07/2022, n.22497 seppur con riferimento ad un dipendente di un ente locale) ha affermato che i dipendenti pubblici con un part time non superiore al 50% possono instaurare rapporti con altri enti anche in assenza di autorizzazione da parte della pubblica amministrazione di appartenenza. Nella motivazione si richiama Cass., Sez. L, n. 28757 del 7 novembre 2019, "In tema di pubblico impiego privatizzato, alla stregua della disciplina di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (applicabile "ratione temporis"), D.P.C.M. n. 117 del 1989, art. 6, comma 2, e della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 58-bis, si deve escludere che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale superiore al 50 per cento possano essere implicitamente autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa in esame consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part-time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento" (per lo sviluppo giurisprudenziale in materia, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010)". Conclusivamente, nel caso di specie, al netto di eventuali indicazioni specifiche da parte dell'USR di riferimento, riteniamo che l'attività in questione possa essere autorizzata dal DS stante che trattasi di docente con part time non superiore al 50% (orario 8/18) fermo restando che la suddetta attività non dovrà interferire con gli obblighi di servizio ordinari del dipendente e non dovranno sussistere situazioni di conflitto di interesse neanche a livello potenziale.
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Data di pubblicazione: 03/12/2025
I due docenti supplenti rappresentanti della RSU hanno legittimamente goduto dell’elettorato passivo all’atto del rinnovo delle RSU d’istituto (ai sensi dell’art. 7, comma 3, dell’ACNQ del 12 aprile 2022), ma al 31 agosto 2025 erano da considerare decaduti a causa della cessazione del rapporto di lavoro instaurato tramite contratto di supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche. L’art. 9, comma 4, dell’ACNQ citato pone infatti tra le cause di decadenza proprio la cessazione del rapporto di lavoro. La nuova assunzione a tempo indeterminato discende dall’instaurazione di un nuovo e diverso rapporto di lavoro che non può garantire la conservazione del ruolo di rappresentante RSU. Ne consegue che la RSU d’istituto può rimanere in vita alla condizione che i quattro membri decaduti siano surrogabili dai primi non eletti nelle rispettive liste. Qualora ciò non sia possibile, o le surroghe possibili non garantiscano la copertura della maggioranza della RSU (almeno 4 membri su 6) l’organo è da considerare decaduto (art. 9, comma 5). Il dirigente scolastico ne dovrà informare le OO.SS. di comparto le quali, entro cinque giorni dalla decadenza dell’organo, avranno 45 giorni di tempo per decidere se procedere o meno ad elezioni suppletive. Fino alla scadenza dei 45 giorni il dirigente scolastico terrà le relazioni sindacali con i due membri residui della RSU e con i rappresentanti territoriali delle sigle sindacali rappresentative e, limitatamente alla contrattazione integrative d’istituto, firmatarie del CCNL di comparto 2019/21. Nel caso in cui non si proceda alla indizione delle elezioni suppletive i membri residui della RSU decadranno definitivamente e le relazioni sindacali saranno tenute fino alla scadenza del mandato triennale soltanto con i rappresentanti sindacali territoriali, nel rispetto della clausola già riportata (art. 9, comma 8).
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Data di pubblicazione: 03/12/2025
In generale, non è sempre possibile risalire con certezza assoluta a chi abbia avuto accesso a un file su un computer. La possibilità, infatti, dipende da diversi fattori tecnici, organizzativi e, soprattutto, dalle misure di logging presenti nel sistema. L’identificazione tecnica dell’utenza titolare dell’accesso ad un file è possibile solo se sono attivi sistemi di audit o logging adeguati. In particolare, si può risalire all’utente che ha aperto o modificato un file se: • l’accesso al computer avviene tramite account personale e sempreché l’utente non abbia condiviso le sue credenziali; • sono abilitati i log di accesso ai file, ad esempio Windows Event Logging (File Access Auditing), macOS FSEvents o auditd, File server con log SMB o NFS, Sistemi SIEM o strumenti di monitoraggio; • i log non sono stati cancellati o manomessi, ovvero risultino integri, protetti con privilegi amministrativi e conservati per un periodo adeguato (es. 6–12 mesi); • il file si trova su un server o su un cloud, ad esempio Google Workspace, Microsoft OneDrive / SharePoint. Viceversa, non è possibile identificare tecnicamente l’utente se: • il PC è condiviso da più persone con lo stesso account, ad esempio un account “laboratorio” o “segreteria”; • i log non erano attivi al momento dell’accesso, dal momento che Windows non registra di default tutte le aperture di un file; • premesso che i sistemi operativi generalmente non sono configurati per la loro conservazione, i log sono stati modificati, cancellati o sovrascritti, cosa che accade in presenza di un ripristino del sistema. Tanto premesso, anche se fosse possibile identificare tecnicamente l’utente titolare dell’accesso ad un file, sia in modifica, che in consultazione, che in stampa, la certezza giuridica è ben altra cosa. Infatti, anche se i log mostrano uno specifico account come responsabile dell'accesso, non sempre si può provare che fosse realmente la persona fisica associata a quell’utenza a usare quel PC (password condivise, PC incustodito, sessioni non bloccate). Per arrivare alla certezza giuridica occorrerebbe, pertanto,: • un audit completo, • un sistema di autenticazione forte (es. login individuale a domini); • workstation non condivise, • log immodificabili. Nel caso specifico dell’accesso in modalità “stampa”, l’identificazione tecnica dell’utente è possibile solo se sono presenti i seguenti elementi. 1. Stampa tramite account utente (Windows, macOS o dominio AD): Se il computer richiede login individuale, infatti, ogni stampa risulta tecnicamente associata a nome utente, nome della stampante, data e ora, nome del file o del processo che ha inviato la stampa (a volte parziale). Solitamente, il sistema Windows registra questi eventi in “Event Viewer ? Microsoft-Windows-PrintService/Operational (se abilitato)”. 2. Log di stampa abilitati: Il logging stampa non è sempre attivo di default. Se è stato attivato, può mostrare chi ha inviato il job di stampa, quante pagine, quando è avvenuta la stampa e su quale stampante. 3. Stampa tramite server di stampa: Se la scuola usa un print server (Windows Server, PaperCut, Equitrac, ecc.), il tracciamento è molto più preciso. In questi casi spesso si può risalire con buona affidabilità a chi ha attivato il processo di stampa. 4. Stampanti di rete con funzioni di auditing Molte stampanti professionali registrano user ID, nome del job, orario, quantità di copie. Se l’utente deve autenticarsi sulla stampante (badge o codice PIN), la certezza aumenta ancora di più. Viceversa, non è possibile risalire all’utenza titolare del processo di stampa nei casi seguenti. 1. Computer con account condiviso (es. “segreteria”, “laboratorio”); 2. Stampanti USB locali senza log e quindi senza alcuna possibilità di tracciamento; 3. Log non attivati; 4. Log sovrascritti o cancellati; 5. Nessuna autenticazione utente sulla rete o sulla stampante, in tal caso il titolare del processo di stampa, se identificabile, rimane solo presumibile, non dimostrabile. Tanto premesso, così come per l’accesso ad un file, anche per la stampa l’eventuale certezza tecnica non garantirebbe automaticamente la certezza giuridica. Infatti, anche se i log mostrano che uno specifico utente ha mandato in stampa il file, questo non prova al 100% che sia stata la persona fisica associata all’utenza, che la password non fosse condivisa, che la sessione non fosse stata lasciata aperta. Per ottenere un livello di certezza giuridica, pertanto, serve almeno autenticazione individuale, stampanti accessibili solo tramite badge/PIN, log di stampa centralizzati e immutabili. Per concludere, riteniamo che, sulla base delle indicazioni più sopra esposte, vada valutato attentamente l'affidamento ad una ditta specializzata, anche in ragione dei costi correlati. In caso di affidamento, vanno visti preventivamente con il DPO gli aspetti di compliance rispetto alle norme in materia di protezione dei dati personali.
