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    Data di pubblicazione: 30/06/2025

  • Esame di idoneità per alunno in istruzione parentale: la validità del superamento di due classi in un anno per l'accesso alla terza media...
  • L'articolo 10 del D.Lgs 62/2017, peraltro ripreso dall'articolo 2, comma 3, del DM 5/2021, condiziona la possibilità di sostenere l'esame di idoneità alla terza classe al compimento del dodicesimo anno di età entro il 31 dicembre dell'anno di riferimento. Nessun altro prerequisito è previsto, Pertanto, ferma restando la necessità di vigilare sull'adempimento dell'obbligo di istruzione, che si espleta per gli alunni in istruzione parentale, mediante verifica della presentazione dell'istanza per sostenere l'esame di Stato in qualità di candidato privatista per la sessione 2026, si ritiene che la posizione dell'alunno sia al momento regolare.

    Data di pubblicazione: 30/06/2025

  • È possibile assegnare un docente di francese laureato in inglese un'attività di potenziamento di lingua inglese senza abilitazione specifica?
  • Per inquadrare il quesito occorre partire dalla norma che ha istituito l’organico dell’autonomia. Si fa riferimento alla Legge n. 107/2025 che, all’articolo 1, comma 5, delinea limpidamente le funzioni di detto organico così disponendo: “Al fine di dare piena attuazione al processo di realizzazione dell'autonomia e di riorganizzazione dell'intero sistema di istruzione, è istituito per l'intera istituzione scolastica, o istituto comprensivo, e per tutti gli indirizzi degli istituti secondari di secondo grado afferenti alla medesima istituzione scolastica l'organico dell'autonomia, funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche come emergenti dal piano triennale dell'offerta formativa predisposto ai sensi del comma 14. I docenti dell'organico dell'autonomia concorrono alla realizzazione del piano triennale dell'offerta formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento.” Il comma 7, inoltre, assegna alle istituzioni scolastiche il compito di individuare il fabbisogno di posti dell'organico dell'autonomia, “in relazione all'offerta formativa che intendono realizzare, nel rispetto del monte orario degli insegnamenti e tenuto conto della quota di autonomia dei curricoli e degli spazi di flessibilità, nonché in riferimento a iniziative di potenziamento dell'offerta formativa e delle attività progettuali, per il raggiungimento degli obiettivi formativi individuati come prioritari”. La legge, tra tali obiettivi, alla lettera a) riporta proprio la valorizzazione e il potenziamento “delle competenze linguistiche, con particolare riferimento all'italiano nonché alla lingua inglese e ad altre lingue dell'Unione europea, anche mediante l'utilizzo della metodologia Content language integrated learning”. L’articolo 41 del CCNL comparto “Istruzione e ricerca “ 2019-2021 del 18/01/2024, in coerenza con il dettato normativo, dispone che “I docenti in servizio che ricoprono, in ciascuna istituzione scolastica, i posti vacanti e disponibili di cui all’articolo 1, comma 63, della legge 13 luglio 2015, n. 107 appartengono al relativo organico dell’autonomia e concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa tramite attività individuali e collegiali: di insegnamento; di potenziamento; di sostegno; di progettazione; di ricerca; di coordinamento didattico e organizzativo.” Sempre il CCNL, con il comma 12 dell’articolo 43 recepisce pienamente la disposizione di legge affermando che “Il potenziamento dell’offerta formativa comprende, fermo restando quanto previsto dall’art. 44 (Attività funzionali all’insegnamento), le attività di istruzione, orientamento, formazione, inclusione scolastica, diritto allo studio, coordinamento, ricerca e progettazione previste dal piano triennale dell’offerta formativa, ulteriori rispetto a quelle occorrenti per assicurare la realizzazione degli ordinamenti scolastici, per l’attuazione degli obiettivi di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 107 del 2015. Le predette attività sono retribuite, purché autorizzate, quando eccedenti quelle funzionali e non ricomprese nell’orario di cui al presente articolo.” Nel caso in oggetto potrebbero essersi verificate due situazioni: a) che la cattedra di lingua francese sia stata assegnata all’istituzione scolastica su espressa istanza del dirigente scolastico, a valle di una accurata valutazione dei bisogni connessi alla realizzazione del PTOF; b) che tale cattedra sia stata autonomamente assegnata dall’Ufficio scolastico territoriale, senza alcun collante con le istanze dell’istituzione scolastica. Nel primo caso la declinazione di attività di potenziamento su classe di concorso altra rispetto a quella richiesta sembrerebbe uno scostamento significativo dalle ragioni che hanno portato a richiederla ragion per cui si imporrebbe una riflessione sulla valutazione a suo tempo effettuata nell’interlocuzione con l’Amministrazione. Nel secondo caso, invece, il fatto di dovere articolare su più contesti linguistici il potenziamento, prescindendo dalla cattedra di lingua straniera disponibile, avrebbe una maggiore fondatezza. In ogni caso, però, ciò che rileva è che l’inquadramento del docente in una determinata disciplina risulta del tutto recessivo rispetto all’esigenza dell’istituzione scolastica di effettuare quella “realizzazione del PTOF mediante l’organico dell’autonomia” richiamata anche nel CCNL. Ne discende che ogni docente assegnato in quota potenziamento rientra nel più ampio e collettivo obiettivo della pianificazione triennale il cui fine, come è noto, è quello di garantire il successo formativo degli alunni. Pertanto, se l’istituzione scolastica ritiene opportuno puntare al raggiungimento dell’obiettivo di cui alla lettera a) del comma 7 sopra citato, può ricorrere al docente di potenziamento di lingua francese anche per attività di potenziamento connesse alla lingua inglese. Lingua sulla quale, peraltro, in base al curriculum, dimostra di possedere competenze adeguate, avendo egli conseguito una laurea che costituisce comunque titolo di accesso per insegnarla.

