Data di pubblicazione: 24/11/2025
Stiamo definendo un regolamento interno sul LAVORO AGILE e LAVORO REMOTO. Dopo aver definito nel regolamento tutti gli aspetti generali, emerge una domanda riguardante l'applicazione operativa nei singoli casi specifici. Il caso che viene sottoposto riguarda il lavoro agile e/o da remoto per Assistenti amministrativi e riguarda la definizione delle giornate lavorative da svolgere "da casa" e quelle da svolgere "a scuola"
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Data di pubblicazione: 24/11/2025
Non si concorda con quanto sostenuto dalla dipendente. Le festività nazionali, stabilite dall’Ordinanza ministeriale n. 105 del 28 maggio 2025 e non coincidenti con la domenica, non influiscono sul calcolo delle ferie spettanti al personale scolastico. In tali giornate la prestazione lavorativa non è dovuta, tuttavia la loro qualificazione come giorni lavorativi ai fini del conteggio delle ferie rimane invariata. Ferma restando la disciplina relativa ai cosiddetti prefestivi (V. DPR 209/87, art. 36, comma 3), si evidenzia che il comma 5 dell’art. 13 del CCNL 2007, non modificato dai successivi CCNL, asserisce che “nell’ipotesi che il POF d’istituto preveda la settimana articolata su cinque giorni di attività, per il personale ATA il sesto è comunque considerato lavorativo ai fini del computo delle ferie e i giorni di ferie goduti per frazioni inferiori alla settimana vengono calcolati in ragione di 1,2 per ciascun giorno” (da detrarre dai 32/30, in base all’anzianità di servizio). Il fatto che il sesto giorno sia una giornata festiva, oppure che vi siano festività infrasettimanali, non incide sull’applicazione del suddetto comma, che si ritiene applicabile anche alle istituzioni scolastiche con articolazione su sei giorni, qualora il personale ATA svolga l’attività lavorativa su cinque giorni con orario flessibile ai sensi dell’art. 64 del CCNL 2019-2021. In definitiva, dalla lettura del comma 5 dell’art. 13 del CCNL 2007 emerge con chiarezza che “i giorni di ferie goduti per frazioni inferiori alla settimana vengono calcolati in ragione di 1,2 per ciascun giorno”, senza ulteriori specificazioni. La norma contrattuale non prevede che il coefficiente 1,2 si applichi solo nel caso in cui l’intera settimana risulti di fatto lavorativa, ma si limita a disciplinare le giornate di ferie fruite a settimana non intera. Pertanto, anche nelle situazioni descritte nel quesito, le giornate di ferie devono essere conteggiate applicando il coefficiente 1,2 per ciascun giorno.
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Data di pubblicazione: 24/11/2025
Gentile utente, la responsabilità della scuola per la vigilanza sugli alunni minori inizia con l’accesso ai propri spazi di pertinenza, incluso il cortile (recintato) esterno all’edificio scolastico vero e proprio. Qualunque soluzione che ammetta gli alunni in tali spazi e contemporaneamente non predisponga l’attività di vigilanza espone a potenziali rischi, che vanno valutati e mitigati. In questa chiave, abbiamo sempre espresso forti perplessità in relazione a quesiti e proposte simili, perché è indubbio che se i ragazzi entrano nella sfera di pertinenza giuridica della scuola non si potrà mai dire "noi non siamo responsabili". Si può solo pensare a misure di mitigazione e prevenzione. Come abbiamo più volte evidenziato, non è possibile dare una indicazione certa, che permetta di evitare o superare senza margine di errore un eventuale contenzioso. Se il cortile é però esclusivamente "gestito" dalla scuola, nel senso l’istituzione è l’unica a poter decidere in merito all'utilizzo dello stesso, in quanto pertinenza dell'edificio e in quanto spazio utilizzato esclusivamente a fini di servizio delle attività scolastiche, certamente spetta alla scuola vigilare su quanto accade in quell'area. Con quale forma di vigilanza e con quale tipo di organizzazione, spetta alla Scuola determinarlo, dandone adeguata comunicazione alle famiglie. Nel caso in cui si decida comunque di procedere con l'ipotesi descritta nel quesito, la soluzione prospettata nel quesito (una semplice comunicazione alle famiglie) non appare però essere completamente adeguata. Si suggerisce di affrontare il problema su più livelli. In primo luogo, sicuramente occorre una regolazione della permanenza degli alunni nell’area esterna prima dell’inizio delle lezioni (norme di comportamento, divieti, avvertenze). Tale regolazione, fatta deliberare dal Consiglio di Istituto, va pubblicata con forme adeguate (sito web dell’Istituzione, Bacheca de Registro Elettronico) e portata a conoscenza di tutti gli interessati. Per maggiore tutela, si suggerisce anche di richiederne la firma per presa visione da parte dei genitori. Non va mai, comunque, “dichiarata” formalmente l’assenza di vigilanza sugli spazi in questione, poiché questa dichiarazione potrebbe perfino essere vista, in caso di incidente, come prova di condotta gravemente colpevole (si era a conoscenza del rischio, lo si era anzi in qualche modo preventivato e non si era fatto nulla per impedirlo ...). In secondo luogo, parallelamente a quanto appena indicato, all’interno della regolamentazione sopra descritta, dovrebbe far parte un servizio “minimo” di vigilanza diffusa, affidato esplicitamente ad uno dei collaboratori scolastici (eventualmente, più di uno; eventualmente, a turno – dipende dalle risorse complessivamente disponibili). Sul punto, riteniamo opportuno un passaggio al tavolo sindacale, sia per le modalità di attribuzione / turnazione dell’incarico, sia per un eventuale compenso aggiuntivo che faciliti la partecipazione del personale coinvolto. In terzo luogo, si potrebbe affidare a qualcuno dei collaboratori del dirigente l’incarico di vigilare a sua volta – magari in modo saltuario, ma con incarico formale – sul corretto svolgimento delle cose: che gli alunni rispettino il regolamento, che i collaboratori scolastici facciano la loro parte. Non basta che le regole esistano: di tanto in tanto, bisogna anche dare evidenza che si vigila sulla loro applicazione. Questo complesso di azioni, è importante ribadirlo, non pone del tutto al riparo dai rischi, né esime da ogni responsabilità. Tuttavia, nella malaugurata ipotesi che un incidente si verifichi, permetterà al giudice di valutare in concreto le colpe in relazione alle iniziative assunte ed alle circostanze concrete, non in base ad una astratta presunzione di colpevolezza oggettiva. Il fatto di aver organizzato una rete di sorveglianza - nei limiti delle risorse umane e materiali disponibili - costituisce, di solito, una buona protezione. Infatti, quel che potrebbe accadere in pratica non è valutabile in anticipo. In caso di contenzioso conseguente ad eventuali incidenti, spetterebbe comunque alla scuola dimostrare in giudizio l’impossibilità materiale di provvedere altrimenti e l’aver informato correttamente e senza ambiguità le famiglie. Per ribadire quanto sia importante che le scelte operate dalla Scuola siano chiare, motivate e debitamente comunicate alle famiglie, dal punto di vista della giurisprudenza, segnaliamo la sentenza n. 235 del 20 febbraio 2008 del Tribunale di Trieste, riguardante un caso analogo, ha posto l'accento sul fatto che la scuola aveva ben evidenziato nei sui atti ufficiali che “il luogo di passaggio delle responsabilità sui minori tra famiglia e scuola (dunque il momento dell'affidamento al personale) era individuato nei relativi portoni di ingresso degli edifici” e quindi non ai cancelli di ingresso dei cortili. E che "nel piano dell'offerta formativa si giustifica questa previsione con la esigenza di permettere agli alunni ed ai genitori che li accompagnano di utilizzare i cortili stessi come luogo sicuro di sosta e di attesa, prima e dopo l'orario di presenza degli insegnanti atteso che all'esterno dei cortili delle scuole... sono presenti situazioni ad alto rischio per i minori a causa del traffico intenso".
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Data di pubblicazione: 24/11/2025
Riprendendo precedenti risposte, si ricorda che il Codice dei contratti pubblici (cfr. art. 15, c. 2, D.lgs. n. 36/2023 e ss.mm.ii.) prevede che: - il RUP venga nominato per le fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione di ciascuna procedura soggetta al codice “nel primo atto di avvio dell’intervento pubblico da realizzare”. Dall’esegesi della norma citata emerge con chiarezza, ad avviso dello scrivente, che non può ritenersi legittima una generale nomina a RUP (come spesso erroneamente viene ritenuto), ma che occorra un atto di nomina per ogni procedura, da conferire in base alle condizioni e ai requisiti di seguito illustrati. Infatti, ai commi successivi, l’art. 15 dispone che: - il RUP venga scelto tra i dipendenti della stazione appaltante, anche assunti a tempo determinato, preferibilmente in servizio presso l’unità organizzativa titolare del potere di spesa. E’ possibile, in caso di accertata carenza in organico di personale in possesso dei requisiti richiesti, di nominare il RUP tra i dipendenti di altre amministrazioni pubbliche. - il RUP sia in possesso dei requisiti di cui all’allegato I.2 del Codice stesso e di competenze professionali adeguate in relazione ai compiti al medesimo affidati, nel rispetto dell’inquadramento contrattuale e delle relative mansioni. Per quanto riguarda in particolare i servizi e le forniture, l’art. 5 dell’allegato I.2 richiede che il RUP possegga un titolo di studio di livello adeguato ed esperienza professionale, in costante aggiornamento, “maturata nello svolgimento di attività analoghe a quelle da realizzare in termini di natura, complessità e importo dell’intervento, in relazione alla tipologia e all’entità dei servizi e delle forniture da affidare”. Il possesso di esperienza nel settore dei contratti di servizi e forniture è attestato anche dall’anzianità di servizio maturata: • di almeno un anno per importi inferiori alle soglie di rilevanza europea; • di almeno 3 anni per importi pari o superiori alle soglie di rilevanza europea. La stazione appaltante può individuare quale RUP anche un dipendente non in possesso dei requisiti richiesti, ma, in tal caso, deve affidare lo svolgimento delle attività di supporto al RUP ad altri dipendenti in possesso dei requisiti, ovvero a soggetti esterni; - la nomina a RUP non può essere rifiutata. Non è una delega ma un incarico obbligatorio. Il comma 2 del citato art. 15 afferma infatti: “[…] L’ufficio di RUP è obbligatorio e non può essere rifiutato. In caso di mancata nomina del RUP nell’atto di avvio dell’intervento pubblico, l’incarico è svolto dal responsabile dell’unità organizzativa competente per l’intervento (ndr. identificato nel Dirigente Scolastico, nel caso della scuola).” Precisa, inoltre, il successivo comma 4: “Ferma restando l’unicità del RUP, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti, possono individuare modelli organizzativi, i quali prevedano la nomina di un responsabile di procedimento per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile di procedimento per la fase di affidamento. Le relative responsabilità sono ripartite in base ai compiti svolti in ciascuna fase, ferme restando le funzioni di supervisione, indirizzo e coordinamento del RUP.” Tuttavia, il nuovo Codice dei contratti pubblici prevede per il RUP, come visto, la possibilità di avvalersi di ausiliari. Del resto, il RUP può delegare alcune delle sue funzioni, ad esempio negli ambiti in cui non ha particolari competenze tecniche con tutte le conseguenze note: ovvero la responsabilità in capo al RUP per culpa in vigilando e quella del delegato per gli atti compiuti in forza della delega; - se non viene indicato alcun nominativo nell’atto di avvio dell’intervento pubblico, la funzione di RUP viene svolta – a livello di istituzione scolastica – dal dirigente scolastico. Conclusivamente, alla luce del quadro normativo fin qui rappresentato è possibile affermare che: - il DSGA può essere incaricato della funzione di RUP soltanto nel caso in cui possegga i requisiti richiesti dall’allegato I.10. Qualora il DSGA ne sia privo, è necessario individuare dei dipendenti che ne siano in possesso per le attività di supporto allo stesso, se nominato RUP. Occorre inoltre precisare che è possibile abilitare il DSGA in qualità di RUP su ANAC , FVOE e MEPA e che tali abilitazioni non si configurano come una mera profilatura per procedere alla richiesta dei CIG, ma costituiscono il portato della formalizzazione dell’incarico di RUP (con la conseguente assunzione, da parte del personale individuato, dei compiti e delle responsabilità a esso spettanti) in relazione a ciascuna procedura per la quale il dipendente (DSGA) procede all’acquisizione del relativo CIG; - l’incarico deve trovare statuizione nell’atto di avvio dell’intervento pubblico, ovvero nella decisione di contrarre (cfr. art. 17, c. 1, D.lgs. n. 36/2023). Non vi è bisogno di utilizzare formule sacramentali ma solo di indicare il nominativo del RUP (se non coincide con il Dirigente Scolastico) e di affermare di aver constatato la sussistenza dei requisiti professionali sopra indicati. Se detti requisiti non sono posseduti, occorre per di più indicare – nel medesimo provvedimento – il nominativo di chi fornisce a lui supporto, in quanto in possesso dei requisiti illustrati. Concludendo, confermiamo che è possibile incaricare il Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi per la funzione di RUP in relazione ad ogni singola procedura ed è necessario che l’incarico venga formalizzato in base alle disposizioni e con le modalità sopra illustrate.