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Data di pubblicazione: 03/12/2025
La Legge 13 agosto 1984, n. 176, come riformata dal D.Lgs. n. 119 del 2011, prevede che il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda, compatibilmente con le esigenze dell'amministrazione, in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell'amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. La C.M. n. 15/2011 sui “Dottorati di ricerca indetti dalle Università straniere" così precisa: “Al riguardo, in relazione a quanto comunicato dall’Ufficio Legislativo, si ritiene di potersi concordare con il parere espresso dall’Avvocatura Generale dello Stato con nota 2 marzo 2005, n. 30098, sulla base dal comma 9, ultimo periodo, dell’art. 453 del D.Lgs. 297/94, il quale prevede l’applicabilità dell’art. 2 della legge 14 agosto 1984, n. 476, al personale assegnatario di borse di studio da parte anche di Stati o Enti stranieri, ponendo in tal modo sullo stesso piano la disciplina prevista nella materia dalla citata legge sia per le Università italiane sia per quelle straniere. Il richiamo al sopraccitato art. 2, legge 476/1984, comporta dunque, l’applicabilità a tale fattispecie della disposizione regolante il trattamento economico nel caso in cui non sia prevista la concessione della borsa di studio o di rinuncia alla stessa, in quanto norma intesa a tutelare la possibilità di svolgimento del dottorato che sarebbe preclusa dalla mancanza delle necessarie risorse finanziarie di sostentamento.” Quindi, ai fini della concessione del congedo straordinario per il dottorato di ricerca all’estero, è stato sempre necessario acquisire la preventiva valutazione da parte del Ministero dell’Università di equipollenza ad un dottorato conseguibile in Italia, secondo l’articolo 74 del DPR 382/1980. Ad ogni modo, come abbiamo potuto rilevare in altri precedenti quesiti, recentemente il Ministero dell'Università e della Ricerca - Direzione per l'internalizzazione, ha affermato che non è possibile una valutazione ex ante di equipollenza del dottorato oggetto di richiesta da parte della scuola. Ciò pone dei problemi perchè, come detto sopra, ai fini del riconoscimento del diritto ad un periodo di congedo straordinario retribuito, per il dipendente pubblico che intenda frequentare un dottorato di ricerca estero, è necessaria la preventiva positiva valutazione di equipollenza - con analogo titolo conseguibile presso le Università italiane - da parte del Ministero. Recentemente è stato dichiarato illegittimo il silenzio del MUR sulla valutazione ex ante di riconoscimento per equivalenza del corso di studi inglese (cfr. T.A.R. VENETO - Sezione Quarta - Sentenza 26/02/2024, n. 357). Il TAR ha ritenuto illegittimo il silenzio serbato dal Ministero dell’Università e della Ricerca in ordine all’istanza con la quale un istituto di istruzione superiore, ai fini del riconoscimento dell’aspettativa retribuita ai sensi dell’art. 2 L. 476/1984, chiedeva la valutazione ex ante di riconoscimento per equivalenza del corso di studi inglese, cui era stata ammessa una docente dell’istituto, quale Dottorato di ricerca post lauream corrispondente al terzo ciclo dell’istruzione universitaria italiana. Così si legge nella motivazione: "... -che è illegittima la condotta del MUR, il quale, a fronte della vicenda esposta, non ha ancora concluso il procedimento in parola mercé l’adozione di un provvedimento espresso in punto di valutazione ex ante del riconoscimento per equivalenza del corso di studi cui è stata ammessa la ricorrente, ai fini del riconoscimento dell’aspettativa retribuita ai sensi dell’art. 2 della L. n. 476/1984; - che l’inerzia del MUR integra la violazione dell’obbligo sancito dall’art.2, comma 1, l. n. 241/1990 (“Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”); RITENUTO conclusivamente: - che il ricorso debba essere accolto con la declaratoria dell’obbligo del MUR di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso, entro il termine di 60 (sessanta) giorni dalla notificazione della presente decisione, prevedendosi sin d’ora, per il caso di ulteriore inerzia del Ministero alla scadenza del termine appena indicato, la nomina di un commissario ad acta, nella persona del Dirigente della Direzione generale dell’internazionalizzazione e della comunicazione, con facoltà di delega ad altro dirigente o funzionario in servizio facente capo alla medesima Direzione, che dovrà provvedervi nell’ulteriore termine di 60 (sessanta) giorni....". Il Tribunale di Gorizia, con la Sentenza 20/06/2024 n° 88, ha affermato che il Ministero dell’Università e della Ricerca ha non solo il “potere” di formulare la valutazione ex ante - requisito ancora necessario per la fruizione dell'aspettativa retribuita per dottorato di ricerca all’estero - ma anche ha il “dovere” di procedervi. E’ pertanto illegittimo l’atto con il quale il M.U.R. si è indebitamente sottratto all’esercizio di questo potere-dovere, esprimendosi solo in termini perplessi e dubitativi. Una lettura dell’art.2 della legge n.476/1984 circoscritta alla possibilità di concedere il congedo retribuito per i soli dottorati conseguiti in Italia deve intendersi discriminatoria. Ciò premesso, come già osservato in precedenti risposte, previa interlocuzione con l’USR/AT di riferimento, anche in ottica di eventuale contenzioso in caso di diniego, si potrebbe aver cura di inserire nel provvedimento di concessione del congedo per dottorato di ricerca retribuito una clausola con cui si specifica che, in caso di mancata valutazione di equipollenza a titolo conseguito o in caso di mancato conseguimento del titolo, il dipendente dovrà procedere con la restituzione delle somme corrisposte durante il congedo.
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Data di pubblicazione: 03/12/2025
Non abbiamo notizia di casi simili, ma conosciamo il caso in cui ANAC ha ritenuto non rispettato il principio di rotazione nel caso di aggiudicazione a un operatore legato da uno stretto legame di parentela con il legale rappresentante dell’impresa uscente e detentore di quota di capitale sociale dell’impresa precedente aggiudicataria. Nel caso in esame, ANAC (parere di precontenzioso n. 567 del 6 dicembre 2023) ha ritenuto che costituisca elusione fraudolenta del meccanismo di rotazione l’aggiudicazione ad un’impresa (nel caso in esame, neo-costituita) il cui legale rappresentante era il fratello del legale rappresentante dell’impresa uscente. A maggior ragione, si ritiene che ANAC ragionerebbe in modo similare quanto alla perfetta identità del legale rappresentante. Si precisa che la regola in esame non ha nulla a che fare, per quanto similare, con il divieto di contemporanea partecipazione di imprese riconducibili ad un unico centro decisionale (art. 95, comma primo, lett. d).
