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    Data di pubblicazione: 16/05/2025

  • Direttore d'orchestra amatoriale e preparatore atletico: libera professione o incarico extra-istituzionale per i docenti?
  • In merito ai diversi quesiti posti si ritiene quanto segue. 1.un docente di sostegno abilitato in musica che opera anche esternamente come direttore di orchestra a livello amatoriale è parimenti tenuto a presentare la richiesta di autorizzazione o per questa tipologia c'è una deroga specifica? Non c’è nessuna deroga in merito alla richiesta di autorizzazione. Le attività per le quali non va richiesta l’autorizzazione preventiva sono quelle elencate dal comma 6 dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e segnatamente: a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali; c) dalla partecipazione a convegni e seminari; d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita. f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica. f-ter) dalle prestazioni di lavoro sportivo, fino all'importo complessivo di 5.000 euro annui, per le quali è sufficiente la comunicazione preventiva. 2) L'attività di preparatore atletico per una società di canottaggio può essere considerata una libera professione per un docente di motoria? O va trattato , come si ritiene, come incarico extra-istituzionale e, conseguentemente, va specificato quanto segue: "Per quanto riguarda altri incarichi retribuiti, che non rientrano nella libera professione, si precisa che la richiesta di autorizzazione dovrà contenere, quali requisiti imprescindibili, l’indicazione dell’oggetto, la durata dell’incarico, l’ente conferente, il compenso previsto, la sede di espletamento dell’incarico, le attività e le modalità attraverso le quali si esplica l’incarico." Si tratterà di libera professione – nel caso di specie non regolamentata ai sensi della Legge 4 del 2013 – solo se il docente ha partita iva senza iscrizione alla camera di commercio ed in tal senso dovrà presentare richiesta ai sensi dell’art. 508 comma 15 del D.Lgs. n. 297 del 1994. 3) Infine si chiede se nel caso in cui il docente non utilizzi la modulistica fornita dalla scuola e non risponda alla richiesta di chiarimento del Dirigente, la mancata autorizzazione si configura come inerzia dell'istituzione scolastica o come mancanza del docente che non ha fornito le informazioni richieste. E' corretto ritenere che in questo caso il silenzio si configura come un rifiuto a concedere l'autorizzazione? Qual è il riferimento normativo? L’art. 53 comma 10 del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che l'autorizzazione deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico; può, altresi, essere richiesta dal dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l'autorizzazione è subordinata all'intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l'amministrazione di appartenenza di 45 giorni e sì prescinde dall'intesa se l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell'amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata.

    Data di pubblicazione: 15/05/2025

  • Adozione della settimana corta: è possibile votare in sede di collegio docenti a scrutinio segreto anche se il regolamento non lo prevede?
  • Tra qualche giorno presenterò al Collegio docenti la proposta di adottare, a partire dal prossimo anno scolastico, l’organizzazione...

    Data di pubblicazione: 15/05/2025

  • DS può non assumere incarico RUP per un progetto POC a causa di rischi legali con i tutor?
  • Anticipando le conclusioni, si può affermare in estrema sintesi: - il dirigente scolastico pro-tempore è il RUP di default, ma può incaricare il DSGA o altro dipendente, purché sia in possesso dei requisiti richiesti, ovvero titolo di studio ed esperienza come di seguito specificati (cfr. versione aggiornata a febbraio 2024 del “Quaderno 1 - Codice dei contratti pubblici D.Lgs n. 36/2023” del MIM); - l’incarico di RUP non può essere rifiutato. Il D.Lgs. n. 36/2023 (il cosiddetto “Codice dei contratti pubblici”) ha ampliato i compiti e le funzioni del RUP, significativamente ridenominato Responsabile unico di progetto, proprio al fine di sottolineare l’accrescimento degli adempimenti di sua competenza e l’importanza assunta della figura. Ne consegue l’obbligo di individuare un dipendente dotato di competenze multisettoriali, con capacità di gestione delle risorse umane e strumentali. Come stabilisce l’art. 15 del Codice dei contratti pubblici, “1. Nel primo atto di avvio dell’intervento pubblico da realizzare mediante un contratto le stazioni appaltanti e gli enti concedenti nominano nell’interesse proprio o di altre amministrazioni un responsabile unico del progetto (RUP) per le fasi di programmazione, progettazione, affidamento e per l’esecuzione di ciascuna procedura soggetta al codice. 2. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti nominano il RUP tra i dipendenti assunti anche a tempo determinato della stazione appaltante o dell’ente concedente, preferibilmente in servizio presso l’unità organizzativa titolare del potere di spesa. Resta in ogni caso ferma la possibilità per le stazioni appaltanti, in caso di accertata carenza nel proprio organico di personale in possesso dei requisiti di cui all'allegato I.2. di nominare il RUP tra i dipendenti di altre amministrazioni pubbliche. […] L’ufficio di RUP è obbligatorio e non può essere rifiutato. In caso di mancata nomina del RUP nell’atto di avvio dell’intervento pubblico, l’incarico è svolto dal responsabile dell’unità organizzativa competente per l’intervento.” Dunque, anche senza aver proceduto all’individuazione espressa del dirigente scolastico quale RUP, egli è tale in forza del disposto dell’art. 15, c. 2 citato. Tuttavia, come precisato anche nella versione aggiornata del “Quaderno 1”, “All’interno dell’Istituzione Scolastica, alla luce di quanto sopra descritto, la funzione di RUP potrebbe essere svolta ad esempio, dal Dirigente Scolastico (DS), dal Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi (DSGA), dai docenti o da altro personale amministrativo. Il Responsabile Unico del Progetto deve comunque essere in possesso dei requisiti previsti dall’Allegato I.2 al Codice dei Contratti pubblici […]”. Per quanto riguarda i servizi e le forniture, secondo l’art. 5 dell’allegato I.2 il RUP deve possedere un titolo di studio di livello adeguato ed esperienza professionale, in costante aggiornamento, “maturata nello svolgimento di attività analoghe a quelle da realizzare in termini di natura, complessità e importo dell’intervento, in relazione alla tipologia e all’entità dei servizi e delle forniture da affidare”. In particolare, il RUP deve possedere esperienza nel settore dei contratti di servizi e forniture, attestata anche dall’anzianità di servizio maturata: • di almeno un anno per importi inferiori alle soglie di rilevanza europea; • di almeno 3 anni per importi pari o superiori alle soglie di rilevanza europea. La stazione appaltante può individuare quale RUP anche un dipendente privo dei requisiti sopra riportati, ma, in tal caso, deve affidare lo svolgimento delle attività di supporto al RUP ad altri dipendenti che ne siano provvisti, ovvero a soggetti esterni. La nomina quale RUP non può essere comunque rifiutata. Ovviamente, onde evitare che la questione sia fonte di dissidio – finanche insanabile – con il DSGA o altro personale eventualmente individuato, ove si intenda incaricarlo della funzione, si suggerisce di condividere con lo stesso il quadro normativo fin qui illustrato, di sottolineare l’intento di valorizzarne così le competenze e la professionalità e di provvedere, ove necessario, alla individuazione dei soggetti chiamati a svolgere l’attività di supporto al RUP stesso. Si ricordi inoltre che, in mancanza dell’indicazione del nominativo nel bando o nell’avviso di indizione di gara, è proprio il responsabile dell’unità organizzativa (ovvero il dirigente scolastico nel caso delle istituzioni scolastiche) a ricoprire l’incarico in questione. In conclusione, l’incarico di RUP non deve necessariamente essere intestato al dirigente scolastico ma egli potrò affidarlo, nel rispetto dei limiti e dei requisiti sopra delineati, ad un soggetto individuato tra il DSGA, altro personale amministrativo e il personale docente. Si precisa infine che, poiché l’Avviso prot. n. 64310 del 23/04/2025 dispone testualmente che “Le risorse disponibili per le istituzioni scolastiche consentono di attivare percorsi e moduli formativi di orientamento, nell’ambito dei quali possono essere retribuiti i docenti individuati con incarico di tutor in base alle ore e alle attività aggiuntive svolte in qualità sia di esperto sia di tutor d’aula”, il coinvolgimento dei tutor dell’orientamento nei moduli formativi finanziati con le risorse del POC può avvenire senza che vi sia bisogno di individuare un RUP. Quest’ultimo è infatti necessario qualora si intraprenda un procedimento finalizzato alla stipula di un contratto di servizi o forniture sulla base della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 36/2023. Tuttavia, nel caso di specie e fatte salve eventuali ulteriori indicazioni del MIM, i tutor dell’orientamento possono essere coinvolti nei moduli formativi previo mero avviso interno che non richiede – per l’appunto – l’assunzione dell’incarico di RUP bensì la semplice individuazione del responsabile del procedimento ex lege n. 241/1990.

    Data di pubblicazione: 15/05/2025

  • Dimissioni di un'A.A. per nuova PA mentre è in aspettativa: come procedere se non c'è il preavviso?
  • Il passaggio dei dipendenti da un'amministrazione pubblica a un'altra amministrazione pubblica non determina alcun problema, in ordine all'assenza di preavviso. Riportiamo, infatti, il testo dell'art. 65 del Testo Unico impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3: "Art. 65 - Divieto di cumulo di impieghi pubblici - Gli impieghi pubblici non sono cumulabili, salvo le eccezioni stabilite da leggi speciali. [...] L'assunzione di altro impiego nei casi in cui la legge non consente il cumulo importa di diritto la cessazione dall'impiego precedente, salva la concessione del trattamento di quiescenza eventualmente spettante, ai sensi dell'art. 125, alla data di assunzione del nuovo impiego". La norma riguarda la generalità dei dipendenti pubblici. Nel Testo Unico Scuola approvato con d.lgs. 297/1994, all'art. 508, commi 7-8-9 troviamo la medesima previsione (cessazione di diritto dall'impiego precedente): "7. L'ufficio di docente, di direttore didattico, di preside, di ispettore tecnico e di ogni altra categoria di personale prevista dal presente titolo non è cumulabile con altro rapporto di impiego pubblico. 8. Il predetto personale che assuma altro impiego pubblico è tenuto a darne immediata notizia all'amministrazione. 9. L'assunzione del nuovo impiego importa la cessazione di diritto dall'impiego precedente, salva la concessione del trattamento di quiescenza eventualmente spettante ai sensi delle disposizioni in vigore." Pertanto, nel caso in oggetto il dipendente non deve presentare le dimissioni, ma limitarsi a dare immediata notizia all'istituzione scolastica dell'assunzione di un nuovo impiego pubblico, con la conseguenza - espressamente prevista dalle norme riportate - della decadenza di diritto dall'impiego precedente. Non occorre, pertanto, il rispetto di alcun termine di preavviso, peraltro previsto dall'art. 23 del CCNL 29-11-2007 solo nei casi di i casi in cui lo stesso CCNL prevede la risoluzione del rapporto con preavviso o con corresponsione dell'indennità sostitutiva dello stesso, e non nel caso in questione, che riguarda un caso di cessazione previsto dalla legge e non dal CCNL.