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Data di pubblicazione: 24/11/2025
L’art. 47 del D.lgs. 151/2001 relativamente al congedo per malattia del figlio al comma 2 precisa:” Ciascun genitore, alternativamente, ha altresì diritto di astenersi dal lavoro, nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno, per le malattie di ogni figlio di età compresa fra i tre e gli otto anni “e, al comma 6 aggiunge:” Il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto”. Solo l’art. 32 relativo al congedo parentale alla lettera c) -( dopo le modifiche di cui al DLGS 105/2022)- riconosce un miglior beneficio per il genitore solo e stabilisce che ha diritto:” per un periodo continuativo o frazionato non superiore a undici mesi, qualora vi sia un solo genitore ovvero un genitore nei confronti del quale sia stato disposto, ai sensi dell'articolo 337-quater del Codice civile, l'affidamento esclusivo del figlio. In quest'ultimo caso, l'altro genitore perde il diritto al congedo non ancora utilizzato. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, all'INPS”. Quindi in risposta al quesito il congedo di malattia del figlio dal 4° all'8° anno di età non può essere raddoppiato.
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Data di pubblicazione: 24/11/2025
Secondo la normativa vigente e come illustrato nella circolare esplicativa Inpdap n. 30 del 1° agosto 2002 "eventuali servizi resi a tempo determinato nel periodo intercorrente tra la nomina giuridica e quella economica danno diritto, sussistendo le condizioni di legge, al TFR. Il pagamento del TFR potrà però essere subito effettuato solo se tra la risoluzione del rapporto di lavoro a tempo determinato e la decorrenza economica di quello a tempo indeterminato ci sia almeno un giorno di interruzione". Considerato che nella situazione illustrata, tra la data di cessazione del contratto a tempo determinato e la data di decorrenza economica del ruolo non c'è interruzione, per il periodo di servizio dal 14/09/2000 al 18/12/2000 deve essere inserito un ultimo miglio TFR e il TFS decorre dal 19/12/2000.
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Data di pubblicazione: 24/11/2025
Per rispondere in modo esaustivo al quesito bisogna esaminare gli aspetti che contrappongono la richiesta della famiglia della studentessa con disabilità alla scuola. Innanzitutto la posizione della scuola sull’erogazione della DAD è corretta in quanto la didattica a distanza intesa come modalità sostitutiva e generalizzata, non è prevista dalla normativa post-emergenziale covid. La scuola non può attivarla su richiesta della famiglia. Invece, lo strumento specifico per l'assenza prolungata per motivi di salute (oltre 30 giorni, anche non continuativi) è l'Istruzione Domiciliare (ID), attivata su certificazione sanitaria. L'Istruzione Domiciliare (ID) è un progetto didattico individualizzato che, pur essendo fondamentale, garantisce solo un numero limitato di ore settimanali (di solito 4-5 ore) e non può coprire l'intero monte ore curricolare. Per gli studenti con obiettivi non differenziati, la scuola può suggerire l'utilizzo di materiali caricati sul registro elettronico o tutoraggio tra pari per coprire la lacuna. Ma per la studentessa in questione, la situazione è diversa. Tuttavia la normativa sull'ID e sulla Scuola in Ospedale ha sempre previsto e incentivato l'uso delle tecnologie come strumento integrativo dell'ID, proprio per superare il limite orario e favorire la partecipazione sociale. Si ricorda infatti che tale normativa non è stata abrogata ma è tuttora vigente e prevede una soluzione di flessibilità nell’utilizzo della ID con i sistemi tecnologici. Pertanto, per rispondere all'insistenza della madre (che lamenta la mancanza di connessione con la classe), è necessario proporre una soluzione formale di ID potenziata che includa le tecnologie, come già avveniva prima della pandemia, in base alle indicazioni del Ministero. Si consiglia, quindi, di convocare il Gruppo di Lavoro Operativo (GLO) allargato alla madre e all'equipe socio-sanitaria (o ai loro rappresentanti, se possibile) per formalizzare il progetto di ID e l’utilizzo di videocollegamenti, piattaforme e-learning e web-class come parte integrante della metodologia ID; richiedere formalmente la certificazione sanitaria che attesti la necessità di ID (durata prevista uguale o maggiore di 30 giorni anche non continuativi) per procedere all'attivazione del percorso di istruzione domiciliare, elaborare un progetto di ID che includa: le ore di docenza a domicilio (stipulando un Patto Educativo Formale), l'uso di strumenti di videocomunicazione (es. G Suite, Teams) da parte dei docenti curricolari nel monte ore ID o in aggiunta, per favorire il contatto con la classe e potenziare le ore didattiche in coerenza con gli obiettivi specifici del PEI differenziato, indicare per esempio quanto e in che modo il docente di sostegno possa interagire con la studentessa a distanza o in codocenza con altri docenti curricolari in base al suo orario di servizio; la definizione degli strumenti tecnologici, infine la condivisione di materiali e le modalità delle verifiche.
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Data di pubblicazione: 24/11/2025
In materia di formazione, è l’articolo 24 del CCNL dell’area “Istruzione e ricerca” 2016-2018, non modificato dal successivo CCNL 2019-2021, a fornirne le linee guida generali. Nel contesto dei processi di riforma della pubblica amministrazione, la formazione è definita come un fattore decisivo di successo e una leva fondamentale nelle strategie di cambiamento volte a conseguire una maggiore qualità ed efficacia delle amministrazioni. Con riferimento ai dirigenti scolastici, tale carattere diviene ancora più pregnante per via della crucialità del ruolo della dirigenza nella realizzazione degli obiettivi. Per il dirigente scolastico, la formazione è assunta dalle amministrazioni come un metodo permanente, necessario per diversi scopi strategici: - assicurare il costante aggiornamento tecnico e lo sviluppo delle competenze organizzative e manageriali indispensabili per lo svolgimento efficace del ruolo (comma 2); - rafforzare la sensibilità innovativa del dirigente e la sua attitudine a gestire iniziative di miglioramento con l'obiettivo di caratterizzare le istituzioni scolastiche in termini di dinamismo e competitività (comma 6); - far sì che le iniziative di formazione abbiano carattere continuo, destinando loro adeguati investimenti finanziari, nel rispetto dei limiti di legge (comma 3). Il CCNL in commento prevede diverse modalità di accesso alla formazione, garantendo sia la partecipazione a percorsi strutturati dall'amministrazione, sia la possibilità di iniziative autonome del dirigente. Nell’ambito della formazione istituzionale, ai sensi dei commi 2, 4, 7 e 10 è compito dell'amministrazione organizzare iniziative di formazione destinate a tutti i dirigenti i cui contenuti, a seconda delle finalità, devono vertere sia sulla formazione al ruolo sia su aspetti specialistici correlati a specifici ambiti e funzioni dirigenziali. La partecipazione ad attività formative inserite in appositi percorsi, anche individuali, viene concordata dall'amministrazione con il dirigente interessato ed è riconosciuta quale servizio utile a tutti gli effetti. Dette iniziative possono essere realizzate dall’amministrazione singolarmente, d’intesa con altre amministrazioni e anche in collaborazione con la Scuola Nazionale dell’amministrazione (SNA), le Università e altri soggetti pubblici o privati (comma 6) e sono sostenute finanziariamente dalla quota – definita annualmente – delle risorse da destinare ai programmi di aggiornamento e di formazione del dirigente, nel rispetto dei limiti finanziari previsti dalle vigenti norme di legge in materia. I commi 8 e 9, invece, prevedono anche la possibilità per il dirigente scolastico di intraprendere autonomamente percorsi di aggiornamento. Egli ha la facoltà di partecipare a corsi formativi e di aggiornamento professionale che siano comunque in linea con le finalità del contratto, senza che ciò comporti oneri finanziari per l’amministrazione. Per tale scopo, può essere concesso un periodo di aspettativa non retribuita per motivi di studio, della durata massima di tre mesi nell'arco di un anno. Qualora l’amministrazione riconosca l'effettiva connessione di tali iniziative autonome con l'attività di servizio e l'incarico affidato, può concorrere con un proprio contributo alla spesa sostenuta e documentata dal dirigente. Sempre in ambito contrattuale è altresì previsto che il dirigente scolastico possa beneficiare di permessi necessari per partecipare ad attività di aggiornamento professionale. Così dispone in materia di assenze retribuite l’articolo 15, comma 1, lettera a) del CCNL dell’area “Istruzione e ricerca” 2016-2018, anch’esso non modificato dal successivo CCNL: “Il dirigente ha diritto di assentarsi nei seguenti casi: a) partecipazione a concorsi od esami, limitatamente ai giorni di svolgimento delle prove, ovvero a congressi, convegni, seminari e corsi di aggiornamento professionale facoltativi, connessi con la propria attività lavorativa, entro il limite complessivo di giorni otto per ciascun anno solare o, per i dirigenti delle Istituzioni scolastiche ed educative e delle Istituzioni di Alta formazione artistica, musicale e coreutica, per ciascun anno scolastico o accademico." Pertanto, i dirigenti accedono a un massimo di otto giorni per ciascun anno scolastico anche per potere prendere parte ad attività di aggiornamento di natura facoltativa purché in stringente correlazione con il loro profilo professionale.
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Data di pubblicazione: 24/11/2025
Dalla formulazione del quesito, pare potersi dedurre che la visita medica sia stata disposta su istanza di parte ai sensi dell’art. 41, comma 1, lett. B del Dlgs. N. 81/2008 e ss.mm.ii. Il comma 4 del suddetto art. 81 afferma che “le visite mediche di cui al comma 2, a cura e spese del datore di lavoro, comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. Nei casi ed alle condizioni previste dall'ordinamento, le visite di cui al ((comma 2, lettere a), b), d), e-bis), e-ter) ed e-quater)) sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti”. Il comma 2 del medesimo articolo indica le tipologie di visita medica che rientrano nella sorveglianza sanitaria. Tra queste, è rilevante quella prevista dalla lettera c: “visita medica su richiesta del lavoratore, qualora il medico competente la ritenga correlata ai rischi professionali o alle condizioni di salute del lavoratore, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica”. Il comma 2-bis, invece, stabilisce che “il medico competente, nella prescrizione di esami clinici, biologici e di indagini diagnostiche ritenuti necessari in sede di visita preventiva, tiene conto delle risultanze degli esami e delle indagini già effettuati dal lavoratore e risultanti dalla copia della cartella sanitaria e di rischio in possesso dello stesso ai sensi dell’articolo 25, comma 1, lettera e), al fine di evitarne la ripetizione, qualora ciò sia ritenuto compatibile dal medico competente con le finalità della visita preventiva”. Alla luce di quanto sopra, si conferma che la visita psichiatrica prescritta dal medico competente è a carico del datore di lavoro, in questo caso dell’istituzione scolastica. L’art. 15 del D.Lgs. n. 81/2008, al comma 2, stabilisce infatti che “le misure relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”. La Commissione per gli Interpelli, istituita ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 81/2008, ha precisato che i costi relativi agli accertamenti sanitari non possono in alcun modo gravare sul lavoratore (cfr. Interpello n. 18/2014 e n. 14/2016).