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Data di pubblicazione: 03/12/2025
Come rilevato in precedenti risposte, si conferma la prassi relativa al fatto che alcuni Commissariati spesso non accettano denunce di smarrimento in quanto ritengono che si tratti di fatto oggetto di autocertificazione.. Le precedenti istruzioni rinvenute sul sito URP del MIUR così prevedevano : “Smarrimento, furto, distruzione del cartaceo: In caso di smarrimento, furto, distruzione del cartaceo del diploma l’interessato deve: - nel caso in cui sia iscritto a un corso universitario, accertarsi che il titolo di studio non sia stato depositato all’atto dell’iscrizione alla facoltà e giacere negli archivi universitari; - denunciare alle autorità competenti lo smarrimento/furto/distruzione del titolo di studio e farsi rilasciare copia in originale del verbale”. Invece, le attuali indicazioni presenti sul sito del MIM così prevedono: “Diploma: attestato, dati errati, furto/smarrimento/distruzione del cartaceo, certificazione sostitutiva Smarrimento, furto, distruzione del cartaceo del diploma: in questi casi puoi ottenere per una sola volta il certificato sostitutivo del diploma, che ha lo stesso valore dell’originale. La certificazione sostitutiva è rilasciata dall’istituto scolastico dove è stato conseguito il titolo di studio o dall’ufficio territoriale nel cui ambito è compreso lo stesso istituto. Le istruzioni contenute nei diversi siti degli ambiti territoriali vanno nel senso della necessità della denuncia. USR Liguria In caso di smarrimento del diploma di Licenza Media è necessario fare denuncia alla Questura o al Comando dei Carabinieri della propria città. Successivamente è possibile richiedere il duplicato del diploma smarrito alla scuola che ha rilasciato l’originale, utilizzando il modello predisposto. . AT Roma Nel caso di smarrimento, distruzione o furto del diploma di scuola secondaria di II grado si può chiedere un certificato sostitutivo del diploma originale. La domanda dovrà essere presentata, seguendo le indicazioni contenute nella circolare prot. n 10984 del 01/06/2018, al Dirigente Scolastico della scuola che ha rilasciato il diploma, tramite mail all’indirizzo della scuola (oppure mediante raccomandata A/R, nel solo caso in cui bisogna allegare il diploma originale non più servibile). La domanda dovrà essere compilata in ogni sua parte e firmata, e dovrà essere accompagnata da copia di un documento valido d’identità personale e dalla denuncia di smarrimento o furto del diploma originale ai Carabinieri o alla Polizia di Stato. La scuola, ricevuta la domanda ed effettuati i dovuti controlli, trasmetterà la pratica allo scrivente Ufficio per il seguito di competenza. Sarà cura di questo Ufficio rilasciare e consegnare il certificato sostitutivo firmato digitalmente all’indirizzo mail (non PEC) dell’interessato indicato nella domanda. Nel caso diploma di scuola secondaria di I grado, tutto l’iter sarà gestito dalla scuola che ha rilasciato il diploma originale. USR Umbria Se il diploma di scuola secondaria di 1° grado (scuola media) o di 2° grado (scuola di istituto superiore compreso diploma di qualifica degli Istituti Professionali) è stato smarrito, distrutto, o rubato, può essere richiesto un certificato sostitutivo. Prima di richiedere il certificato sostitutivo è necessario presentare denuncia di smarrimento o furto ai Carabinieri o alla Polizia di Stato Pertanto, come visto sopra, le indicazioni prevalenti degli Ambiti richiedono la denuncia mentre questo passaggio non viene più menzionato nella pagina del MIM. Si potrebbe fare una interlocuzione con l’AT per avere uniformità di comportamento per quanto concerne le pratiche gestite da detto Ufficio. Infine, sui tempi di accoglimento non c’è una tempistica specifica se non il riferimento ai trenta giorni previsti per i procedimenti amministrativi. Nulla ovviamente impedisce alla scuola di evadere il tutto in tempi più brevi soprattutto in presenza di ragioni di urgenza.
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Data di pubblicazione: 03/12/2025
Sul tema, abbiamo diversi pareri già resi in banca dati, ricordiamo, in breve, la nostra posizione. Il comma 1 dell’art. 19-bis del D.L. 148/2017 convertito dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172 e del rubricato “Disposizioni in materia di uscita dei minori di 14 anni dai locali scolastici”, stabilisce che “I genitori […] dei minori di 14 anni, in considerazione dell'età di questi ultimi, del loro grado di autonomia e dello specifico contesto, nell'ambito di un processo volto alla loro autoresponsabilizzazione, possono autorizzare le istituzioni del sistema nazionale di istruzione a consentire l'uscita autonoma dei minori di 14 anni dai locali scolastici al termine dell'orario delle lezioni. L'autorizzazione esonera il personale scolastico dalla responsabilità connessa all'adempimento dell'obbligo di vigilanza”. Si deve ritenere che la disposizione normativa sia sul punto tassativa e non soggetta ad interpretazioni estensive, fissando quale momento di possibile uscita autorizzabile in autonomia il solo ordinario termine delle lezioni. Forse, la nostra, è una posizione un pò rigida, ma in attesa di eventuali interpretazioni giurisprudenziali preferiamo mantenerla. Pertanto, alcuna autorizzazione può, a nostro parere, essere rilasciata all’uscita autonoma di minori di anni 14 in orari diversi dalla fine ordinaria delle lezioni del giorno. A ciò si aggiunga che una riduzione oraria permanente tanto consistente (20 minuti!) ogni giorno andrebbe ad erodere il curricolo nazionale obbligatorio e non può in alcun caso essere accordata, tramutandosi in un esonero importante da una quota di lezioni obbligatorie. Per tali ragioni, riteniamo che la richiesta non possa essere accolta.
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Data di pubblicazione: 03/12/2025
Come noto il logo è un’immagine o una figura rappresentativa di un ente collettivo, sia essa un’azienda commerciale o una pubblica istituzione e può essere costituito da un simbolo, un marchio o da un acronimo, anche variamente combinati tra loro. In considerazione del rilievo identificativo e significativo del “logo”, la sua adozione, non prevista da particolari disposizioni normative, appare riconducibile a quelle più importanti decisioni di competenza del consiglio d’Istituto. I riferimenti normativi possono essere rintracciati nel D.Lgs. 297/1994 che, all’art. 10, comma 3, assegna al Consiglio il potere deliberante “per quanto concerne l’organizzazione e la programmazione della vita della scuola”, e nell’ulteriore previsione dell’art. 45 del D.I. n. 129/2018. Si osserva che il logo, unitamente al nome, è un simbolo immediatamente identificativo e distintivo della scuola nei suoi rapporti con esterni, per cui si suggerisce una previa condivisione a più livelli che appare certamente opportuna, anche se non obbligatoria. La procedura per ottenere il riconoscimento del logo d’Istituto procede dunque da una opportuna condivisione con il Collegio docenti (non delibera) e da una delibera del consiglio d’istituto che approva il logo stesso, inteso quale marchio che potrebbe anche essere registrato presso l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM). La registrazione non è affatto obbligatoria, ma potrebbe proteggere il logo da usi non autorizzati e garantirne l'esclusività per le attività previste (ad esempio per merchandising). Per poter essere registrato il logo della scuola, tuttavia, deve avere alcune caratteristiche previste dal D.Lgs.30/2005 - Codice della proprietà industriale agli artt.11-14, ovvero la novità (cioè non deve essere identico e neppure simile ad altri già registrati), la capacità distintiva e la liceità. Inoltre, deve essere rappresentabile graficamente in modo chiaro e non deve essere ingannevole o contrario all'ordine pubblico.
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Data di pubblicazione: 03/12/2025
In merito al quesito posto non vanno confusi i due istituti dell’assenza per stato patologico sotteso a invalidità riconosciuta rispetto al congedo per cure. L’art. 7 del D.Lgs. n. 119 del 2011 “Attuazione dell'articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi” prevede che, salvo quanto previsto dall'articolo 3, comma 42, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni - che abroga le disposizioni in materia di congedo straordinario per cure termali dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni - i lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa superiore al cinquanta per cento possono fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni. Il congedo di cui sopra è accordato dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all'infermità invalidante riconosciuta (pertanto non è sufficiente solo il certificato medico con la spunta stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta). Il terzo comma del citato articolo prevede che durante il periodo di congedo, non rientrante nel periodo di comporto, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l'avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell'assenza può essere prodotta anche attestazione cumulativa. Il Ministero del Lavoro, con l'Interpello n. 10 dell'8 marzo 2013, ha fornito indicazioni in ordine alla corretta interpretazione dell'art. 7, D.Lgs. n. 119/2011, concernente la disciplina del congedo per cure riconosciuto in favore dei lavoratori mutilati ed invalidi civili. È stato ribadito che: - il suddetto congedo non rientra nel periodo di comporto ed è concesso dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata da idonea documentazione comprovante la necessità delle cure connesse alla specifica infermità invalidante; - la fruizione frazionata dei permessi deve essere intesa come un solo episodio morboso di carattere continuativo, ai fini della corretta determinazione del trattamento economico corrispondente, in quanto connesso alla medesima infermità invalidante riconosciuta. Il Ministero del Lavoro osserva che l'art. 7 del Decreto n. 119/2011 ha stabilito che durante la fruizione del congedo il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Pertanto, le caratteristiche del congedo in questione possono così riassumersi: - il congedo (30 giorni fruibili in modo anche frazionato) è accordato per cure che si riferiscono all'infermità invalidante riconosciuta; - il periodo di congedo non rientra nel periodo di comporto; - il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia; - il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l'avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell'assenza può essere prodotta anche attestazione cumulativa. La Funzione Pubblica, con il Parere 7 febbraio 2022, n. 12173 pubblicato in data 23 dicembre 2022, ha fornito chiarimenti circa le modalità di applicazione dell’istituto del congedo straordinario per cure riservato ai lavoratori invalidi civili, ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 119 del 2011, con particolare riferimento alla computabilità delle giornate del sabato e della domenica nel caso di un dipendente che ha chiesto di fruire di trenta giorni consecutivi di congedo straordinario per cure. Viene ribadito che durante il suddetto periodo di congedo il dipendente ha diritto a percepire il trattamento secondo il regime economico delle assenze per malattia e che tale periodo non è computabile nel periodo di comporto individuato dai CCNL. Invece, l'assenza per “Stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta” è soggetta sia alle ritenute economiche previste dalla normativa vigente che computabile ai fini del superamento del periodo di comporto mentre, l'unico trattamento più favorevole concerne la non assoggettabilità del dipendente alle fasce orarie di reperibilità e la conseguente astensione da parte dell'Amministrazione di richiedere la visita fiscale (Pareri Funzione Pubblica n. 2 del 15 marzo 2010 e n. 30536 del 24/7/2012; DM 206/2017 - nuovo Regolamento sule visite fiscali- che per quanto concerne l'esenzione dalle visite fiscali richiede "stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%").
