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    Data di pubblicazione: 28/03/2025

  • Chiariamo alcuni punti sulla gestione amministrativa delle assenze per malattia del personale scolastico...
  • In merito agli adempimenti da parte del dipendente assente e, nello specifico, agli obblighi di comunicazione, si è espresso il CCNL scuola 2007. L’articolo 17, ai commi 10 e 11, così dispone: “10. L'assenza per malattia, salva l'ipotesi di comprovato impedimento, deve essere comunicata all'istituto scolastico o educativo in cui il dipendente presta servizio, tempestivamente e comunque non oltre l'inizio dell'orario di lavoro del giorno in cui essa si verifica, anche nel caso di eventuale prosecuzione di tale assenza. 11. Il dipendente, salvo comprovato impedimento, è tenuto a recapitare o spedire a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento il certificato medico di giustificazione dell'assenza con indicazione della sola prognosi entro i cinque giorni successivi all'inizio della malattia o alla eventuale prosecuzione della stessa, comunicando per le vie brevi la presumibile durata della prognosi. Qualora tale termine scada in giorno festivo esso è prorogato al primo giorno lavorativo successivo.” Come noto, i lavoratori non devono più inviare tramite raccomandata A.R. o recapitare le attestazioni di malattia al proprio datore di lavoro. Infatti, ai sensi dell'articolo 55-septies del D.lgs. n. 165/2001, introdotto dall'articolo 69 del D.lgs. n. 150/2009, la certificazione medica, per tutte le assenze – anche di un solo giorno – deve essere trasmessa subito dal medico all'INPS in via telematica secondo le modalità già in uso per il settore privato. L'INPS a sua volta è tenuto a inoltrare immediatamente la stessa certificazione medica, con le stesse modalità, all'amministrazione di appartenenza del dipendente. Pertanto, il medico non può giustificare giorni di assenza precedenti alla visita a meno che si tratti di certificato redatto a seguito di visita domiciliare, caso in cui possibile riconoscere anche il giorno precedente alla redazione (solo se feriale), quando espressamente indicato dal medico. La norma citata indica due specifiche ipotesi in cui l'assenza per malattia va giustificata solo ed esclusivamente mediante una certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica, oppure da un medico convenzionato con il SSN, in armonia con le norme concernenti l'organizzazione e l'assistenza sanitaria delineate dal D.lgs. n. 502/1992: a) nel caso di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni; b) dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare, indipendentemente dalla durata dello stesso, successivo ad un precedente episodio morboso. Precisamente, per evento di malattia si intende il singolo periodo continuativo di malattia, che può protrarsi anche per un solo giorno. Invece, nell’ipotesi di primo o secondo evento di malattia e sempre che la prognosi iniziale non superi i dieci giorni, possono rilasciare la certificazione di malattia sia il medico di famiglia che un medico specialista, convenzionato o meno con il SSN. I certificati possono essere rilasciati altresì da una struttura sanitaria, pubblica o privata. Infine, qualora il lavoratore sia sottoposto a ricovero ospedaliero, spetta alla stessa struttura ospedaliera il rilascio di un certificato attestante la data del ricovero. Pertanto, il medico redige l’apposito certificato di malattia e lo trasmette all’INPS con modalità telematica, immediatamente o al più il giorno dopo quando la visita è avvenuta al tuo domicilio; Anche il medico libero professionista, (cui il dipendente può rivolgersi per i primi due eventi di assenza per malattia nell’anno e sempre che non abbiano una durata superiore ai dieci giorni) può rilasciare il certificato di malattia telematico poiché egli dispone delle credenziali di accesso al servizio. Conclusivamente, dunque, il dipendente non deve più inviare il certificato al datore di lavoro ma ha l’obbligo di: - comunicare lo stato di malattia al datore di lavoro secondo le disposizioni contrattuali (nel comparto scuola, “tempestivamente e comunque non oltre l'inizio dell'orario di lavoro del giorno in cui essa si verifica”); - inviare al datore di lavoro la certificazione cartacea di malattia se l'assenza è certificata da strutture di pronto soccorso non ancora abilitate o da medici non convenzionati con il SSN; - inviare al datore di lavoro la certificazione cartacea di malattia se il medico sia impossibilitato all'invio telematico. È facoltà del dipendente, invece, consultare sul sito INPS il singolo o tutti i certificati medici, se abilitato con PIN, e richiedere al medico l'invio del certificato medico e dell'attestato di malattia sulla propria casella di posta elettronica. Sull’argomento risulta particolarmente utile la Guida del 26 luglio 2018 con cui l’INPS ha fornito chiarimenti sugli adempimenti in caso di assenza per malattia, con specifico riferimento alla certificazione telematica e alle visite mediche di controllo. Ugualmente utile e di agile lettura risulta la Guida INPS del 30 settembre 2024 riguardante la certificazione di malattia e le visite mediche di controllo per i lavoratori privati e pubblici. Si evidenzia, infine, che in forza delle richiamate disposizioni contrattuali e legislative il dipendente che omette di comunicare l’assenza per malattia compie una infrazione suscettibile di sanzione disciplinare, a nulla rilevando che egli abbia comunque inviato il certificato medico giustificativo dell'assenza (Cass. sentenze 10 febbraio 2000, n. 1481 e 4 febbraio 2015, n. 2023). L'inosservanza degli obblighi di trasmissione per via telematica, invece, configura un illecito disciplinare per il medico. Ciò premesso, dal punto di vista del dipendente è corretta la comunicazione di assenza per malattia prima dell'inizio dell'orario di lavoro. Per quanto concerne la visita fiscale, la normativa prevede che la visita può essere effettuata sin dal primo giorno di assenza ( deve essere effettuata in casa di assenza in giorni immediatamente antecedenti o successivi a una giornata non lavorativa). Anche durante detta giornata, trattandosi di assenza per malattia comunicata, il dipendente deve osservare le fasce di reperibilità. Stante la mancanza del protocollo, ai fini del controllo si potrà comunque rappresentare all'INPS la situazione per permettere comunque il controllo Qualora il medico non attesti lo stato di malattia, l'assenza dovrà comunque essere ricondotta ad altro istituto per non incorrere nella fattispecie di assenza ingiustificata.