    Data di pubblicazione: 15/05/2025

  • Nomina di un DS in un CdA universitario: è possibile?
  • Il quesito riguarda la complessa materia dell’incompatibilità del personale scolastico. Il suo inquadramento normativo si colloca nel combinato disposto dato dagli articoli 60 ss. del DPR n. 3/1957, noto come "Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, dall’articolo 53 del D.lgs. n. 165/2001 recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze pubbliche", dall'articolo 508 del D.lgs. n. 297/1994 e da specifiche misure del CCNL del comparto “Scuola”. Ai sensi del primo dei riferimenti, ovvero degli articoli del DPR n. 3/1957, di regola l’assunzione di un impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione risulta incompatibile con: - l’esercizio dell’attività commerciale, industriale o professionale; - l’assunzione o il mantenimento di impieghi alle dipendenze di privati; - l’assunzione di cariche in società costituite a fini di lucro con l’esclusione delle sole cariche in società o enti per i quali la nomina sia riservata allo Stato, previa autorizzazione del ministro competente. L’articolo 53 del D.lgs. n. 165/2001 con il comma 1 conferma tale quadro disponendo che “resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall'articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all'articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all'articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina.” Nel caso dei docenti interviene l’articolo 508 del Testo Unico della scuola che ribadisce le richiamate ipotesi di divieto, al netto dell’eccezione disciplinata dal comma 15 che consente loro di svolgere le libere professioni. Altra deroga è prevista dall’articolo 39, comma 9, CCNL comparto scuola 2006-2009 del 29/11/2007 in caso di assunzione di altri impieghi da parte del personale dipendente con rapporto di lavoro a tempo parziale con una prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, purché non siano alle dipendenze di altre pubbliche amministrazioni e non implichino un conflitto di interessi, come impone l’articolo 1, comma 58 della Legge n. 662/1996. Sia nel caso delle libere professioni che in quello dell’assunzione di altri impieghi è necessario per il docente acquisire la previa autorizzazione del dirigente scolastico. Per tutti i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2 del D.lgs. n. 165/2001 sono esclusi dal divieto i compensi e le prestazioni derivanti dalle seguenti attività libere che non necessitano di autorizzazione, disciplinate dall’articolo 53, comma 6 del medesimo decreto: a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali; c) dalla partecipazione a convegni e seminari; d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita. f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica. f-ter) dalle prestazioni di lavoro sportivo, fino all’importo complessivo di 5.000,00 euro annui, per le quali è sufficiente la comunicazione preventiva. quali è sufficiente la comunicazione preventiva. In ogni caso i dipendenti pubblici, se gli incarichi retribuiti non ricadono nei casi di incompatibilità sin qui riportati, non possono svolgerli senza che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Per districarsi in tale materia rappresentano un valido ausilio le indicazioni contenute nel documento "Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti", elaborato all’esito del tavolo tecnico tra Dipartimento della Funzione Pubblica, Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, ANCI e UPI in attuazione dell'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013. Detto documento invita a valutare tali incarichi sotto i profili dell’occasionalità/abitualità dell’incarico, dell’assenza/presenza di conflitto di interesse e della non interferenza/interferenza con gli obblighi di servizio. Esso chiarisce anche che: - sono vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con prestazione lavorativa superiore al 50% gli incarichi con caratteristiche di abitualità e professionalità e che configurino conflitto di interessi; - sono vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50% gli incarichi con le caratteristiche del conflitto di interessi; - sono vietati gli incarichi che hanno i caratteri della abitualità e professionalità in forza dell'articolo 60 del DPR. n. 3/57. Inoltre, secondo il documento sono da considerarsi vietati gli incarichi che, considerati complessivamente nell'ambito dell'anno solare, si qualificano come un impegno continuativo con carattere di abitualità e professionalità, tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione previsti. Ferma restando la necessità dell'autorizzazione e al netto delle previsioni di cui all’articolo 53, comma 4, del D.lgs. n. 165/2001, il medesimo documento esclude da tale divieto: a) l'assunzione di cariche nelle società cooperative, ai sensi dell'articolo 61 del DPR. n. 3/1957; b) i casi in cui sono le disposizioni di legge che espressamente consentono o prevedono per i dipendenti pubblici la partecipazione e/o l'assunzione di cariche in enti e società partecipate o controllate; c) l'assunzione di cariche nell'ambito di commissioni, comitati, organismi presso amministrazioni pubbliche, sempre che l'impegno richiesto non sia incompatibile con il debito orario e/o con l'assolvimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro; d) altri casi speciali oggetto di valutazione nell'ambito di atti interpretativi/di indirizzo generale. Venendo all’oggetto del quesito, vale a dire la partecipazione del dirigente scolastico al consiglio di amministrazione di una università privata, occorre richiamare ancora una volta l’art. 60 del DPR n. 3/1957 che così dispone: “L'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del ministro competente.” Senza dubbio alcuno l’università privata si configura quale società a fine di lucro per la quale l'assunzione di cariche sociali risulta incompatibile con la condizione di dipendente dell'amministrazione scolastica, come disposto dal citato articolo 53 del D.lgs. n. 165/2001. Tale divieto non sussiste nel caso della partecipazione di un pubblico dipendente in società commerciali in qualità di mero socio di capitale ma, lo si ribadisce, esclude tassativamente che egli possa ricoprire cariche sociali, compiere atti di amministrazione nella società, trattare o concludere affari in nome della stessa. Sul punto si ha una giurisprudenza consolidata. A titolo di esempio, la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con la Sentenza 26/11/2012, n. 20857, ha affermato che l'impiegato della P.A. non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione, senza alcun riferimento ad attività retribuita, onde il divieto deve ritenersi assoluto, a prescindere dalla sussistenza o meno di una remunerazione, ovvero di una continuità della prestazione lavorativa diversa da quella espletata alle dipendenze della P.A. Nel caso di specie, dunque, per il dirigente scolastico la nomina a componente del consiglio di amministrazione di una università privata configura una situazione di incompatibilità non superabile.

    Data di pubblicazione: 15/05/2025

  • Periodo di prova e malattia prolungata: quanto tempo può rimanere assente un neo-assunto?
  • Si chiedono chiarimenti in merito al prorogarsi di assenza per gravi patologie di una assistente amministrativa immessa in ruolo...

    Data di pubblicazione: 15/05/2025

  • Alcuni docenti sono inadempienti rispetto agli obbligo formativo previsti dal CCNL: quali misure bisogna adottare?
  • Per quanto riguarda la formazione: - il c. 4 dell’art. 44 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 stabilisce che: “Fermo restando che le ore di cui alle lettere a) e b) del comma 3 sono prioritariamente destinate alle attività collegiali ivi indicate, le ore non utilizzate a tal fine sono destinate, nei limiti di cui alle lett. a) e b), alle attività di formazione programmate annualmente dal collegio docenti con il PTOF”; - il c. 7 dell’art. 36 del medesimo CCNL precisa poi che “Per il personale docente, la formazione avviene in orario non coincidente con le ore destinate all’attività di insegnamento di cui all’art. 43 (Attività dei docenti). Le ore di formazione ulteriori rispetto a quelle di cui all’art. 44, comma 4 (Attività funzionali all’insegnamento) sono remunerate con compensi, anche forfettari stabiliti in contrattazione integrativa, a carico del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa di cui all’art. 78.” Ciò significa che le ore di formazione programmate dal collegio docenti nel PTOF confluiscono nelle 40 ore+40 ore, con obbligo di remunerazione a carico dell’istituzione scolastica di quelle eventualmente eccedenti, anche con compensi forfettari stabiliti in sede di contrattazione integrativa di istituto. In altri termini, se i percorsi di formazione vengono inseriti nel piano triennale dell’offerta formativa, di essi si può imporre la frequenza fino a concorrenza delle 40 ore+40 ore. Oltre questo monte orario annuo, la formazione per il personale docente diviene volontaria (come accade con tutte le attività aggiuntive); tuttavia, se effettuata, deve essere remunerata anche con compensi stabiliti in misura forfetaria come previsto dal c. 7 dell’art. 36 citato. Se invece i percorsi formativi non sono stati inseriti nel PTOF, a rigore viene meno la possibilità di imporne la frequenza fino a concorrenza delle 40 ore+40 ore ma anche e parimenti l’obbligo di prevedere una remunerazione della formazione svolta in eccedenza, secondo quanto previsto dall’art. 36, c. 7, CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021. Dunque: se le ore di formazione di cui al quesito sono state inserite nel PTOF – come pare evincersi dal quesito – esse risultano obbligatorie e il dirigente può esigerne l’effettuazione. A fronte del mancato svolgimento della formazione dovuta, non sorretto da alcun legittimo impedimento, quest’ultimo deve procedere sia alla decurtazione del compenso per le ore relative sia all’avvio del procedimento disciplinare, previa richiesta di chiarimenti scritti ai docenti coinvolti. Infatti, la mancata effettuazione di attività funzionali obbligatorie rileva sotto entrambi i profili: come violazione dei doveri inerenti alla funzione docente ex art. 493 D.Lgs. n. 297/1994 (T.U. Istruzione) e come mancata prestazione lavorativa che implica la ripetizione dell’indebita retribuzione percepita. Si consiglia pertanto, come accade ogniqualvolta non venga prestata l’attività lavorativa dovuta, di richiedere chiarimenti scritti, assegnando a tal fine ai docenti coinvolti un breve lasso di tempo per fornirli (non più di 5 giorni). Se la mancata frequenza dei corsi di formazione deliberati dal collegio non è sorretta – come detta – da alcun legittimo impedimento, competono al dirigente sia l’azione disciplinare sulla base dell’art. 493 T.U. Istruzione sia la decurtazione stipendiale corrispondente alle ore non prestate.