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Data di pubblicazione: 03/12/2025
Il CCNL di comparto non prevede l’introduzione di alcuna “clausola etica”. Le sole clausole previste sono stabilite all’art. 8, comma 10: “I contratti collettivi integrativi devono contenere apposite clausole circa tempi, modalità e procedure di verifica della loro attuazione.”. Spesso la parte sindacale si fa sostenitrice della tesi secondo la quale tutto ciò che è frutto di accordo tra le parti ha valore giuridico. Alla tesi va comunque obiettato che le materie di contrattazione e di possibile accordo sono ben chiaramente stabilite all’art. 30, comma 4, lettera c) e a queste occorre attenersi. Inoltre, posto che la contrattazione integrativa non può modificare quanto stabilito a livello contrattuale superiore, è difficile pensare che una clausola del genere possa passare il visto dell’organo di controllo. La clausola etica, peraltro, non si comprende perché venga chiamata "etica". Sostanzialmente, sembra celare la palese finalità di non concentrare incarichi e relativi compensi su un numero limitato di persone al fine di operare una ecumenica redistribuzione delle risorse tra il restante personale, in modo che sia più ampia la base dei beneficiari, a prescindere dal merito e della necessità di premiare chi si impegna di più. Si consiglia pertanto di contrastare l’introduzione della clausola, in difesa del diritto del personale scolastico di vedere riconosciuto l’impegno effettivamente profuso a vantaggio dell’offerta formativa e dell’organizzazione funzionale dell’istituto, esattamente come prevede l’art. 40, comma 3-bis, del D.lgs. 165/2001, laddove si dichiara che: “La contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l'impegno e la qualità della performance, destinandovi, per l'ottimale perseguimento degli obiettivi organizzativi ed individuali, una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati.”. Quindi coloro che contribuiscono maggiormente all’efficienza e alla produttività del servizio scolastico meritano di essere retribuiti in proporzione al valore prodotto e a quanto il contratto integrativo d’istituto ha stabilito, non di incorrere in un illegittimo taglio di quanto spetterebbe loro per vincolo contrattuale. Non va dimenticato, per altro, che spesso coloro che si fanno carico di forme diverse di collaborazione non controllano l’orario effettivo di impegno, per cui già percepiscono compensi non esattamente correlati al lavoro svolto e all’entità del tempo impiegato. Non è escluso che sulla questione possa essere utile un’interlocuzione informale con i revisori dei conti, in modo da verificare la loro posizione in merito e, se possibile, sgomberare il tavolo sindacale da questo ingombrante ostacolo.
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Data di pubblicazione: 03/12/2025
Per quanto riguarda la durata, il novellato comma 5-bis dell'art. 42 del D.Lgs. n. 151 del 2001 precisa che “il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa”. Ad avviso della Funzione Pubblica (Circolare n. 1/2012) dalla disposizione si evince un duplice principio: da un lato, la norma stabilisce che ciascuna persona in situazione di handicap grave ha diritto a due anni di assistenza a titolo di congedo straordinario da parte dei famigliari individuati dalla legge, dall'altro, il famigliare lavoratore che provvede all'assistenza può fruire di un periodo massimo di due anni di congedo per assistere i famigliari disabili. Al riguardo, si deve tener conto del fatto che il congedo di cui all'art. 42, commi 5 ss., rappresenta una species nell'ambito del genus di congedo disciplinato dall'art. 4, comma 2, della L. n. 53 del 2000. Tale disposizione stabilisce che “i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni”. Pertanto, il “contatore” complessivo a disposizione di ciascun dipendente è comunque quello di due anni nell'arco della vita lavorativa, a prescindere dalla causa specifica per cui il congedo è fruito. La Funzione Pubblica chiarisce, così, che utilizzati i due anni, ad esempio, per il congedo ex art. 42, commi 5 ss., il dipendente avrà esaurito anche il limite individuale per “gravi e documentati motivi familiari”. Trattandosi di limite massimo individuale, ad un lavoratore o una lavoratrice che nel tempo avesse fruito, ad es., di un anno e quattro mesi di permessi anche non retribuiti “per gravi e documentati motivi familiari”, il congedo di cui all'art. 42, comma 5, potrà essere riconosciuto solo nel limite di otto mesi. L'INPS, con la Circolare n. 32 del 2012, ha precisato che destinatario della norma in esame è la persona disabile in situazione di gravità: questi ha diritto a due anni di assistenza a titolo di congedo straordinario da parte dei familiari individuati dalla legge. Al riguardo si deve tener conto, altresì, che “i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni” (art. 4, comma 2, della Legge 8/3/2000, n. 53). Pertanto, dovendosi considerare il congedo straordinario compreso nell'ambito massimo di due anni nell'arco della vita lavorativa, si chiarisce, a titolo esemplificativo, che utilizzati i due anni, ad esempio per il primo figlio, il genitore avrà esaurito anche il limite individuale per “gravi e documentati motivi familiari”. In tale caso il congedo straordinario potrà essere fruito, oltre che dall'altro genitore, anche, nei casi previsti dalla legge, dal coniuge, dai figli o dai fratelli del soggetto con handicap grave (es. il secondo figlio disabile), naturalmente con decurtazione di eventuali periodi dagli stessi utilizzati a titolo di congedo per gravi e documentati motivi familiari. L'INPS chiarisce, altresì, che, trattandosi di limite massimo individuale, ad un lavoratore o una lavoratrice che nel tempo avesse fruito (anche per motivi non riguardanti il disabile in situazione di gravità), ad es., di un anno e quattro mesi di permessi anche non retribuiti “per gravi e documentati motivi familiari”, il congedo straordinario di cui trattasi potrà essere riconosciuto solo nel limite di otto mesi: ovviamente la differenza fino ai due anni - e cioè un anno e quattro mesi - potrà invece essere riconosciuta all'altro genitore (purché questi non abbia mai fruito di congedo per motivi familiari o ne abbia beneficiato per non oltre otto mesi: si veda al riguardo la Circolare n. 64/2001). La Corte di Cassazione, con la Sentenza del 5 maggio 2017 n. 11031, fornendo una interpretazione più estensiva rispetto a quelle precedentemente affermate dalla Funzione Pubblica (Cfr. Circolare n. 1/2012) e dall'INPS (Cfr. Circolare n. 32/2012) ha affermato che il diritto al congedo per assistere soggetto in stato di handicap grave, di cui all'art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, deve essere inteso nel senso che il previsto limite biennale - non superabile nell'arco della vita lavorativa anche nel caso di godimento cumulativo di entrambi i genitori - si riferisce a ciascun figlio in stato di handicap grave, in modo da non lasciarne alcuno privo della necessaria assistenza che la legge è diretta ad assicurare (Cfr. da ultimo Cass. 23/11/2020, n. 26605). Nella motivazione della Sentenza n. 26605 citata si legge " Con sentenza n. 695 del 7 novembre 2013, la Corte d'appello di Venezia ha rigettato l'impugnazione proposta dall'Inps avverso la sentenza di primo grado di accoglimento della domanda proposta da XXX al fine di ottenere il riconoscimento del proprio diritto a fruire del congedo di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42 nel limite massimo di due anni per ciascuno dei propri figli affetti entrambi da handicap grave". Ed ancora " Con l'unico motivo di ricorso, l'INPS denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, comma 5, nel testo vigente ratione temporis, della L. n. 53 del 2000, art. 4, comma 2 e del D.M. 21 luglio 2000, n. 278, art. 2, comma 2, ed illustra il motivo precisando che la fattispecie in esame è relativa alla riconoscibilità del congedo biennale di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, comma 5 al caso di un genitore che, avendo già fruito di due anni del congedo di cui alla L. n. 53 del 2000, art. 4, comma 2 per assistere la figlia secondogenita portatrice di handicap grave, chiede di beneficiare di ulteriori due anni di congedo per assistere il terzo figlio, pure portatore di handicap, nel corso dell'anno 2007. Ad avviso dell'INPS non è possibile fruire più di una volta del congedo biennale nell'arco della vita lavorativa come specificato dal D.M. 21 luglio 2000, n. 278 e dall'art. 4, comma 2, cit. che parla espressamente di "un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni". La scelta legislativa, ad avviso del ricorrente, costituisce frutto del bilanciamento tra la tutela di situazioni familiari gravose e l'interesse alla produttività nazionale ex art. 41 Cost., anche in considerazione che, qualora ve ne fosse necessità, potrebbe fruire del congedo biennale in via ulteriore l'altro genitore che non ne abbia usufruito"......."Il motivo è infondato...." Alla luce del recente orientamento giurisprudenziale la madre ha il diritto al raddoppio del congedo per ciascun figlio in stato di disabilità grave. Come noto, l’assenza dal servizio per questo congedo deve essere regolarizzata con decreto. che deve essere inviato alla competente RTS per il visto di regolarità amministrativo - contabile ai sensi del DPR 123/2011. Si suggerisce di evidenziare nel provvedimento la spettanza del congedo per ogni figlio alla luce della citata giurisprudenza che andrà quindi richiamata. In caso di rilievo della RTS, il DS potrà chiedere un parere all’Avvocatura dello Stato competente al fine di valutare se procedere o meno con la richiesta di visto forzoso.