    Data di pubblicazione: 28/03/2025

  • Il sistema dei rimborsi per le spese di trasferta dei dipendenti pubblici: vediamo le nuove disposizioni introdotte dalla Legge di bilancio 2025...
  • In forza dell’articolo 1, commi 81 e seguenti della Legge 30 dicembre 2024, n. 207 (cosiddetta Legge di bilancio 2025) e degli articoli 3 e 4 del D.lgs. 13 dicembre 2024, n. 192 recante la Revisione del regime impositivo dei redditi (IRPEF-IRES), a partire dal mese di gennaio 2025 sono mutate le disposizioni sui rimborsi delle spese sostenute dai dipendenti pubblici per effettuare trasferte e missioni. Per trasferta va inteso lo spostamento temporaneo del lavoratore verso una località diversa da quella in cui ordinariamente presta servizio. A titolo di esempio, nel settore scolastico sono qualificabili come trasferte le visite e i viaggi di istruzione effettuati dai docenti in qualità di accompagnatori, le uscite didattiche (anche quelle all’interno del Comune), gli impegni fuori sede che il dirigente delega al personale, i corsi di formazione obbligatoria deliberati dall’istituzione scolastica che si svolgono al di fuor della stessa. L’articolo 1, comma 81, lettera a) della Legge n. 207/2024, in particolare, ha modificato l’articolo 51 del Testo Unico delle imposte sui redditi, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, prevedendo che “I rimborsi delle spese per vitto, alloggio, viaggio e trasporto effettuati mediante autoservizi pubblici non di linea di cui all'articolo 1 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, per le trasferte o le missioni di cui al presente comma, non concorrono a formare il reddito se i pagamenti delle predette spese sono eseguiti con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”. La disposizione riguarda i dipendenti della Pubblica Amministrazione e, quindi, pure il personale scolastico. Il D.lgs. n. 192/2024, invece, ha introdotto una semplificazione in merito ai rimborsi di spese e viaggio in esenzione, modificando nel D.P.R. 917/1986, all’articolo 51, comma 5, la dicitura “comprovate da documenti provenienti dal vettore” con la nuova formulazione “comprovate e documentate”. La nuova disciplina ha eliminato l’obbligo di provenienza del documento giustificativo dal vettore interessato. A decorrere dal 1° gennaio 2025, dunque, è necessario che le spese sostenute dal dipendente per vitto, alloggio, viaggio e trasporto mediante autoservizi pubblici non di linea, incluse anche quelle per taxi e noleggi con conducente (NCC), ai fini del rimborso da parte del datore di lavoro e della loro esclusione dal reddito da lavoro dipendente (imponibile sia a fini fiscali che a fini previdenziali), siano effettuate esclusivamente mediante strumenti di pagamento tracciabili. Nello specifico e fatta eccezione per le spese di trasporto dei servizi pubblici sulle quali non incombe l’obbligo di tracciabilità, è necessario che i dipendenti, per vedersi rimborsate le spese sostenute senza decurtazioni, utilizzino esclusivamente mezzi di pagamento quali quelli tracciati dall’articolo 23 del D.lgs. n. 241/1997: 1. versamenti bancari o postali; 2. carte di debito, credito o prepagate (queste ultime con IBAN); 3. assegni bancari e circolari; 4. app di pagamento digitali. Pertanto, il dipendente in trasferta dovrà essere munito di una carta di credito, di debito o prepagata – personale o aziendale – da utilizzare per le spese e per documentarle in modo tracciabile. Nella prima ipotesi, il dipendente che si avvale della propria carta di credito dovrà allegare i documenti fiscali che attestano la spesa (fattura o ricevuta fiscale) e la ricevuta del Pos alla distinta del rimborso. Nella seconda ipotesi, è il datore di lavoro a consegnare direttamente al dipendente la carta di credito aziendale per cui i documenti di spesa saranno addebitati direttamente su di essa. Diversamente, facendo riferimento all’esempio proposto nel quesito, qualora il dipendente paghi in contanti il pasto durante una visita di istruzione, la somma che l’istituzione scolastica gli accrediterà a titolo di rimborso della spesa, sebbene documentata da adeguato giustificativo, costituirà per lui reddito. Ne discende che il rimborso sarà soggetto alle ritenute previdenziali ed erariali IRPEF – come pure alla contribuzione INPDAP e IRAP a carico dell’Amministrazione – al pari di un qualsiasi compenso erogato al dipendente. Nei casi – di natura eccezionale – in cui non fosse possibile effettuare i pagamenti nelle suddette modalità tracciabili, il rimborso delle spese sarà comunque riconosciuto, ma il relativo importo, essendo considerato dalla citata normativa reddito da lavoro dipendente, sarà assoggettato a imposizione fiscale e previdenziale, con conseguente decurtazione dei relativi oneri.