    Data di pubblicazione: 30/06/2025

  • Affidamento diretto a associazione del terzo settore per corso PNRR: è possibile senza iscrizione alla camera di commercio e rea?
  • Come già detto in precedenti risposte, è noto che i rapporti con gli Enti del terzo Settore e/o gli Enti no profit in generale (Associazioni sportive dilettantistiche, Associazioni di promozione sociale, Organizzazioni di Volontariato, Associazioni culturali, ecc.) impattano su una questione molto articolata e complessa la cui disciplina trova riferimento nel Codice Civile, nel Codice del Terzo Settore (Decreto legislativo 3 luglio 2017, n.117 e ss.mm.ii.), nel decreto correttivo 105/2018, nel DM. 72 del 31.03.2021, nel TU DPR 917/1986 , nel D.Lgs. 460/1997 (Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale) , nonché nel D.Lgs. 36 del 31.03.2023. In particolare, appare necessario ricordare quanto stabilito dal punto 4 delle Linee Guida sul rapporto tra PP.AA. ed Enti del Terzo Settore del 31/03/2021, ovvero che le convenzioni costituiscono una delle forme tipiche nelle quali gli ETS possono concludere accordi di collaborazione con la PA. In particolare il D.Lgs 117/2017 - e le Linee Guida sopra richiamate - recepiscono quanto sancito dalla giurisprudenza europea che si era concentrata sul principio della gratuità e del rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate in materia di convenzioni (vedi art. 56, comma 2, D.Lgs 117/2017). Tuttavia, qualora l’ETS intenda effettuare attività commerciale (non prevalente), che tali Enti possono svolgere in rapporto alla loro natura statutaria, questi è inquadrabile quale Operatore Economico e l’attività, configurandosi come servizio, sarà regolata da un rapporto contrattuale, sottostante alla disciplina del Codice Contratti, D.Lgs 36/2023. In tale ipotesi l'Ente, deve essere in possesso di tutti i requisiti di carattere generale di cui agli artt. 94, 95 del D.Lgs 36/2023, deve presentare tutta la documentazione richiesta ad un soggetto giuridico di diritto privato e deve essere titolare di partita IVA (poiché svolge, anche se non in via prevalente, un'attività commerciale come parrebbe nel caso in trattazione) per l’emissione della fattura elettronica inerente il servizio svolto in favore della Stazione Appaltante/Scuola. Occorre a questo punto approfondire un ulteriore aspetto, ovvero alla possibilità, per gli ETS e, in generale, per tutti quegli organismi che non perseguono scopi di lucro, di essere affidatari di pubblici appalti. Appare evidente che tale materia concerne l’interazione tra la disciplina del cd. “terzo settore” (attualmente contenuta nel D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117) ed i contratti pubblici, ove il principale problema riguarda il non facile contemperamento tra il principio di concorrenza (dominante nel settore dei contratti ed appalti pubblici) ed i principi di solidarietà e sussidiarietà (dominanti nel settore ETS). Ebbene, da tempo, la giurisprudenza si è orientata in senso positivo, come ben confermato dall’importante pronuncia del Cons. Stato Sez. III, 15 gennaio 2016, n. 116, con la quale si è espressamente statuito che anche gli ETS possono partecipare alle gare pubbliche. Il giudice amministrativo di appello ha, infatti, rilevato che, alla luce della Dir. 31 marzo 2004, n. 2004/18/CE e della giurisprudenza della Corte di Giustizia (Corte UE, Sez. IV Sent., 23/12/2009, n. 305/08) la nozione comunitaria di imprenditore non presuppone la coesistenza dello scopo di lucro dell’impresa, per cui “l’assenza di fine di lucro non è di per sé ostativa della partecipazione ad appalti pubblici. Quanto, in particolare, alle associazioni, ad esse non è precluso partecipare agli appalti, ove si consideri che la legge quadro, nell’elencare le entrate di tali associazioni, menziona anche le entrate derivanti da attività commerciali o produttive svolte a latere, con ciò riconoscendo la capacità di svolgere attività di impresa. Esse possono essere ammesse alle gare pubbliche quali “imprese sociali”, a cui il D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 ha riconosciuto la legittimazione ad esercitare in via stabile e principale un’attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità d’interesse generale, anche se non lucrativa”. Fra l’altro, proprio in sede normativa occorre tener conto che l’art. 1, comma 1°, lettera “l”, dell’allegato I.1 al vigente Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36) contempla una nozione di “operatore economico” indubbiamente ampia. Infatti, per “operatore economico” deve intendersi “, qualsiasi persona o ente, anche senza scopo di lucro, che, a prescindere dalla forma giuridica e dalla natura pubblica o privata, può offrire sul mercato, in forza del diritto nazionale, prestazioni di lavori, servizi o forniture corrispondenti a quelli oggetto della procedura di evidenza pubblica”. Quindi, la nozione di “operatore economico”, titolo che consente la partecipazione alle pubbliche gare e l’affidamento di pubblici appalti, non esige i requisiti tipici dell’attività imprenditoriale, ma richiede solo un’organizzazione finalizzata ad offrire sul libero mercato beni, servizi oppure la realizzazione di lavori. Anche l’ANAC è intervenuta sul punto con la deliberazione n. 767/2018, nell’ambito della quale ha rilevato che deve essere ammessa la partecipazione alle gare di soggetti come le Associazioni no profit o Enti del Terzo Settore. In relazione agli stessi l’iscrizione alla Camera di Commercio non è un requisito indefettibile di partecipazione nel caso in cui non esercitino la propria attività in forma di impresa commerciale nè in via esclusiva, né in via residuale (quindi con solo codice fiscale) . Pertanto l’ANAC si è espressa in linea e nella stessa direzione della succitata giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea. Infine il Tar Lecce, nella sentenza n. 1635/2021, ha stabilito che un’associazione di volontariato no profit - che svolge solo attività istituzionale senza partita IVA - non ha l’obbligo di iscrizione alla Camera di Commercio per poter partecipare a una gara d’appalto. Entrando nel merito specifico del quesito, ovvero l’ assenza di iscrizione alla Camera di Commercio e al REA, occorre adesso affrontare la questione anche alla luce della normativa nazionale in materia, ovvero delle disposizioni di cui al DPR 7 dicembre 1995, n. 581 - Regolamento di attuazione dell'art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di istituzione del registro delle imprese di cui all'art. 2188 del codice civile. In base a detta disciplina, le associazioni che non svolgono attività commerciale, cioè quelle che non sono in possesso di partita IVA, non devono iscriversi in Camera di Commercio (CCIAA). In linea generale, l’iscrizione si rende necessaria solo se l’ente, accanto all’attività istituzionale, ha ad oggetto anche lo svolgimento di un’attività economica, che se prevalente determinerà l’iscrizione presso il Registro delle Imprese, mentre se sussidiaria ed accessoria rispetto all’attività istituzionale richiederà l’iscrizione presso il Repertorio Economico Amministrativo presso la Camera di Commercio (c.d. REA). Il REA raccoglie notizie di carattere statistico-economico amministrativo relative a soggetti per i quali non sussistono i presupposti per l'iscrizione nel Registro delle Imprese (es. ETS, ONLUS, fondazioni, comitati, enti non societari), ma anche relative a soggetti iscritti nel Registro Imprese (denuncia di inizio, modifica e cessazione dell’attività e l’apertura, modifica e cessazione di unità locali). Pertanto, ove non ricorrano i presupposti che determinano l’obbligo di iscrizione al Registro delle imprese (svolgimento in via esclusiva o principale di attività di impresa), ma risulti, comunque, lo svolgimento di un’attività economica che si sostanzi nella produzione e nello scambio di beni o servizi, deve intendersi sussistere un obbligo di iscrizione dell’associazione al Repertorio delle notizie economiche ed amministrative. Quindi, se un'associazione (es. sportiva, culturale, di promozione sociale, ecc) svolge, in modo sussidiario e non prevalente, attività a carattere commerciale - e quindi possiede un numero di partita IVA - allora DEVE iscriversi al REA. Nel REA devono quindi iscriversi i soggetti non iscritti nelle sezioni del Registro, che esercitano in modo sussidiario e non prevalente un’attività economica di natura commerciale. E’ dunque un’anagrafe residuale rispetto alle sezioni del Registro delle Imprese che trova fondamento nell’art. 2188 del Codice Civile. L’obbligo di iscrizione al REA è previsto dall’art. 9 comma II lett.a) del D.P.R. 581/95. Le disposizioni normative contenute nel D.P.R. 581/1995, hanno tuttavia generato, sin dalla loro emanazione, diversi dubbi interpretativi in ordine alla loro efficacia per tutti gli enti non di natura commerciale, come associazioni, fondazioni o enti religiosi. È solo con la circolare n. 3407/C del 9 gennaio 1997 del Ministero dell’Industria, commercio ed artigianato che si è fatta luce sulla questione. La circolare stabilisce che “ i soli soggetti iscrivibili, in quanto tali, nel REA siano rappresentati da tutte quelle forme di esercizio collettivo di attività economiche di natura commerciale e/o agricola che si collocano in una dimensione di sussidiarietà, di ausiliarità rispetto l’oggetto principale di natura ideale, culturale, ricreativa, eccetera del soggetto stesso (ad esempio gli enti pubblici non economici, le associazioni riconosciute e non – comprese le associazioni di categoria, i partiti politici e i sindacati – le fondazioni, i comitati, gli organismi religiosi) ovvero da soggetti, sicuramente non riconducibili – stante la loro situazione di dipendenza da altri soggetti e la loro natura – alla tipologia dell’impresa quali, a esempio, le aziende speciali di codeste Camere.”. In merito agli enti non profit, poi, precisa: “Resta fermo che, qualora le associazioni, le fondazioni e gli altri soggetti collettivi esercitino una attività di impresa in via esclusiva o principale essi debbono iscriversi nella Sezione ordinaria del Registro delle imprese (tramite il modello S1) e sottostare – a tutti gli effetti – alla disciplina della “pubblicità legale” prevista dalle norme generali fissate dagli articoli 2188-2202 del Codice civile”. Da questo quadro interpretativo emerge che l’elemento discriminante che determina l’obbligatorietà dell’iscrizione al REA è rappresentato dal carattere dell’attività economica svolta rispetto a quella istituzionale propria dell’ente. Più precisamente: • se gli Enti esercitano in via esclusiva o principale un’attività economica in forma di impresa devono iscriversi al Registro delle Imprese; • se gli Enti, pur esercitando un’attività economica commerciale, non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’impresa, devono iscriversi nel REA. Ne consegue che l’obbligatorietà dell’iscrizione al REA non sussiste se l’ente svolge solo attività istituzionali, per le quali è previsto l’utilizzo del solo numero di codice fiscale. Di converso, si ribadisce, le associazioni/ONLUS sono obbligare all’iscrizione al REA, istituito presso la Camera di Commercio competente per territorio, quando svolgono, accanto a quelle istituzionali e sempre in via sussidiaria, attività di natura commerciale, per le quali è prevista l’apertura della posizione IVA (come parrebbe configurarsi nel caso in trattazione). Tanto premesso, alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale sopra rappresentato, riteniamo che l’assenza di iscrizione alla Camera di Commercio (Registro Imprese) o al REA non sia requisito obbligatorio per ottenere un affidamento nel caso in cui un Ente svolga solo attività istituzionale senza partita IVA. Di contro, nel caso in cui un Ente sia dotato di partita IVA e, pertanto, svolga attività economica commerciale, anche solo in via sussidiaria ed accessoria rispetto all’attività istituzionale, sia tenuto, in base alle disposizioni di cui al D.P.R. 581/1995, ad iscriversi al REA. Concludendo, alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale sopra rappresentato, riteniamo che sia possibile procedere all'affidamento diretto del corso PNRR all’ETS indicato, purchè lo stesso provveda a conformarsi all’obbligo di iscrizione REA, come previsto dal succitato DPR 581/1995.

    Data di pubblicazione: 30/06/2025

  • Riceviamo diverse richieste di nulla osta al trasferimento, con il rischio che il numero degli alunni scenda sotto la soglia dei 15: a quali condizioni possiamo respingere le richieste?
  • Ricevo richiesta di nulla osta per alunni iscritti alla classe prima di scuola primaria per l'a.s. 2025 2026. I genitori, dopo aver prodotto regolare domanda...