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Data di pubblicazione: 02/12/2025
Con la pubblicazione nella G.U. del 4/9/2023 del decreto legislativo n. 120 del 29 agosto 2023 sono state apportate numerose modifiche alla disciplina del lavoro sportivo ivi compresa la questione della compatibilità dei dipendenti pubblici. Più specificamente il decreto, entrato in vigore il 5 settembre 2023, ha dettato disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 28 febbraio 2021, nn. 36, 37, 38, 39 e 40. Il nuovo art. 25 del decreto 28/02/2021 - n. 36 disciplina la figura del lavoratore sportivo E' lavoratore sportivo l'atleta, l'allenatore, l'istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l'attività sportiva verso un corrispettivo a favore di un soggetto dell'ordinamento sportivo iscritto nel Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, nonché a favore delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva, delle associazioni benemerite, anche paralimpici, del CONI, del CIP e di Sport e salute S.p.a. o di altro soggetto tesserato. È lavoratore sportivo ogni altro tesserato, ai sensi dell'articolo 15, che svolge verso un corrispettivo a favore dei soggetti di cui sopra le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti tecnici della singola disciplina sportiva, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esclusione delle mansioni di carattere amministrativo-gestionale. Non sono lavoratori sportivi coloro che forniscono prestazioni nell'ambito di una professione la cui abilitazione professionale è rilasciata al di fuori dell'ordinamento sportivo e per il cui esercizio devono essere iscritti in appositi albi o elenchi tenuti dai rispettivi ordini professionali. Ricorrendone i presupposti, l'attività di lavoro sportivo può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell'articolo 409, comma 1, n. 3 del codice di procedura civile. Il nuovo comma 6 dell'art. 25 prevede che i lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono prestare in qualità di volontari la propria attività nell'ambito delle società e associazioni sportive dilettantistiche, delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate, delle associazioni benemerite e degli Enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici, e direttamente dalle proprie affiliate se così previsto dai rispettivi organismi affilianti, del CONI, del CIP e della società Sport e salute S.p.a., fuori dall'orario di lavoro, fatti salvi gli obblighi di servizio, previa comunicazione all'amministrazione di appartenenza. In tali casi a essi si applica il regime previsto per le prestazioni sportive dei volontari di cui all'articolo 29, comma 2. L'articolo da ultimo citato prevede che le prestazioni sportive dei volontari non sono retribuite in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Ai volontari sportivi possono essere riconosciuti rimborsi forfettari per le spese sostenute per attività svolte anche nel proprio comune di residenza, nel limite complessivo di 400 euro mensili, in occasione di manifestazioni ed eventi sportivi riconosciuti dalle Federazioni sportive nazionali, dalle Discipline sportive associate, dagli Enti di promozione sportiva, anche paraolimpici, dal CONI, dal CIP e dalla società Sport e salute S.p.a. purché questi ultimi individuino, con proprie deliberazioni, le tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso. Gli enti eroganti sono tenuti a comunicare i nominativi dei volontari sportivi che nello svolgimento dell'attività sportiva ricevono i rimborsi forfettari e l'importo corrisposto a ciascuno attraverso il Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, in apposita sezione del Registro stesso, entro la fine del mese successivo al trimestre di svolgimento delle prestazioni sportive del volontario sportivo. Tale comunicazione è resa immediatamente disponibile, per gli ambiti di rispettiva competenza, all'Ispettorato nazionale del lavoro, all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). La suddetta comunicazione è messa a disposizione tramite la piattaforma digitale nazionale dati di cui all'articolo 50-ter del codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché tramite il sistema pubblico di connettività di cui all'articolo 73 del medesimo codice dell'amministrazione digitale, senza nuovi o maggiori oneri a carico delle amministrazioni di riferimento. I rimborsi di cui al presente comma non concorrono a formare il reddito del percipiente. Detti rimborsi concorrono al superamento dei limiti di non imponibilità previsti dall'articolo 35, comma 8-bis , e costituiscono base imponibile previdenziale al relativo superamento, nonché dei limiti previsti dall'articolo 36, comma 6. L'art. 25 al comma 6 contempla anche la diversa fattispecie in cui sia prevista una retribuzione per l'attività sportiva prestata disponendo che qualora l'attività dei dipendenti pubblici rientri nell'ambito del lavoro sportivo e preveda il versamento di un corrispettivo, superiore all'importo complessivo di euro 5.000 annui, la stessa può essere svolta solo previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza che la rilascia o la rigetta entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, sulla base di parametri definiti con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con l'Autorità politica delegata in materia di sport, sentiti il Ministro della difesa, il Ministro dell'interno, il Ministro dell'istruzione e del merito e il Ministro dell'università e delle ricerca. Se, decorso il termine di cui sopra, non interviene il rilascio dell'autorizzazione o il rigetto dell'istanza, l'autorizzazione è da ritenersi in ogni caso accordata. In tal caso si applica il regime previsto per le prestazioni sportive di cui all'articolo 35, commi 2, 8-bis e 8-ter (trattamento pensionistico) e all'articolo 36, comma 6 (I compensi di lavoro sportivo nell'area del dilettantismo non costituiscono base imponibile ai fini fiscali fino all'importo complessivo annuo di euro 15.000,00. In ogni caso, tutti i singoli compensi per i collaboratori coordinati e continuativi nell'area del dilettantismo inferiori all'importo annuo di 85.000 euro non concorrono alla determinazione della base imponibile di cui agli articoli 10 e 11 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446). Pertanto, se l’attività dei lavoratori dipendenti pubblici rientra nell’ambito del lavoro sportivo e si prevede il versamento di un corrispettivo, l’attività potrà essere svolta solo previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza da rilasciare o da rigettare entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta, con meccanismo di silenzio-assenso. Il Decreto 10 novembre 2023 "Parametri per il rilascio delle autorizzazioni allo svolgimento di attività di lavoro sportivo retribuita al personale delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165" è stato pubblicato in G.U. Serie Generale n. 296 del 20/12/2023. Il citato decreto individua i parametri sulla base dei quali le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, valutano la sussistenza delle condizioni per il rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività di lavoro sportivo retribuita, di cui al decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, da parte dei dipendenti pubblici. Ai fini del rilascio dell'autorizzazione le amministrazioni titolari del rapporto di lavoro devono autorizzare lo svolgimento dell'attività di lavoro sportivo al verificarsi delle seguenti condizioni: a) assenza di cause di incompatibilità di diritto, che possano ostacolare l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente. La valutazione deve essere effettuata tenendo presente la qualifica del dipendente, la posizione professionale e le attività assegnate; b) l'insussistenza di conflitto di interessi in relazione all'attività lavorativa svolta nell'ambito dell'amministrazione. L'attività di lavoro sportivo autorizzata deve essere svolta al