    Data di pubblicazione: 28/03/2025

  • Un'A.A. può usufruire dei permessi ex L. 104/92 per la madre anche se il padre ha meno di 65 anni e non è invalido o mancante?
  • I permessi previsti dall’art. 33 comma 3 della legge 104/92 per legge, possono essere richiesti da tutti i lavoratori dipendenti sia del settore privato che del comparto del pubblico impiego, siano essi lavoratori a tempo indeterminato che a tempo determinato in costanza del rispettivo contratto di lavoro vigente che in part-time. Trattasi dei cosiddetti permessi per assistenza al familiare disabile in situazione di gravità, la madre rientra a tutti gli effetti nella platea dei familiari avente diritto. In merito alla platea dei familiari avente diritto, la Funzione Pubblica già nel parere n. 13/2008 ha avuto modo di precisare che “si ritiene che la circostanza che tra i parenti del disabile vi siano altri soggetti che possono prestare assistenza non esclude la fruizione dell’agevolazione da parte del lavoratore se questi non chiedono o fruiscono dei permessi (eventualmente perché non impiegati). In tale ottica si richiama l’orientamento della Corte di Cassazione, sez. lav., nella decisione 20 luglio 2004, n. 13481:”Si deve concludere che né la lettera, né la ratio della legge escludono il diritto ai permessi retribuiti in caso di presenza in famiglia di persona che possa provvedere all’assistenza”. In conclusione, il beneficio in questione non è subordinato alla presenza di altri familiari in grado di assistere il familiare disabile. Mentre, con riferimento alla documentazione a corredo della domanda, la Funzione Pubblica, per quello che concerne tutto il personale del pubblico impiego (ma stesse indicazioni per il settore privato da parte dell’INPS), nella circolare 13/2010 al punto 7 indica alcuni precisi presupposti. Presupposto principale e indispensabile per la fruizione dei permessi è che la persona sia gravemente disabile riconosciuta ai sensi dell’art. 3 comma 3 della stessa legge 104/92 quindi, alla domanda è necessario allegare il relativo verbale di accertamento. Inoltre, deve essere allegata una dichiarazione sostituiva di certificazione presentata ai sensi degli artt. 46 e 47e, sottoscritta ai sensi dell’art. 76 dalla stessa docente che attesti: - che il familiare non è ricoverato a tempo pieno (si intende per ricovero a tempo pieno quello che si svolga nelle 24 ore) presso strutture ospedaliere o comunque presso strutture pubbliche o private che assicurino assistenza sanitaria, fatte salve alcune possibili eccezioni; - che i permessi sono uno strumento di assistenza del disabile e pertanto il loro riconoscimento comporta la conferma dell’impegno morale e giuridico a prestare la propria opera di assistenza; - che è consapevole che la possibilità di fruire dei permessi comporta un onere per l’Amministrazione e un impegno di spesa pubblica che lo Stato e la collettività sopportano solo per l’effettiva tutela del disabile; - che si impegna a comunicare tempestivamente ogni variazione delle condizioni necessarie al diritto ai permessi; che altri familiari utilizzano o non utilizzano degli stessi permessi mensili per assistenza al familiare. Questa ultima condizione, dopo le modifiche di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), n. 2), del decreto legislativo n. 105/2022 con decorrenza dal 13 agosto 2022, stabilisce che fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli aventi diritto, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Di fatto, rispetto al passato, è stata abrogata la condizione di Referente Unico. Quindi, in risposta al quesito e per quanto chiarito, la domanda della Assistente Amministrativa deve essere accettata.

    Data di pubblicazione: 28/03/2025

  • Graduatorie interne docenti: come va valutato il docente che raggiunge i 180 giorni in ordini di scuole diversi?
  • Gentile utente, nel caso sottoposto, l'anno di servizio è valutato come anno intero, anche se è stato prestato in parte alle medie e in parte alle superiori, perchè entrambi appartengono alla scuola secondaria, essendo differente solo il grado e non l'ordine di scuola. La nota n. 4 successiva alla tabella allegata al contratto nazionale integrativo sulla mobilità infatti prevede che: "Nella mobilità d’ufficio in merito alla valutazione di un precedente servizio di ruolo e di pre-ruolo, prestato in un ruolo diverso, si precisa che gli anni di servizio di ruolo e di pre-ruolo prestati nella scuola dell’infanzia si valutano 3 punti per ogni anno per tutti gli anni ai sensi della presente voce, nella scuola primaria (e viceversa), mentre si valutano 3 punti per i primi quattro anni e 2 per i successivi nella scuola secondaria sia di primo che di secondo grado. Gli anni di un precedente servizio di ruolo e di pre-ruolo prestato nella scuola secondaria di primo grado si valutano 3 punti per ogni anno per tutti gli anni, sempre ai sensi della presente voce, nella scuola secondaria di secondo grado (e viceversa), mentre si valutano 3 punti per i primi quattro anni e 2 per i successivi se attualmente si è titolari nella scuola primaria o nella scuola dell’infanzia."