    Data di pubblicazione: 30/06/2025

  • Come calcolare i compensi dei commissari esterni per gli esami di Stato?
  • I compensi dei commissari e dei presidenti per gli esami di Stato, anche per il corrente anno scolastico, sono determinati sempre dal D.I. 24 maggio 2007 e dalle relative indicazioni, di cui alla Nota prot. n. 7054 del 2.07.2007 e prot. n. 7321 del 12 novembre 2012 del Ministero dell'Istruzione. I compensi per gli esami conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore sono omnicomprensivi e sostitutivi di ogni altro emolumento accessorio. Il MIUR, con la nota prot. n. 5850 del 23.06.2015, ha fornito ulteriori chiarimenti sui compensi stabiliti, al fine di uniformare l'operato delle singole Istituzioni Scolastiche, in relazione ai costi relativi allo svolgimento degli esami medesimi. Relativamente ai tempi di percorrenza, è stato chiarito che, ai fini del calcolo del compenso da corrispondere ai commissari esterni, non assumono alcuna rilevanza nè i mezzi effettivamente utilizzati per l'espletamento dell'incarico, nè le spese effettivamente sostenute (spese di viaggio, vitto, pernottamento, ecc,), dovendosi fare riferimento esclusivo ai tempi di percorrenza come individuati e definiti dall'articolo 1, comma 2, del Decreto Interministeriale citato. Pertanto, il compenso da corrispondere per la trasferta al commissario è unicamente quello di cui al QUADRO B - Tabella 1 allegata al D.I. 24.05.2007, spettante in base al tempo di percorrenza tra la sede di servizio o di residenza (dichiarate dagli interessati) e la sede d'esame; tra la sede di servizio e di residenza si considera quella più vicina (sempre in termini di tempo di percorrenza) alla sede d'esame. Per l'individuazione dei tempi di percorrenza si fa riferimento agli orari ufficiali dei mezzi di linea extra-urbani più veloci, in vigore all'inizio delle operazioni d'esame. In caso di sedi d'esame raggiungibili solo con la combinazione di più mezzi di trasporto extra-urbani, il tempo di percorrenza è dato dalla somma dei tempi risultanti dagli orari ufficiali. Qualora manchi il collegamento che consenta di raggiungere la sede d'esame in tempo utile, si fa riferimento al collegamento più veloce esistente nell'arco della giornata. La circolare Ministeriale n. 104 del 16 aprile 1999 specifica inoltre, a proposito dell'utilizzo dei mezzi pubblici: "La quota del compenso forfettario riferito alla trasferta eventualmente spettante ai componenti le commissioni è determinata in base ai tempi di percorrenza desumibili dagli orari ufficiali dei mezzi di linea extra-urbani più veloci che collegano la località di servizio o di abituale dimora con la sede d'esame, utilizzabili per raggiungere quest'ultima località in tempo utile, desumibile dal calendario dei lavori della commissione, per l'espletamento dell'incarico (per i centri abitati con più stazioni, deve essere presa a riferimento la stazione principale)". Per analogia, pertanto, in caso di utilizzo di pullmann, si ritiene debba essere preso in considerazione l'orario di arrivo/partenza al/dal capolinea, considerato stazione di partenza principale. In base a tale normativa, dove viene evidenziato l'utilizzo "degli orari ufficiali dei mezzi di linea extra-urbani più veloci", facendo riferimento ai tempi di percorrenza tra la sede di servizio o di residenza (dichiarate dagli interessati) e la sede d'esame, si ritiene che debba essere considerato solo il trasporto extraurbano.

    Data di pubblicazione: 30/06/2025

  • Scuole di montagna e organico: è possibile derogare alle norme sulla formazione delle classi prime primarie con 25 alunni dividendoli in due?
  • Ciascun Ufficio Scolastico regionale dispone di un contingente complessivo di posti, che comprende anche il numero dei posti e delle classi in deroga. Di norma, con decreto o disposizione del Direttore generale, tale contingente viene suddiviso tra le diverse province, affidando ai dirigenti degli uffici di ambito un preciso obiettivo di organico, ma delegando loro ampia discrezionalità nella concreta distribuzione tra ordini e gradi di scuola, per poter effettuare le eventuali necessarie compensazioni. Nell’ambito di questa cornice, si inserisce la disposizione normativa citata nel quesito, che stabilisce che gli Uffici scolastici possono (e non devono) costituire classi in deroga rispetto ai parametri previsti dalla norma (DPR 81/09). Al fine di individuare le situazioni per le quali si definiscono le scuole in cui applicare le deroghe, e fatti salvi gli obiettivi di organico inderogabilmente da rispettare, gli uffici tengono conto di diversi parametri, sia di tipo quantitativo (es quanti alunni), sia di tipo territoriale (es. analisi di contesto, disponibilità di locali idonei, numero di alunni disabili). Oltre a ciò, si tiene conto della dotazione organica di potenziamento di cui la scuola dispone e che potrebbe consentire al Dirigente di “sdoppiare” la classe, ai sensi del comma 84 della Legge 107/2015. In sintesi, per il caso in oggetto, non si tratta di un diritto assoluto, ma di un legittimo interesse ad approfondire la questione in occasione dell’adeguamento dell’organico di diritto alla situazione di fatto. Si consiglia, in questi casi, di attivare una interlocuzione con l’Ufficio, corredata da una dettagliata relazione che metta in evidenza i parametri sopra illustrati.

    Data di pubblicazione: 30/06/2025

  • Affidamento del servizio bar sotto soglia: manifestazione di interesse e gare in ASP non sembrano essere pienamente compatibili...
  • Volendo procedere ad un affidamento del servizio di concessione del bar/punto ristoro (buvette) della scuola mediante procedura negoziata...

    Data di pubblicazione: 30/06/2025

  • Esperto esterno: cosa fare se l'incaricato per un corso extracurricolare supera i 5.000€ in prestazioni occasionali e rifiuta l'iscrizione alla gestione separata INPS?
  • Come detto in precedenti risposte, l’art. 44, c. 2, D.L. 269/2003 (L. 326/2003) ha disposto l’iscrizione alla Gestione separata, a decorrere dal 1° gennaio 2004, anche per i collaboratori occasionali di cui all’articolo 2222 c.c. quando i redditi fiscalmente imponibili sono superiori a 5.000 euro nell’anno solare, prevedendo per i percipienti le stesse regole applicabili ai collaboratori coordinati e continuativi, sia nelle modalità di iscrizione alla Gestione separata (modalità telematica) sia nella modalità di calcolo e ripartizione del contributo (1/3 a carico del lavoratore e 2/3 a carico del committente). Nel calcolare tale limite il collaboratore deve tenere conto dei compensi percepiti nell’anno da parte di tutti i committenti con i quali il soggetto intrattiene rapporti di lavoro autonomo di tipo occasionale. Quindi, il DL 269/2003 (convertito con modificazioni dalla Legge 24 novembre 2003 numero 326) prevede espressamente - all’articolo 44 “Disposizioni varie in materia previdenziale” - che l’iscrizione alla Gestione Separata riguarda coloro che esercitano attività di lavoro autonomo occasionale, nel momento in cui il reddito annuo derivante da detta attività “sia superiore ad euro 5.000”. Di conseguenza, l’obbligo per il lavoratore autonomo occasionale di: • iscriversi alla Gestione Separata Inps; • versare i contributi alla suddetta Gestione Separata; sorge soltanto nel momento in cui l’interessato realizza un reddito annuo fiscalmente imponibile eccedente i 5 mila euro, anche se per effetto di prestazioni rese a beneficio di più committenti. I lavoratori occasionali interessati devono (sotto la personale responsabilità) comunicare tempestivamente ai committenti il superamento della soglia di esenzione e, solo per la prima volta, iscriversi obbligatoriamente alla Gestione Separata Occorre precisare che il superamento della soglia dei 5000 euro - per l’applicazione della contribuzione alla gestione separata – non deve essere considerato sull’importo lordo Stato, bensì sulle somme lorde spettanti al prestatore d’opera (cd. reddito lordo prestatore). Nel caso in esame, il lavoratore autonomo occasionale (che dichiara di aver superato la soglia dei 5.000,00 Euro e, come pare, non risulta avere in atto rapporti di lavoro dipendente) è, fin da adesso, tenuto (obbligato) ad iscriversi alla gestione separata. Una volta effettuata e comunicata l’iscrizione, la Scuola, all’atto della liquidazione, dovrà assoggettare l’intera somma (già eccedente i 5.000,00 euro) a tale forma di contribuzione che, ricordiamo, per i titolari di reddito autonomo obbligati alla contribuzione presso la Gestione separata, non iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie, prevede, anche per l’anno 2025 (Circolare INPS n. 27 del 30-01-2025, https://www.inps.it/it/it/inps-comunica/atti/circolari-messaggi-e-normativa/dettaglio.circolari-e-messaggi.2025.01.circolare-numero-27-del-30-01-2025_14807.html ), l’applicazione dell'aliquota del 33,72% (di cui 1/3 a carico del lavoratore e 2/3 a carico dell’Amministrazione). Si presti attenzione al fatto che ad essere materialmente chiamato al versamento è sempre e solo il soggetto committente (la Scuola nel nostro caso). La contribuzione INPS Gestione Separata dei lavoratori autonomi occasionali, in altri termini, non viene “autoliquidata”, bensì viene “mediata” per il tramite obbligato dei soggetti committenti. Tanto premesso, siamo dell’avviso che l’Istituto, in qualità di soggetto chiamato al versamento dei contributi, non possa in alcun modo procedere al pagamento del compenso fintanto l’esperto non abbia ottemperato all’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata, a maggior ragione avendo ricevuto dallo stesso (e acquisito agli atti) la dichiarazione di avvenuto superamento del limite di esenzione di 5000 euro. Ci permettiamo quindi di suggerire alla Scuola di ribadire all’esperto gli obblighi a suo carico e le conseguenze che potrebbero derivare dalla mancata iscrizione.