    Data di pubblicazione: 15/05/2025

  • Ora di alternativa alla religione: interpello interno vs. graduatorie d'istituto per la supplenza...
  • La materia dell’assegnazione ai docenti delle attività alternative all’IRC è stata oggetto di alcune note del MEF tra cui la nota 7 marzo 2011 prot. n. 26482, la nota 7 giugno 2012 prot. n. 87 e la nota 7 maggio 2014 prot. n. 7181 nonché di note di qualche Ufficio scolastico regionale che ha riassunto i termini della questione e fornito preziose indicazioni operative. Tra queste ultime preme ricordare la nota USR Piemonte prot. n. 11127 del 24 settembre 2020 e la nota USR Sicilia prot. n. 37132 del 3 dicembre 2021. Essa dedica all’argomento un intero paragrafo, intitolato “Modalità di individuazione dei docenti e pagamento delle ore alternative all’IRC”, ove si legge: “Il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, con nota prot. n. 26482 del 7.3.2011 avente ad oggetto “Pagamento delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica”, ha fornito ulteriori chiarimenti e dettato istruzioni per la parte contrattuale e retributiva. In merito alle ore alternative all’insegnamento della religione cattolica, la citata nota specifica che esse “costituiscono un servizio strutturale obbligatorio, si ritiene che possano essere pagate a mezzo dei ruoli di spesa fissa”. Quanto all’individuazione ed alle modalità di utilizzazione del personale docente, detta nota precisa che “al fine dell’attribuzione delle ore da liquidare possono identificarsi quattro tipologie di destinatari: 1) personale interamente o parzialmente a disposizione della scuola; 2) docenti dichiaratisi disponibili ad effettuare ore eccedenti rispetto all’orario d’obbligo; 3) personale supplente già titolare di altro contratto con il quale viene stipulato apposito contratto a completamento dell’orario d’obbligo; 4) personale supplente appositamente assunto, non potendo ricorrere ad una delle ipotesi sopra specificate. In merito, nell'ipotesi 1), trattandosi di personale già retribuito per l'intero orano, l'insegnamento non comporta oneri aggiuntivi. Nell’ipotesi 2) le attività alternative, svolte da personale docente di ruolo e non di ruolo, si ritiene possano essere liquidate come ore eccedenti sui piani gestionali già utilizzati per il pagamento degli assegni relativi allo stipendio base. Nell'ipotesi 3) le attività alternative potranno essere liquidate in aggiunta all'orario già svolto e riferite ai piani gestionali già utilizzati per il pagamento degli assegni relativi al contratto principale. Nell’ipotesi 4), trattandosi di personale assunto esclusivamente per le attività alternative, per assicurarne il tempestivo pagamento nelle more delle necessarie implementazioni ai sistemi informativi del MIUR e del MEF, l 'onere potrebbe, al momento, essere imputato al piano gestionale relativo alle spese per le supplenze a tempo determinato dei capitoli di spesa distintamente previsti per la scuola dell'infanzia (cap. 2156), primaria (cap. 2154), secondaria di primo grado (cap. 2155) e secondaria di secondo grado (cap. 2149).” Ovviamente, queste sono le indicazioni da seguire in vista della individuazione del titolare delle ore aggiuntive per le attività alternative all’IRC. Per quanto riguarda la sostituzione di chi è risultato destinatario di dette ore, operano invece i consueti meccanismi descritti dall’art. 2, c. 5 dell’O.M. n. 88/2024. Essi non subiscono eccezioni nel caso di specie e dunque il posto dovrà essere offerto nella sua interezza ai candidati, inseriti nella graduatoria di istituto, con cui dovrà essere sottoscritto un contratto di supplenza temporanea, ai sensi della lettera c) del suddetto art. 2, c. 5. Infine, la graduatoria di istituto dalla quale attingere è quella corrispondente alla classe di concorso cui appartiene la titolare assente, proprio perché nell’O.M. n. 88/2024 con riferimento al caso di specie non è prevista alcuna deroga alle regole generali sulla sostituzione dei docenti assenti.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Dipendente in malattia durante i primi giorni di sospensione disciplinare: conseguenze sul trattamento economico e sulla validità della sanzione?
  • Il DS ha emesso un decreto di Decreto di sospensione a seguito di provvedimento disciplinare irrogato dall’UPD...

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Permessi L.104/92 fruiti da un C.S. part-time: vediamo il riproporzionamento ore, il frazionamento orario e il conteggio delle giornate intere...
  • Per quanto concerne il riproporzionamento in caso di part-time verticale, la Cassazione, con le Sentenze n. 4069 del 20 febbraio 2018 e n. 22925 del 29 settembre 2017, ha affermato che i tre giorni di permesso ex art. 33 della Legge n. 104/1992 non si riproporzionano in caso di part-time superiore al 50%. Ad avviso della Suprema Corte appare ragionevole distinguere l’ipotesi in cui la prestazione di lavoro part-time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell’anno e riconoscere, solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile, il diritto alla integrale fruizione dei permessi previsti dall’art. 33 della Legge n. 104/1992. L’ARAN, con l’O.A. CFC34 del 25 novembre 2019, ha affermato che l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 22925/2017, ribadito anche nella sentenza n. 4069 del 20/02/2018, in tema di permessi ex Legge n. 104/1992, per l’autorevolezza della fonte rappresenti un indirizzo applicativo concreto e fattuale. Fermo restando, quindi, il generale obbligo di riproporzionamento nei casi di rapporto di lavoro a tempo parziale, in considerazione della natura di strumento di politica socio-assistenziale del permesso riconosciuto per l’assistenza alla persona con grave disabilità, a parere della Suprema Corte non va operato il riproporzionamento dei tre giorni di permesso ex art. 33 della Legge n. 104/1992 nei confronti del lavoratore con contratto in part-time verticale che effettui prestazione lavorativa per un numero di giornate superiori al 50% rispetto all’ordinario orario lavorativo in regime di full time. L’INPS, con la Circolare n. 45 del 19 marzo 2021, ha fornito chiarimenti in merito alle formule di calcolo da applicare ai fini del riproporzionamento dei tre giorni di permesso mensile, di cui all’art. 33 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, nei casi di rapporto di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto con attività lavorativa part-time superiore al 50%. L’INPS, ha chiarito che le formule, indicate nel messaggio n. 3114 del 7 agosto 2018, devono essere riviste alla luce degli orientamenti della Suprema Corte di Cassazione che, come detto sopra, ha statuito che la durata dei permessi, qualora la percentuale del tempo parziale di tipo verticale superi il 50% del tempo pieno previsto dal contratto collettivo, non debba subire decurtazioni in ragione del ridotto orario di lavoro. Pertanto: - in caso di part-time di tipo orizzontale, i tre giorni di permesso non andranno riproporzionati; - con riferimento ai rapporti di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto fino al 50%, si procede con il riproporzionamento e rimangono valide le disposizioni fornite con il messaggio n. 3114/2018 (formule che vengono ribadite anche con la circolare n. 45/2021); - per i dipendenti in regime di part-time con percentuale a partire dal 51%, verranno riconosciuti interamente i tre giorni di permesso mensile; - il riproporzionamento orario dei giorni di permesso di cui all’articolo 33, commi 3 e 6, della Legge n. 104/1992 dovrà essere effettuato solo nel caso in cui il beneficio venga utilizzato, anche solo parzialmente, in ore (possibile per il personale ATA ai sensi dell’art. 68 del CCNL 2024). Tutto ciò premesso, in riferimento ai quesiti posti si ritiene quanto segue. 1) È corretto autorizzare la fruizione delle 18 ore di permesso al mese, oppure le stesse avrebbero dovuto essere riproporzionate, trattandosi di personale con contratto part time? Trattandosi di dipendente con part time superiore al 50% non va operato il riproporzionamento dei permessi. 2) È legittima la fruizione dei permessi per frazioni di ore (1 ora e ½, 1 ora e 20 minuti...), oppure gli stessi possono essere fruiti solo per ore intere (e, nel caso, per quante ore al massimo nell’arco dello stesso giorno?) L’ARAN, con O.A. del 9 ottobre 2018, ha confermato il precedente orientamento applicativo per cui i permessi della Legge n. 104/1992 non possono essere fruiti frazionatamente anche solo a minuti. Quindi non è possibile una fruizione di 1 ora e 20 minuti. 3) Nel caso in cui nello stesso mese pervenga richiesta di fruizione di permessi sia per giornate intere, sia per ore, una giornata intera va conteggiata pari a 7 ore da detrarre alle 18 oppure pari a 6 ore? L’ARAN, con l’ O.A. 15 giugno 2021 CIRS86, ha precisato che laddove il lavoratore ATA intenda fruire nello stesso mese sia dei permessi orari che di quelli giornalieri, fruizione c.d. mista, per ogni giornata di assenza andranno decurtate 6 ore dal monte ore complessivo indipendentemente dall’orario di lavoro previsto per la singola giornata di assenza. Ciò in quanto il contratto, nel definire l’equivalenza giorni/ore, ha ipotizzato un orario teorico di 6 ore per ogni giorno. Da tutto quanto sopra esposto, ne consegue che il limite massimo della fruizione oraria dei tre giorni di permesso di cui all’art. 33, comma 3, della Legge n. 104/1992 è di diciotto ore mensili.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Consegna a mano rifiutata e raccomandata non ritirata: quando si considera notificato il provvedimento disciplinare?
  • Desidero un chiarimento su una questione di validità della notifica di un provvedimento disciplinare in ambito scolastico...