    Data di pubblicazione: 28/03/2025

  • Gestione del pasto da casa nella scuola secondaria: vediamo alcuni aspetti...
  • Il quesito non fornisce informazioni circa il modello orario adottato dalla scuola secondaria di primo grado. Qualora sia stato adottato l’orario ordinario a 30 ore settimanali le attività didattiche pomeridiane potrebbero servire a completare l’orario antimeridiano (in caso di settimana corta) o ad attuare attività di arricchimento dell’offerta formativa. In questo caso l’istituto non è obbligato ad offrire agli alunni il servizio mensa. Qualora invece sia stato adottato un modello a tempo prolungato (da 36 fino a 40 ore settimanali) i due o tre rientri pomeridiani farebbe parte integrante del modello, come pure le ore da destinare alla mensa, la cui competenza spetterebbe all’amministrazione comunale (DPR 80/2009, art. 5). Ma non è da escludere che anche in questo caso alcune famiglie non intendano più usufruire del servizio offerto dal Comune. Occorre tenere presente che a livello giurisprudenziale è stata sostanzialmente autorizzata la consumazione di cibi propri, in alternativa a quelli forniti dalla mensa scolastica, anche agli alunni iscritti al tempo pieno nella scuola primaria e al tempo prolungato nella scuola secondaria di primo grado. La questione dei cibi propri discende da una dura battaglia legale che si è sviluppata tra il 2016 e il 2019, fino ad approdare alla sentenza n. 20504 del 30 luglio 2019 della Corte di Cassazione. La suprema Corte non ha riconosciuto il diritto dei genitori a provvedere in proprio al pasto come diritto soggettivo perfetto, in quanto non è possibile fare riferimento ad una legge che lo preveda, ma è arrivata poi a concludere che: “Per il supremo consesso la materia, in assenza di un diritto perfetto, non può essere oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario. La gestione del servizio mensa rientra nell’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche di primo e secondo grado in attuazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione.”. La questione, di fatto, è stata devoluta alle scuole e così è stata interpretata dalle famiglie interessate. Tale interpretazione ha comportato per le scuole la necessità di non opporsi alle richieste (per non andare incontro ad ulteriori contese sfavorevoli) e di farsi carico di tutti i problemi organizzativi conseguenti, per altro particolarmente delicati, relativi sia alla regolamentazione del servizio autogestito che alla sorveglianza dei pasti, alla pulizia dei locali, ai rischi legati alla possibile contaminazione tra i diversi alimenti e alle diverse forme di allergie di cui alcuni alunni soffrono. Tutti questi aspetti vanno disciplinati in un Regolamento (che diventerà un Allegato del Regolamento d’istituto) di competenza del consiglio d’istituto, nel quale dovrà essere specificato che cosa è lecito e che cosa non è lecito. Italiascuola in risposta ad un precedente quesito, ha dato notizia dell’iniziativa del Comune di Vicenza che ha messo a disposizione delle scuole del territorio una bozza di Regolamento, corredata di Liberatoria e di Patto scuola-famiglia, a cui è possibile e consigliabile fare riferimento. In aggiunta a questo, è possibile fare anche riferimento ad una nota del MIM (Nota n. 348 del 3 marzo 2017) che raccomandava di accogliere gli alunni con cibi propri nella stessa mensa dove gli altri consumano il pasto collettivo, con l’accortezza di utilizzare tavoli distinti in spazi distinti del locale. La richiesta dei genitori, qualora l’istituto la valuti fattibile, può essere quindi accettata, alla condizione che venga predisposto il Regolamento, che sia adottato un modello di richiesta che contenga anche una liberatoria per l’istituto, che sia disponibile il personale docente per l’assistenza agli alunni durante la consumazione del pasto proprio, che sia disponibile uno spazio idoneo al consumo di alimenti. Ai quesiti specifici è quindi possibile rispondere: 1. La questione può essere gestita secondo quanto previsto nel Regolamento che l’istituto è tenuto ad adottare e che le famiglie sono tenute a rispettare. 2. Se il servizio mensa è già attivo, l’amministrazione comunale potrebbe decidere di estenderlo anche alle attività pomeridiane programmate. Dovrà essere valutato il problema dei costi, sia a carico del Comune che delle famiglie, e verificare se quest’ultime siano disposte ad affrontare la nuova spesa, oppure preferiscano confermare la richiesta di utilizzare cibi propri. 3. Se il servizio mensa fosse gestito dal Comune seguirebbe le stesse regole del servizio già attivo. Se invece prevalesse la volontà delle famiglie di provvedere in proprio, l’istituto dovrebbe dotarsi del Regolamento, di cui sopra, e provvedere con proprio personale alla sorveglianza e alla pulizia dell’ambiente utilizzato per consumare i cibi propri. 4. Il problema di un contributo specifico (non volontario) si porrebbe nel caso in cui il servizio fosse gestito dall’amministrazione comunale, come un ampliamento del servizio mensa già esistente. Nel caso invece di autorizzazione al consumo di cibi propri non ci sarebbe motivo di chiedere alle famiglie un contributo economico.

    Data di pubblicazione: 28/03/2025

  • Possiamo autorizzare un assistente tecnico a svolgere l'attività di istruttore sportivo e a collaborare con palestre?
  • L'assistente tecnico del nostro Istituto Comprensivo, con contratto scadente il 30/06/2025 per n. 12 ore settimanali su 36...

    Data di pubblicazione: 28/03/2025

  • Alunno minorenne sospeso si presenta regolarmente a scuola: è possibile rimandarlo a casa garantendone sicurezza e incolumità?
  • La condotta dei genitori si pone in frontale contrasto con l’azione educativa esercitata dalla scuola mediante l’azione disciplinare. Invero, ignorare la disposta sospensione implica il disconoscimento della sanzione. Non sembra pertanto opportuno soccombere rispetto a questa prova di forza, il cui disvalore educativo travalica il caso singolo, mettendo in discussione l’autorevolezza dell’istituzione. Ora, se, come pare, l’allievo si è già presentato presso l’istituto ed è stato accolto presenziando alle lezioni, sarà necessario dare atto dell’errore, modificare l’originario provvedimento e individuare altra data per far scontare la sospensione. Dopo di che si dovrà impedire l’accesso a scuola dello studente. Nella nota di trasmissione ai genitori del provvedimento modificato si avrà cura di precisare che per mero errore l’allievo era stato accolto nonostante la disposta sospensione che costoro hanno consapevolmente disatteso; si inviterà i genitori medesimi a prendere atto delle date di sospensione con l’avvertimento che il minore non potrà fare ingresso presso l’istituto. Qualora i genitori insistessero ripresentandolo, l’episodio potrà essere segnalato ai servizi sociali e si potrà procedere ad affidare il minore alla forza pubblica (magari previa intesa).

    Data di pubblicazione: 28/03/2025

  • Istituzione di un registro firme per l'accesso ai servizi igienici: quali strategie possiamo adottare per prevenire i danni e tutelare la privacy degli studenti...
  • A seguito di comportamenti scorretti da parte di alcuni studenti, che hanno arrecato danni all'interno dei bagni della scuola...

    Data di pubblicazione: 28/03/2025

  • Valutazione di un alunno con disabilità grave in istruzione domiciliare in sede di scrutinio: è legittimo che i docenti si basino solo sulla relazione del docente di sostegno?
  • L’istruzione domiciliare si propone di garantire il diritto all’apprendimento, nonché di prevenire le difficoltà degli studenti e delle studentesse colpiti da gravi patologie o impediti a frequentare la scuola per un periodo di almeno trenta giorni, anche se non continuativi, durante l’anno scolastico. “Rispetto alle procedure di attivazione, il consiglio di classe dell’alunno elabora un progetto formativo, indicando il numero dei docenti coinvolti, gli ambiti disciplinari cui dare la priorità, le ore di lezione previste. Tale progetto dovrà essere approvato dal collegio dei docenti e dal consiglio d’Istituto e inserito nel Piano triennale dell’offerta formativa”. Oltre all’azione in presenza – necessariamente limitata nel tempo – è possibile prevedere attività didattiche che utilizzino differenti tecnologie (sincrone e asincrone), allo scopo di consentire agli studenti (in particolare ai più grandi) un contatto più continuo e collaborativo con il proprio gruppo-classe. Ovviamente il PEI dovrà contenere gli obiettivi che il ragazzo con disabilità potrà raggiungere attraverso il percorso di istruzione domiciliare. Se la progettazione personalizzata è molto diversa da quella della classe, occorre definire gli obiettivi disciplinari previsti, specificando i risultati attesi e i relativi criteri di valutazione. Questi obiettivi sono concordati in sede di consiglio di classe e di GLOI e fatti propri da tutto il consiglio di classe. Il livello degli apprendimenti raggiunti dall’alunno con disabilità risponde al proprio percorso di studi personalizzato (PSP) che può essere anche del tutto differente dal resto della classe. Pertanto la valutazione del PSP dell’alunno con disabilità è espressione di un’analisi condivisa del consiglio di classe. Il docente di sostegno nelle riunioni di GLOI e degli scrutini esporrà le attività svolte già progettate nel PEI e condivise con tutti gli insegnanti del consiglio di classe. La valutazione delle singole verifiche delle prove personalizzate scritte, orali o pratiche dovrà essere esposta al consiglio di classe da cui deriverà la valutazione collegiale del livello degli apprendimenti previsti e relativi al PEI del ragazzo con disabilità.