di fuori dell'orario di lavoro e non deve pregiudicare il regolare svolgimento del servizio ne' intaccare l'indipendenza del lavoratore, esponendo l'amministrazione al rischio di comportamenti che non siano funzionali al perseguimento dei canoni di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. Resta fermo che l'attività autorizzata, in relazione al tempo di svolgimento e alla durata della prestazione di lavoro sportivo, non deve pregiudicare il regolare svolgimento delle attività dell'ufficio cui il dipendente è assegnato. A tal fine, in relazione ai dipendenti che svolgono attività a contatto con il pubblico, le amministrazioni verificano, ai fini dell'autorizzazione, che la prestazione di lavoro sportivo non confligga con il regolare e ordinato svolgimento del servizio. L'amministrazione, per i dipendenti con rapporto di lavoro a TEMPO PIENO, verifica, altresì, che la prestazione di lavoro sportivo non rivesta carattere di prevalenza in relazione al tempo e alla durata. Si considera PREVALENTE l'attività che impegna il dipendente per un tempo superiore al 50% dell'orario di lavoro settimanale stabilito dal contratto collettivo nazionale di riferimento. Le condizioni previste per il rilascio dell'autorizzazione di cui al comma 1, lettera a) e b), devono sussistere congiuntamente e permanere per tutta la durata di svolgimento dell'attività di lavoro sportivo da parte del dipendente. La scuola dovrà quindi chiedere specifiche al dipendente su come verrà svolta l'attività al fine di valutare se ci sono i presupposti per concedere l’autorizzazione secondo quanto sopra esposto. Tuttavia è fondamentale verificare se viene superata o meno la somma di 5000 euro all’anno a titolo di corrispettivo. Infatti, si rileva che l'art. articolo 3, comma 1, lettera a), del D.L. 31 maggio 2024, n. 71, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2024, n. 106, ha aggiunto la lettera f-ter) al comma 6 dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 ai sensi della quale per le prestazioni di lavoro sportivo, fino all'importo complessivo di 5.000 euro annui, non è necessaria l'autorizzazione preventiva ma è sufficiente la comunicazione preventiva. Nel quesito viene detto che il compenso è superiore a 5000 euro ( fino a 15.000 euro) quindi occorre l’autorizzazione e non la semplice comunicazione. Nella bozza di contratto ( di lavoro autonomo occasionale e non di co.co.co.) non si fa riferimento all’articolazione oraria dell’attività lavorativa, elemento necessario per capire se trattasi di attività prevalente o meno. Pertanto, il DS dovrà chiedere chiarimenti in merito a quanto sopra detto per verificare se trattasi di attività autorizzabile o meno in applicazione delle previsioni del Decreto sopra esposto.
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Data di pubblicazione: 02/12/2025
Gentile utente, in risposta alla richiesta di chiarimenti sulle retribuzioni da certificare nelle posizioni assicurative nell'area riservata NUOVA PASSWEB, si rappresenta quanto segue. La differenza riscontrata è spiegabile in quanto, a seguito della riforma Fornero (L. 214/2011), il sistema di calcolo pensionistico è passato progressivamente da un criterio retributivo ad un criterio contributivo, con la conseguenza che: - gli imponibili comunicati dal MEF all’INPS, tramite flussi DMA/UNIEMENS, non sono più maggiorati del 18%; - l’imponibile ai fini del montante contributivo è costituito esclusivamente dalle retribuzioni effettivamente assoggettate a contribuzione, come risultanti dal cedolino. Pertanto, la scuola deve certificare in PASSWEB gli importi presenti nella posizione assicurativa, se alimentati dal MEF, poiché tali valori rappresentano l’imponibile contributivo effettivamente versato dal datore di lavoro, che costituisce la base per il calcolo del montante individuale. Resta fermo che la colonna "Q" delle tabelle Stanizzi è utilizzabile per la ricostruzione degli imponibili pensionistici in PASSWEB dal 1993 al 2010.
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Data di pubblicazione: 02/12/2025
L’art. 42 del DPR 1092/73 prevede che il dipendente civile che cessa dal servizio per raggiungimento del limite di età o per infermità non dipendente da causa di servizio ha diritto alla pensione normale se ha compiuto quindici anni di servizio effettivo. Il riferimento è quindi all’accertamento dell’inidoneità ai sensi del DPR 171 del 2011 che ha abrogato la precedente disciplina della dispensa per infermità prevista nel TU di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994 Ciò premesso, in punto di norma il dipendente a t.d. non può essere sottoposto a visita collegiale. Infatti, ai sensi del DPR 171/2011, art. 3, il dirigente scolastico avvia la procedura per l'accertamento dell'inidoneità psicofisica del dipendente, in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova, nei seguenti casi: a) assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento (cfr CCNL Scuola art. 17 non modificato dal CCNL 2024); b) disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti, che fanno fondatamente presumere l'esistenza dell'inidoneità psichica permanente assoluta o relativa al servizio; c) condizioni fisiche che facciano presumere l'inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio. Pertanto, il presupposto è che trattasi di personale che ha comunque superato l'anno di prova. Ad ogni modo, si deve, altresì, osservare che la prassi, riscontrata anche nei nostri corsi di formazione in materia e nei quesiti che ci vengono posti, è quella dell'invio anche del personale a t.d. (o che non ha superato il periodo di prova) a visita collegiale in presenza di condizioni psico fisiche che ne facciano presumere un'inidoneità (anche relativa) al lavoro. Le Commissioni non rifiutano in sostanza l'effettuazione degli accertamenti con la precisazione che dette visite comunque hanno la finalità di accertare se il dipendente, seppur a t.d. o che non ha superato il periodo di prova, sia idoneo a prestare servizio e ciò al fine della tutela della sua incolumità. Pertanto, se le condizioni di salute o comportamentali sono effettivamente tali da rappresentare indice di una inidoneità al servizio, tale anche da comportare rischi per la stessa salute del dipendente, si ritiene che la scuola possa procedere a richiesta di visita collegiale motivando la suddetta richiesta alla luce delle condizioni di salute che fanno, per l'appunto, presumere una inidoneità al servizio. Anche in giurisprudenza è stato affermato che ai sensi dell'art. 3, terzo comma, DPR n. 171/2011 è legittima la sottoposizione a visita del dipendente anche durante il periodo di prova quando detto periodo, anche in virtù del disposto dell'art. 438 D.Lgs. n. 297/1994, si protragga per un tempo indefinito. Infatti, la Corte di Cassazione, con la Sentenza 16/12/2021 n. 40406, nel confermare la Sentenza n. 201 del 2019 della Corte di Appello di Genova, ha affermato che l'art. 3 del DPR 27 luglio 2011 n. 171 attribuisce l'iniziativa per l'avvio della procedura di accertamento dell'inidoneità psicofisica permanente all'Amministrazione di appartenenza del dipendente ovvero al dipendente interessato, in entrambe le ipotesi “in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova”. La norma non intende assicurare un beneficio al dipendente in prova, che non sarebbe consentito dalla norma primaria, in quanto essa non esonera dal licenziamento per inidoneità psicofisica il lavoratore in prova; piuttosto, il regolamento rinvia ogni accertamento al riguardo all'esito della valutazione della prova, che potrebbe ex se determinare la risoluzione del rapporto di lavoro (dispensa per mancato superamento della prova). Il regolamento ha riguardo all'ipotesi ordinaria, in cui la prova ha carattere temporaneo; a voler ammettere che, in caso di mancato compimento del periodo di 180 giorni di servizio, possano esservi proroghe ripetute, per un tempo potenzialmente illimitato, sarebbe evidente il