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Come calcolare i giorni validi per l'anno di prova con nomina da dicembre?
  • La disciplina del periodo di prova del personale docente è attualmente contenuta nei cc. 116-120 dell’art. 1 della legge n. 107/2015 e, per quanto compatibili con essi, negli artt. 437-440 del D.Lgs. n. 297/1994 nonché, infine, nell’art. 13 del D.Lgs. n. 59/2017 e nel D.M. n. 226/2022. Dal complesso delle disposizioni citate, si evince chiaramente che: - si accede alla valutazione del comitato di valutazione solo se si realizzano i prescritti requisiti di servizio consistenti, in via generale e di regola, in 180 giorni di servizio effettivo di cui almeno 120 di attività didattica; - essi sono parametrati sull’anno scolastico (1° settembre-31 agosto di ciascun anno). In questo senso risultano chiari sia il c. 116 della legge n. 107/2015, sia l’art. 3 del D.M. n. 226/2022 che subordinano il superamento del periodo di prova al compimento di detti presupposti, sia infine l’art. 438, c. 5, D.Lgs. n. 297/1994 secondo cui: “Qualora nell'anno scolastico non siano stati prestati 180 giorni di effettivo servizio, la prova è prorogata di un anno scolastico, con provvedimento motivato, dall'organo competente per la conferma in ruolo.” Alla luce di quanto precede, là dove la nota MIM prot. n. 1765 del 15/01/2025 stabilisce che – per coloro che sono stati immessi in ruolo dopo il 1° settembre 2024 – “il conteggio dei requisiti di servizio debba essere proporzionalmente riparametrato sulla base della durata effettiva del contratto a tempo indeterminato”, si ritiene occorra prendere a riferimento l’anno scolastico (1° settembre 2024-31 agosto 2025). Ciò significa che il calcolo da effettuarsi per ricavare il valore ricercato (x) consiste in una proporzione siffatta: 180 (o 120) : 365 = x : y (dove y è dato dal numero dei giorni ricompresi tra la presa di servizio e il 31 agosto 2025).