    Data di pubblicazione: 28/03/2025

  • Progressione di carriera: come considerare il rientro al ruolo di provenienza di un docente che riceve l'incarico temporaneo di DS?
  • Nel caso rappresentato occorre premettere che i Dirigenti scolastici, pur prestando servizio nella scuola, appartengono ad altro comparto quello della Dirigenza scolastica ed hanno un CCNL a loro riservato rispetto a quello del CCNL della scuola. Secondo alcune Ragionerie territoriali dello Stato proprio perché i Dirigenti scolastici appartengono ad un altro comparto il servizio prestato come Dirigenti scolastici non può essere preso in considerazione al momento della restituzione al ruolo di provenienza, di conseguenza deve essere inquadrato con l’anzianità che aveva al momento dell’incarico come Dirigente scolastico. Ad ogni buon conto l’inquadramento al momento della restituzione al ruolo di provenienza non è gestibile tramite SIDI per cui necessita dell’emissione di un decreto elaborato manualmente. Successivamente sarà possibile recuperare la posizione dell’interessato al SIDI per eventuali ed ulteriori progressioni della carriera, seguendo il seguente percorso: “Fascicolo personale scuola > gestione giuridica > gestione della carriera > definizione della progressione della carriera dall’a.sc. 1997/98 - dove dovrà essere selezionata la funzionalità “Gestione Pratiche d’Inquadramento” e quindi “recupero da posizione manuale”. .

    Data di pubblicazione: 27/03/2025

  • Analizziamo l'ipotesi del rinvio del periodo di prova per una collaboratrice scolastica...
  • L'art. 70 del CCNL comparto “Istruzione e ricerca” 2019-2021, relativo ai "Contratti a tempo determinato per il personale ATA in servizio" prevede che il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato possa accettare, nell’ambito del settore scuola, contratti a tempo determinato su posto intero di Area superiore o – a parità di Area – di diverso profilo professionale o relativo alle categorie di cui all’art. 33, comma 2 (Categorie professionali), di durata non inferiore al 30 giugno o ad un anno scolastico (31 agosto), mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni scolastici, la titolarità della sede. L'accettazione dell'incarico comporta la richiesta di un periodo di aspettativa non retribuita non inferiore alla durata dell’incarico (cfr. comma 3 del medesimo art. 70). L'art. 62 del CCNL citato disciplina, invece, il “periodo di prova" per il personale ATA assunto a tempo indeterminato, stabilendone la durata (c.1); specifica inoltre che, “decorso il periodo di prova senza che il rapporto di lavoro sia stato risolto”, il dipendente è confermato in servizio con il riconoscimento dell'anzianità dal giorno dell'assunzione (c. 7); afferma che esso può essere rinnovato o prorogato alla scadenza per una sola volta (c. 9); precisa infine che, ai fini del compimento del periodo di prova, si tiene conto del solo servizio effettivamente prestato (c. 3). Il periodo di prova è sospeso in caso di assenza per malattia e negli altri casi previsti dalla legge o dal CCNL (c. 4). Alla luce di quanto precede, si può dedurre che, durante gli anni scolastici in cui la collaboratrice scolastica ha accettato contratti a tempo determinato come assistente amministrativa, si è trovata in una posizione di aspettativa senza assegni dal suo ruolo di collaboratrice scolastica a tempo indeterminato. In detti periodi di aspettativa, non ha prestato servizio effettivo, utile al superamento del periodo di prova per il profilo di collaboratrice scolastica. Né può applicarsi il disposto dell'articolo 62 del CCNL, là dove prevede la possibilità di rinnovo o proroga del periodo di prova per una sola volta sì, ma alla sua scadenza, con ciò intendendo che lo stesso si sia compiuto per effetto della prestazione del servizio effettivo. La situazione della collaboratrice scolastica è diversa, in quanto il periodo di prova non è stato compiuto a causa della mancata prestazione del servizio nel profilo specifico. Per quanto riguarda il numero di anni scolastici o quante volte il periodo di prova possa essere rinviato, non vi è un limite specifico per il personale che si trovi nella situazione descritta nel quesito. In conclusione, il periodo di prova della collaboratrice scolastica viene rinviato ogni volta che la stessa accetta la supplenza. Il CCNL non indica un limite preciso al numero di rinvii o agli anni scolastici in cui ciò può avvenire. Occorre comunque, posto che la dipendente presta qualche giorno di servizio ogni anno nel profilo di appartenenza, verificare con accuratezza a quanto ammontano i giorni di servizio effettivo svolti in modo da avere contezza dell’avvenuto superamento del periodo di prova di due mesi.