    Data di pubblicazione: 30/06/2025

  • Sei in comportamento: l'elaborato critico è già obbligatorio anche per le classi terze nel 2024/2025 anche senza i regolamenti attuativi o lo è solo per le quinte?
  • Mentre per l'ultima classe del ciclo le conseguenze dell'attribuzione di sei decimi per la valutazione del comportamento sono già definite dall'articolo 1, comma 1 della Legge 150/2024 che novella il D.Lgs 62/2017, per le altre classi ci sarà bisogno di uno o più regolamenti applicativi che possano apportare adeguate modifiche ed integrazioni al DPR 122/09 (cfr articolo 1 commi 4 e 5 della Legge).

    Data di pubblicazione: 30/06/2025

  • Età anagrafica e percorsi scolastici: l'IC può negare l'iscrizione in terza media a un sedicenne con pregresse bocciature e indirizzarlo in un CPIA?
  • Pur nella consapevolezza della "particolarità" e della complessità della situazione, la normativa vigente nel sistema di istruzione degli adulti non prevede un obbligo perentorio di iscriversi ai CPIA per gli ultra sedicenni. Sarebbe opportuno un approfondito colloquio di riorientamento con la famiglia e con il minore, ma, in mancanza di condivisione, non si ritiene che la domanda di iscrizione possa essere respinta, anche alla luce di quanto previsto dal D.Lgs 76/2005 (cfr art. 1, comma 3: .... La Repubblica assicura a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione, per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età.....).

    Data di pubblicazione: 30/06/2025

  • Studente con PDP non ammesso: come conciliare le contestazioni dei genitori con le affermazioni dei docenti e cosa fare per la decisione finale?
  • Nel caso in cui le famiglie non abbiano presentato un vero e proprio reclamo avverso la non ammissione alla classe successiva, sarà comunque cura del dirigente scolastico vagliare con attenzione le eccezioni sollevate e verificare la correttezza e legittimità delle decisioni del consiglio di classe in sede di scrutinio, soprattutto con riferimento alle motivazioni verbalizzate. Solo qualora il Dirigente intercettasse delle illegittimità o emergesse dagli atti la necessità di ulteriori motivazioni, potrà riconvocare in autotutela il consiglio di classe per un riesame dei propri atti. Sul punto la giurisprudenza amministrativa ricorda che “la valutazione espressa dal consiglio di classe in sede di scrutini scolastici costituisce espressione di discrezionalità tecnica dell’amministrazione, non sindacabile dal giudice amministrativo se non per evidenti illogicità: in riferimento agli esiti di detti scrutini, quindi, il sindacato del giudice deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole procedimentali e alla assenza di palesi profili di illogicità, spettando esclusivamente al consiglio di classe valutare la gravità delle lacune degli alunni e la loro idoneità a precludere la prosecuzione degli studi “(ex multis TAR Campania, Napoli, sez. IV, 5 luglio 2021, n. 4615). Ad ogni buon conto da quanto emerge nella descrizione della fattispecie, le contestazioni levate dalla famiglia dell’alunno attengono ad alcune pretese inadempienze agli accordi definiti nel PDP. Sul punto però non emerge se e quanto tali pretese mancanze abbiano inciso sull’andamento complessivo dello studente, in ragione della circostanza, richiamata dalla giurisprudenza amministrativa, per cui “anche laddove sia necessario implementare misure didattiche compensative o dispensative per fare fronte alle specifiche situazioni di difficoltà manifestate dallo studente, ciò non può determinare un abbassamento dei criteri di ammissione alla classe successiva basati sul livello di apprendimento raggiunto, essendo comunque preminente l’interesse ad ottenere una preparazione adeguata dal percorso scolastico per affrontare con profitto gli studi successivi o inserirsi nel mondo lavorativo”. (TAR Toscana sent.659 del 09/04/2025) A ciò si aggiunga la considerazione espressa nella medesima decisione del TAR e mutuata da un precedente provvedimento del Consiglio di Stato per cui “[…] persino la mancata attuazione delle misure compensative e dispensative durante l’anno scolastico da parte dell’istituto scolastico non costituisce, di per sé sola, elemento sufficiente per giustificare una pronuncia di illegittimità del giudizio di non ammissione alla classe superiore, potendo semmai comportare, eventualmente, una responsabilità della scuola per le proprie omissioni (Cons. Stato, sez. VII, 31 ottobre 2022, n. 9448)”. Andrà quindi svolta un'analisi della situazione, verificate le motivazioni rese dai docenti e l’incidenza effettiva che sull’andamento scolastico dello studente ha avuto la mancata attuazione delle misure compensative condivise nel PDP, ancorché richiesta dal ragazzo stesso. Dopo questa attività, la scuola prenderà una decisione, sul punto dell'eventuale nuova convocazione del consiglio di classe o della mera comunicazione (in due righe) da parte del DS, che non si rilevano irregolarità.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Linguaggio inappropriato in scrutinio: un docente usa espressioni offensive, i presupposti per un procedimento disciplinare...
  • Si ritiene che, nel caso di specie, non ricorrano i presupposti per l’attivazione di un procedimento disciplinare. Le espressioni utilizzate, riferite dallo stesso docente a un noto personaggio dei fumetti, a un giudice del lavoro apparirebbero connotate da ironia e prive di offensività, anche perché pronunciate all’interno di un organo collegiale “chiuso” e dunque in un contesto in cui il rischio di fraintendimento è limitato, data la conoscenza reciproca tra colleghi. Si ritiene semmai che eventuali fraintendimenti potrebbero nascere dalla verbalizzazione di dette espressioni: esse, estrapolate dal contesto e portate a conoscenza dello studente interessato, eventualmente all’esito di un accesso agli atti, potrebbero essere male interpretate, posto che nella verbalizzazione si perde il carattere ironico delle espressioni stesse e per di più emerge che la dirigente scolastica le ha censurate, lei per prima disconoscendolo. Si ribadisce dunque che si sconsiglia di procedere, in relazione all’episodio riferito, all’avvio di un procedimento disciplinare a carico del docente: non solo le espressioni hanno carattere ironico ma per di più sono state pronunciate non già a sproposito ma all’esito di una specifica richiesta della dirigente di esprimersi sul comportamento degli studenti e, infine, nel contesto di un organo collegiale “chiuso”, in cui il carattere ironico delle espressioni utilizzate può essere evinto dai colleghi alla luce della conoscenza reciproca. Del resto, la libertà di espressione di un dipendente pubblico incontra – oltre ai limiti previsti per tutti dalla Costituzione (cfr. art. 21 ultimo comma) e dal codice penale (si pensi, a titolo di esempio, all’oltraggio a pubblico ufficiale di cui all’art. 341-bis c.p. e alla diffamazione, prevista e punita dall’art. 595 c.p.) – quelli ulteriori sanciti dal D.P.R. n. 62/2013 e in particolare dall’art. 12: egli è tenuto ad operare nei confronti del pubblico con “correttezza, cortesia e disponibilità” (comma 1) e “salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali”, ad astenersi “da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell’amministrazione o che possano nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale” (comma 2). E ciò conferma le conclusioni cui si è pervenuti.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Possiamo non concedere le ferie a un CS in prossimità del periodo di comporto?
  • Riportiamo alcuni passaggi della Sentenza della Cassazione del 04/04/2018, n.8372 richiamata nel quesito: “Come affermato da questa Corte in numerosi arresti, il lavoratore assente per malattia e ulteriormente impossibilitato a riprendere servizio, non ha, invero, l'incondizionata facoltà di sostituire alla malattia il godimento di ferie maturate quale titolo della sua assenza, allo scopo di bloccare il decorso del periodo di comporto, anche se il datore di lavoro, nell'esercizio del suo diritto alla determinazione del tempo delle ferie, dovendo attenersi alla direttiva dell'armonizzazione delle esigenze aziendali e degli interessi del datore di lavoro (art. 2109 cod. civ.), è tenuto, in presenza di una richiesta del lavoratore di imputare a ferie un'assenza per malattia, a prendere in debita considerazione il fondamentale interesse del richiedente ad evitare la perdita del posto di lavoro a seguito della scadenza del periodo di comporto (con l'onere, in caso di mancato accoglimento della richiesta, di dimostrarne i motivi (vedi Cass. 8/11/2000 n. 14490, Cass. 27/2/2003 n.3028, Cass.22/3/2005 n. 6143 e numerose altre)…….. Deve dunque affermarsi, in coerenza con il costante e condiviso orientamento espresso da questa Corte, il principio alla cui stregua il lavoratore che, assente per malattia ed impossibilitato a riprendere servizio, intenda evitare la perdita del posto di lavoro a seguito dell'esaurimento del periodo di comporto, deve comunque investire il datore della richiesta di fruizione delle ferie, affinchè questi possa concedere al medesimo di fruire delle ferie durante il periodo di malattia, valutando il fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro; considerato altresì che neanche le condizioni di confusione mentale del lavoratore per effetto della malattia fanno venir meno la necessità di una espressa domanda di fruizione delle ferie, indispensabile a superare il principio di incompatibilità (sia pur non assoluta), tra godimento delle ferie e malattia (vedi, in tali sensi, Cass. 27/2/2003 n.3028, cui adde Cass. 27/10/2014 n.22753). ….. 4. Dalle enunciate premesse in diritto, discende coerente l'esclusione della configurabilità di un obbligo a carico della parte datoriale, di considerare il lavoratore in ferie, perdurante lo stato di malattia, ed in assenza di una specifica domanda dell'interessato. Non può infatti tralasciarsi di considerare che, pur avendo il lavoratore assente la facoltà di domandare la fruizione delle ferie - maturate e non godute - allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, egli deve tuttavia formulare l'istanza in epoca anteriore alla sua scadenza (ex plurimis, vedi Cass. 5/4/2017 n. 8834)”. Successivamente la Cassazione ( cfr. Cassazione civile sez. lav., 14/09/2020, n.19062) ha affermato che il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie, senza che a tale facoltà corrisponda comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa; in un'ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, è necessario, tuttavia, che le dedotte ragioni datoriali siano concrete ed effettive. Da ultimo (cfr. Cassazione civile sez. lav., 20/01/2025, n.1373) è stato ribadito che il lavoratore in malattia ha diritto alle ferie maturate ma non godute al fine di interrompere il calcolo del periodo di comporto. Il datore di lavoro, tuttavia, non è obbligato ad accettare la richiesta per motivi organizzativi validi che la ostacolano. Conclusivamente, la scuola potrebbe rigettare la richiesta di ferie solo per ragioni di servizio concrete, effettive ed indifferibili; in mancanza, e tenuto conto della finalità del dipendente di interrompere il periodo di comporto, si ritiene che la richiesta di fruizione delle ferie maturate debba essere accolta.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • RSPP esterno che sarà in quiescenza da settembre: è possibile proseguire il rapporto di collaborazione?
  • Per quanto concerne la designazione del RSPP nelle scuole, l’art. 32, ai commi 8 e 9, del D.Lgs. 81/08, recita: “8. Negli istituti di istruzione, di formazione professionale e universitari e nelle istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica, il datore di lavoro che non opta per lo svolgimento diretto dei compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dei rischi designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, individuandolo tra: a) il personale interno all’unità scolastica in possesso dei requisiti di cui al presente articolo che si dichiari a tal fine disponibile; b) il personale interno ad una unità scolastica in possesso dei requisiti di cui al presente articolo che si dichiari disponibile ad operare in una pluralità di istituti. 9. In assenza di personale di cui alle lettere a) e b) del comma 8, gruppi di istituti possono avvalersi in maniera comune dell’opera di un unico esperto esterno, tramite stipula di apposita convenzione, in via prioritaria con gli enti locali proprietari degli edifici scolastici e, in via subordinata, con enti o istituti specializzati in materia di salute e sicurezza sul lavoro o con altro esperto esterno libero professionista.” La scuola deve quindi rispettare l'ordine di priorità sopra descritto. In argomento il T.A.R. Campania, Sezione Quarta, con la Sentenza 15/01/2018 n. 334, ha ribadito che, nel bando di selezione indetto da un istituto per la carica di RSPP, l'incarico debba essere affidato a personale esterno alla scuola esclusivamente se non è disponibile personale interno all'unità scolastica, in possesso dei requisiti specifici o personale interno ad un'altra unità scolastica in possesso dei medesimi requisiti che si dichiari disponibile ad operare in una pluralità di istituti. La scuola potrà conferire l’incarico ad un RSPP esperto allorchè vi sia la mancanza del personale di cui alle lett. a) e b). Nel caso di specie, il docente ha avuto l’incarico di RSPP beneficiando della precedenza di cui alla lett. b) sopra citata. Proprio in virtù di tale considerazione, a nostro avviso, non è possibile una trasformazione automatica dell’incarico ( da collaborazione plurima a contratto di prestazione d’opera) e quindi si ritiene che la scuola debba procedere con la risoluzione/revoca dell’incarico per i motivi suesposti.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Un caso di cumulo di aspettative che ci fa temere il superamento del limite massimo consentito...
  • Una docente a tempo indeterminato della scuola primaria chiede di poter fruire nel mese di giugno, al termine delle attività didattiche...