venir meno della temporaneità della prova. La Cassazione ha quindi ritenuta legittima , la procedura prevista dal DPR n. 171/2011, attivata dall'amministrazione scolastica una volta decorsi i primi due anni scolastici di prova, senza che da parte del docente sia stato prestato servizio per il periodo minimo di 180 giorni; trattasi di situazione diversa da quella del quesito ma un utile appiglio, in senso analogico, all'invio a visita collegiale anche del personale non confermato in ruolo in caso di evidente necessità di accertamento delle condizioni di salute. In tal senso si registra la Nota USR Piemonte del 25 novembre 2022 n.17320 che sul punto ha così specificato " Il Regolamento recato dal d.P.R. n. 171/2011 condiziona l’avvio del procedimento di accertamento dell’idoneità al fatto che il dipendente abbia superato il periodo di prova. La disciplina normativa pertanto esclude formalmente dalla procedura attivabile innanzi alla Commissione medica di verifica il personale a tempo determinato (art. 3). La limitazione introdotta dal dettato normativo pone un evidente discrimine tra le tutele della salute previste a favore del lavoratore a tempo indeterminato che abbia superato il periodo di prova, e i lavoratori che non lo hanno ancora superato o addirittura che versano in condizioni di precarietà. A fronte del dettato normativo non sono infrequenti le richieste da parte dei dirigenti scolastici di verifica presso la Commissione medica anche nei confronti del personale a tempo determinato il cui comportamento in servizio abbia fatto presumere la sussistenza di patologie invalidanti per la prosecuzione del rapporto. In questi casi la Commissione medica di verifica valuterà se procedere all’accertamento essendo in gioco la tutela dell’incolumità, oltre che del dipendente, anche del resto della comunità scolastica allorquando i comportamenti posti in essere costituiscano fonte di pericolo, o se inoltrare ai sensi della legge 241/1990 ad altra istituzione competente. Il problema semmai sarà quello di individuare i provvedimenti da adottare a seconda dell’esito del giudizio medico. Infatti, mentre nel caso in cui venga accertata un’inidoneità assoluta allo svolgimento del servizio il dipendente potrà essere collocato in malattia d’ufficio fino al termine del contratto, nell’ipotesi di inidoneità relativa non sarà possibile per il supplente procedere alla stipula di un contratto che ne consenta l’utilizzazione temporanea in altri compiti dal momento che anche il CCNI del 25 giugno 2008 esclude detto personale dall’applicazione della relativa disciplina (art. 2, comma 1). Qualche apertura si ritrova nella giurisprudenza del giudice del lavoro che, in una recente pronuncia, ha preso posizione sull’argomento anche se limitatamente al caso del docente in prova. Il caso di specie prende le mosse dall’impugnazione del licenziamento irrogato ai sensi dell’art. 6, comma 3 del d.P.R. n. 171/2011 a un docente in anno di formazione e prova rifiutatosi, per tre volte e senza giustificazione, di sottoporsi alle visite medico collegiali richieste dal dirigente scolastico per la verifica dell’idoneità. Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione la ricorrente, che si era vista prorogare per più di un anno scolastico il periodo di prova a causa del mancato raggiungimento dei 180 giorni richiesti ai fini della valutazione, riteneva di non poter essere legittimamente sottoposta a visita proprio perché non ancora confermata in ruolo e, sulla base di tale interpretazione del dettato normativo, si rifiutava di presentarsi alle convocazioni da parte della Commissione medica. Il giudice del lavoro ha ritenuto illegittimo il rifiuto opposto dalla lavoratrice che, in questo modo, non presentandosi a lavoro, avrebbe determinato il protrarsi del periodo di prova illimitatamente. Da altro lato ha ritenuto legittimo l’operato dell’amministrazione scolastica che, una volta decorsi i primi due anni dalla prova, correttamente ha dato avvio alla procedura prevista dal d.P.R. n. 171/2011. Secondo i giudici di legittimità, infatti, la diversa interpretazione (letterale) orientata ad escludere la possibilità di visita nel periodo di prova non sarebbe compatibile con un’organizzazione orientata al buon andamento dell’amministrazione scolastica perché legittimerebbe una situazione in cui una cattedra viene occupata da un soggetto che non presta servizio per lungo tempo, pur percependo la retribuzione, senza alcuna possibilità di verificarne la sua idoneità al servizio e costringendo il dirigente a ricorrere a supplenze temporanee con conseguente pregiudizio per l’utenza e per la continuità didattica". Pertanto, a nostro avviso, stante la domanda del dipendente, si suggerisce comunque di attivare la relativa richiesta di visita collegiale all'INPS competente che deciderà poi se attivare la visita collegiale. Solo se l'INPS emetterà verbale di inidoneità permanente e assoluta la scuola dovrà procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi del DPR 171/2011 emettendo apposito provvedimento. Per il riconoscimento della pensione di inabilità il verbale dovrà fare riferimento anche alla sussistenza dei requisiti di cui alla Legge n. 335/1995.
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Data di pubblicazione: 02/12/2025
Si chiede se è possibile richiedere autorizzazioni (per uscite a anticipate, PDP; privacy, uscite didattiche...), ai genitori, per alunni minorenni...
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Data di pubblicazione: 02/12/2025
Come già evidenziato in occasione i analoghi quesiti, va fatto presente che nulla osta che un docente con cattedra oraria su più istituzioni scolastiche possa prestarsi come accompagnatore delle classi in occasione di visite guidate e viaggi di istruzione. Ovviamente si tratta di una “disponibilità”, non di un obbligo di servizio né di attività funzionale all’insegnamento di cui all’articolo 44, comma 3, del CCNL comparto “Istruzione e ricerca” 2019-2021. Ciò detto, affinché il docente in comune tra due istituzioni scolastiche partecipi a iniziative della scuola X che si svolgono in orario coincidente con quello di servizio presso la scuola Y, è necessario che siano rispettati i seguenti passaggi: - il docente è tenuto a comunicare alla scuola Y l’eventuale partecipazione ad attività didattiche promosse dalla scuola X affinché la prima valuti se la sua assenza sia sostenibile sul piano organizzativo, con particolare riferimento alla possibilità di sostituirlo senza particolari aggravi; - la scuola Y, verificata la compatibilità tra l’assenza del docente e le esigenze organizzative: • dà l’assenso allo svolgimento del suo servizio presso la scuola X, giustificando validamente la mancata prestazione lavorativa secondo in consueto orario settimanale. Peraltro, a nulla rileva che il docente sia impegnato nella scuola X in giorno diverso dal programmato ai fini della copertura assicurativa. Infatti, egli fornisce la sua prestazione lavorativa nell’ambito di attività quali i viaggi di istruzione e le visite guidate di norma ricomprese nell’offerta formativa di ogni istituzione scolastica e, quindi, garantite dal punto di vista assicurativo; oppure • non dà l’assenso e non autorizza il docente a partecipare alla visita di istruzione. Con riferimento, invece, al mancato recupero delle ore, è prassi consolidata che in circostanze del genere le istituzioni scolastiche coinvolte interloquiscano tra loro, anche nell’eventualità che situazioni simili possano ripresentarsi a parti capovolte, nell’ottica della piena collaborazione e della reciprocità. Risulterebbe, pertanto, ben poco in linea con tale spirito un eventuale preventivo rifiuto dell’altra scuola di una “restituzione” delle ore che, sia chiaro, non è un’operazione obbligatoria (il docente, infatti, ha comunque garantito la prestazione lavorativa) ma finalizzata prioritariamente al recupero delle attività non svolte da parte delle classi interessate.