    Data di pubblicazione: 27/03/2025

  • Come regolarizzare il pagamento di una sala per cui la parrocchia emette solo una ricevuta e non una fattura?
  • Come già detto in precedenti risposte, dall’entrata in vigore del sistema della “fatturazione elettronica” anche gli Enti ecclesiastici sono tenuti ai nuovi adempimenti, ma occorre valutare la situazione dell’Ente in quanto sono previsti comportamenti e adempimenti diversi in funzione del fatto che la Parrocchia sia in possesso o non sia in possesso di partita IVA: • l’Ente ecclesiastico, in possesso del solo Codice Fiscale, che svolge unicamente attività istituzionale di religione e culto (come indicato all’art. 16 lettera a) della Legge 222/85) o senza fini di lucro, è da assimilarsi ad una persona fisica; • l’Ente ecclesiastico che, oltre all' attività istituzionale o senza fini di lucro, comunque escluse dall’imposizione IVA, svolge una o più attività commerciali (come indicato all’art. 16 lettera b) della Legge 222/85), quindi in possesso anche di partita IVA, è da assimilarsi ad un’azienda (soggetto passivo IVA) esclusivamente in relazione a tali attività commerciali. Per quanto riguarda le Parrocchie, ancorché in possesso della partita IVA, le stesse non sono quindi soggette all'emissione delle fatture qualora svolgano attività istituzionale o senza fini di lucro, come parrebbe nel caso in trattazione . Infatti, a fronte dell'utilizzo della sala, la parrocchia chiede all'Istituto il pagamento della somma di 60 euro che, a nostro avviso, è configurabile quale richiesta di rimborso dei costi derivanti dall’utilizzo della sala stessa (illuminazione e altri consumi elettrici, pulizia, eventuale riscaldamento, ecc..) e, di conseguenza, attività priva di fini lucrativi. Pertanto, la Parrocchia in questione, per il rimborso delle spese correlate a tale attività senza fini di lucro (e agendo unicamente con il codice fiscale), è esentata dall’emettere fattura (sia cartacea che elettronica) e quindi legittimata a rilasciare regolare ricevuta che l’Istituto può correttamente accettare e liquidare.

    Data di pubblicazione: 27/03/2025

  • Scuola secondaria di primo grado: è corretto far rientrare il voto di comportamento nel calcolo della media dello scrutinio intermedio e finale?
  • Tenuto conto di quanto stabilito dall'O.M. n. 3 del 09/01/2025 e dalla legge 1° ottobre 2024, n. 150, per quanto concerne la scuola secondaria...

    Data di pubblicazione: 27/03/2025

  • Affidare l'organizzazione di un soggiorno all'estero alla stessa agenzia che se ne è occupata lo scorso anno viola il principio di rotazione?
  • Dobbiamo organizzare un soggiorno linguistico (mini-stay) di una settimana ad ottobre 2025, per alunni di 4^ superiore nel Regno Unito...

    Data di pubblicazione: 27/03/2025

  • Inserimento di un alunno straniero ancora sottoposti all’obbligo di istruzione...
  • La Nota MIUR prot. n. 465 del 27 gennaio 2012 precisa che per gli alunni stranieri che giungono in Italia, ancora sottoposti all’obbligo di istruzione, ai sensi dell’art. 45, comma 2 del D.P.R. 394/1999, l’iscrizione avviene di regola alla classe corrispondente all’età anagrafica, salvo che il collegio dei docenti deliberi l’iscrizione ad una classe diversa, tenendo conto: • dell’ordinamento degli studi del Paese di provenienza dell’alunno, che può determinare l’iscrizione ad una classe immediatamente inferiore o superiore rispetto a quella corrispondente all’età anagrafica; • dell’accertamento di competenze, abilità e livelli di preparazione dell’alunno; • del corso di studi eventualmente seguito dall’alunno nel Paese di provenienza; • del titolo di studio eventualmente posseduto dall’alunno. Il DM 5 del .08-02-2021 del Ministero dell’Istruzione denominato “Esami integrativi ed esami di idoneità nei percorsi del sistema nazionale di istruzione” all’Articolo 4 (Esami integrativi nella scuola secondaria di secondo grado) così prevede: Comma 11. Agli studenti soggetti all’obbligo scolastico che hanno frequentato una scuola straniera all’estero o una scuola straniera del secondo ciclo in Italia riconosciuta dall’ordinamento estero e che intendano iscriversi a una scuola statale o paritaria, fatte salve norme di maggior favore previste da Accordi ed Intese bilaterali, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 45 comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica. Comma 12. L’iscrizione alle classi dei soggetti di cui …… al comma 11 avviene previo colloquio presso l’istituzione scolastica ricevente, diretto ad individuare eventuali carenze formative, particolarmente in relazione alle discipline non previste nell’indirizzo di provenienza. Al fine di consentire un efficace inserimento nel percorso formativo di destinazione, sono progettati specifici interventi didattici integrativi da realizzarsi nel corso dell’anno scolastico. Entrambe le fonti sopra citate, l’una rivolta agli studenti stranieri, l’altra più in generale a studenti che hanno frequentato una scuola all’estero, prevedono quindi di poter applicare l’art. 45 del DPR 394/99. Si ritiene, pertanto, che il percorso e la procedura illustrati nel quesito possano essere considerati legittimi.

    Data di pubblicazione: 26/03/2025

  • Un docente vince un concorso pubblico e chiede un'aspettativa, a cavallo di due anni scolastici, per svolgere il periodo di prova presso l'altra Amministrazione: alcuni dubbi applicativi...
  • Nel caso in cui un docente di ruolo di scuola statale - risultato tra i vincitori di un concorso...