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Aspettativa per assegno di ricerca e anno di prova: è possibile concedere ulteriore aspettativa personale a una docente in ruolo senza aver completato il periodo di formazione?
  • L'art. 18 del CCNL 2007 prevede, al primo comma, che l'aspettativa per motivi di famiglia o personali continua ad essere regolata dagli artt. 69 e 70 del T.U. approvato con D.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957 e dalle leggi speciali che a tale istituto si richiamano. Il secondo comma dell’art. 18 prevede che ai sensi della predetta norma il dipendente può essere collocato in aspettativa anche per motivi di studio. Ai sensi degli articoli 69 e 70 sopra citati il periodo di aspettativa non può eccedere la durata di un anno. Due periodi di aspettativa per motivi di famiglia si sommano, agli effetti della determinazione del limite massimo di durata previsto dall'art. 69, quando tra essi non interceda un periodo di servizio attivo superiore a sei mesi. La durata complessiva dell'aspettativa per motivi di famiglia non può superare in ogni caso due anni e mezzo in un quinquennio. In sintesi: a) due aspettative inferiori all'anno si considerano un unico periodo se il periodo di lavoro tra essi non supera i 6 mesi (art.70.1, Dpr 3/57); b) non si possono prendere aspettative per più di 2 anni e mezzo in 5 anni (art.70.2, Dpr 3/57); c) per motivi particolarmente gravi si può chiedere un ulteriore periodo di 6 mesi (art.70.3, Dpr 3/57). Quindi, l’aspettativa per motivi personali o di famiglia (regolata dagli art. 69-70 del DPR n. 3/1957) viene attribuita per un periodo massimo di 12 mesi, da fruire in maniera continuativa o frazionata. Per interrompere l’aspettativa, e quindi per ripristinare il diritto a chiedere altri 12 mesi, è necessario il rientro in servizio attivo superiore a 6 mesi; in ogni caso il limite massimo non può essere superiore a 2 anni e 6 mesi in un quinquennio. In definitiva, l'aspettativa per motivi di famiglia non può avere una durata superiore a 12 mesi se fruita senza soluzione di continuità; se fruita, invece a periodi separati non può oltrepassare, in ogni caso, nell'arco temporale di un quinquennio la durata massima di due anni e mezzo. Infine, si rileva che l’art. 70 citato prevede che “per motivi di particolare gravità il Consiglio di amministrazione (ora il riferimento è ovviamente al DS) può consentire all'impiegato, che abbia raggiunto i limiti previsti dai commi precedenti ( quindi anche il limite dei dodici mesi consecutivi) e ne faccia richiesta, un ulteriore periodo di aspettativa senza assegni di durata non superiore a sei mesi”. In sostanza, alla luce di quanto detto sopra è possibile prendere periodi frazionati di aspettativa all'interno del limite massimo di due anni e mezzo in un quinquennio e tenendo conto che il periodo massimo di fruizione continuativa è di dodici mesi calcolato come sopra esposto. Quindi, è possibile richiedere l'aspettativa in modo frazionato per più di due periodi all'interno del limite massimo dei 12 mesi continuativi (ad esempio: 5 gg, poi un mese, poi altri 3 mesi, il tutto anche intervallato da periodi di servizio attivo o in assenza per altri motivi, ad esempio malattia); l'importante è che il limite continuativo di dodici mesi non venga superato fermo restando poi il limite complessivo di due anni e mezzo nel quinquennio. In definitiva, l'aspettativa per motivi di famiglia non può avere una durata superiore a 12 mesi se fruita senza soluzione di continuità; se fruita, invece a periodi separati non può oltrepassare, in ogni caso, nell'arco temporale di un quinquennio la durata massima di due anni e mezzo. Sul concetto di servizio attivo offre utili chiarimenti la circolare del Ministero Difesa 8 luglio 2015 n. 45501 che si riporta in integrale nella parte che qui può interessare "Si ritiene che possano rientrare nel “servizio attivo” (dicitura utilizzata dalla norma contrattuale) anche le assenze (diverse dalla malattia e dalle aspettative) retribuite e che comportano la maturazione dell’anzianità di servizio. Dunque, nella nozione di “servizio attivo” possono rientrare le ferie, i cosiddetti “recuperi delle festività soppresse” (L. 937 del 1977), i giorni di assenza per terapia salvavita, i permessi sindacali retribuiti (quindi anche i permessi retribuiti per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza), il distacco sindacale, l’interdizione dal lavoro, i congedi di maternità e paternità, i congedi parentali, i congedi per malattia del bambino, i riposi giornalieri (quindi anche i permessi giornalieri) previsti dal D.Lgs. 26/03/2001, n. 151, i permessi ex legge 104/1992. Non appare invece riconducibile a “servizio attivo” il congedo di cui all’art. 42, 5° comma, D.Lgs. 151/2001 (che è indennizzato, utile ai fini previdenziali, ma non è computato nell'anzianità di servizio). La malattia non può essere considerata “servizio attivo” (ARAN, orientamento applicativo RAL 1157)". L'ARAN, con l'O.A. RAL_1157 27 giugno 2012 in merito al fatto se i periodi di malattia, successivi al rientro in servizio, siano da considerare esclusi dal “servizio attivo”, ha precisato che la malattia è equiparata al servizio ma non è "servizio attivo e conseguentemente, essa non può essere valutata come servizio attivo". Ciò premesso, nel caso di specie, la dipendente ha già fruito del limite massimo continuativo di aspettativa di un anno. Ciò premesso, la docente ha chiesto giù aspettativa dal 12 settembre 2022 al 31 agosto 2023. Non essendoci stata la ripresa del servizio superiore a sei mesi, la docente avrebbe diritto solo a 11 giorni di aspettativa per arrivare al limite massimo consecutivo di dodici mesi. Resterebbe la possibilità di richiedere il periodo “ straordinario” di sei mesi previsto dall’art. 70 DPR 3 del 1957 ma solo se motivato con “motivi di particolare gravità”.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Riorganizzazione del personale ata in estate: il dirigente può disporre d'ufficio lo spostamento dei collaboratori scolastici tra sede centrale e succursale chiusa?
  • Ai sensi dell'art. 30, comma 9, lett. b2) del CCNL del comparto Istruzione e Ricerca per il triennio 2019-2021, sottoscritto il 18 gennaio 2024, i criteri per le assegnazioni alle sedi di servizio del personale sono oggetto di confronto e non di contrattazione. La flessibilità, oggetto di contrattazione ai sensi dell'art. 30, comma 4, lett. c6), riguarda, infatti, i "criteri per l’individuazione di fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e in uscita per il personale ATA, al fine di conseguire una maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare". Non ha nulla a che vedere, pertanto, con l'assegnazione dei plessi di servizio. D'altra parte, quest'ultimo aspetto, essendo materia relativa all'organizzazione degli uffici, rientra nel divieto generale di contrattazione di cui all'art. 40, comma 1 d.lgs. 165/2001. Ciò premesso, nel caso in questione, tuttavia, non si può neanche parlare di assegnazione ai plessi ma di normale utilizzazione del personale. Se, in determinato periodo, un plesso è chiuso, il personale in servizio in tale plesso può essere utilizzato nella sede rimasta aperta, senza che nemmeno si debba porre il problema dell'applicabilità di una norma del contratto di istituto - che, a nostro parere, non doveva comunque essere inserita - né della necessità del confronto su tale utilizzazione, dal momento che - in realtà - qui non si tratta di utilizzare normalmente il personale in una sede o nell'altra, ma di utilizzare il personale nell'unica maniera possibile, ovvero nella sede rimasta aperta. Concludiamo, pertanto, nel senso che l'ordine di servizio ai due collaboratori della sede distaccata di prestare servizio, nei mesi di luglio e agosto, nella sede centrale è a nostro parere legittimo.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Torniamo sul tema della configurabilità del potere disciplinare del datore di lavoro successivamente alla cessazione del contratto del dipendente...
  • Ho avviato una contestazione di addebito ad un docente. La consegna è avvenuta a mano in un giorno in cui il docente era presente...