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Data di pubblicazione: 24/11/2025
La situazione rappresentata è molto comune nell’organizzazione dei viaggi di istruzione, ma la risposta, in estrema sintesi, è che per le Pubbliche Amministrazioni (PA) vige il principio generale che il pagamento del saldo può avvenire solo dopo l'erogazione del servizio, la verifica della sua corretta esecuzione e l’acquisizione di tutti i documenti giustificativi e della relativa fattura (le cosiddette fasi di liquidazione e pagamento previste dagli artt. 16 e 17 del DI 129/2018). Si osserva inoltre che il quesito prende piede da una premessa spesso trascurata: è la stazione appaltante (scuola) a fissare le condizioni contrattuali (compresi i termini di pagamento), che devono essere in linea con la normativa vigente recepita negli atti di gara. Pertanto, sebbene la convenienza economica e la posizione dell’hotel siano fattori importanti, la scuola è comunque tenuta a sottostare alle norme di contabilità pubblica e alle particolari disposizioni di cui al D.Lgs. 36/2023. Come detto in precedenti risposte, in merito ai pagamenti, l’art. 125, comma 1, del Codice Contratti, prevede che l'appaltatore ha diritto di ricevere un'anticipazione del prezzo, pari al 20% (incrementabile fino al 30%, ove previsto negli atti di gara) del valore del contratto, a condizione che sia effettivamente iniziata "la prestazione", e, specificatamente, " entro quindici giorni dall'effettivo inizio della prima prestazione utile relativa a ciascuna annualità, secondo il cronoprogramma della prestazione”. L’erogazione dell’anticipazione è subordinata alla costituzione di garanzia fideiussoria bancaria o assicurativa, di importo pari all'anticipazione, maggiorato del tasso di interesse legale applicato al periodo necessario al recupero dell'anticipazione stessa secondo il cronoprogramma della prestazione. L'applicazione dell'istituto dell'anticipazione del prezzo contrattuale, mentre originariamente si riferiva soltanto agli appalti di lavori, è stata estesa anche agli appalti di servizi e forniture, al fine di consentire all'appaltatore di affrontare le spese iniziali necessarie all'esecuzione del contratto. Ai sensi dell'art. 33 dell'allegato II.14 sono esclusi dall'anticipazione i contratti per prestazioni di forniture e di servizi a esecuzione immediata o la cui esecuzione non possa essere, per loro natura, regolata da apposito cronoprogramma (ipotesi che comunque non dovrebbe riguardare il caso in trattazione in quanto un viaggio di istruzione è un servizio che, per sua natura prevede, il cronoprogramma) o il cui prezzo è calcolato sulla base del reale consumo, nonché i servizi che, per la loro natura, prevedono prestazioni intellettuali o che non necessitano della predisposizione di attrezzature o di materiali. Come precisato dalla Corte dei conti – Sezione regionale per il Piemonte con deliberazione n. 67/2020/SRCPIE/PAR l’anticipazione va contabilizzata in contabilità finanziaria come un acconto in conto lavori, servizi o forniture, con imputazione agli stanziamenti di spesa a cui essa si riferisce. Per il pagamento dell’anticipazione deve essere rilasciata dall’Impresa (in questo caso l’hotel) la relativa fattura, da emettersi al momento dell’adozione del certificato di pagamento da parte del RUP. Il certificato di pagamento deve essere tempestivamente trasmesso all’amministrazione affinché proceda alla corresponsione dell’acconto a favore dell’OE con l’emissione del mandato di pagamento (art. 125, comma 5). Il comma 7 dello stesso art. 125, prevede infine che “All’esito positivo […] della verifica di conformità negli appalti di servizi e forniture, e comunque entro un termine non superiore a sette giorni dall’emissione dei relativi certificati, il RUP rilascia il certificato di pagamento relativo alla rata di saldo; il pagamento è effettuato nel termine di trenta giorni decorrenti dall’esito positivo […] della verifica di conformità, salvo che sia espressamente concordato nel contratto un diverso termine, comunque non superiore a sessanta giorni e purché ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche”. Pertanto, rispondendo alla domanda posta nel quesito, riteniamo quanto segue: - In base alle previsioni di cui all’art. 125 del Codice, l’hotel ha diritto di ricevere, previa costituzione di garanzia definitiva, un’anticipazione del prezzo, pari al 20% (incrementabile fino al 30%, ove previsto negli atti di gara) del valore del contratto, a condizione che sia effettivamente iniziata "la prestazione", e, in particolare, entro quindici giorni dall'effettivo inizio della prestazione. - Fermo restando, come detto, l’effettivo inizio della prestazione (che, nel caso specifico, corrisponderebbe all’arrivo degli studenti presso l’hotel), l’acconto prevede il rilascio, a cura dell’OE, della relativa fattura, da emettersi al momento dell’adozione del certificato di pagamento da parte del RUP. - Per quanto concerne il saldo, la norma succitata prevede che questo sia effettuato “All’esito positivo […] della verifica di conformità negli appalti di servizi e forniture” e a seguito del rilascio da parte del RUP del relativo certificato di pagamento, nonché di trasmissione di fattura a saldo da parte dell’Impresa. Concludendo, dall’esame della normativa su esposta, riteniamo che non sia in alcun modo ammissibile corrispondere il saldo ancor prima dell’inizio della prestazione e, per di più, in assenza di emissione di regolare fattura elettronica. Come detto, l’Hotel ha tuttavia diritto di ricevere, previa costituzione di garanzia definitiva, un’anticipazione del prezzo, pari al 20% (incrementabile fino al 30%, ove previsto negli atti di gara) del valore del contratto, all’atto dell’effettivo inizio della prestazione, coincidente con l’arrivo degli studenti in hotel.
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Data di pubblicazione: 24/11/2025
Leggendo l'attestazione di malattia di un docente sul portale INPS, mi accorgo che il rilascio del certificato è avvenuto il secondo giorno di malattia, e che questa è stata certificata con visita ambulatoriale. Tale situazione mi fa sorgere alcuni dubbi con riferimento sia al docente sia al medico del Servizio Sanitario Nazionale...
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Data di pubblicazione: 21/11/2025
Il congedo biennale previsto dall'art. 42, comma 5, del DLgs 151/2001 è fruibile non solo in una unica soluzione ma, anche in modo frazionato (a mesi e a giorni interi, ma non ad ore). Al riguardo, la Funzione Pubblica per tutto il comparto del pubblico impiego scuola compresa, nella circolare n. 1 del 2012 precisa quanto segue: “Affinché non vengano computati nel periodo di congedo i giorni festivi, le domeniche e i sabati (nel caso di articolazione dell'orario su cinque giorni),è necessario che si verifichi l'effettiva ripresa del lavoro al termine del periodo di congedo richiesto. Tali giornate non saranno conteggiate nel caso in cui la domanda di congedo sia stata presentata dal lunedì al venerdì, se il lunedì successivo si verifica la ripresa dell'attività lavorativa ovvero anche un'assenza per malattia del dipendente o del figlio. Pertanto, due differenti frazioni di congedo straordinario intervallate da un periodo di ferie o altro tipo di congedo, debbono comprendere ai fini del calcolo del numero di giorni riconoscibili come congedo straordinario anche i giorni festivi e i sabati (per l'articolazione su cinque giorni) cadenti subito prima o subito dopo le ferie o altri congedi o permessi". La citata Nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, fornisce una serie di esempi e modalità di computo del congedo; la nota si riferisce al congedo parentale ma può applicarsi in via analogica anche al calcolo del congedo biennale in caso di assenze cicliche. Nel caso in cui un lavoratore, con orario di lavoro articolato su cinque giorni lavorativi (c.d. settimana corta), fruisca di congedo parentale ( ma analoghe considerazioni valgono per il congedo biennale) nel seguente modo: 1^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale Sabato e domenica 2^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie - malattia - assenza ad altro titolo Sabato e domenica 3^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie o malattia o assenza ad altro titolo Sabato e domenica 4^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale il sabato e la domenica compresi tra la seconda e la terza settimana non sono computabili, né indennizzabili a titolo di congedo parentale in quanto tali giorni - compresi in un periodo unico di congedo parentale posto che, dalla prima alla quarta settimana, non vi è ripresa dell’attività lavorativa - risultano comunque ricompresi all’interno di un periodo di assenza fruita ad altro titolo (periodo neutro ai fini di interesse). Viceversa, il sabato e la domenica ricadenti tra la prima e la seconda settimana e tra la terza e la quarta sono computabili ed indennizzabili in conto congedo parentale in quanto tali giorni cadono, rispettivamente, subito dopo e subito prima il congedo parentale richiesto. Quanto sopra vale anche nei casi in cui il lavoratore alterni congedo parentale e ferie nel seguente modo: dal martedì al giovedì = congedo parentale venerdì = ferie sabato e domenica lunedì= ferie dal martedì a giovedì = congedo parentale. Anche in tale ultima ipotesi, infatti, il sabato e la domenica non si computano a titolo di congedo parentale in quanto inclusi in un periodo, seppur breve, di ferie (venerdì e lunedì). A chiarimento di quanto sopra esposto l'INPS fornisce ancora due possibili casi: Caso 1 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = ripresa del lavoro Caso 2 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = congedo parentale venerdì = ripresa del lavoro Nel primo caso (caso 1) il sabato e la domenica rimangono evidentemente esclusi dal computo del congedo parentale in quanto la frazione di congedo termina il venerdì (infatti, successivamente alle ferie, il lavoratore riprende l’attività lavorativa). Viceversa, nel secondo caso (caso 2), il sabato e la domenica vanno conteggiati ed indennizzati in conto congedo parentale in quanto tali giorni sono compresi in un’unica frazione di congedo (dal lunedì della prima settimana al giovedì della seconda) e ricadono immediatamente dopo il congedo parentale. I criteri sopra indicati trovano applicazione anche nell’ipotesi in cui il lavoratore, avendo già richiesto un periodo di congedo parentale, presenti un’altra domanda (o diverse domande) di congedo parentale determinanti di fatto una proroga del periodo di congedo precedentemente richiesto. Fino all'entrata in vigore del Decreto 119/2011, permessi e congedo straordinario erano considerati due benefici con la medesima finalità per i quali il Legislatore non aveva previsto la possibilità di contemporanea fruizione. Il Decreto 119/2011, però, ha modificato il disposto dell'ex comma 5 dell'articolo 42 del Decreto 151/2001, prevedendo che "per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1, del presente decreto. La Funzione Pubblica nella circolare n. 1 del 3 febbraio 2012, circolare che detta le indicazioni per una univoca e corretta gestione delle modifiche di cui al citato D.lgs. 119/2011, alla lettera b) per tutto il comparto del pubblico impiego scuola compresa (stessa interpretazione INPS circolare 32/2012 per il settore privato), ha modificato una precedente indicazione e, nel merito della cumulabilità nello stesso mese dei due diversi benefici, ha precisato quanto di seguito evidenziato. "Il D.Lgs. n. 119 del 2011 ha modificato il disposto dell'ex comma 5 dell'art. 42 in esame, rivedendo all'attuale comma 5 bis che “i genitori, anche adottivi, possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'art. 33, commi 2 e 3, della l. n. 104 del 1992 e 33, comma 1, del presente decreto.”. A seguito della modifica, i genitori possono fruire delle predette agevolazioni (permessi di tre giorni mensili, permessi di due ore al giorno, prolungamento del congedo parentale) anche in maniera cumulata con il congedo straordinario nell'arco dello stesso mese, mentre è precluso il cumulo dei benefici nello stesso giorno. La stessa INPS nel messaggio 3114 del 07/08/2018, aveva già precisato che:” Si precisa, al riguardo, che i periodi di congedo straordinario possono essere cumulati con i permessi previsti dall’articolo 33 della legge n. 104/92 senza necessità di ripresa dell’attività lavorativa tra la fruizione delle due tipologie di benefici”. Quindi in risposta al quesito, come per altre analoghe risposte, si ritiene che i tre giorni di permesso mensile previsto dall'art. 33, comma 3, della legge 104/92, possono essere fruiti nello stesso mese a giorni alterni al congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5 del D.L.gs 151/2001 mentre, non è possibile cumulare le due tipologie di assenza nello stesso giorno. Nel merito, per il caso specifico, la stessa INPS già nella circolare 53/2008 che nel messaggio 3114 del 07/08/2018 (indicazioni condivise nelle nostre risposte) ha precisato che: ”i periodi di congedo straordinario possono essere cumulati con i permessi previsti dall’articolo 33 della legge n. 104/92 senza necessità di ripresa dell’attività lavorativa tra la fruizione delle due tipologie di benefici”. Quindi, a nostro avviso, il sabato e la domenica, ricadenti tra le due tipologie di assenza non vanno computati nel calcolo del congedo biennale. Invece in caso di assenze cicliche (e non quindi solo di cumulo permessi L. 104 e congedo biennale) si rinvia alle indicazioni di cui sopra.