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Come intervenire sull'uso improprio dei permessi per visite specialistiche fruiti da un dipendente ATA a t.d.?
  • L'art. 69 del CCNL 2024 (così come l'art. 33 del precedente CCNL 2018) prevede che ai dipendenti ATA sono riconosciuti ulteriori specifici permessi per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, fruibili su base sia giornaliera che oraria, nella misura massima di 18 ore per anno scolastico, comprensive anche dei tempi di percorrenza da e per la sede di lavoro. I permessi orari in questione: a) sono incompatibili con l’utilizzo nella medesima giornata delle altre tipologie di permessi fruibili ad ore, previsti dalla legge e dal presente CCNL, nonché con i riposi compensativi di maggiori prestazioni lavorative. Fanno eccezione i permessi di cui all’art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 e i permessi e congedi disciplinati dal d.lgs. n. 151 del 2001; b) non sono assoggettati alla decurtazione del trattamento economico accessorio prevista per le assenze per malattia nei primi 10 giorni. Ai fini del computo del periodo di comporto, sei ore di permesso fruite su base oraria corrispondono convenzionalmente ad una intera giornata lavorativa. I permessi orari possono essere fruiti anche cumulativamente per la durata dell’intera giornata lavorativa. In tale ipotesi, l'incidenza dell'assenza sul monte ore a disposizione del dipendente viene computata con riferimento all'orario di lavoro che il medesimo avrebbe dovuto osservare nella giornata di assenza. Nel caso di permesso fruito su base giornaliera, il trattamento economico accessorio del lavoratore è sottoposto alla medesima decurtazione prevista dalla vigente legislazione per i primi dieci giorni di ogni periodo di assenza per malattia. Pertanto: 1) in caso di permessi di durata inferiore all’intera giornata lavorativa (es. 2 ore): non vi è decurtazione dell'accessorio; 2) in caso di permessi di durata pari all’intera giornata lavorativa: vi è decurtazione del trattamento accessorio. Il dipendente ad ogni modo potrà imputare l'intera assenza a permessi (che quindi saranno scalati nella misura corrispondente all'orario di servizio che avrebbe avuto il dipendente) non risultando dirimente l'orario di effettuazione della visita. Le motivazioni correlate allo svolgimento della visita (es. tragitto, necessità di riposarsi dopo la visita etc) permettono di imputare a permessi in questione l'assenza per l'intera giornata. La domanda di fruizione dei permessi è presentata dal dipendente nel rispetto di un termine di preavviso di almeno tre giorni. Nei casi di particolare e comprovata urgenza o necessità, la domanda può essere presentata anche nelle 24 ore precedenti la fruizione e, comunque, non oltre l’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui il dipendente intende fruire del periodo di permesso giornaliero od orario. L’assenza per i permessi di cui sopra è giustificata mediante attestazione, anche in ordine all’orario, redatta dal medico o dal personale amministrativo della struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione. L’attestazione è inoltrata all’amministrazione dal dipendente oppure è trasmessa direttamente a quest’ultima, anche per via telematica, a cura del medico o della struttura. Ciò premesso, si rileva che il dipendente ATA potrà imputare l'assenza a malattia per l'intera giornata (con relativo trattamento economico) nelle ipotesi previste dai commi 11, 12, e 14 dell'art. 69. In merito a quest'ultimo punto, l'ARAN, con O.A. CIR 2 dell'8 novembre 2018, pubblicato in data 30 novembre, ha fatto chiarezza sull'interpretazione dell'art. 33 del CCNL 2018 ( ora il riferimento è come detto sopra all'art. 69 del nuovo CCNL 2024). Più specificamente l'oggetto dell'Orientamento è il seguente "Come si concilia il nuovo art. 33 del CCNL Istruzione e Ricerca del 19.04.2018, che prevede la possibilità di utilizzare fino a 18 ore annuali, fruibili sia su base oraria che giornaliera, per effettuare visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, con l’istituto della malattia disciplinato dall’art. 17 del CCNL del 29/11/2007? Vi rientrano anche i tempi di percorrenza o di viaggio necessari per recarsi a visita specialistica?" L'ARAN ricorda che l'art. 33 ( ora art. 69) introduce per il personale ATA una nuova tipologia di permessi per effettuare visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, prima non prevista dai CCNL. Inoltre, per regolare organicamente tutte le possibili fattispecie di assenze per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, l'articolo in questione disciplina anche una diversa e ulteriore casistica riguardante la possibilità di imputare le visite, terapie, prestazioni o esami a malattia, in talune specifiche e tassative ipotesi, espressamente indicate nella citata disposizione contrattuale. Si tratta, in particolare: - del caso in cui la visita, l’esame o la terapia siano concomitanti ad una situazione di incapacità lavorativa conseguente ad una patologia in atto (comma 11); - del caso in cui l'incapacità lavorativa sia determinata dalle caratteristiche di esecuzione e di impegno organico di visite, accertamenti, esami o terapie (comma 12); - del caso in cui, a causa della patologia sofferta, il dipendente debba sottoporsi, anche per lunghi periodi, ad un ciclo di terapie implicanti incapacità lavorativa (comma 14). Tutte e tre le ipotesi in questione sono caratterizzate da uno stato di incapacità lavorativa e, per questo specifico aspetto, esse si differenziano dai permessi regolati negli altri commi in quanto, presentando una più diretta riconducibilità alla nozione di malattia, possono essere attribuiti a tale ultimo istituto, come specificatamente previsto nel CCNL (“la relativa assenza è imputata a malattia”). Conseguentemente, in tali casi l’assenza non è fruibile ad ore e non vi è la riduzione del contingente di 18 ore annue". Per quanto concerne l’ipotesi di cui al comma 11 il CCNL ha richiesto, in aggiunta all’attestazione di malattia del medico curante, anche l’ulteriore attestazione della struttura presso la quale il dipendente si è sottoposto alla visita o alla prestazione medica, in quanto la prestazione viene effettuata al di fuori del proprio domicilio con conseguente necessità di giustificare la mancata presenza presso lo stesso. Relativamente alle modalità di giustificazione dell’assenza nell’ipotesi di cui al comma 12 ( e con ciò si risponde allo specifico quesito chiesto), l’ARAN ha precisato che il contratto non prevede specifiche caratteristiche, limitandosi a richiedere un’attestazione di presenza, anche in ordine all’orario, redatta dal medico o dalla struttura interessata, anche privati, dove si è svolta la visita o prestazione, che può essere inoltrata all’amministrazione di appartenenza da parte del dipendente o trasmessa telematicamente dallo stesso medico o dal personale della relativa struttura. Tale attestazione, per coerenza con la fattispecie disciplinata, deve recare l’indicazione che la prestazione effettuata, per le caratteristiche di esecuzione, determina “incapacità lavorativa”. ( cfr ARAN O.A. 30 settembre 2020 CIRU22) Invece nelle ipotesi di cui al comma 14 è sufficiente un'unica certificazione, anche cartacea, del medico curante che attesti la necessità di trattamenti sanitari ricorrenti comportanti incapacità lavorativa, secondo cicli o calendari stabiliti. A tale certificazione fanno seguito le singole attestazioni di presenza dalle quali risulti l'effettuazione delle terapie nelle giornate previste, nonché il fatto che la prestazione è somministrata nell’ambito del ciclo o calendario di terapie prescritto dal medico. Pertanto, relativamente al personale ATA, forniamo il quadro di sintesi delle certificazioni necessarie in caso di assenza per visita specialistica ai sensi dell'art. 69: 1) Assenza ricondotta alle 18 ore di permesso: sufficiente attestazione, anche in ordine all’orario, redatta dal medico o dal personale amministrativo della struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione. Se richiede i permessi, indipendentemente dall'orario della prestazione, ai fini delle ore da scalare conta unicamente quanto è stato oggetto di domanda. Infatti, il dipendente, come detto sopra, potrebbe anche richiedere di assentarsi per tutta la giornata. 2) Assenza ricondotta a malattia: a) ipotesi comma 11: Certificato medico + attestazione presenza b) ipotesi comma 12 ( fattispecie relativa al quesito posto): Attestazione presenza recante anche indicazione conseguente incapacità lavorativa c) ipotesi comma 14: Unica certificazione medica iniziale + singole attestazioni presenza. Infine, relativamente agli istituti da utilizzare in alternativa alla disciplina fin qui delineata, occorre fare riferimento a quanto stabilito dal comma 15 del citato art. 69, ove si prevede espressamente che, per le finalità in oggetto, possono essere utilizzati, sulla base delle modalità applicative previste dal CCNL, anche i permessi orari a recupero, i permessi per motivi personali e familiari, i riposi connessi alla banca delle ore, i riposi compensativi per le prestazioni rese per lavoro straordinario secondo la disciplina prevista per il trattamento economico e giuridico di tali istituti dal CCNL 2024 o dai precedenti CCNL del comparto Scuola. A tali permessi e riposi il dipendente ATA può ricorrere sia in base ad una sua specifica scelta, sia anche nell'ipotesi in cui lo stesso abbia la necessità di assentarsi per visite, terapie, prestazione od esami in misura superiore al monte ore sopraindicato (e quindi quando ha terminato le 18 ore) e non sussistano le condizioni per il ricorso all'istituto della malattia stabilite dai sopraindicati commi 11, 12 e 14 dello stesso art. 69. Pertanto, se il dipendente imputa l'assenza per visita specialistica a permessi ha a disposizione solo 18 ore da utilizzare nelle modalità sopra indicate. Potrà assentarsi, a titolo di malattia, ( senza limite di giornate se non fino al comporto) solo in presenza delle fattispecie di cui ai commi 11, 12 e 14 sopra riportati. In merito ai giorni di viaggio, la Circolare Ministeriale n. 301 del 27 giugno 1996 avente ad oggetto “Artt. 19, 21, 23, 24, 27, 28, 51 e 71 del CCNL del personale del comparto Scuola (Sottoscrizione 4 agosto 1995) - Perplessità interpretative” ha precisato che, nel caso di assenza per visita specialistica con fruizione del trattamento ex art. 23 del CCNL (cioè nel caso di assenza dal servizio imputata a malattia), il dipendente ha diritto ad assentarsi per il tempo strettamente necessario all'effettuazione della prestazione sanitaria, ivi compresi i giorni eventualmente richiesti per il viaggio. Tuttavia l'ARAN, con il successivo O.A. 26 settembre 2017 M_263, in merito alle assenze dal servizio per visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici, ha affermato che dette assenze, laddove imputabili alla malattia, sono esclusivamente preordinate all'effettuazione delle suddette terapie o accertamenti diagnostici, con la conseguenza che i giorni di viaggio per recarsi presso la struttura sanitaria prescelta non possano essere ascrivibili alla malattia stessa. Pertanto, il dipendente, per i suddetti giorni di viaggio, dovrà fare ricorso agli altri istituti contrattuali previsti in materia di assenza dal lavoro. Conclusivamente, la scuola, dovrà attenersi alle previsioni dell'art. 69 controllando che la documentazione presentata sia quella richiesta dal CCNL.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Rimescolamento classi terze primaria per dinamiche relazionali: è legittimo?
  • Quanto sinora sperimentato dall’istituzione scolastica – peraltro con ricadute positive sulle dinamiche relazionali degli alunni coinvolti – è la concreta applicazione dell’articolo 4, comma 2, del DPR n. 275/1999 che consente alle istituzioni scolastiche, nell'esercizio della loro autonomia didattica, di regolare i tempi dell'insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività nel modo più consono al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni. Per raggiungere tale scopo, esse hanno non solo la facoltà di adottare le forme di flessibilità che ritengono più opportune ma anche quella di attuare una o più di una delle seguenti declinazioni didattiche: “a) l'articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività; b) la definizione di unità di insegnamento non coincidenti con l'unità oraria della lezione e l'utilizzazione, nell'ambito del curricolo obbligatorio di cui all'articolo 8, degli spazi orari residui; c) l'attivazione di percorsi didattici individualizzati, nel rispetto del principio generale dell'integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo, anche in relazione agli alunni in situazione di handicap secondo quanto previsto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104; d) l'articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso; e) l'aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari.” Tale disposizione va letta in combinato con l’articolo 5, comma 4 del citato decreto secondo cui “In ciascuna istituzione scolastica le modalità di impiego dei docenti possono essere diversificate nelle varie classi e sezioni in funzione delle eventuali differenziazioni nelle scelte metodologiche ed organizzative adottate nel piano dell'offerta formativa.” Applicando, dunque, quanto riportato al punto sub d), l’istituzione scolastica ha costituito “in itinere” gruppi di alunni appartenenti a classi parallele registrando ricadute particolarmente positive sul piano relazionale. Tuttavia, perché detta ricomposizione possa trasformarsi in costituzione “ex novo” delle terze classi sin dall’avvio del futuro anno scolastico, occorre presidiare due aree di processo strategiche: quella organizzativo-didattica e quella della comunicazione. Con riferimento alla prima area, è necessario che il dirigente scolastico, in collaborazione con il collegio dei docenti e dei consigli di classe interessati, valuti attentamente se procedere o meno a ricomporre le classi, tenendo conto delle esigenze degli alunni, del loro benessere, del contesto scolastico e di ogni altro aspetto rilevante dal punto di vista didattico, educativo e relazionale. Inoltre, come avviene in caso di accorpamento o di sdoppiamento di classi successive alle prime, è opportuno acquisire le delibere relative ai criteri e ai metodi per mettere in atto anche la loro “ricomposizione”, nel rispetto dei principi di trasparenza e di imparzialità. Il dirigente scolastico deve tenere conto delle proposte del collegio dei docenti (articolo 7, comma 2, lettera b) del D.lgs. n. 297/1994) e dei criteri deliberati dal consiglio di istituto (articolo 10, comma 4, del D.lgs. n. 297/1994) per potere poi procedere alla costituzione delle “nuove” terze classi. Circa detti criteri, a titolo di esempio si potrebbe fare riferimento alla necessità di costituire classi numericamente equilibrate, alla presenza di alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali, all’acquisizione del parere dei consigli delle classi coinvolte in merito all’opportunità di procedere o meno alla costituzione “ex novo” dei gruppi. Sul piano organizzativo, poi, risulterebbe proficuo che l’istituzione scolastica prevedesse nelle fasi iniziali del nuovo anno scolastico azioni di accompagnamento per assicurarsi l’adattamento degli alunni ai nuovi contesti relazionali con i loro pari e con gli adulti. Passando alla seconda area di processo, è fondamentale che l’istituzione scolastica si attivi per informare le famiglie degli alunni delle classi interessate sulla decisione assunta e sulle motivazioni alla base della stessa. Si fa presente che in merito alla predisposizione degli strumenti di comunicazione rileva il disposto dell’articolo 44, comma 5, CCNL comparto “Istruzione e ricerca” 2019-2021 del 18/01/2024 secondo cui “Per assicurare un rapporto efficace con le famiglie e gli studenti, in relazione alle diverse modalità organizzative del servizio, il consiglio d’istituto sulla base delle proposte del collegio dei docenti definisce le modalità e i criteri per lo svolgimento dei rapporti con le famiglie e gli studenti, assicurando la concreta accessibilità al servizio, pur compatibilmente con le esigenze di funzionamento dell'istituto e prevedendo idonei strumenti di comunicazione tra istituto e famiglie.” È quanto mai necessario nella situazione prospettata dal quesito che detta comunicazione sia trasparente, tempestiva e veicolata anche prevedendo appositi incontri in presenza con i genitori e gli esercenti la responsabilità genitoriale da organizzare ben prima dell’avvio del nuovo anno scolastico.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Autorizzazione libera professione dei docenti musica: è possibile esigere l'autorizzazione per il singolo evento in luogo di quella annuale?
  • La normativa di riferimento sulla possibilità per i docenti di svolgere la libera professione è rappresentata dal comma 15 dell’art. 508 del D.Lgs. n. 297 del 1994. Presupposto per lo svolgimento della libera professione è la titolarità di partita iva. Detta norma prevede che al personale docente (anche a tempo pieno) è consentito, previa autorizzazione del Dirigente Scolastico, l’esercizio della libera professione a condizione che non sia di pregiudizio all’ordinato e completo assolvimento delle attività inerenti alla funzione docente. Più specificamente questo il tenore letterale della norma "Al personale docente è consentito, previa autorizzazione del direttore didattico o del preside, l'esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio all'assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano compatibili con l'orario di insegnamento e di servizio". I presupposti richiesti dalla norma di cui all’art. 508, comma 15 citato sono quindi: a) esercizio di una libera professione; b) l’autorizzazione del dirigente scolastico. Ai fini della autorizzazione il dirigente deve valutare che l’esercizio della libera professione: 1. non sia di pregiudizio alla funzione docente; 2. sia compatibile con l'orario di insegnamento e di servizio. La libera professione è un’attività svolta in maniera autonoma, a livello professionale, normalmente per più committenti. L’attività in parola dev’essere riconducibile alla regolazione giuridica della “professione intellettuale” di cui agli artt. 2229 e seg. del codice civile che attribuiscono alla legge stabilire quali siano le professioni intellettuali per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, previo iter formativo stabilito dalla legge e superamento di un esame di abilitazione. Per svolgere la gran parte delle libere professioni non è richiesto l'iscrizione ad un albo professionale. Infatti, le cosiddette "attività riservate" a soggetti iscritti in albi o collegi sono precisamente indicate dalle leggi e costituiscono un elenco limitato rispetto al vasto campo di servizi professionali centrati sull'apporto intellettuale. Quando si iscrive a un albo professionale, il libero professionista diventa "professionista protetto" o appartenente al sistema ordinistico. Con la legge 14 gennaio 2013, n. 4 sono state disciplinate le professioni non regolamentate, chiunque svolga una delle professioni non regolamentate di cui sopra contraddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l'espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della citata legge. In forza di ciò in ogni documento i professionisti di cui sopra dovranno apporre l’indicazione: “professionista di cui alla legge 4/2013". Quindi, a partire dal 10 febbraio 2013, chi svolge una professione non regolamentata (ad esempio quelle relative alla ristorazione, alla musica etc) dovrà indicare, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, la seguente dicitura «Professionista di cui alla legge n. 4/2013». Per quanto concerne i margini di manovra spettanti al dirigente scolastico in sede di rilascio della prescritta autorizzazione, il Ministero ha precisato che il dirigente "è tenuto a richiedere le informazioni che ritiene opportune in merito all'attività che l'interessato intende svolgere, proprio al fine di valutare se l'esercizio dell'attività medesima possa arrecare pregiudizio al rendimento della professione di docente, ovvero se sussistano situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi e in tal caso, lo stesso dirigente scolastico può negare l’autorizzazione” (cfr la Circolare n. 480 del 2015 del Consiglio nazionale degli ingegneri (CNI) sull’attività libero professionale dei docenti, diffusa a seguito delle risposte ottenute dalla direzione generale per il personale scolastico del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca (MIUR ora MIM). In giurisprudenza è stato affermato che il rilascio o il diniego di autorizzazione, ai sensi dell'art. 508 comma 15, D.Lgs. n. 297 del 1994, richiede che si valuti e conseguentemente si motivi la ricorrenza del presupposto della compatibilità con le attività inerenti alla funzione docente e con l'orario di insegnamento e di servizio, oltre che, a monte, sia verificata la natura libero-professionale dell'attività da espletare (cfr. TAR Campania 3 luglio 2012 n. 3163). Sempre in merito alla valutazione da parte del DS, è stato affermato che il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività libero professionale deve seguire all’assenza di pregiudizio per lo svolgimento dell’attività istituzionale e che a tal fine è necessaria un’indicazione in questo senso da parte del docente, cui l’autorizzazione va a conformarsi. Pertanto, il docente non può limitarsi a dichiarare di svolgere una certa professione una volta per sempre, occorrendo, per poter avanzare richiesta di autorizzazione con piena consapevolezza del legittimo svolgimento dell’incarico professionale, che la stessa sia inoltrata una volta divenuta nota la portata degli impegni e dei vincoli temporali connessi con lo svolgimento della docenza. Ciò rende appunto necessario che l’interessato, nel caso in cui ritenga di svolgere attività libero professionale, avanzi la richiesta di autorizzazione anno per anno (nei limiti appunto in cui ritenga di svolgere incarichi professionali), posto che gli impegni di docente scolastico notoriamente variano annualmente (Tribunale Forlì - Sezione Lavoro - Sentenza 07/07/2020, n. 105 confermata anche in sede di appello dalla CdA di Bologna). Quindi, (cfr anche Tribunale Modena - Sezione Lavoro - Sentenza 29/05/2020) il personale docente è obbligato a richiedere l’autorizzazione all'esercizio della libera professione con cadenza annuale, stante la specificità, anche oraria, dell’attività di insegnamento e dell’organizzazione scolastica, che si rinnova in forme e orari diversi all’inizio di ogni anno scolastico. Conclusivamente, a nostro avviso, il docente può svolgere le collaborazioni con l’Ente Lirico se queste rientrano nell'esercizio della libera professione autorizzata ( che dovrà ovviamente essere inerente all'attività musicale e non regolamentata ai sensi della L. 4/2013). In tal senso, essendo già stato autorizzato l'esercizio della libera professione, non dovranno essere chieste nuove autorizzazioni sui singoli incarichi professionali ricevuti. La scuola quindi dovrà limitarsi a rilasciare l’autorizzazione annuale e non può intervenire nella diatriba tra ente lirico e dipendente quando questi è nell’esercizio della libera professione autorizzata. Diverso è il discorso se non si trattasse di esercizio di libera professione ma di attività di natura occasionale perché in questa ipotesi le autorizzazioni sarebbero per singolo incarico.