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Una CS può usufruire del congedo parentale contemporaneamente al coniuge carabiniere?
  • La risposta è affermativa. Per quello che concerne l’altro genitore, coniuge/padre che appartiene al comparto militare i DD.PP.RR. del 13 giugno 2002, n. 163 e 18 giugno 2002 n. 164, hanno applicato per questo comparto innovazioni regolamentari e procedurali in merito alla fruizione dei benefici di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. In particolare, per la valorizzazione economica del congedo parentale di cui all’art. 32 è concesso al personale in servizio una licenza straordinaria, la cosiddetta” licenza parentale”, nella misura complessiva di quarantacinque giorni, da considerarsi con trattamento economico ad assegni interi, utilizzabili anche frazionati, entro il sesto anno di età del figlio, nell’ambito dei 9 mesi di congedo parentale retribuiti secondo la previsione dell’art. 34 D.lgs. 151/2001 e, al 30% per il congedo parentale oltre il limite di 45 giorni annui.( cfr. Guida Tecnica Ministero della Difesa nota 332943 del 06.06.2023 ). A nostro avviso, i primi 30 gg interamente retribuiti fruibili sino a 12 anni ( cfr art. 34 CCNL 2024) non si cumulano con la licenza parentale del padre. Questi primi 30 giorni di congedo infatti, non sono intaccati da ipotesi di riconoscimento di analogo beneficio all’altro genitore appartenente ad altro specifico comparto. La nostra interpretazione è confermata dall'ARAN che, con l’O.A. CFC125b 9 febbraio 2024 (ma applicabile analogicamente anche al personale scolastico) ha fornito chiarimenti se nel computo dei giorni di congedo parentale in cui al lavoratore/lavoratrice spetta l’intera retribuzione si devono tenere in considerazione anche i giorni di congedo interamente retribuiti fruiti eventualmente dal coniuge lavoratore pubblico che, tuttavia, non rientra nell’ambito di applicazione soggettiva del D.Lgs. n. 165/2001 (ad es. magistrato, militare, prefetto, ecc...). Ad avviso dell’ARAN, i primi 30 giorni di retribuzione intera al 100% non possono essere ridotti – o in qualche modo limitati – dall’eventuale conteggio dei giorni di congedo parentale interamente retribuiti fruiti dall’altro genitore se il rapporto di lavoro di questo ultimo è disciplinato dal diritto pubblico, come nel caso ad esempio dei magistrati, dei militari, dei prefetti, ecc.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Malattia senza assegni e diritto alle ferie: chiarimenti sulla maturazione e la liquidazione delle ferie non godute per docenti assenti...
  • Si presume che nel caso di specie trattasi di docente a t.d. Infatti se si trattasse di docente di ruolo non si porrebbe il problema della monetizzazione delle ferie non godute che è possibile solo all’atto della cessazione del servizio. L'art. 13 comma 14 del CCNL 2007 prevede che il periodo di ferie non è riducibile per assenze per malattia o per assenze parzialmente retribuite, anche se tali assenze si siano protratte per l'intero anno scolastico. ( nulla viene previsto per il personale a t.d. dall’art. 35 del CCNL 2024) Sulla questione specifica di cui al quesito è intervenuto l'ARAN con l'O.A. RAL533 5 giugno 2011 che possiamo utilizzare anche come riferimento per i dipendenti della scuola visto che il testo contrattuale oggetto dell'intervento è sostanzialmente identico. Riportiamo l'Orientamento dell'ARAN "L’assenza per malattia non retribuita di cui all’art. 21, comma 2 del CCNL del 6.7.1995 e successive modifiche comporta la maturazione delle ferie? La giurisprudenza della Corte di Cassazione tende ad escludere la maturazione delle ferie nei periodi di assenza non retribuita, a meno che non vi sia una espressa disposizione contrattuale in tal senso. Tale principio è stato affermato, ad esempio, da Cassaz. n. 1315 del 1985, seppure con riferimento ad una tipologia di assenza diversa dalla malattia. L’art. 21 del CCNL del 6.7.1995 prevede espressamente che i periodi di assenza non retribuita di cui al comma 2 dello stesso articolo non sono retribuiti (art. 21, comma 7 lettera d) e non hanno effetto sull’anzianità di servizio (art. 21, comma 5) ma non precisa nulla circa le ferie. L’art. 18, comma 15 dello stesso CCNL prevede, invece, che “il periodo di ferie non è riducibile per assenze per malattia o infortunio, anche se tali assenze si siano protratte per l’intero anno solare” (principio recentemente ribadito anche da Cassaz. S.U. n. 14020 del 12.11.2001 che, peraltro, non si occupa della malattia non retribuita) (ndr per i dipendenti della scuola cfr il citato art. 13 comma 14 del CCNL 2007). L’espressione utilizzata da tale ultima disposizione è tuttavia talmente generica che non sembra possibile ravvisare in essa quella espressa disposizione contrattuale, favorevole al lavoratore, che la giurisprudenza ritiene necessaria per la maturazione del diritto alle ferie in caso di assenza non retribuita. Pertanto, siamo del parere che le assenze previste dall’art. 21, comma 2 del CCNL del 6.7.1995 non possano comportare la maturazione delle ferie. Tuttavia, poiché la questione è delicata e di interesse generale, riguardando anche gli altri comparti di contrattazione, riteniamo opportuno sottoporla all’attenzione del Comitato Giuridico operante presso questa Agenzia, riservandoci di comunicare eventuali contrari avvisi in merito". Inoltre, l' ARAN con l'Orientamento Applicativo SCU_011 del 23 luglio 2009 ha così precisato: " L'art 13, comma 14, non dovrebbe creare equivoci di applicazione poichè il comma in questione stabilendo che "il periodo di ferie non è riducibile per malattia o per assenze parzialmente retribuite...", intende fare riferimento al trattamento economico stabilito all'art 17, comma 8, che disciplina il trattamento economico spettante al dipendente assente per malattia per un periodo di 18 mesi nel triennio". Pertanto, a nostro avviso, il periodo di malattia a zero non fa maturare ferie. Per quanto concerne le ferie del personale a t.d. è intervenuta la recente interpretazione della Cassazione che, con l'Ordinanza 17/06/2024 n. 16715, ha affermato che il docente a tempo determinato che non ha chiesto di fruire delle ferie durante il periodo di sospensione delle lezioni ha diritto all'indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo inutilmente invitato a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie e alla indennità sostitutiva, in quanto la normativa interna - e, soprattutto, l'art. 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012, come integrato dall'art. 1, comma 55, della legge n. 228 del 2012 - deve essere interpretata in senso conforme all'art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE, che, secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia, Grande Sezione (con sentenze del 6 novembre 2018 in cause riunite C-569/16 e C-570/16, e in cause C-619/16 e C-684/16), non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e dell'indennità sostitutiva, senza la previa verifica che il lavoratore, mediante una informazione adeguata, sia stato posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare effettivamente il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, il detto docente non può essere considerato automaticamente in ferie nel periodo fra il termine delle lezioni e il 30 giugno di ogni anno. La Nota MIM del 27 marzo 2025 ha ribadito che, alla luce della giurisprudenza sopra citata, il docente a termine non può perdere il diritto alla indennità sostituiva delle ferie per il solo fatto di non avere chiesto le ferie «se non dopo essere stato invitato dal datore di lavoro a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie ed alla indennità sostitutiva. Ne consegue che i Dirigenti scolastici devono invitare - espressamente e in forma scritta – il personale docente a tempo determinato a godere delle ferie retribuite, in particolar modo nei periodi di sospensione delle lezioni, all’uopo avvisando quest’ultimi della perdita, in caso diverso, tanto del diritto a fruire delle ferie quanto del diritto a percepire l’indennità sostitutiva. Pertanto, alla luce dell’orientamento interpretativo fatto proprio dalla Corte di cassazione, il dirigente scolastico deve procedere, all’atto dell’instaurarsi del rapporto di lavoro o anche nel corso del rapporto stesso, ad invitare formalmente i docenti con contratto a tempo determinato a presentare istanza di fruizione delle ferie, maturate e maturande, durante i periodi di sospensione delle lezioni o anche nel periodo intercorrente tra la fine delle lezioni e il 30 giugno, con espresso avviso della perdita, in assenza di domanda volontaria, del diritto alle ferie e all’indennità sostitutiva (cfr Nota MIM del 27 marzo 2025). Nel caso di specie, dal momento che la docente non ha presentato domanda di ferie in quanto assente per malattia, si ritiene che quelle maturate, e non fruite per impossibilità oggettiva, debbano essere monetizzate.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Calcoliamo la percentuale retribuzione di un CS che chiede il congedo parentale per il figlio che più di 8 anni...
  • In premessa una breve sintesi delle attuali disposizioni. L’articolo 32 del D.lgs. 151/01 prevede che, per ciascun bambino, nei primi suoi dodici anni di vita: - ciascun genitore ha diritto al congedo parentale; a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità, spettano 6 mesi al massimo di congedo parentale, per un periodo continuativo o frazionato; b) al padre lavoratore, a partire dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato, spettano al massimo 6 mesi di congedo parentale, elevabili a 7, qualora lo stesso (padre), fruisca del congedo per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi; c) complessivamente il periodo di congedo fruibile da entrambi i genitori è pari a 10 mesi, elevabili a 11 se il padre fruisce di un periodo, continuativo o frazionato, di almeno 3 mesi di congedo; d) in caso di genitore solo (o nei confronti del quale sia stato disposto l’affidamento unico del figlio), allo stesso spettano 11 mesi di congedo parentale è chiaro che, se un genitore fruisce del congedo per sei mesi, l’altro può fruire del restante previsto periodo. Così ad esempio: se la madre fruisce di 6 mesi di congedo, al padre ne restano 5, viceversa, se il padre fruisce di 6 mesi, alla madre ne restano 4. Il congedo parentale in applicazione dell’art. 34 dello stesso D.lgs. è retribuito sino ai 12 anni di vita del bambino, per i primi 9 mesi in relazione alle attuali regole e benefici contrattuali e/o per l’applicazione dei migliori benefici riconosciuti per legge (legge di bilancio 2023-2024-2025): - alla madre, fino al dodicesimo anno di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; - al padre, fino al dodicesimo anno di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; - entrambi i genitori hanno diritto anche a un ulteriore periodo indennizzabile della durata complessiva di 3 mesi, fruibile anche in modalità ripartita tra i genitori, nei limiti individuali del singolo genitore e nel limite di coppia di 9 mesi indennizzabili. - sono indennizzabili anche il decimo e l’undicesimo mese nel caso in cui il reddito personale del richiedente il congedo sia inferiore a 2,5 volte la pensione minima. In caso di parto plurimo, il diritto al congedo parentale spetta, nei predetti limiti, per ogni figlio. In sintesi, i limiti massimi individuali e di entrambi i genitori previsti dall’articolo 32 del T.U. sono fissi e, non vanno confusi con i periodi indennizzabili previsti dall’art. 34. Nel caso specifico come precisato nel quesito, la madre ha già fruito dei 30 giorni interamente retribuiti previsti dal vigente CCNL art. 34 comma 3 ( ex art. 12 comma 3) e di ulteriori 3 mesi e 29 gg retribuiti al 30%, in totale 4 mesi e 29 giorni. Quindi, l’interessata ha già utilizzato dei suoi tre mesi di diritto per i quali è prevista la relativa indennità ed ha altresì usufruito di 1 mese e 29 giorni parte dei tre mesi in alternativa madre e padre, sempre indennizzati in comune tra i due genitori. Ne consegue che, se non utilizzati dal padre può ancora richiedere un ulteriore mese e 1 giorno (massimo 3 mesi) di congedo parentale, indennizzati al 30% fino a dodici anni di età del figlio nato nel 2015.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Il regime di incompatibilità: un consulente finanziario con contratto misto può accettare una supplenza ATA part-time?