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Data di pubblicazione: 02/12/2025
I permessi spettanti sono i seguenti previsti dall'art. 79 del D.Lgs. n. 267 del 2000. - Comma 1. I lavoratori dipendenti, pubblici e privati, componenti dei consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti, hanno diritto di assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento. Nel caso in cui i consigli si svolgano in orario serale, i predetti lavoratori hanno diritto di non riprendere il lavoro prima delle ore 8 del giorno successivo; nel caso in cui i lavori dei consigli si protraggano oltre la mezzanotte, hanno diritto di assentarsi dal servizio per l'intera giornata successiva (il comma 1 si applica ai casi di cui al quesito). - Comma 3. I lavoratori dipendenti facenti parte delle giunte comunali, provinciali, metropolitane, delle comunità montane, nonché degli organi esecutivi dei consigli circoscrizionali, dei municipi, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, ovvero facenti parte delle commissioni consiliari o circoscrizionali formalmente istituite nonché delle commissioni comunali previste per legge, ovvero membri delle conferenze dei capogruppo e degli organismi di pari opportunità, previsti dagli statuti e dai regolamenti consiliari, hanno diritto di assentarsi dal servizio per partecipare alle riunioni degli organi di cui fanno parte per la loro effettiva durata. Il diritto di assentarsi di cui al presente comma comprende il tempo per raggiungere il luogo della riunione e rientrare al posto di lavoro. - Comma 4. I componenti degli organi esecutivi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle unioni di comuni, delle comunità montane e dei consorzi fra enti locali, e i presidenti dei consigli comunali, provinciali e circoscrizionali, nonché I PRESIDENTI DEI GRUPPI CONSILIARI DELLE PROVINCE E DEI COMUNI CON POPOLAZIONE SUPERIORE A 15.000 ABITANTI, hanno diritto, oltre ai permessi di cui ai precedenti commi, di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un massimo di 24 ore lavorative al mese, elevate a 48 ore per i sindaci, presidenti delle province, sindaci metropolitani, presidenti delle comunità montane, presidenti dei consigli provinciali e dei comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti (il comma in questione si applica ad uno dei due casi di cui al quesito). Il comma 4 si riferisce ai componenti degli organi esecutivi dei comuni indipendentemente dalla popolazione del comune. - Comma 5. I lavoratori dipendenti di cui al presente articolo hanno diritto ad ulteriori permessi non retribuiti sino ad un massimo di 24 ore lavorative mensili qualora risultino necessari per l'espletamento del mandato. Il comma 6 prevede che l'attività ed i tempi di espletamento del mandato per i quali i lavoratori chiedono ed ottengono permessi, retribuiti e non retribuiti, DEVONO ESSERE PRONTAMENTE E PUNTUALMENTE DOCUMENTATI MEDIANTE ATTESTAZIONE DELL'ENTE. Pertanto, il dipendente deve consegnare la relativa documentazione e, in caso di autocertificazione (ferma restando la giurisprudenza di cui diremo nel prosieguo della presente risposta) la scuola dovrà procedere con i relativi controlli ai sensi del DPR 445/2000 presso l'Amministrazione di riferimento (non si tratta di accesso agli atti). La necessità di attestazione riguarda le varie tipologie di permessi, siano essi retribuiti oppure no, e sia che riguardino la partecipazione alle riunioni dei diversi organi dei quali l'amministratore è componente (e per i quali la legge riconosce il diritto ad usufruire dei permessi) sia che attengano alle ulteriori attività politico-amministrative svolte dall'amministratore nel monte ore massimo concessogli dalla legge (cfr Corte dei Conti, sezione giurisdizionale dell'Umbria, sentenza del 18 maggio 1999, n. 379 relativa alla disciplina dei permessi contenuta nella legge 27 dicembre 1985, n. 816, di contenuto analogo all'attuale articolo 79 TUEL). I permessi per la partecipazione alle riunioni degli organi non sono soggetti a limitazione temporale, mentre i permessi per l'espletamento del mandato sono limitati al monte ore mensile fissato per legge. Nel primo caso dovrà risultare, tramite attestazione dell'Ente, l'ora di inizio della riunione o quella successiva nel caso in cui l'amministratore sia arrivato in un secondo momento e quella della fine dei lavori o quella, eventualmente precedente, in cui l'interessato si sia definitivamente allontanato. Dovrà, altresì, risultare il tempo impiegato per lo spostamento da e per il luogo di lavoro. Più specificamente, l'attestazione dovrà fare riferimento alla sola presenza dell'amministratore alle relative riunioni presso l'ente locale e alla durata delle stesse e non invece, ai tempi di percorrenza per il viaggio di andata e ritorno che potranno invece essere attestati dallo stesso amministratore con un'autodichiarazione di cui all'art. 47 del DPR 28 dicembre 2000, n. 445, corredata dalla documentazione, biglietti di viaggio o pedaggi autostradali, eventualmente in possesso (cfr Ministero dell'Interno, parere del 30 aprile 2014). Con riferimento, invece, all'attestazione relativa alle ore di permesso per l'espletamento del mandato, relativamente a quelle utilizzate per attività non espressamente documentate agli atti dell'ente, il Ministero dell'Interno ha ritenuto che, in tal caso, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui all'articolo 47 del DPR 445/2000, sia idonea a giustificare l'assenza (cfr. Ministero dell'Interno, pareri del 19 gennaio 2015 e del 10 giugno 2014). Seppur sul punto si è registrata una giurisprudenza non proprio pacifica, da ultimo, la Corte dei Conti del Lazio, con la Sentenza n.812/2022 ha così affermato "Con pareri del 17 maggio 2005 e 19 gennaio 2015, resi sull’interpretazione del citato art. 79, il Ministero dell’interno, come correttamente segnalato dal convenuto, ha sancito, secondo i principi generali in materia di semplificazione amministrativa, la piena equiparabilità tra certificazioni dell’ente e autodichiarazioni: “Per quanto concerne la possibilità di sostituire l’attestazione per i permessi con una autocertificazione, si rappresenta che la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui all’art. 47 d.P.R. 28.12.2000, n. 445, fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, ha la stessa validità legale dell’atto che sostituisce, tanto più che, nella fattispecie, tale dichiarazione viene effettuata da un amministratore locale investito di pubbliche funzioni”. Oltre alle autocertificazioni, il convenuto ha fornito, con riferimento alle stesse, una prova dello svolgimento di varia attività istituzionale presso l’ente locale nella qualità di consigliere comunale e capogruppo. Infatti, ha depositato esaustive dichiarazioni del segretario comunale e del responsabile dell’ufficio urbanistico-edilizio, cui si fa rinvio, dalle quali risulta, anche attraverso richieste di accesso tramite mail protocollate dal Comune o risultanti dal calendario degli appuntamenti del funzionario responsabile del settore urbanistica, che il convenuto si è recato in modo continuativo a prendere visione ed estrarre copia di atti, contratti, ordinanze, ricorsi, fascicoli amministrativi, finanziamenti pubblici assegnati e non, nonché ad acquisire informazioni -anche per le vie brevi- attraverso colloqui con il personale addetto ai settori di riferimento, anche al fine di presentare oltre 100 proposte tra delibere giuntali e consiliari. Le autodichiarazioni redatte dal convenuto, dunque, risultano confermate dalle predette dichiarazioni rilasciate da organi competenti dell’ente locale. PERTANTO, AD AVVISO DEL COLLEGIO, È POSSIBILE PROVARE LO SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ ISTITUZIONALI ANCHE INDIPENDENTEMENTE DA ATTESTAZIONI FORMALI DELL’ENTE LOCALE, QUANDO SUSSISTONO, COME NEL CASO DI SPECIE, PLURIMI E CONCORDANTI INDIZI CHE DEPONGONO, VALUTATI ALLA LUCE DEL PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA, PER LO SVOLGIMENTO DI FATTO DELLE ATTIVITÀ AUTODICHIARATE. A ciò si aggiunga che, come accennato, il Ministero dell’interno nei citati pareri ha ritenuto possibile che i politici autocertifichino l’attività istituzionale svolta. Tale circostanza è idonea, in ogni caso, ad escludere l’elemento soggettivo della responsabilità imputata al convenuto. Occorre anche tener conto che l’attività istituzionale svolta dagli amministratori locali non si estrinseca solo nella partecipazione alle sedute degli organi consiliari, ma anche in attività atipiche, svolte nell’interesse della collettività locale, come dimostrato anche dal comma 4 del citato art. 79 che concede anche ai presidenti dei gruppi consiliari di assentarsi per 48 ore al mese, a prescindere da qualunque attestazione. Infatti, la disciplina legislativa del testo unico enti locali è finalizzata a bilanciare svariati interessi: quello del politico lavoratore a continuare a prestare la propria attività alle dipendenze altrui; quello della collettività a beneficiare dell’azione politica dell’eletto. La normativa su licenze e permessi, retribuiti e non, rende compatibili entrambe le attività, lasciando anche all’autonomia del politico lavoratore, alla luce del carico di lavoro e della posizione istituzionale rivestita, la fruizione dei benefici di legge. Per quanto sopra l’azione risarcitoria attivata dalla Procura regionale è infondata...".
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