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Data di pubblicazione: 21/11/2025
I riferimenti normativi relativi alla questione posta sono rintracciabili nella legge 23/1995 (art. 3) e, in particolare, nel D.Lgs. 112/1998, che all’art. 139 lettera d) così precisa: “omissis…. sono attribuiti alle province, in relazione all’istruzione secondaria superiore, e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, i compiti e le funzioni concernenti: ..omissis……..il piano di utilizzazione degli edifici e delle attrezzature , d’intesa con le istituzioni scolastiche”. Da quanto sopra si evince che, nella situazione di cui al quesito, il comune, se vuole programmare sulla base delle esigenze presenti e – in prospettiva – su basi fondatamente previsionali, la riassegnazione di locali dei suoi edifici scolastici alle scuole del primo ciclo poste nel suo territorio, deve procedere “d’intesa" con le istituzioni scolastiche”. Il che significa che deve avviare un “tavolo” di consultazione con i dirigenti scolastici delle scuole interessate, i quali, considerato che la questione concerne “la organizzazione e la programmazione , per quanto concerne la vita e l’attività della scuola” (D.Lgs. 297/1994, art. 10 comma 3), tramite il lavoro preparatorio della giunta, coinvolgeranno il consiglio di istituto per relazionare sulla proposta comunale e avere pareri, proposte e indicazioni in merito. Il comune può senz’altro disporre una modifica della assegnazione dei locali scolastici di sua proprietà, ma non in modo impositivo senza avere ricercato e attuato un confronto con i dirigenti delle scuole interessate. Quindi il dirigente porterà all’esame del consiglio la proposta del comune, presenterà le sue valutazioni e, sulla base del dibattito, chiederà all’organo collegiale di esprimere un parere sulla proposta e di avanzare eventuali altre soluzioni. Potrà essere utile coinvolgere preventivamente, per gli aspetti didattici, il collegio dei docenti. Il dirigente, con riferimento alle disposizioni di cui sopra sulla “intesa” con le scuole interessate, tenendo conto delle indicazioni consiliari, presenterà all'amministrazione – ovviamente con più forza in ragione della delibera – le osservazioni del caso e, se vi sono state nella decisione del consiglio o il dirigente le ravvisa comunque, altre proposte per una soluzione accettabile dalla scuola. In particolare il dirigente dovrebbe esporre con chiarezza le negative conseguenze che la ipotizzata ripartizione dei locali scolastici avrebbe sullo svolgimento delle attività della scuola come previste nel PTOF. Ove poi il comune avesse già preso le sue decisioni, il dirigente potrebbe/dovrebbe, anche qui opportunamente chiedendo il supporto di una delibera consiliare, presentare al comune una motivata opposizione alla decisione municipale chiedendone il riesame. Qualora poi il comune restasse silente alla richiesta della scuola e nella ipotesi che i locali alla stessa sottratti risultassero essenziali per lo svolgimento dell’attività didattica, il dirigente potrebbe segnalare la questione all’USP di competenza per un intervento sul comune. Non è tema presente nel quesito ma, solo per completezza, ricordiamo che ovviamente l'operazione va fatta coinvolgendo i vari RSPP e adeguando le diverse valutazioni dei rischi.
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Data di pubblicazione: 21/11/2025
La materia dell'incompatibilità del personale scolastico è regolata dall’art. 53 del D.Lgs. 165/2001. L’art. 53, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 stabilisce, infatti, che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli artt. 60 e segg. del DPR n. 3/1957, che vietano ai lavoratori pubblici l’esercizio di attività commerciali ed industriali, l’esercizio di professioni, l’assunzione di impieghi alle dipendenze di privati e di cariche in società aventi fine di lucro. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale anche il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore delegato di società di capitali (società per azioni, società a responsabilità limitata, società in accomandita per azioni). Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. Ciò premesso, in merito al quesito posto occorre accertarsi, quindi, se tra le "attività industriali" di cui all’art. 60 citato debba essere ricompreso anche l'esercizio dell'attività imprenditoriale agricola o comunque relativa all'esercizio di una azienda agraria. In relazione alla compatibilità dello status di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale con quello di impiegato, la Corte di Cassazione ha affermato che la qualità di impiegato non è logicamente e giuridicamente incompatibile con quella di coltivatore diretto, soprattutto quando la modesta estensione del fondo non renda incompatibile in fatto la possibilità di esercitare una doppia attività e di utilizzare le residue energie lavorative (Cassazione civile, sez. III, 23 agosto 1985, n. 4520; Cassazione civile, sez. lav., 04 marzo 1980, n. 1455). Il pubblico dipendente può essere conduttore di un'azienda agricola di famiglia, di cui è proprietario, purché tale attività non richieda un impegno assiduo, incompatibile, come tale, con lo svolgimento del tempo pieno (T.A.R. Potenza Basilicata 06 marzo 2003 n. 195). Il T.A.R. Veneto - Sede di Venezia - Sez. II - con la Sentenza 19 maggio 2011, n. 858 ha affermato che va esclusa la sussistenza di un’incompatibilità giuridica tra il rapporto di lavoro pubblico a tempo pieno e la qualifica di imprenditore agricolo a titolo professionale, desunta dalla legislazione in materia di pubblico impiego. La compatibilità dell’attività di imprenditore agricolo deve essere valutata, quindi, caso per caso, in relazione alle modalità concrete nelle quali si concretizza. Pertanto, la Cassazione ha affermato che in via generale nulla osta logicamente e giuridicamente che un impiegato dello Stato possa svolgere anche l’attività di coltivatore diretto, e quindi di piccolo imprenditore agricolo. In materia si è pronunciato anche il Dipartimento della Funzione Pubblica con circolare 18 luglio 1997, n. 6/1997 in questi termini: “E' stato prospettato il caso della partecipazione in società agricole a conduzione familiare, situazione diffusa in molte realtà territoriali. A giudizio di questo Dipartimento, l'attività rientra tra quelle compatibili solo se l'impegno richiesto è modesto e non abituale o continuato durante l'anno. Spetta all'amministrazione valutare che le modalità di svolgimento sono tali da non interferire sull'attività ordinaria”. Da ultimo la Cassazione, con l'Ordinanza 01/12/2020, n. 27420, ha affermato che in tema di incompatibilità dei pubblici dipendenti, dalla lettura combinata e complessiva dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 con l'art. 60 del DPR n. 3 del 1957 deriva che si possono distinguere tre ipotesi: 1) attività assolutamente incompatibili: sono le attività inibite, che non si possono esercitare nemmeno con autorizzazione (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 60 etc.); 2) attività consentite: sono le attività per cui non è necessaria l'autorizzazione (indicate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6); 3) attività consentite previa autorizzazione: tutte le altre attività comprese nella sfera di applicabilità dell'art. 53 del TUPI. L'impresa agricola resta comunque un'impresa commerciale ma qualora in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2135 c.c., otterrà lo status di agricola e in quanto tale non sarà assoggettata al fallimento e alle altre procedure concorsuali (ex art. 2221 c.c.) nè obbligata alla tenuta delle scritture contabili (ex art. 2136 c.c.); con il D.Lgs. 20 marzo 2004, n. 99 è stata prevista, all'art. 2, espressamente la "società agricola", che deve svolgere le attività previste per il singolo imprenditore e, sebbene non sia vincolata a qualche forma societaria, deve rispettare alcuni canoni come ad esempio l'espressa qualifica nella ragione sociale o denominazione. Tale tipo di società può essere costituita nella forma di società di persone (società semplici, s.n.c. o s.a.s.), società di capitali (s.r.l. o s.p.a.) e cooperativa e deve essere iscritta al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio. Ciò premesso la disposizione di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, citato art. 60, in un senso più aderente alla realtà attuale, non può che intendersi la stessa riferita anche a tale tipo di impresa agricola con la conseguenza che se il criterio guida è, ai fini della valutazione dell'incompatibilità di una attività extraistituzionale, l'interferenza sull'attività ordinaria del dipendente, anche la partecipazione in imprese agricole è da ritenere incompatibile con un rapporto di lavoro a tempo pieno laddove sussistano i caratteri della abitualità e professionalità, caratteri che la forma societaria prescelta può far presumere. Pertanto, anche alla luce dei principi sopra riportati ed all'ultimo intervento più rigido della Cassazione, il dirigente scolastico deve valutare (richiedendo apposite delucidazioni al dipendente) se l’attività in questione sia oggettivamente tale da non impegnare il dipendente che in modo marginale o comunque non prevalente, e ovviamente al di fuori dell’orario d’ufficio; è escluso, infatti, l’esercizio di attività da parte di un dipendente pubblico tale da arrecare un pregiudizio alla Pubblica amministrazione, in termini di tempo dedicato e di impegno, nel rispetto del principio generale dell’esclusività del rapporto di lavoro pubblico. Conclusivamente la compatibilità dell’attività di imprenditore agricolo deve essere valutata, quindi, caso per caso, in relazione alle modalità concrete nelle quali si realizza e deve essere caratterizzata da mancanza di abitualità. Pertanto in riferimento al quesito posto si ritiene quanto segue: - l'attività imprenditoriale agricola non è assolutamente incompatibile con lo status di pubblico dipendente ma dipende da quanto detto sopra; - ai fini della compatibilità o meno quello che rileva, alla luce della giurisprudenza sopra riportata, è la modalità di esercizio dell'attività agricola (se continuativa è incompatibile).