  • L’art. 53, primo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve essere considerata come esercizio del commercio e dell’industria ogni attività imprenditoriale; deve, inoltre, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore delegato di società di capitali. Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. È, quindi, incompatibile con lo status di pubblico dipendente l'assunzione di cariche in società aventi scopo di lucro, che possono essere svolte soltanto previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza (Corte Conti Liguria Sent. 22/10/2015, n. 83). Invece, il divieto in questione di cui all'art. 53 citato non pone limiti alla partecipazione di un pubblico dipendente in società commerciali in qualità di mero socio di capitale. Esso esclude, invece, come detto sopra, che egli possa ricoprire cariche sociali, compiere atti di amministrazione nella società, trattare o concludere affari in nome della stessa. In giurisprudenza (cfr Corte di Cassazione, sez. lav., Sent. 26/11/2012, n. 20857) è stato affermato che l'impiegato della Pubblica Amministrazione non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione, senza alcun riferimento ad attività retribuita, onde il divieto deve ritenersi assoluto, a prescindere dalla sussistenza o meno di una remunerazione, ovvero di una continuità della prestazione lavorativa diversa da quella espletata alle dipendenze della P.A.. La Corte dei Conti, con la Sentenza n. 9 del 7 maggio 2019, ha affermato che per un dipendente pubblico a tempo indeterminato è assolutamente vietata l’attività di amministratore unico di una società di capitali, in quanto carica sociale palesemente e testualmente vietata e non autorizzabile ex art. 60, d.P.R. n. 3 del 1957, richiamato dall’art. 53, co.1, D.Lgs. n.165 del 2001 (che, nel caso di specie, tra l’altro, era stata svolta non in modo occasionale ma sistematico). Il Consiglio di Stato ha affermato che non vale ad escludere la situazione d'incompatibilità di un pubblico dipendente, che eserciti un'attività imprenditoriale, il fatto che egli eserciti regolarmente il suo lavoro, in quanto la norma d'incompatibilità mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente stesso, ai fini di un miglior rendimento nei confronti della p.a. datrice di lavoro (cfr. Consiglio Stato sez. V sent. 13 gennaio 1999, n. 24). Il titolare della ditta individuale è l’unico responsabile dell’attività ed è esposto al rischio d’impresa. Infatti, egli risponde delle obbligazioni assunte in nome della ditta con tutto il proprio patrimonio presente e futuro (responsabilità illimitata). Come già rilevato in precedenti risposte, a nostro avviso, le ditte individuali rientrano nella definizione di operatori economici, per cui la ditta individuale risulta impresa e non lavoratore autonomo. In giurisprudenza è stato altresì affermato: - Consiglio di Stato sez. VI, 24/09/1993, n.629: rientra tra le ipotesi di incompatibilità con il pubblico impiego previste dall'art. 60 t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 la titolarità di un'impresa artigiana. - T.A.R., Lazio sez. I, 20/05/1987, n.1085: nell'ampia locuzione adoperata dall'art. 60 t.u.imp.civ.st. (d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) in tema d'incompatibilità (commercio, industria e professione) deve intendersi inclusa anche l'attività lavorativa svolta in qualità di artigiano. Come già rilevato in precedenti risposte in argomento, a nostro avviso, la titolarità di un'attività commerciale ( come nel caso di specie ove vi è iscrizione alla Camera di Commercio) resterebbe vietata anche nel caso si trattasse di part time non superiore al 50%. A queste conclusioni era giunto anche l'USR Emilia-Romagna nella Nota 2456 del 9 febbraio 2007. Nel Parere citato viene precisato che la titolarità di una attività commerciale resta assolutamente vietata all’intera categoria dei dipendenti, così come risulta vietata, per la medesima categoria, la possibilità di accettare cariche in società costituite a fine di lucro. Il citato art. 53, al comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dagli articoli 57 e seguenti della Legge 23 dicembre 1996, n. 662. Il comma 56 dell'art. 1 della Legge n. 662 del 1996 prevede che le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (ora art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001), e successive modificazioni ed integrazioni, nonché le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l'iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. Ai sensi del successivo comma 58, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere concessa dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione stessa. La trasformazione non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa. Dall'analisi della normativa di cui alla Legge n. 662 del 1996 e delle disposizioni del CCNL 2007 si evince che il riferimento è alla attività di lavoro autonomo o subordinato. Conclusivamente, abbiamo in precedenza ritenuto che vi fosse incompatibilità tra status di dipendente pubblico (seppur in part time non superiore al 50%) e l'attività commerciale o di amministratore di società. Per completezza si deve però rilevare che, come appreso anche durante i nostri corsi di formazione, da parte di alcuni Uffici Scolastici vi è negli ultimi tempi una interpretazione più estensiva sulla questione di cui al quesito (compatibilità o meno della attività commerciale in caso di dipendente con part time non superiore al 50%) Ad esempio l'USR Piemonte con la Nota 12437 del 26 agosto 2022 ha ribadito la regola dell’incompatibilità assoluta con riferimento al personale scolastico, sia a tempo pieno che parziale con prestazione lavorativa superiore al 50%, è posta dall’art. 508, comma 10, d.lgs 297/1994 (Testo unico Istruzione) rispetto all’esercizio di attività commerciali, industriali e professionali ovvero svolte alle dipendenze di soggetti privati o, ancora, comportanti l’accettazione di cariche in società costituite a scopo di lucro. ( in senso analogo cfr la Nota operativa USR Sicilia n. 21198 del 31 agosto 2020) Pertanto, il dipendente se a tempo pieno (o con part time superiore al 50%) non può esercitare attività commerciale mentre se in part time non superiore al 50% i recenti orientamenti di cui abbiamo detto sopra ammettono la possibilità di autorizzazione. In tal senso si muove anche la recente giurisprudenza. Ad esempio (cfr Cassazione civile sez. lav., 18/07/2022, n.22497 seppur con riferimento ad un dipendente di un ente locale) ha affermato che i dipendenti pubblici con un part time non superiore al 50% possono instaurare rapporti con altri enti anche in assenza di autorizzazione da parte della pubblica amministrazione di appartenenza. Nella motivazione si richiama Cass., Sez. L, n. 28757 del 7 novembre 2019, "In tema di pubblico impiego privatizzato, alla stregua della disciplina di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (applicabile "ratione temporis"), D.P.C.M. n. 117 del 1989, art. 6, comma 2, e della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 58-bis, si deve escludere che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale superiore al 50 per cento possano essere implicitamente autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa in esame consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part-time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento" (per lo sviluppo giurisprudenziale in materia, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010)". Conclusivamente, nel caso di specie, al netto di eventuali indicazioni specifiche da parte dell'USR di riferimento, riteniamo che possa essere accettata la supplenza su spezzone orario non superiore al 50%.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • La gestione delle ferie del personale ATA in proroga al 31 agosto: vediamo la possibilità di posticipare le ferie in base alle esigenze di servizio...
  • Il MIM, con la Nota 23 maggio 2025, n. 119043, ha fornito indicazioni in merito alle proroghe dei contratti di supplenza del personale ATA per il corrente anno scolastico, richiamando sia le disposizioni dell’art. 1, comma 7 del Regolamento supplenze del personale ATA di cui al D.M. n. 430 del 2000 che la Nota del 10 giugno 2009 prot. n. 8556, reiterata negli anni successivi. Il Ministero, con la Nota n. 8556 del 10 giugno 2009, ha precisato che i Dirigenti Scolastici, ove intendano, previa valutazione preliminare delle concrete necessità delle varie sedi scolastiche e dei turni di presenza del personale a tempo indeterminato e supplente annuale nei mesi di luglio e agosto, giovarsi delle citate disposizioni regolamentari, dovranno farne motivata richiesta al Direttore dell’USR, per il tramite dei relativi Ambiti Territoriali, che, esaminate le motivazioni, potrà concedere l’autorizzazione. Le proroghe devono, pertanto, essere richieste dai Dirigenti Scolastici nei casi di effettiva necessità qualora non sia possibile assicurare l’effettivo svolgimento dei servizi di istituto mediante l’impiego di personale a tempo indeterminato e di personale supplente annuale. In sintesi: - le richieste motivate devono pervenire agli Uffici Scolastici Regionali per la prescritta autorizzazione; - le comprovate motivazioni potranno fare riferimento ad attività relative allo svolgimento degli esami di Stato, al recupero debiti nelle scuole secondarie di secondo grado, a situazioni eccezionali che possano pregiudicare l’effettivo svolgimento dei servizi di istituto con riflessi sull’ordinato avvio dell’anno scolastico (es. adempimenti legati all’aggiornamento delle graduatorie di istituto ATA, allo svolgimento delle procedure concorsuali in atto, etc.). L’USR Lombardia, con Nota n. 6887 del 27 giugno 2011, aveva già affermato la necessità di utilizzare lo strumento della proroga solo in presenza di inderogabili esigenze di funzionamento dell’istituzione scolastica con conseguente impossibilità di concedere la fruizione delle ferie nel periodo interessato. Da ultimo io medesimo USR, con la Nota 28 maggio 2025 27206, ha ribadito che ove il contratto di lavoro sia prorogato, l’interessato non potrà fruire, in tale periodo, delle ferie maturate entro il 30 giugno. Conclusivamente, nel caso di specie, fermo restando che la proroga potrà essere disposta per i motivi di cui sopra, l’eventuale proroga concessa non potrà comunque prevedere periodi di fruizione delle ferie – maturate entro il 30 giugno - da parte del personale interessato.