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Infortunio di uno studente e richiesta di risarcimento danni: può l'assicurazione richiedere il vedere il verbale del CdC con cui si irroga la sanzione all'alunno autore del danno?
  • Ad avviso della redazione si può rispondere alla società assicuratrice che la relazione dei docenti presenti appare più che sufficiente per apprezzare il sinistro, mentre le determinazioni disciplinari assunte successivamente contengono esclusivamente valutazioni di natura educativa, che in alcun modo riguardano la gestione del rapporto assicurativo. Si soggiunge che, di regola, le coperture assicurative sono due: la prima, a titolo di infortunio, che risulta già attivata; la seconda, a titolo di responsabilità civile, che occorre attivare separatamente non appena pervenuta la prima richiesta risarcitoria. Invero, mentre la polizza infortuni è a diretto beneficio dello studente infortunato, la polizza RC garantisce le fattispecie, come quella in esame, di culpa in vigilando. Si raccomanda pertanto di interrompere i termini prescrizionali ai sensi dell’art. 2952 del codice civile con espressa richiesta di avvalersi della polizza per responsabilità civile in essere, invitando la società assicuratrice a tacitare direttamente la pretesa attorea (tenendone informata la scuola). In ogni caso, si formulerà espressa riserva di ripetere, nei limiti del massimale, quanto in ipotesi l’amministrazione dovesse essere condannata a pagare in favore dell’attore a titolo di risarcimento del danno in un futuro contenzioso.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Il dipendete che chiede di essere sottoposto a visita del medico competente che si trova fuori regione, ha diritto al rimborso delle spese?
  • L’ Art. 41 del D.Lgs. n. 81 del 2008 prevede che la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente: a) nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all'articolo 6; b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi. La sorveglianza sanitaria comprende: a) visita medica, anche in fase preassuntiva, preventiva intesa a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica; b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l'anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L'organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente; c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell'attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica; d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla mansione specifica; e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente; e-bis) (lettera abrogata dall'art.. 1, comma 1, lettera d), numero 1.2), legge n. 203 del 2024) e-ter) visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, qualora sia ritenuta necessaria dal medico competente al fine di verificare l’idoneità alla mansione. Il comma 4 dell’art. 41 prevede che le visite mediche di cui sopra, a cura e spese del datore di lavoro, comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. Il Ministero del Lavoro, con l’Interpello n. 14 del 2016, ha fornito precisazioni su su quale soggetto debbano ricadere gli oneri economici inerenti il trasporto dei lavoratori, con mezzo privato o pubblico, nel percorso, quando non può essere coperto a piedi, dalla casa di cura indicata dal Medico Competente per espletare gli esami clinici e biologici e le indagini diagnostiche previste dall’art. 41, comma 4, primo periodo, complementari alle visite mediche periodiche previste dalla normativa in oggetto, al luogo ove abitualmente svolgono la proprio attività lavorativa. Il Ministero del Lavoro ricorda il disposto dell’art. 41, comma 4, del d.lgs. n. 81/2008 ai sensi del quale “Le visite mediche di cui al comma 2, a cura e spese del datore di lavoro, comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. …”. Inoltre viene ricordato che l’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008 prevede che “Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”. Tutto ciò premesso il Ministero del Lavoro ha affermato che i costi relativi agli accertamenti sanitari non possono comportare oneri economici per il lavoratore (compresi i costi connessi con eventuali spostamenti che siano necessari) ed il tempo impiegato per sottoporsi alla sorveglianza sanitaria, compreso lo spostamento, deve essere considerato orario di lavoro (cfr anche interpello sicurezza n. 18/2014). Si ritiene che i principi da ultimo esposti siano applicabili anche al caso di specie allorchè si tratti della fattispecie di cui alla lettera c) sopra riportata “ visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell'attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica”.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Supplenza ATA e ferie: si considera l'anzianità nel ruolo di titolarità?
  • In merito al quesito posto si riporta l'Orientamento ARAN CIRS17 del 24 febbraio 2021 relativo alle ferie spettanti al personale a t.d. "A quante ferie hanno diritto i dipendenti a tempo determinato dopo tre anni di servizio? In merito, va osservato che da un lato l’art. 19 del CCNL 29.11.2007 comparto Scuola ( ora cfr art. 35 CCNL 2024) prevede che “al personale assunto a tempo determinato […] si applicano, nei limiti della durata del rapporto di lavoro, le disposizioni in materia di ferie […] stabilite dal presente contratto per il personale assunto a tempo indeterminato, con le precisazioni di cui ai seguenti commi”. Tra le citate precisazioni assume rilevanza quella di cui al comma 2 del medesimo art. 19, in base alla quale “Le ferie del personale assunto a tempo determinato sono proporzionali al servizio prestato”. (Anche l'art. 35 del nuovo CCNL 2024 al comma 2 prevede che le ferie del personale assunto a tempo determinato sono proporzionali al servizio prestato). Dall’altro, con riferimento all’istituto delle ferie, l’art. 13, comma 4, del CCNL in parola prevede che “dopo 3 anni di servizio, a qualsiasi titolo prestato, ai dipendenti di cui al comma 3 spettano i giorni di ferie previsti dal comma 2”. La norma in parola non prevede l’obbligo della continuità dei 3 anni di servizio né una durata minima dei periodi da prendere in considerazione. Pertanto, il combinato disposto delle norme sopra richiamate induce a ritenere che - fermo restando che le ferie maturate dal personale a tempo determinato sono proporzionali al servizio prestato - laddove il dipendente abbia complessivamente maturato 3 anni di servizio, allo stesso competano 32 giorni di ferie per anno scolastico". Pertanto, per avere diritto a 32 giorni di ferie annuali (fermo restando che le ferie maturate dal personale a tempo determinato sono proporzionali al servizio prestato) è necessario aver svolto almeno tre anni di servizio a qualunque titolo anche non continuativi. Pertanto, nel caso di specie, il personale a t.d. ai sensi dell’art. 70 del CCNL 2024 ( che ha abrogato l’art. 59 del CCNL 2007), ha diritto a 32 giorni di ferie annuali ( se ha svolto almeno tre anni di servizio a qualunque titolo) ma le ferie – nel contratto a t.d. – sono proporzionali al servizio prestato.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Congedo parentale durante l'anno di prova di un A.A.: la segreteria deve formulare un decreto per giustificare il non svolgimento di tale periodo?
  • Circa il periodo di prova del personale ATA – assistente amministrativo, l’art. 62 CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 dispone: “1. Il personale ATA assunto in servizio a tempo indeterminato – sia a tempo pieno che a tempo parziale - è soggetto ad un periodo di prova la cui durata è stabilita come segue: […] b) quattro mesi per i dipendenti inquadrati nell’Area di Assistente; […]. 3. Ai fini del compimento del suddetto periodo di prova si tiene conto del solo servizio effettivamente prestato. 4. Il periodo di prova è sospeso in caso di assenza per malattia e negli altri casi previsti dalla legge o dal CCNL. In caso di malattia il dipendente ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di sei mesi, decorso il quale il rapporto può essere risolto. In caso di infortunio sul lavoro o malattia derivante da causa di servizio si applica l'art. 20 (Infortuni sul lavoro e malattie dovute a causa di servizio) del CCNL del 29/11/2007. Le assenze riconosciute come causa di sospensione ai sensi del comma 4, sono soggette allo stesso trattamento economico previsto per i dipendenti non in prova. 6. Decorsa la metà del periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal rapporto in qualsiasi momento senza obbligo di preavviso né di indennità sostitutiva del preavviso, fatti salvi i casi di sospensione previsti dal comma 4. Il recesso opera dal momento della comunicazione alla controparte. Il recesso dell'amministrazione deve essere motivato. 7. Decorso il periodo di prova senza che il rapporto di lavoro sia stato risolto, il dipendente si intende confermato in servizio con il riconoscimento dell'anzianità dal giorno dell'assunzione. […] 9. Il periodo di prova può essere rinnovato o prorogato alla scadenza per una sola volta.” Alla luce di quanto precede, si osserva che: - il periodo di prova dell’assistente amministrativo è pari a quattro mesi; - a tal fine si computa il solo servizio effettivamente prestato; - nel caso di specie, il periodo di prova risulta sospeso per congedo parentale; - decorso il periodo di prova di quattro mesi di servizio effettivamente prestato senza che sia intervenuto alcun provvedimento di risoluzione, il dipendente si intende confermato in servizio. Nel caso illustrato nel quesito, si suggerisce dunque, in primo luogo, di effettuare il computo del servizio effettivamente prestato dall’assistente amministrativo. Se esso è pari ad almeno quattro mesi, quest’ultimo si intende confermato in servizio, data la mancata adozione, prima della scadenza dei quattro mesi, di un provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro. Se invece il periodo di prova di quattro mesi non è decorso, non si ritiene necessario un provvedimento di proroga del periodo di prova, posto che: a) detto periodo deve consistere – come disposto dal CCNL vigente e comunicato al lavoratore con il contratto individuale di lavoro – di quattro mesi di servizio effettivamente prestato e b) la proroga o il rinnovo sono possibili (una sola volta) alla scadenza. Nel caso di specie, il periodo di prova non si è compiuto e non è pertanto possibile procedere alla sua proroga. In altri termini, il congedo parentale sospende il decorso del periodo di prova senza che il dirigente scolastico debba attestare alcunché al riguardo.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Docente in part time ciclico: il periodo di non servizio incide sul computo dei 150 giorni?
  • In base all’art. 37 CCNL comparto scuola 2007, “1. Al fine di garantire la continuità didattica, il personale docente che sia stato assente, con diritto alla conservazione del posto, per un periodo non inferiore a centocinquanta giorni continuativi nell'anno scolastico, ivi compresi i periodi di sospensione dell’attività didattica, e rientri in servizio dopo il 30 aprile, è impiegato nella scuola sede di servizio in supplenze o nello svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi e di altri compiti connessi con il funzionamento della scuola medesima. Per le medesime ragioni di continuità didattica il supplente del titolare che rientra dopo il 30 aprile è mantenuto in servizio per gli scrutini e le valutazioni finali. Il predetto periodo di centocinquanta giorni è ridotto a novanta nel caso di docenti delle classi terminali.” Come si evince chiaramente dal disposto contrattuale, il personale docente che rimane a disposizione, al suo rientro dopo il 30 aprile, è quello che sia stato assente dal servizio per almeno 150 giorni, ovvero 90 nel caso di classi terminali. Formalmente, il part time è una riduzione oraria della prestazione lavorativa che, nel caso di contratto a tempo parziale verticale, viene perciò articolata solo su alcuni giorni della settimana o del mese oppure in determinati periodi dell'anno (art. 39, c. 7, lettera b) del CCNL comparto scuola 2007). Tuttavia, dal punto di vista della sostituzione del personale in part time i giorni – o, come nel caso di specie, i periodi dell’anno – non lavorati sono del tutto equiparati a un’assenza. Ciò appare evidente, ancora prima, in occasione dell’assegnazione dell’organico di fatto: in detta sede, il part time rileva al pari di assenze che si protraggono per tutta la durata dell’anno scolastico, come i comandi, i distacchi, le assegnazioni provvisorie, le utilizzazioni. Al pari di essi, infatti, concorre a determinare i posti disponibili per le supplenze (annuali). Si ritiene pertanto che, nonostante il part time non sostanzi un’assenza dal servizio del personale titolare, esso debba esservi assimilato ai fini dell’applicazione dell’art. 37 del CCNL comparto scuola del 2007: del resto, l’esigenza di garantire la continuità del supplente è, nel caso di part time, la stessa che si presenta nel caso di vera e propria assenza del docente titolare.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Un A.A. passa ad altra PA e si dimette senza preavviso: come procedere?
  • La Dichiarazione Congiunta n. 2 al CCNL 2024 prevede quanto segue " In relazione a quanto previsto all’art. 38 (Ferie) le parti si danno reciprocamente atto che, in base alle circolari applicative di quanto stabilito dall’art. 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012 convertito nella legge n. 135 del 2012 (MEF-Dip. Ragioneria Generale dello Stato prot. 77389 del 14/09/2012 e prot. 94806 del 9/11/2012- Dip. Funzione Pubblica prot. 32937 del 6/08/2012 e prot. 40033 dell’8/10/2012), all’atto della cessazione del servizio le ferie non fruite sono monetizzabili solo nei casi in cui l’impossibilità di fruire delle ferie non è imputabile o riconducibile al dipendente come le ipotesi di decesso, malattia e infortunio, risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità fisica permanente e assoluta, congedo obbligatorio per maternità o paternità. Resta fermo, inoltre, anche quanto previsto dall’art. 1, commi 54, 55 e 56 della legge n. 228 del 20122. Non è stata riproposta la Dichiarazione congiunta n. 2 del CCNL 2018 ai sensi della quale in caso di mobilità tra amministrazioni, non verificandosi novazione del rapporto di lavoro, le ferie maturate e non godute, sono trasferite nell’ente di destinazione ( ma nel caso di specie non si tratta di mobilità tra amministrazioni ma di vincita di concorso). Recentemente è intervenuta in argomento la Corte giustizia UE sez. I, che con la Sentenza 18/01/2024, n.218 ha affermato che non è conforme al diritto UE la normativa nazionale che vieta il pagamento delle ferie al dipendente che si è dimesso volontariamente dal servizio. Questi i punti principali della motivazione della sentenza. L'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale recante modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite espressamente accordato da tale direttiva, che comprenda finanche la perdita del diritto in questione allo scadere del periodo di riferimento o di un periodo di riporto, purché, tuttavia, il lavoratore che ha perso il diritto alle ferie annuali retribuite abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare questo diritto che tale direttiva gli conferisce. Tale direttiva non può, in linea di principio, vietare una disposizione nazionale ai sensi della quale, al termine di tale periodo, i giorni di ferie annuali retribuite non goduti non potranno più essere sostituiti da un'indennità finanziaria, neppure in caso di successiva cessazione del rapporto di lavoro, allorché il lavoratore ha avuto la possibilità di esercitare il diritto che detta direttiva gli attribuisce. Se, invece, il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si è astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle stesse, l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea non osta alla perdita di tale diritto né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute, senza che il datore di lavoro sia tenuto a imporre a detto lavoratore di esercitare effettivamente il suddetto diritto. Ne consegue che, qualora il datore di lavoro non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto, circostanza la cui verifica spetta al giudice, si deve ritenere che l'estinzione del diritto a tali ferie alla fine del periodo di riferimento o del periodo di riporto autorizzato e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il correlato mancato versamento di un'indennità finanziaria per le ferie annuali non godute violino, rispettivamente, l'articolo 7, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 nonché l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta (v., in tal senso, sentenza del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, C-684/16, EU:C:2018:874, punti 46 e 55). Pertanto, l'articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, prevede il divieto di versare al lavoratore un'indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell'ultimo anno di impiego sia negli anni precedenti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà. Conclusivamente, alla luce della recente giurisprudenza comunitaria, si ritiene che alla dipendente spetti il pagamento a meno che la scuola dimostri di aver posto la dipendente stessa nelle condizioni di fruire delle ferie maturate così come precisato nella citata sentenza (in senso analogo sul punto le recenti sentenze della Cassazione).