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Data di pubblicazione: 21/11/2025
In caso di orario su cinque giorni, se il dipendente è assente in una giornata compresa tra lunedì e venerdì (a qualsiasi titolo: permesso, malattia, festività) in detta giornata si applicherà la disciplina relativa all'istituto contrattuale utilizzato indipendentemente dalle ore lavorative previste in quanto trattasi di istituti fruibili a giornata e non in modalità oraria. Quindi non vi è l'insorgenza di alcun debito orario per il dipendente assente. L'unica particolarità è prevista per la gestione delle ferie. Il MIUR con CM n. 155 del 6 maggio 1989 ha precisato che, indipendentemente dalle turnazioni effettuate (su 6 o su 5 giorni lavorativi), la normale settimana lavorativa del personale scolastico rimaneva stabilita in 6 giorni settimanali, anche rispetto al computo delle ferie di cui al DPR 395/88. Il CCNL 2007 all’art. 13, comma 5, prevede che in caso di distribuzione dell’orario di lavoro del personale ATA su cinque giorni, il sesto è comunque considerato lavorativo ai fini del computo delle ferie e i giorni di ferie goduti per frazioni inferiori alla settimana vengono calcolati in ragione di 1,2 per ciascun giorno. Da quanto sopra risulta pertanto evidente che le ferie annuali del personale ATA, indipendentemente dall’orario settimanale effettuato, devono essere sempre rapportate a 32 giorni effettivi (sul presupposto di dipendente con più di tre anni di servizio prestati a qualsiasi titolo). Solo in caso di ferie usufruite per limitati periodi, meno di 6 giorni nell’arco di un determinata settimana, queste comportano un computo maggiorato del 20%. La norma vuole, evidentemente, non determinare sperequazioni rispetto a coloro che richiedono periodi di ferie al cui interno è collocato il giorno lavorativo in cui i dipendenti non sono in servizio (di norma il sabato) che, come già affermato sopra, deve essere incluso nei 32 giorni di ferie spettanti. Quindi, in caso di orario su cinque giorni settimanali nel caso in cui il lavoratore richieda un solo giorno di ferie o un periodo inferiore alla settimana (ad es. lunedì e martedì; martedì e mercoledì …) questi giorni impediscono al lavoratore di completare l’orario settimanale e quindi vanno calcolati nella misura di 1,2 per ogni giorno. Pertanto 1 giorno singolo di ferie verrà calcolato 1,2 da scomputare dai 32 giorni previsti; - 2 giorni di ferie varranno 2,4 da scomputare dai 32 giorni previsti; - 3 giorni 3,6 da scomputare e così via. L'assunto che, indipendentemente dall'orario settimanale, il monte ferie annuale rimane 32 ( o 30 se trattasi di dipendenti con meno di tre anni di servizio) è confermato dall'Orientamento ARAN Scu 083 del 6 maggio 2014 che riportiamo: "Come si calcolano i giorni di ferie per il personale ATA a tempo indeterminato e con orario di servizio su 5 giorni settimanali? Le ferie del personale ATA vengono regolate dal CCNL 29.11.2007, all’articolo 13, comma 5 in cui viene specificato che nel caso in cui il POF d’istituto preveda la settimana articolata su cinque giorni di lavoro il sesto è considerato lavorativo ai fini del computo delle ferie. In questo modo, è irrilevante per il calcolo delle ferie che la settimana lavorativa di 36 ore sia articolata su cinque o sei giorni. Ferma rimanendo la regola che se il personale ATA è stato assunto da meno di 3 anni ha diritto a 30 giorni di ferie all’anno, che diventano 32, dopo tre anni di contratto."
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Data di pubblicazione: 21/11/2025
Preliminarmente, si consiglia di raccogliere e archiviare tutta la corrispondenza trasmessa dall’ex dipendente, compresi i riscontri forniti con le relative ricevute di accettazione e di consegna, compilando anche un elenco con le date e gli orari di ricezione. Ciò potrà evidenziare la persistenza e reiterazione del comportamento. Dal quesito emerge che le comunicazioni trasmesse, che apparentemente sembrano significative per la P.A., si rivelano in realtà prive di fondamento e del tutto pretestuose, inviate al solo scopo di destabilizzare e rallentare il lavoro dell’Amministrazione. Non è tuttavia possibile esimersi dal riscontrarle né dall’operare una previa indagine di fondatezza, solo in ragione della lamentata persistenza, salvo che si tratti di segnalazioni con identico contenuto. Solo qualora venissero trasmesse comunicazioni ripetitive di precedenti segnalazioni o simili tra loro sarebbe possibile non riscontrare, oppure predisporre una risposta standard o, ancora, rispondere ad un gruppo di comunicazioni, anziché ad ogni singola comunicazione, dettagliando l’elenco delle segnalazioni cui si riscontra. Su tale fronte, non ha alcun rilievo la circostanza che il docente non sia più dipendente dell’Istituto. Egli non può però vantare alcun diritto di controllo sulla successiva azione dell’Amministrazione. La situazione dedotta va peraltro distinta dalla posizione dell’allertatore civico (il c.d. “whistelblower”), tutelato dalla L.24/2023 che prevede uno specifico canale di segnalazione e il diritto all’anonimato. Inoltre, la tutela del whistelblower non si estenderebbe in ogni caso alle contestazioni, rivendicazioni o richieste legate ad un interesse di carattere personale della persona segnalante che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro. E’ comunque possibile per la dirigenza tutelarsi, valutando anche se segnalare in modo accuratamente documentato quanto sta accadendo alle forze dell'ordine (Carabinieri o Polizia di Stato), evidenziando tutte le azioni di indagine e riscontro poste in essere sino ad oggi per verificare le segnalazioni, rilevando il sovraccarico di attenzione e impegno che le comunicazioni stanno recando all’Amministrazione, oltre che la pressione psicologica crescente da esse generata. In base al tenore delle missive a al destinatario ivi indicato le reiterate comunicazioni potrebbero anche essere foriere di ansia o di paura e profilare forme di atti persecutori (art.612-bis Cod.Pen.), possibili anche tramite strumenti informatici e telematici, come la PEC. Oltre certi limiti inoltre l'elevato volume di comunicazioni potrebbe anche pregiudicare l'erogazione dei servizi. Riguardo alle richieste di accesso ai procedimenti disciplinari altrui esse vanno del tutto disattese, per mancanza di interesse qualificato ed anche per la tutela della riservatezza dei lavoratori interessati. Si suggerisce di non riscontrare affatto alle richieste di accesso documentale di cui alla L.241/1990, lasciando maturare il silenzio diniego, al fine di non rinforzare ulteriormente il comportamento petulante. Sul punto più volte la giurisprudenza amministrativa ha ricordato che “va accolta una nozione ampia di "strumentalità" del diritto di accesso, nel senso della finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell'atto o del documento del quale si richiede l'accesso, […] in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante" (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 maggio 2017 n. 2269, Sez. III, 16 maggio 2016 n. 1978 e Sez. IV, 6 agosto 2014 n. 4209), che qui non sembra affatto essere presente. Diversamente in caso di istanze di accesso civico generalizzato disciplinato dal D.Lgs.33/2013, ma con esiti identici. In tal caso infatti, non si matura il fenomeno del silenzio assenso e la risposta va fornita, negando comunque ogni ostensione. Sulle limitazioni all'accesso civico generalizzato, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2018 n. 651) ha affermato che, anche dopo l’entrata in vigore delle norme che disciplinano l’accesso civico “generalizzato”, permane un settore “a limitata accessibilità”, nel quale continuano ad applicarsi le più rigorose norme della L. 241/1990. In altri termini, se è vero che ormai è consentito a chiunque di conoscere ogni tipo di documento o di dato detenuto da una pubblica amministrazione (oltre a quelli acquisibili dal sito web dell’ente, in quanto obbligatoriamente pubblicabili), nello stesso tempo, qualora la tipologia di dato o di documento non possa essere resa nota per il pericolo che ne provocherebbe la conoscenza indiscriminata, mettendo a repentaglio interessi pubblici ovvero privati, l’ostensione di quel documento sarà resa possibile solo in favore di una ristretta cerchia di interessati, tranne nelle ipotesi in cui è legislativamente escluso l’accesso documentale, secondo le tradizionali e più restrittive regole recate dalla L. 241/1990.
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Data di pubblicazione: 21/11/2025
Nuovo CCNL e relazioni sindacali. L’ARAN ha comunicato che in data 5.11.2025 è stata sottoscritta l’IPOTESI di CCNL 2022-2024....
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Data di pubblicazione: 21/11/2025
Per quanto concerne i dipendenti in part-time verticale, in diversi Orientamenti per altri Comparti (cfr. M24 -M19 del 24/05/2011 comparto Ministeri), l’ARAN precisa che "il permesso per matrimonio, il congedo parentale, i permessi per maternità e i permessi per lutto, spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi (vedi art. 23, comma 11, del CCNL integrativo del 16 maggio 2001 del Comparto Ministeri)." Elemento comune a tutti questi istituti è la modalità con cui essi vengono conteggiati, ossia facendo riferimento ai giorni di calendario e non ai giorni lavorativi rientranti nel periodo richiesto. Di conseguenza, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e i permessi sono computati con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. La stessa ARAN ha dato un suo preciso orientamento per il comparto Enti Locali RAL 349 anche in merito al congedo per malattia del bambino caso di part-time verticale che di seguito si riporta integralmente. "Come si applica la previsione dell’art. 6, comma 8 del CCNL del 14/09/2000 in caso di congedo per malattia del figlio ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 151/2001? Riteniamo utile precisare quanto segue: 1. in base all'art. 6, comma 8, in presenza di un rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale "Il permesso per matrimonio, l'astensione facoltativa ed i permessi per maternità (tra i quali rientra il congedo per malattia del figlio di cui all'art. 47 del D.Lgs. n. 151/2001) spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi … "; 2. tale regola comporta che la dipendente, ove si determini l'evento preso in considerazione e tutelato nell'ambito di un periodo lavorativo, potrà sicuramente beneficiare dell'istituto secondo i limiti quantitativi stabiliti dal contratto (o dalla legge) assentandosi dal servizio per la durata prevista dalla certificazione medica; tuttavia, poiché la stessa lavoratrice presta la sua attività solo in alcuni giorni della settimana, pur utilizzando 12 giorni di congedo per malattia, (essendo questi previsti come periodo unico e continuativo dalla stessa certificazione medica), riceverà la retribuzione solo per quei giorni all'interno dei 12 per i quali era prevista la sua presenza al lavoro; in sostanza pur consumando 12 giorni (del monte giorni di congedo retribuito previsto dall'art. 17, comma 6, del CCNL del 14/9/2000), si vedrà effettivamente riconosciuto il beneficio solo relativamente al numero ridotto di giorni nei quali doveva rendere la sua prestazione lavorativa. Es.: in data lunedì 1/01/2002, una lavoratrice a tempo parziale verticale, e con l'articolazione dell'orario di lavoro su tre giorni settimanali (lunedì, martedì, mercoledì), si assenta per malattia del bambino, con certificato medico di 12 giorni; applicando quanto sopra detto la lavoratrice utilizza 12 giorni di congedo per malattia del bambino ed ha titolo ad assentarsi fino al giorno venerdì 12 (il periodo è unico e abbraccia anche il sabato e la domenica in esso compresi, secondo le regole comuni alle assenze per malattia); tuttavia, poiché nell'ambito di tale arco temporale la stessa lavoratrice lavora solo il lunedì, martedì e mercoledì di ogni settimana, pur avendo consumato 12 giorni riceverà la retribuzione solo per 6 giorni (lunedì, martedì e mercoledì delle due settimane interessate); naturalmente dopo tale evento la lavoratrice potrà disporre di ulteriori 18 giorni di assenza per malattia del figlio, con la