    Data di pubblicazione: 27/06/2025

  • Ferie e festività docenti: come gestire gli arrotondamenti del gestionale (es. 31,99 e 3,99) e quale approssimazione applicare?
  • L'art. 14 del CCNL 2007 prevede che a tutti i dipendenti sono altresì attribuite 4 giornate di riposo ai sensi ed alle condizioni previste dalla legge 23 dicembre 1977, n. 937. E' altresì considerata giorno festivo la ricorrenza del Santo Patrono della località in cui il dipendente presta servizio, purché ricadente in giorno lavorativo. Le quattro giornate di riposo, di cui sopra, sono fruite nel corso dell'anno scolastico cui si riferiscono e, in ogni caso, dal personale docente esclusivamente durante il periodo tra il termine delle lezioni e degli esami e l'inizio delle lezioni dell'anno scolastico successivo, ovvero durante i periodi di sospensione delle lezioni. Le festività soppresse maturano proporzionalmente al servizio prestato. Infatti, per prassi consolidata anche le festività soppresse vengono calcolate proporzionalmente al servizio; le festività maturano 1 ogni 3 mesi di servizio (4/12). In caso di festività maturate con risultanza finale decimale, ai fini delle giornate di effettivo godimento si ritiene che il calcolo deve essere arrotondato non essendo possibile considerare la frazione come giorno intero: es. 3,99 arrotondato a 4. Questo perchè ferie e festività soppresse devono essere godute a giorni interi (e non in modalità oraria). Pertanto, a nostro avviso, ogniqualvolta il risultato è superiore alla metà si arrotonda all’intero (es. 2,66 si arrotonda a 3) mentre se inferiore si arrotonda per difetto (es. 0,22 a 0). Se il risultato è la metà della frazione (0,50; 1,50) per prassi si arrotonda per difetto (soluzione per la quale noi propendiamo e già ribadita in precedenti risposte). Conclusivamente, a nostro avviso, il dipendente che ha maturato n. 3,99 giorni di festività soppresse, ha diritto alla fruizione di quattro giorni di festività (arrotondamento per eccesso). Non vi sono indicazioni specifiche ma, in caso di risultanze decimali (come ad esempio nei casi esposti in premessa), trattandosi di istituto da fruire a giornata ( come per ferie o festività), deve operare necessariamente il meccanismo dell'arrotondamento (che è sia per eccesso che per difetto).

    Data di pubblicazione: 26/06/2025

  • Alcuni chiarimenti sulla certificazione dei giorni di ferie richiesti e fruiti da personale docente a tempo determinato...
  • Preliminarmente va ricordato che il DPR 445/2000 all’art. 1 lett.f) indica cosa si intende tecnicamente per “certificato”, definito come “il documento rilasciato da una amministrazione pubblica avente funzione di ricognizione, riproduzione o partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche”. A tal fine la scuola può emettere un certificato attestante i giorni di ferie fruiti dal lavoratore in un dato periodo ed un distinto attestato in cui si riportano cronologicamente le istanze di fruizione di ferie ricevute dal lavoratore nel medesimo arco temporale. Segnaliamo anche che la P.A. non è tenuta a richiesta del cittadino, anche se suo dipendente, a realizzare ulteriori atti ricognitivi che richiedano rielaborazioni di dati, salvo ciò sia richiesto dal Giudice con un’ordinanza. Tali distinti documenti possono essere dunque regolarmente emessi dall’Istituto, senza formalità ulteriori dall’ordinario. Come noto, peraltro, si è da tempo avviato un filone di impugnazioni seriali, relative alla richiesta di recupero degli emolumenti relativi alle giornate di ferie non fruite dai lavoratori a tempo determinato, a seguito dell’interpretazione resa dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16715/2024, con la quale è stato stabilito che i docenti a tempo determinato non possono essere considerati automaticamente in ferie, in assenza di loro richiesta o di provvedimento esplicito del dirigente scolastico, durante i giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali. L’esito dell’impugnazione giudiziale del disposto del comma 8 dell’art. 5 del d.l. n. 95 del 2012 peraltro è stato reso manifesto dal MIM nella nota prot. 75223 del 27/03/2025, avente ad oggetto: “monetizzazione delle ferie non godute del personale docente con contratto a tempo determinato”, con cui si indica ai Dirigenti scolastici di invitare precauzionalmente al “personale a tempo determinato a godere delle ferie retribuite, in particolar modo nei periodi di sospensione delle lezioni, all’uopo avvisando quest’ultimi della perdita, in caso tanto del diritto a fruire delle ferie quanto del diritto a percepire l’indennità sostitutiva”.

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