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • È possibile concedere una seconda aspettativa per motivi familiari a una dipendente ATA dopo anno di congedo per gli stessi e fruizione dei permessi ex L. 104?
  • L'art. 18 del CCNL 2007 prevede, al primo comma, che l'aspettativa per motivi di famiglia o personali continua ad essere regolata dagli artt. 69 e 70 del T.U. approvato con D.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957 e dalle leggi speciali che a tale istituto si richiamano. Ai sensi degli articoli 69 e 70 sopra citati il periodo di aspettativa non può eccedere la durata di un anno. Due periodi di aspettativa per motivi di famiglia si sommano, agli effetti della determinazione del limite massimo di durata previsto dall'art. 69, quando tra essi non interceda un periodo di servizio attivo superiore a sei mesi. La durata complessiva dell'aspettativa per motivi di famiglia non può superare in ogni caso due anni e mezzo in un quinquennio. In sintesi: a) due aspettative inferiori all'anno si considerano un unico periodo se il periodo di lavoro tra essi non supera i 6 mesi (art.70.1, Dpr 3/57); b) non si possono prendere aspettative per più di 2 anni e mezzo in 5 anni (art.70.2, Dpr 3/57); c) per motivi particolarmente gravi si può chiedere un ulteriore periodo di 6 mesi (art.70.3, Dpr 3/57). Quindi, l’aspettativa per motivi personali o di famiglia (regolata dagli art. 69-70 del DPR n. 3/1957) viene attribuita per un periodo massimo di 12 mesi, da fruire in maniera continuativa o frazionata. Per interrompere l’aspettativa, e quindi per ripristinare il diritto a chiedere altri 12 mesi, è necessario il rientro in servizio attivo superiore a 6 mesi; in ogni caso il limite massimo non può essere superiore a 2 anni e 6 mesi in un quinquennio. In definitiva, l'aspettativa per motivi di famiglia non può avere una durata superiore a 12 mesi se fruita senza soluzione di continuità; se fruita, invece a periodi separati non può oltrepassare, in ogni caso, nell'arco temporale di un quinquennio la durata massima di due anni e mezzo. Infine, si rileva che l’art. 70 citato prevede che “per motivi di particolare gravità il Consiglio di amministrazione (ora il riferimento è ovviamente al DS) può consentire all'impiegato, che abbia raggiunto i limiti previsti dai commi precedenti ( quindi anche il limite dei dodici mesi consecutivi) e ne faccia richiesta, un ulteriore periodo di aspettativa senza assegni di durata non superiore a sei mesi”. In sostanza, alla luce di quanto detto sopra è possibile prendere periodi frazionati di aspettativa all'interno del limite massimo di due anni e mezzo in un quinquennio e tenendo conto che il periodo massimo di fruizione continuativa è di dodici mesi calcolato come sopra esposto. Quindi, è possibile richiedere l'aspettativa in modo frazionato per più di due periodi all'interno del limite massimo dei 12 mesi continuativi (ad esempio: 5 gg, poi un mese, poi altri 3 mesi, il tutto anche intervallato da periodi di servizio attivo o in assenza per altri motivi, ad esempio malattia); l'importante è che il limite continuativo di dodici mesi non venga superato fermo restando poi il limite complessivo di due anni e mezzo nel quinquennio. In definitiva, l'aspettativa per motivi di famiglia non può avere una durata superiore a 12 mesi se fruita senza soluzione di continuità; se fruita, invece a periodi separati non può oltrepassare, in ogni caso, nell'arco temporale di un quinquennio la durata massima di due anni e mezzo. Sul concetto di servizio attivo offre utili chiarimenti la circolare del Ministero Difesa 8 luglio 2015 n. 45501 che si riporta in integrale nella parte che qui può interessare "Si ritiene che possano rientrare nel “servizio attivo” (dicitura utilizzata dalla norma contrattuale) anche le assenze (diverse dalla malattia e dalle aspettative) retribuite e che comportano la maturazione dell’anzianità di servizio. Dunque, nella nozione di “servizio attivo” possono rientrare le ferie, i cosiddetti “recuperi delle festività soppresse” (L. 937 del 1977), i giorni di assenza per terapia salvavita, i permessi sindacali retribuiti (quindi anche i permessi retribuiti per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza), il distacco sindacale, l’interdizione dal lavoro, i congedi di maternità e paternità, i congedi parentali, i congedi per malattia del bambino, i riposi giornalieri (quindi anche i permessi giornalieri) previsti dal D.Lgs. 26/03/2001, n. 151, i permessi ex legge 104/1992. Non appare invece riconducibile a “servizio attivo” il congedo di cui all’art. 42, 5° comma, D.Lgs. 151/2001 (che è indennizzato, utile ai fini previdenziali, ma non è computato nell'anzianità di servizio). La malattia non può essere considerata “servizio attivo” (ARAN, orientamento applicativo RAL 1157)". L'ARAN, con l'O.A. RAL_1157 27 giugno 2012 in merito al fatto se i periodi di malattia, successivi al rientro in servizio, siano da considerare esclusi dal “servizio attivo”, ha precisato che la malattia è equiparata al servizio ma non è "servizio attivo e conseguentemente, essa non può essere valutata come servizio attivo". Ciò premesso, nel caso di specie, la dipendente ha già fruito del limite massimo continuativo di aspettativa di un anno. Pertanto, sarà possibile richiedere il periodo “ straordinario” di sei mesi previsto dall’art. 70 DPR 3 del 1957 ma solo se motivato con “motivi di particolare gravità”.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Nei contratti con liberi professionisti il CIG serve?
  • Come detto in precedenti risposte ad analoghi quesiti, in caso di avviso di selezione - ai sensi dell'art. 7 commi 6 e 6 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 - per il conferimento di contratti di lavoro autonomo (prestazione occasionale o di libera professione con partita IVA; precisando che il libero professionista non è persona giuridica/operatore economico, ma persona fisica che svolge attività di lavoro autonomo intellettuale in maniera continuativa), non si applica la normativa sulla tracciabilità e quindi non va richiesto il CIG. Infatti, come più volta ribadito ( cfr. Delibera ANAC n. 585 del 19 dicembre 2023 di aggiornamento della Determinazione n. 4 del 7 luglio 2011), la tracciabilità dei flussi finanziari trova applicazione ai flussi derivanti dai seguenti contratti disciplinati dal codice dei contratti pubblici: 1) contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, anche quelli esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del Codice, di cui agli articoli 56 e 141 e ss., dello stesso, fatte salve le ipotesi di esclusione degli obblighi di tracciabilità individuate nel presente atto; 2) concessioni di lavori e servizi; 3) contratti di partenariato pubblico privato; 4) contratti di subappalto, subfornitura e subcontratti; 5) affidamenti diretti; 6) contratti affidati a contraente generale. L’ANAC, nella FAQ sulla tracciabilità aggiornate al 6 febbraio 2024, con la FAQ C6 ha così ribadito: " C6. Sono sottoposti agli obblighi di tracciabilità gli incarichi di collaborazione ex articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165? No, gli incarichi di collaborazione previsti dall’art. 7 comma 6 del decreto n. 165/2001 non sono sottoposti agli obblighi di tracciabilità". Pertanto, siamo dell’avviso che per i contratti d'opera con liberi professionisti la scuola non debba richiedere il CIG.