retribuzione limitata ai soli giorni coincidenti con le prestazioni lavorative; 1. quindi, i giorni di congedo per malattia del bambino, pur essendo esclusi in astratto dal riproporzionamento, risultano ugualmente riproporzionati sulla base della corretta applicazione della clausola contrattuale; 2. se in luogo di un unico certificato medico, vengono presentati più certificati medici concernenti periodi di malattia che si saldano fra di loro, l'effetto è lo stesso di quello dell'unico certificato; diverso è il caso in cui la lavoratrice presenti singoli certificati medici concernenti singoli casi di malattia limitati ai soli giorni in cui la lavoratrice avrebbe dovuto prestare servizio (malattia bambino insorta il lunedì con certificato medico di 3 giorni); infatti, in tal caso saranno utilizzati solo 3 giorni del monte giorni a disposizione della lavoratrice". Dello stesso avviso è l'INPS per il settore privato in merito al congedo parentale (cfr. circolare n. 87/1999 - n. 41/2006 - n. 30/2010) ma, con le stesse tutele del congedo per malattia del bambino. Da ultimo l’ARAN, con l’O.A. 13 aprile 2021 CIRS79, per quanto concerne l’esatto computo del periodo di congedo parentale chiesto da un dipendente a tempo determinato in regime di part time verticale, ha ribadito che il calcolo di tale periodo di assenza deve effettuarsi tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nel periodo di congedo richiesto. Premesso che non ci sono precise regole contrattuali per il personale scolastico, alla luce degli Orientamenti ARAN sopra citati, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e il congedo (sia parentale che per malattia del bambino) è computato con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. Pertanto, secondo questi orientamenti le assenze dovute a congedo parentale e malattia del bambino si computano tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nell’intero periodo richiesto. In caso di fruizione frazionata, il periodo di congedo verrà calcolato partendo dal primo giorno lavorativo e concludendo con l’ultimo giorno lavorativo precedente l’effettivo rientro in servizio. Infatti, come detto nelle nostre ultime risposte in argomento, dal momento che non viene previsto il riproporzionamento, teoricamente il dipendente dovrebbe essere considerato in congedo per tutta la durata del periodo richiesto e ciò vale per tutti i periodi di congedo parentale indipendentemente se indennizzati o meno. Per evitare ciò le domande di assenza del dipendente dovrebbero e possono essere riferite solo alle giornate in cui ha servizio a scuola e non per un intero periodo temporale (come per l’appunto effettua nel caso di specie ove le domande di congedo parentale si riferiscono alle sole giornate in cui avrebbe servizio). Unica peculiarità nel caso di tratti di assenza continuativa per malattia personale. Per quanto concerne le assenze per malattia del personale in part-time verticale, l'ARAN con l'orientamento applicativo Comparto Scuola del 27 febbraio 2013, in merito a come debba essere effettuato il computo dei giorni di assenza per malattia, ha specificato che occorre andare a considerare se l’assenza sia giustificata da un unico certificato medico o da più certificati medici rilasciati solo per i giorni per i quali il dipendente in part-time è tenuto a svolgere la prestazione lavorativa, senza ricomprendere le giornate intermedie non lavorate; solo in quest’ultimo caso l’ARAN ritiene che essi vadano considerati separatamente, in quanto attestanti eventi morbosi distinti. Per completezza, va altresì osservato che in nostre risposte precedenti abbiamo sempre applicato il principio del riproporzionamento per le assenze per malattia (cioè di considerare solo i giorni di assenza coincidenti con le giornate di servizio del dipendente) anche a prescindere dal fatto che si fosse in presenza di certificati separati e distinti; a detta modalità di calcolo corrispondeva il riproporzionamento del periodo di comporto che conseguiva, per l’appunto, dal fatto di considerare malattia solo i giorni in cui il dipendente avrebbe servizio con l'Amministrazione indipendentemente dalla unicità o meno del certificato medico. Infatti, l'ARAN con il successivo Orientamento SCU_070 del 14 giugno 2013 ha così precisato: "Il periodo massimo di comporto relativo alle assenze per malattia deve essere rapportato al periodo lavorato presso l’Amministrazione in caso di regime di part-time verticale? ...Sulla base quindi dei principi desumibili dalla normativa di legge, dalla contrattazione collettiva e dalla giurisprudenza (vedi in particolare le sentenze di Cassazione Sez. lavoro, 30/12/2009 n. 27762 e 14 dicembre 1999 n. 14065 che hanno affermato il principio del riproporzionamento del periodo di comporto in caso di part time verticale) si ritiene che il trattamento del lavoratore a tempo parziale verticale debba necessariamente tenere conto della ridotta entità della prestazione lavorativa, relativamente sia ai trattamenti economici per malattia, sia alle assenze dovute a malattia, sia ai permessi retribuiti che al periodo massimo di conservazione del posto, tutti elementi che dovranno essere rideterminati tenendo conto di tale criterio". L'ARAN, con l'Orientamento Applicativo M_256 del 5 aprile 2016 (applicabile analogicamente anche al Comparto Scuola) ha precisato che in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione un principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, avrà ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto); il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto; i periodi di retribuzione intera e ridotta. Nel medesimo Orientamento viene altresì precisato che: "In proposito, si precisa che, ai fini della verifica dell’eventuale superamento del periodo di comporto, vengono presi in considerazione esclusivamente i giorni di malattia coincidenti con quelli in cui il dipendente avrebbe dovuto rendere la prestazione lavorativa. In relazione ai giorni festivi e non lavorativi, ricadenti in tale periodo, si ritiene applicabile la medesima presunzione di continuità, alla quale si ricorre per calcolare il periodo di comporto del personale con rapporto di lavoro a tempo pieno. Sussiste, infatti, un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale, in mancanza di una diversa previsione contrattuale, nel calcolo del periodo di assenza per malattia, devono essere computati anche i giorni festivi o non lavorativi, che ricadano all’interno di tale arco temporale (Cass. Civ., sez. lavoro, sentenza 10/11/2004, n. 21385, sentenza 18/10/2000, n. 13816; sentenza 14/12/1999, n. 14065)". L'ARAN, con Orientamento RAL del 05/06/2011, ha affermato che in conseguenza di tale riproporzionamento del periodo massimo di conservazione del posto, ai fini della verifica del suo eventuale superamento si computano solo i giorni di malattia del lavoratore coincidenti con quelli nei quali, in base all'articolazione dell'orario del rapporto di lavoro a tempo parziale, è tenuto a rendere la sua prestazione lavorativa. Pertanto, alla luce degli Orientamenti ARAN, in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione il principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, ha ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: - il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto) che per i dipendenti della Scuola è disciplinato dall’art. 17 comma 1 del CCNL 2007 e dall'art. 35 del CCNL 2024 per il personale a t.d.); - il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto (o il diverso periodo stabilito per il personale a t.d); - i periodi di retribuzione intera e ridotta (cfr art. 17 comma 8 del CCNL 2007 e art. 35 CCNL 2024 per il personale a t.d.). Ciò premesso, in riferimento al caso di specie, atteso che il dipendente presenta singole richieste di assenza per congedo parentale ( nonché di malattia personale ) sarà considerato assente solo per le giornate in cui avrebbe avuto servizio. Tra l'altro trattasi di assenze a titolo diverso e quindi, a nostro avviso, non essendoci continuità tra gli istituti, le giornate tra il sabato e il martedì ricompresi tra le assenze, sono da considerare neutri. Unica eccezione sarebbe se le giornate del sabato (se trattasi di servizio su settimana corta) e della domenica fossero comprese tra due assenze per malattia personale; in questo caso alla luce di quanto detto sopra anche dette giornate sarebbero imputabili a malattia personale.
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Data di pubblicazione: 21/11/2025
La destinazione del Fondo MOF è molto articolata ed è disciplinata dall’art. 78 del CCNL di comparto 2019/21, dove sono definite le diverse destinazioni delle risorse annualmente assegnate a ciascun istituto. Buona parte di queste sono vincolate ad una specifica destinazione, altre sono lasciate alla libera iniziativa delle scuole, comprese quelle relative al FIS e alle economie derivanti dalla contrattazione integrativa dell’anno scolastico precedente, che possono essere usate senza più vincolo di destinazione. A questo va aggiunto che il FIS fa ancora riferimento all’art. 88 del CCNL di comparto del 2007, dove si prevede che: “Le attività da retribuire, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, sono quelle relative alle diverse esigenze didattiche, organizzative, di ricerca”. Al successivo comma 2, punto d) si aggiunge che sono altresì retribuibili: “le attività aggiuntive funzionali all’insegnamento. Esse consistono nello svolgimento di compiti relativi alla progettazione e alla produzione di materiali utili per la didattica, con particolare riferimento a prodotti informatici e in quelle previste dall’art.29, comma 3 - lettera a) del presente CCNL eccedenti le 40 ore annue. Per tali attività spetta un compenso nelle misure stabilite nella Tabella 5;”. Al successivo punto k) si aggiungono anche i “compensi per il personale docente, educativo ed ATA per ogni altra attività deliberata dal consiglio di circolo o d’istituto nell’ambito del POF;”. Spetta dunque al dirigente scolastico, nelle vesti di parte pubblica, stabilire quali attività, singole o di gruppo, meritino di essere comprese nella sua proposta di contratto integrativo d’istituto che deve poi essere sottoposta alla parte sindacale in apertura della trattativa annuale. È lo stesso CCNL, infatti, che prevede che le materie di carattere normativo abbiano una vigenza triennale, mentre quelle di carattere economico (CCNL art. 30, comma 4, lettere c2, c3, c4) possono essere contrattate con cadenza annuale. Quindi con il Fondo MOF, e in particolare con il budget del FIS integrato con le economie dell’anno scolastico precedente, possono essere retribuite le attività di carattere didattico ed organizzativo che maggiormente incidono sulla qualità del servizio scolastico erogato. In particolare sia il Team di docenti che si occupano della prevenzione e il contrasto di bullismo e cyberbullismo, che il Nucleo Interno di Valutazione svolgono un fondamentale lavoro di analisi, di progettazione, di produzione di materiali, di input di varia natura, che hanno una reale e qualificata ricaduta sull’elaborazione del PTOF e quindi sulla qualità dell’offerta formativa. Quindi si tratta di attività che hanno tutte le caratteristiche necessarie per essere valorizzate attraverso la corrispondenza di un compenso, calcolato in ore di effettivo impegno aggiuntivo all’orario di servizio o in forma forfetaria. Pertanto il lavoro di entrambi i gruppi rientra sicuramente tra le attività "aggiuntive, ulteriori e finalizzate al miglioramento dell’offerta formativa", considerato il loro carattere di supporto ai processi organizzativi, progettuali e di valutazione dell’istituzione scolastica, e dunque può essere oggetto di specifica retribuzione accessoria. Il compenso effettivo, formulato in forma di ipotesi nell’ambito della proposta iniziale presentata dalla parte pubblica al tavolo sindacale, dovrà essere concordato dalle parti in fase di trattativa, tenendo conto di tutte le altre esigenze scaturenti dalla pianificazione didattica dell’istituto e dalla complessità del modello organizzativo adottato, nel quale devono trovare adeguato spazio anche i gruppi di lavoro organizzati all’interno del collegio docenti.