    Data di pubblicazione: 26/03/2025

  • Dopo l'archiviazione di un procedimento disciplinare contro una docente che ha aggredito verbalmente una collega, l'aggredita può chiedere l'accesso agli atti?
  • La richiesta formulata dalla docente interessata all'accesso attiene non già agli atti della procedura disciplinare poi conclusa con l'archiviazione, ma genericamente alle dichiarazioni rese dalla docente che l'ha aggredita. Si ritiene che vada mantenuta la riservatezza sull'esistenza o meno di un procedimento disciplinare a carico della docente autrice della presunta aggressione, specie se si considera che la richiesta di accesso non fa alcun riferimento agli atti del procedimento disciplinare, peraltro non noto alla richiedente. Inoltre, la richiesta di accesso appare circoscritta alle dichiarazioni degli studenti auditi e della docente, verosimilmente prodromici ed antecedenti all'avvio del procedimento disciplinare. Vanno quindi distinti gli atti del procedimento disciplinare, poi conclusosi con l'archiviazione e che comprendono necessariamente le dichiarazioni rese a difesa dalla docente incolpata e conseguentemente dal suo legale che ha agito su delega in nome e per suo conto, dalle dichiarazioni rese prima o nell'immediatezza dei fatti dalla docente poi successivamente incolpata. La dirigente scolastica ,nel dare corso alla richiesta di accesso, deve esaminare la richiesta per come è stata formulata, senza operare ampliamenti del petitum a documenti non richiesti. D’altro canto, rendere noto l’avvio di una procedura disciplinare a soggetti terzi nulla aggiunge alla possibilità di tutela in sede giudiziaria. Qualora le dichiarazioni rese dalla docente incolpata fossero state verbalizzate solo all'interno del procedimento disciplinare, di cui tuttavia la docente presunta vittima non è a conoscenza, si dubita comunque della loro ostendibilità, in quanto ciò determinerebbe l'indebita scoperta (da parte della docente presunta vittima) di un procedimento disciplinare a carico della sua controparte. In quest’ultimo caso va da sé che, svolte le opportune comunicazione alla controinteressata, in caso di dinego, non verranno ostesi gli atti, in quanto in un bilanciamento di tutele, la conoscenza ulteriore e non attesa del procedimento disciplinare avviato e concluso produrrebbe un effetto ultroneo rispetto alla tutela invocata.

    Data di pubblicazione: 26/03/2025

  • La proroga del supplente in caso di nuova assenza del collaboratore titolare...
  • Gentile utente, la proroga del supplente in caso di nuova assenza del collaboratore titolare è prevista dalla circolare annuale sulle supplenze del personale della scuola n.115135\2024 nelle disposizioni comuni al personale docente ed ata in cui si precisa che: "Ove al primo periodo di assenza del titolare ne consegua un altro, o più altri, senza soluzione di continuità o interrotto da giorno festivo, o da giorno libero, ovvero da entrambi, la supplenza temporanea, è prorogata nei riguardi del medesimo supplente già in servizio, a decorrere dal giorno successivo a quello di scadenza del precedente contratto." Nel caso sottoposto si ritiene che il dirigente scolastico, qualora si renda necessario coprire il servizio, non possa negare la proroga del contratto al supplente che sia disponibile ad accettarla, non essendoci quindi la facoltà di scelta di altro aspirante in graduatoria, semprechè non si possa sostituire l'assente con personale in servizio. Tale ultima soluzione è sempre possibile prima dell'attribuzione delle supplenze, ma si deve verificare la possibilità che il personale in servizio accetti la diversa organizzazione del lavoro e le ore di straordinario che devono essere retribuite con gli appositi fondi previsti nel bilancio della scuola, laddove ce ne sia la disponibilità.

    Data di pubblicazione: 26/03/2025

  • Vediamo la modalità di recupero, per i docenti, delle ore di servizio impiegate nelle attività di viaggio d'istruzione...
  • Nella situazione descritta nel quesito si incrociano due questioni che non hanno mai trovato una chiara definizione a livello contrattuale: l’impegno aggiuntivo dei docenti che accompagnano gli studenti nelle visite, nei viaggi d’istruzione, negli scambi, nei percorsi di Pcto e il recupero delle ore in occasione dei giorni di chiusura o nei casi in cui si adotta l’unità oraria ridotta. Per quanto riguarda il primo aspetto il CCNL di comparto 2019/21 si limita sbrigativamente a dichiarare che: “Le attività aggiuntive e le ore eccedenti d’insegnamento restano disciplinate dalla legislazione e dalle norme contrattuali, nazionali e integrative, vigenti all’atto della stipula del presente CCNL.” (art. 45). Da tempo si parla di un riassetto delle ore eccedenti, oggi divise in diverse tipologie, ma al momento non se ne è venuti a capo. Per quanto riguarda il secondo aspetto l’art. 43, comma 7, prescrive che: “Al di fuori dei casi previsti dal comma 8, qualunque riduzione della durata dell'unità oraria di lezione ne comporta il recupero prioritariamente in favore dei medesimi alunni nell’ambito delle attività didattiche programmate dall’istituzione scolastica. La relativa delibera è assunta dal collegio dei docenti.”. Indicazioni più specifiche non sono mai state date, con la conseguenza che le scuole sono costrette a trovare le soluzioni più opportune, anche se, a volte, più disparate, con la conseguenza di incagliarsi nel possibile dissenso della parte sindacale. Nel caso specifico si è deciso di utilizzare la riduzione oraria prodotta dai due “ponti” per compensare le ore aggiuntive che i docenti svolgono per l’assistenza ai ragazzi nelle diverse attività complementari all’insegnamento curricolare. Se l’istituto disponesse di risorse adeguate questo impegno orario connesso all’accompagnamento dovrebbe essere considerato come orario aggiuntivo di non insegnamento e quindi retribuito come da Tabella E1.6 (allegata al CCNL), con un compenso orario di € 19,25. Ma le risorse non sarebbero mai sufficienti. Inoltre per i docenti non può essere applicato neanche l’istituto del riposo compensativo, come per il personale ATA. Pertanto la soluzione da voi adottata risolve il problema senza particolari aggravi per la scuola. La parte sindacale condivide tale soluzione, e questo è già un buon passo avanti. Resta indefinito lo squilibrio tra le ore prestate e quelle recuperate in occasione dei due ponti. Ci si potrebbe accontentare del fatto che i docenti accettano questa soluzione, ma se gli impegni di servizio dovessero gravare su di loro in forme particolarmente differenziate si potrebbe anche adottare un sistema di fasce orarie di impegno: i docenti con meno impegni sarebbero compensati con il recupero dei due ponti, quelli con maggiori impegni (e in un istituto tecnico a indirizzo turismo è facile individuare chi è maggiormente gravato dal peso degli accompagnamenti) potrebbero beneficiare, oltre al recupero orario, anche di un compenso forfetario a carico del FIS, compatibilmente con le risorse disponibili e previo accordo con la parte sindacale. Resta fermo il fatto che i docenti che non hanno impegni di accompagnamento dovranno restituire agli studenti le ore perse nei “ponti”, nel rispetto dell’art. 43, comma 7, del CCNL. Tale modalità di recupero appare compatibile con le indicazioni contrattuali. Nulla vieta, comunque, che il dirigente scolastico richieda un parere in merito anche ai revisori dei conti, ai quali è affidato un ruolo di controllo ma anche di consulenza.