    Data di pubblicazione: 14/05/2025

  • Giorni di malattia di cui può usufruire un DS in anno di prova e i giorni di ferie ai fini del servizio effettivo: facciamo chiarezza...
  • L’art. 14 del CCNL dell’area V sottoscritto l’11 aprile 2006, ad oggi vigente, prevede al c. 1 che “i neo assunti sono soggetti al periodo di prova nella qualifica di dirigente per una durata pari all’anno scolastico, nel corso del quale dovrà essere prestato un servizio effettivo di almeno 6 mesi”. Il c. 2 precisa che “ai fini del compimento del periodo di prova si tiene conto del solo servizio effettivamente prestato”. Ai sensi dei cc. 3 e 4, inoltre, “il periodo di prova è sospeso in caso di malattia e negli altri casi espressamente previsti dalle leggi o dagli accordi collettivi. Nell'ipotesi di malattia il dirigente scolastico ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di 18 mesi, decorso il quale il rapporto può essere risolto, salvo quanto previsto dall’art. 25, comma 8. Nell'ipotesi di infortunio sul lavoro o malattia derivante da causa di servizio trova applicazione l'art. 26” e “le assenze riconosciute come causa di sospensione ai sensi del comma 3 sono soggette allo stesso trattamento economico previsto per i dirigenti non in prova”. Si ritiene, comunque, utile ricordare che ai sensi dell’art. 13 del CCNL dell’area istruzione e ricerca 2019-2021 “In caso di patologie gravi che richiedano terapie salvavita, come ad esempio l’emodialisi, la chemioterapia ed altre ad esse assimilabili, secondo le modalità di cui al comma 2, sono esclusi dal computo delle assenze per malattia, ai fini della maturazione del periodo di comporto, i relativi giorni di ricovero ospedaliero o di day-hospital, nonché i giorni di assenza dovuti all’effettuazione delle citate terapie. In tali giornate il dirigente ha diritto all’intero trattamento economico previsto dall’art. 21, comma 10, lett. a) del CCNL 8/07/2019”. Circa la validità delle ferie quale servizio effettivo l’art. 13, c. 9, del CCNL dell’area istruzione e ricerca 2016-2018 dispone che “le ferie sono un diritto irrinunciabile, non sono monetizzabili. Costituisce specifica responsabilità del dirigente programmare, organizzare e comunicare le proprie ferie tenendo conto delle esigenze del servizio a lui affidato, coordinandosi con quelle generali della struttura di appartenenza, provvedendo affinché sia assicurata, nel periodo di sua assenza, anche mediante delega di funzioni nel rispetto della vigente normativa, la continuità delle attività ordinarie e straordinarie” e il c. 10 prescrive che “le ferie maturate e non godute per esigenze di servizio sono monetizzabili solo all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, nei limiti delle vigenti norme di legge e delle relative disposizioni applicative”. In quanto diritto irrinunciabile il periodo di ferie si considera periodo di servizio effettivo.

    Data di pubblicazione: 13/05/2025

  • Richiesta di prenotazione e esibizione del ticket per giustificare le assenze del personale ATA per visite specialistiche: è legittimo?
  • Desidero informazioni o indicazioni su come regolamentare le assenze del personale ATA soprattutto per le visite specialistiche...

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