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Data di pubblicazione: 21/11/2025
Si ritiene opportuno sottolineare preliminarmente che la Legge 4 agosto 2021, n. 116, sancisce l’obbligo di dotarsi dei defibrillatori semiautomatici e automatici (DAE) per le Pubbliche Amministrazioni, quindi anche per le scuole di ogni ordine e grado e università, che abbiano almeno 15 dipendenti e, in ogni caso, se “aperte al pubblico”; una condizione, quest’ultima, che si verifica quotidianamente nei plessi scolastici durante lo svolgimento dell’attività scolastica. Si osserva, inoltre, che nell’Allegato A al DPCM 23 ottobre 2024, al punto “5. Risorse assegnate e modalità di accesso al finanziamento”, è precisato che: “Il programma pluriennale per favorire la progressiva diffusione e l’utilizzazione dei DAE ha durata di cinque anni, a partire dal 2021 fino al 2025, per un importo complessivo pari a10 milioni di euro.” Ne consegue che i DAE divengono obbligatori entro il 31 dicembre 2025 presso ogni plesso delle scuole dell’infanzia, scuole primarie, secondarie di primo e secondo grado e dell’università (oltre che presso: aeroporti, stazioni ferroviarie e porti, ma anche a bordo di aerei, treni, navi, sui mezzi di trasporto pubblici a lunga percorrenza che prevedono tratte di almeno due ore continuative senza possibilità di fermate intermedie, ecc.). Per quanto concerne la seconda domanda: “Quali sono gli obblighi relativi alla formazione BLSD per il personale scolastico?”, si osserva, come sottolineato in precedenti risposte ad analoghi quesiti, che il DPCM del 23 ottobre 2024, attuativo della Legge 4 agosto 2021, n.116, assegna, per favorire la progressiva diffusione e l’utilizzazione dei DAE, le risorse per l’acquisto dei DAE e per la formazione. Al punto “4. Definizione del programma pluriennale”, dell’Allegato A al citato DPCM, viene posto in rilievo che: - “Al fine di favorire la diffusione dei DAE, le regioni predispongono il piano di utilizzo delle risorse assegnate secondo le dotazioni annuali previste nell'allegato B, in conformità all'art. 1 della legge 4 agosto 2021, n. 116, e alle indicazioni contenute nel presente programma, […]”; - “La progressiva diffusione e l'utilizzazione dei defibrillatori semiautomatici e automatici esterni (DAE) deve avvenire, con priorità per le scuole di ogni ordine e grado, per le università e per le istituzioni dell'AFAM, nei luoghi e sui mezzi di trasporto di seguito indicati […]”. Al punto “7. Formazione”, dello stesso Allegato A viene precisato: “Ai fini della formazione del personale è opportuno individuare i soggetti che all'interno della struttura, per disponibilità, presenza temporale e presunta attitudine appaiono più idonei a svolgere il compito di first responder. La presenza di almeno una persona formata all'utilizzo del defibrillatore è auspicabile durante l'orario di apertura della struttura. Il numero di soggetti da formare è strettamente dipendente dal luogo in cui è posizionato il DAE e dal tipo di organizzazione presente. In ogni caso si ritiene che per ogni DAE venga formato un numero sufficiente di persone. I corsi di formazione metteranno in condizione il personale di utilizzare con sicurezza i DAE e comprendono l'addestramento teorico-pratico alle manovre di BLSD (Basic Life Support and Defibrillation), anche pediatrico quando necessario. I corsi sono effettuati da centri di formazione accreditati dalle singole regioni secondo specifici criteri e sono svolti in conformità alle linee guida nazionali del 2003, di cui al richiamato Accordo Stato-regioni del 27 febbraio del 2003, così come integrate dal decreto ministeriale 18 marzo 2011. Per il personale formato deve essere prevista l'attività di retraining ogni due anni. “ Pertanto, il Dirigente scolastico/datore di lavoro è tenuto a designare e formare in ciascun plesso (formazione di almeno 5 ore, con validità di 2 anni, seguita da corso di aggiornamento della durata di 3 ore) un’adeguata squadra di lavoratori, docenti e personale ATA, in grado di utilizzare il DAE in caso di emergenza per garantire una copertura efficace durante l’orario scolastico e le attività extracurriculari.
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Data di pubblicazione: 21/11/2025
Abbiamo una richiesta di trattenimento in servizio da parte di una nostra docente che al 31/08/2026 avrà un'età di 67 anni, è nata il...
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Data di pubblicazione: 21/11/2025
Per quanto concerne i tre giorni di permesso per motivi personali (art. 15, co. 2 CCNL 2007) si ricorda che la Cassazione, con l'Ordinanza 13 maggio 2024, n.12991, nel confermare la sentenza della Corte di Appello, ha affermato che la disciplina prevista dall’art. 15, comma 2, del CCNL 2007, essendo formulata in termini tali da richiedere che il diritto a tre giorni di permesso retribuito riconosciuto al dipendente, a domanda, nell’anno scolastico, sia subordinato alla ricorrenza di motivi personali o familiari che il dipendente è tenuto a documentare anche mediante autocertificazione, riflette l’esigenza che si tratti pur sempre di un motivo idoneo a giustificare l’indisponibilità a rendere la prestazione. Ciò comporta che quel motivo sia adeguatamente specificato e che il dirigente al quale è rimessa la concessione abbia il potere di valutarne l’opportunità sulla base di un giudizio di bilanciamento delle contrapposte esigenze, condizione nel caso di specie oggetto dell'intervento della Cassazione, non è stata ritenuta riscontrabile, non risultando dalla motivazione addotta a giustificazione della richiesta (dover accompagnare la moglie fuori città) specificata e documentata, anche sulla base di una mera autocertificazione, l’esigenza dell’assenza dal lavoro. Pertanto, come si può osservare, i principi affermati ora dalla Suprema Corte sono totalmente diversi da quelli alla base delle precedenti Sentenze di merito che abbiamo citato nelle nostre precedenti risposte. In definitiva, nel caso di specie la Cassazione ha confermato la Sentenza della Corte di Appello - a sua volta confermativa della decisione di primo grado - che ha ritenuto legittimo il provvedimento del dirigente scolastico di diniego di un permesso per motivi personali o familiari, rientrando nella discrezionalità dirigenziale l’apprezzamento delle ragioni di opportunità in ordine alla concessione della giornata di astensione dal lavoro. In sostanza, secondo il nuovo orientamento giurisprudenziale, vi è la necessità di motivare, adeguatamente e specificatamente, le richieste di permesso; in assenza di motivazione o se la motivazione non è adeguata a giustificare l’indisponibilità del lavoratore a rendere la prestazione, il permesso può essere negato. Per quanto concerne, invece, i sei giorni di ferie durante il periodo delle lezioni si rappresenta quanto segue. Il c. 54 della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012) prevede che il personale docente (senza distinzione alcuna tra personale a tempo indeterminato e personale a tempo determinato) fruisce delle ferie nei giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali, ad esclusione di quelli destinati agli scrutini, agli esami di Stato e alle attività valutative. Durante la rimanente parte dell'anno la fruizione delle ferie per i docenti è consentita per un periodo non superiore a sei giornate lavorative subordinatamente alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvale senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Ai sensi del successivo comma 56, peraltro, le clausole contrattuali contrastanti sono disapplicate dal 1° settembre 2013. La dichiarazione congiunta n. 2 al CCNL 2024 prevede che "Resta fermo, inoltre, anche quanto previsto dall’art. 1, commi 54, 55 e 56 della legge n. 228 del 2012". Alla luce di questo disposto, a nostro avviso, quando un docente chiede di poter fruire di giorni di ferie durante il periodo delle lezioni, deve presentare il piano delle sostituzioni. Secondo l’interpretazione sostenuta costantemente nei pareri presenti in banca dati, per i docenti la possibilità di fruire dei sei giorni di ferie facendo ricorso ai motivi familiari o personali ai sensi dell'art. 15, c. 2, CCNL “comparto scuola” 2007 è esclusa dalla previsione introdotta dalla Legge di Stabilità nell'ipotesi in cui comporti oneri per la scuola. Infatti, ai sensi dell'art. 13, c. 9, dello stesso CCNL del 2007 per il personale docente la fruibilità dei predetti sei giorni era subordinata alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvaleva senza oneri aggiuntivi anche per l'eventuale corresponsione di compensi per ore eccedenti, salvo quanto previsto dall’art. 15, c. 2. Quest’ultimo tuttora prevede che per motivi personali e familiari sono fruiti i sei giorni di ferie durante i periodi di attività didattica di cui all’art. 13, c. 9, prescindendo dalle condizioni previste in tale norma. Quindi, prima della legge di stabilità del 2013 il ricorso ai motivi personali serviva per richiedere le ferie indipendentemente dal fatto che vi fosse la possibilità di sostituzione senza oneri aggiuntivi. Tuttavia, stante il tenore letterale della stessa e la disapplicazione delle norme contrattuali contrastanti, si ritiene che per i docenti la possibilità di fruire dei sei giorni di ferie facendo ricorso ai motivi familiari o personali ai sensi dell'art. 15, c. 2, CCNL del 2007, con oneri a carico dello Stato, sia adesso esclusa. In altri termini, si ritiene che i docenti possano fruire dei sei giorni di ferie durante il periodo delle lezioni (o nei periodi in cui è impegnato in scrutini, esami, o attività collegiali) solo se la scuola è in grado di sostituire senza oneri. Trattasi di nostra interpretazione, per noi ampiamente motivata, che non esclude, stante la mancanza di indicazioni ufficiali, che sullo stesso argomento vi possano essere anche interpretazioni differenti a livello sindacale e a livello anche di Uffici Regionali. Ad esempio l’USR Calabria si è espresso in senso contrario mentre in senso conforme alla nostra interpretazione si è espresso l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Umbria con Parere del 20 gennaio 2015, con il quale è stato precisato che a decorrere dal 1° settembre 2013, i sei giorni di ferie che i docenti possono chiedere durante il periodo delle lezioni possono essere fruiti, (sia cioè che siano chiesti come ferie, che in aggiunta ai tre giorni di permessi retribuiti) solo a condizione che non si determinino oneri per l'erario. Con Avviso del giugno 2018, il MIUR ha adeguato il SIDI alla possibilità di inserire nel codice PE03 (assenze per motivi personali o familiari) anche ulteriori 6 giorni di ferie. Più specificamente nell'Avviso si legge che per il codice PE03 (PERMESSO PER MOTIVI PERSONALI O FAMILIARI) è stata recepita la richiesta di poter inserire a sistema i sei giorni di ferie eventualmente commutati in permessi personali. Si precisa che il sistema non effettuerà nessun tipo di controllo in relazione al numero di giorni di ferie. Inoltre sarà a cura dell’utente valorizzare il sub-codice corretto nel caso si tratti dei giorni di ferie utilizzati come permesso personale. Ad ogni modo la nostra interpretazione ha trovato conferma anche in parte della giurisprudenza di merito ( che comunque, in attesa di un pronunciamento della Cassazione, è divisa). Infatti, il Tribunale di Terni (Sentenza 26/06/2017, n. 232) ha affermato la correttezza del provvedimento del DS di rigetto della richiesta di un giorno di ferie da usufruire al di fuori del periodo di sospensione delle attività didattiche stabilito dal calendario scolastico sul presupposto che ciò avrebbe comportato un maggior onere economico per la scuola, in conformità a quanto previsto dall’art. 1, comma 56, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013), che aveva subordinato la fruizione delle ferie al di fuori dei periodi di sospensione delle lezioni alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvalesse senza che venissero a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica (La sentenza è stata confermata dalla decisione della Corte d'Appello di Perugia sezione lavoro n. 106/19). La Corte Appello di Bari , con la sentenza 23 gennaio 2023, ha ribadito che i docenti possono fruire delle ferie durante il periodo delle attività didattiche solo se vi è sostituzione senza oneri Questi i passaggi della Sentenza. La legge di stabilità per il 2013 (l. n. 228 del 2012), all’art. 1, detta disposizioni specifiche che consentono di ritenere superato il meccanismo di fruizione – nel periodo di svolgimento delle attività didattiche – delle ferie “convertibili” in permessi disciplinato dal contratto collettivo. Ed infatti: A) il comma 54 dell’art. 1 cit. stabilisce: «Il personale docente di tutti i gradi di istruzione fruisce delle ferie nei giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali, ad esclusione di quelli de-stinati agli scrutini, agli esami di Stato ed alle attività valutative. Durante la rimanente parte dell’anno la fruizione delle ferie è consentita per un periodo non superiore a sei giornate lavorative subordinatamente alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvale senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica»; B) il successivo comma 56, a sua volta, prevede: «Le disposizioni di cui ai commi 54 e 55 non possono essere derogate dai contratti collettivi di lavoro. Le clausole contrattuali contrastanti sono disapplicate dal 1° settembre 2013». Orbene, tra le “clausole contrastanti” suscettibili di disapplicazione ex lege rientra indubbiamente quella contenuta nell’art. 13, comma 9, del CCNL del 2007, che consentiva al dipendente, per motivi familiari e personali documentati anche mediante una semplice autocertificazione, di usufruire (oltre che di tre giorni di permesso) fino a sei giorni di ferie nel corso dell’anno scolastico, prescindendo dalle condizioni previste dall’art. 15 dello stesso contratto, ossia a indipendentemente dalla possibilità di sostituzione del docente e senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. A tale interpretazione deve pervenirsi in aderenza al chiaro disposto normativo della citata legge di stabilità per il 2013, la quale non consente più la distinzione tra ferie per motivi personali e/o familiari e ferie in senso stretto ai fini della fruizione delle stesse durante il periodo dedicato alle attività didattiche, ma subordina in ogni caso (con espressa previsione di disapplicazione delle clausole contrattuali contrarie) la fruizione delle ferie durante il periodo delle lezioni, degli scrutini, degli esami di Stato e delle attività valutative, alla condizione che sia possibile sostituire il personale che se ne avvale e comunque senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Del resto, se così non fosse, la disciplina di cui ai commi 54 e 56 dell’art. 1 della l. n. 228 del 2012, intesa come riguardante la sola disposizione di cui all’art. 13, comma 9, del CCNL del 2007, non avrebbe avuto alcun senso, dato che già quest’ultima norma contrattuale – come visto – subordina la concessione dei sei giorni di ferie, al di fuori del periodo di sospensione delle attività didattiche, alla condizione che non vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Il godimento di ferie non autorizzate è idoneo a configurare assenza ingiustificata; tuttavia anche in relazione a tale ipotesi vige il principio consolidato secondo il quale la valutazione della proporzionalità tra il comportamento illecito del lavoratore dipendente e la sanzione irrogata sul piano disciplinare costituisce un apprezzamento di fatto che deve essere condotto non in astratto ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, inquadrando l’addebito nelle specifiche modalità del rapporto e tenendo conto non solo della natura dei fatto contestato e del suo contenuto obiettivo ed intenzionale, ma anche di tutti gli altri elementi idonei a consentire l’adeguamento della disposizione normativa dell’art. 2119 c.c. alla fattispecie concreta. A questo punto, se si aderisce alla nostra interpretazione sopra esposta e richiamata in tutte le nostre precedenti risposte, il docente se chiede ferie durante il periodo delle lezioni queste devono essere senza oneri (e quindi senza possibilità di nomina del supplente) e deve essere il docente in autonomia ad individuare il sostituto senza oneri e detto compito non può essere delegato alla scuola. In mancanza di una sostituzione senza oneri non potranno essere autorizzati i giorni di ferie richiesti durante il periodo delle lezioni.
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Data di pubblicazione: 20/11/2025
La gestione amministrativa degli scambi culturali/gemellaggi può presentare delle criticità, specialmente per quanto riguarda le eventuali spese di ospitalità dei docenti accompagnatori stranieri. Il timore che le spese alberghiere per i docenti accompagnatori della scuola estera vengano considerate spese - non giustificabili - di "rappresentanza" è fondato, data la rigida normativa in materia. Infatti, le spese per l'ospitalità alberghiera e i pasti dei docenti accompagnatori stranieri, in assenza di specifici progetti finanziati (come ad esempio i fondi europei Erasmus+), rientrano nella categoria di spese di rappresentanza o di ospitalità che, per le scuole statali, sono spesso considerate non ammissibili, o comunque soggette a limitazioni molto severe. Come detto in precedenti risposte, la Corte dei Conti si è più volte espressa, in modo molto chiaro, in merito alla natura delle spese che possono rientrare nel concetto di "Spesa di rappresentanza" e all'importanza per le Pubbliche Amministrazioni di dotarsi di uno specifico Regolamento in merito. Infatti, anche nella recente Deliberazione n. 166/2021/SRCPIE/PRSP, la Sezione regionale di controllo per il Piemonte ha ribadito che: "Il Collegio prende atto e, in argomento, ricorda che le spese di rappresentanza assolvono ad una funzione rappresentativa dell’Ente, e, cioè, si sostanziano in quelle spese che, in stretta correlazione con le finalità istituzionali dell’ente, soddisfano l’obiettiva esigenza dello stesso di manifestare se stesso, e le proprie attività, all’esterno e di mantenere ed accrescere il prestigio dell’ente nel contesto sociale in cui si colloca (carattere dell’inerenza); nonché l’interesse di ambienti e soggetti qualificati, per il migliore perseguimento dei propri fini istituzionali e per i vantaggi che, ad esso o alla comunità amministrata, derivano dall’essere conosciuto e apprezzato nella propria attività di perseguimento del pubblico interesse (carattere dell’ufficialità). La violazione di tali criteri comporta l’illegittimità della spesa sostenuta dall’Ente per finalità che fuoriescono dalla rappresentanza. Sotto il profilo gestionale, l’economicità e l’efficienza dell’azione della pubblica amministrazione impongono il carattere della sobrietà e della congruità della spesa di rappresentanza sia rispetto al singolo evento finanziato, sia rispetto alle dimensioni e ai vincoli di bilancio dell’ente locale che le sostiene. Pur in mancanza di norme di legge che stabiliscono criteri e condizioni per la legittima effettuazione delle spese di rappresentanza, la giurisprudenza contabile ha enucleato i tratti distintivi delle stesse precisando che: • esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere il prestigio dell’ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali; • non rivestono finalità rappresentative verso l’esterno le spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all’Ente che le dispongono; • non devono porsi in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 della Costituzione.” Dall’esame della copiosa giurisprudenza contabile, che ha un approccio alquanto rigoroso in materia (ex multis Corte conti, Sez. I, 22 marzo 2001, n. 74, Corte dei conti Piemonte - Sezione controllo - Delibere n. 116/2018, n. 63/2020, n. 166/2021, Corte dei conti Lombardia, Delibera n. 6/2021) emerge dunque che determinano responsabilità erariale le spese - che non costituiscono “spese di rappresentanza” ma che vengono dalla PA inquadrate come tali, in ordine a: • atti di mera liberalità; • spese di ospitalità effettuate in occasione di visite di soggetti in veste informale o non ufficiale; • omaggi, pranzi o rinfreschi offerti ad Amministratori o dipendenti; • spese connesse con l’attività politica volte a promuovere l’immagine degli amministratori e non l’attività o i servizi offerti alla cittadinanza. Tanto premesso, è nostro avviso che sia ammissibile pagare con fondi di bilancio solo l’organizzazione di quegli eventi conviviali strettamente finalizzati “a mantenere o accrescere il prestigio dell’ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali”. Ci può stare, ad esempio, l'open day, ci possono stare cerimonie che hanno una valenza istituzionale con enti esterni, ci possono rientrare iniziative di ospitalità e accoglienza di scuole europee (come potrebbe anche prefigurarsi il caso in trattazione). Questi sono alcuni esempi. Data la delicatezza della questione, ci permettiamo di suggerire all’Istituto di dotarsi di apposito regolamento, come auspicato dalla Corte dei Conti, che individui con esattezza l’elenco degli eventi rientranti nella fattispecie ammissibile. Per garantire l'ospitalità dei docenti accompagnatori della scuola estera, mantenendo la correttezza amministrativa, riteniamo si possano adottare soluzioni alternative, che ci permettiamo di suggerire: - l'accordo di gemellaggio o scambio potrebbe prevedere un principio di reciprocità finanziaria, in cui ciascuna scuola (italiana ed estera) si fa carico delle spese dei propri docenti quando si trovano all'estero. In tal caso, la scuola italiana non dovrebbe sostenere alcuna spesa di ospitalità. - Potrebbe essere richiesto il sostegno logistico all’Ente locale competente, Comune o Provincia (es. uso di strutture comunali o provinciali). - Potrebbero essere stipulate apposite convenzioni con scuole dotate di convitto o strutture pubbliche (es. foresteria dell’università), presenti sul territorio, che possano ospitare i docenti stranieri gratuitamente. - In ultimo, riteniamo che andrebbe considerata anche la possibilità (se accettata dai docenti e dalle famiglie coinvolte) di estendere l'ospitalità in famiglia anche ai docenti. Concludiamo aggiungendo che le regole generali sullo svolgimento degli scambi, gemellaggi, viaggi di istruzione, ecc., vengono di norma disciplinate da apposito Regolamento, deliberato ai sensi dell’art. 10, comma 3 lett. e), del D.Lgs. n. 297/1994, nel quale il Consiglio di Istituto può stabilire opportuni criteri per la copertura delle spese, tenuto conto, sempre e comunque, dei limiti e delle condizioni previste dalla normativa vigente.
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Data di pubblicazione: 20/11/2025
Per mero errore materiale il nostro istituto ha autorizzato sulla piattaforma noipa il pagamento per esami di stato ad un nominativo sbagliato...
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Data di pubblicazione: 20/11/2025
La Nota MIUR del 20 marzo 2012, n. 312, concernente Indicazioni in merito all’utilizzo dei contributi scolastici delle famiglie, precisa che “il contributo […] non potrà riguardare lo svolgimento di attività curricolari” e che “le risorse raccolte con contributi volontari delle famiglie devono essere indirizzate esclusivamente ad interventi di ampliamento dell’offerta culturale e formativa e non ad attività di funzionamento ordinario e amministrativo che hanno una ricaduta soltanto indiretta sull’azione educativa rivolta agli studenti” (sul tema si tenga presente anche la Nota MIUR del 7 marzo 2013, n. 593, concernente Richiesta di contributi scolastici alle famiglie). Risulta, comunque, fondamentale la previa informazione alle famiglie in merito all’utilizzo programmato del contributo proveniente dagli esercenti la responsabilità genitoriale non finalizzato e la rendicontazione sull’effettivo utilizzo. Proprio a tal proposito il D.I. 129/2018 prescrive che “al programma annuale è allegata una relazione illustrativa, che descrive dettagliatamente gli obiettivi da realizzare […] La relazione evidenzia, altresì, in modo specifico, le finalità e le voci di spesa cui vengono destinate le entrate derivanti dal contributo volontario delle famiglie, nonché quelle derivanti da erogazioni liberali, anche ai sensi dell'articolo 1, commi 145 e seguenti della legge n. 107 del 2015, e quelli reperiti mediante sistemi di raccolta fondi o di adesione a piattaforme di finanziamento collettivo[…]” (art. 5, c. 7) e che in merito al conto consuntivo “la relazione illustrativa della gestione evidenzia, altresì, in modo specifico le finalità e le voci di spesa cui sono stati destinati i fondi eventualmente acquisiti con il contributo volontario delle famiglie, nonché quelli derivanti da erogazioni liberali, anche ai sensi dell'articolo 1, commi 145 e seguenti della legge n. 107 del 2015 e quelli reperiti ai sensi dell'articolo 43, comma 5” (art. 23, c. 1). In riferimento al quesito posto, noi diamo sempre lo stesso suggerimento prudenziale, da anni. Si ritiene, pertanto, che l’utilizzo delle risorse derivanti dal contributo volontario dei genitori sia ammissibile qualora, come indicato nella relazione allegata al programma annuale, le spese che si intendono finanziare con il contributo stesso rientrino nelle previsioni sopra indicate (in sostanza, certamente anche spese per acquisto di materiali che siano però davvero utili per realizzare attività didattiche e formative non ordinarie, ma di ampliamento dell’offerta formativa). Sappiamo bene che le Istituzioni scolastiche, sul punto, sono abbastanza elastiche e flessibili, a volte anche "debordando" dai suddetti "confini", ma almeno la forma va sempre assolutamente salvata.
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