    Data di pubblicazione: 26/03/2025

  • Docente in part-time autorizzato alla libera professione fa richiesta di congedo parentale: può essere concesso o vi è incompatibilità?
  • Un docente di scuola secondaria di I grado con contratto part time verticale (6 ore su 18) fino al 30 giugno...

    Data di pubblicazione: 26/03/2025

  • Partecipazione dei docenti come accompagnatori in un viaggio studio all’estero organizzato dal Comitato Genitori: è possibile?
  • In merito al contenuto del quesito, si ravvedono diverse criticità. Sorge in primo luogo il problema di verificare se l’iniziativa rientri nella pianificazione dell’offerta formativa dell’istituto ma, in questo caso, dovrebbe vedere l’istituto come soggetto organizzatore (con tutto ciò che ne consegue in termini amministrativi e di sicurezza), oppure abbia i caratteri di un’iniziativa in qualche modo privata e ristretta soltanto alle famiglie che l’hanno promossa e gestita. Anche il ruolo dei docenti cambia a seconda dei casi. Se è l’istituto che promuove il soggiorno i docenti partecipano nell’ambito della loro responsabilità professionale e come garanti della sicurezza degli studenti. Se l’iniziativa è del Comitato genitori non è chiaro che ruolo effettivamente assumano, anche in rapporto alla copertura assicurativa. Non basta acquisire la delibera del collegio docenti o del consiglio d’istituto per poter ritenere che sia tutto in regola. Inoltre il soggiorno è previsto per le prime due settimane di settembre o per il mese di ottobre. L’anno scolastico 2025/26 sarà già iniziato e forse anche l’attività didattica, con alcuni docenti che non prenderanno servizio o, peggio, che si assenteranno dal servizio per una iniziativa di cui l’istituto non porta la diretta responsabilità ma solo un ruolo di blando consenso. A parere di chi scrive, i dubbi sull’iniziativa inducono a suggerire una seria riflessione. Nulla avrebbe vietato al Comitato genitori di prendere un’iniziativa del tutto autonoma, di collocarla nel periodo di ferie, di appoggiarsi ad una agenzia di propria fiducia, di chiedere ad alcuni docenti di partecipare a titolo strettamente privato, come abbastanza spesso avviene per i soggiorni estivi all’estero aventi lo scopo di consolidare la padronanza di una lingua comunitaria. Al tempo stesso nulla avrebbe impedito all’istituto di raccogliere la proposta del Comitato genitori, valutarne la fattibilità, decidere di introdurla nel PTOF con delibera del consiglio d’istituto e farsi carico della fase organizzativa, di quella amministrativa, di quella assicurativa, dell’eventuale assistenza economica a qualche studente. Questo avrebbe permesso di collocare il soggiorno in qualunque momento dell’anno scolastico e di contare sull’assistenza e la sorveglianza dei docenti dell’istituto. Per l’istituto questo significherebbe farsi carico di procedure particolarmente complesse, ma l’iniziativa seguirebbe un iter molto più lineare e coerente con le norme relative ai viaggi d’istruzione e ai soggiorni all’estero. In sostanza, non siamo molto convinti della proposta prospettata nel quesito, soprattutto perché sembra collocarsi in un periodo in cui le attività didattiche sono iniziate (in tutto o in parte).

    Data di pubblicazione: 25/03/2025

  • Come gestire la richiesta di trattenimento in servizio di una docente che dovrebbe andare in pensione d'ufficio ma non raggiunge il minimo contributivo dei 20 anni...
  • Secondo quanto disposto dall'art. 24 del D.L. 201/2011 convertito in legge dalla Legge n. 214/2011 e come indicato nella circolare Inps n. 37 del 14 marzo 2012, è possibile chiedere e concedere il trattenimento in servizio fino al 71° anno di età per i dipendenti che non hanno contribuzione fino al 31/12/1995. A chiarirlo è anche la circolare numero 2 del 2015 della Funzione Pubblica che spiega: ”Per coloro che abbiano il primo accredito contributivo a decorrere dal 1° gennaio 1996, peraltro, il collocamento potrà essere disposto solo se l’importo della pensione non risulterà inferiore all’importo soglia di 1,5 volte l’assegno sociale annualmente rivalutato (ai sensi dell’articolo 24, comma 7, del citato decreto legge n. 201 del 2011). Se, invece, anche considerando tutti i periodi contributivi, il dipendente non raggiungerà il minimo di anzianità contributiva entro il raggiungimento dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia prevista dall’articolo 24, comma 6, del predetto decreto-legge n. 201 del 2011, l’amministrazione dovrà valutare se la prosecuzione del rapporto di lavoro fino al compimento dei 70 anni di età (oltre all’adeguamento alla speranza di vita) consentirebbe il conseguimento del requisito contributivo. In caso affermativo, l’amministrazione dovrà proseguire il rapporto di lavoro al fine di raggiungere l’anzianità contributiva minima.”. Prima di disporre il trattenimento in servizio le pubbliche amministrazioni dovranno però valutare se il requisito dei 20 anni di contributi possa essere integrato sommando le anzianità contributive non coincidenti temporalmente relative a diverse gestioni previdenziali ai fini dell'esercizio della totalizzazione nazionale o del cumulo dei periodi assicurativi secondo quanto stabilito dall'articolo 1, commi 238-248, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 e le modifiche apportate dalla legge 232/2016 che, come noto, ha ampliato l'istituto del cumulo dal 1° gennaio 2017. Tanto premesso, se la docente non raggiunge i 20 anni di contribuzione, considerando anche eventuali altre gestioni previdenziali oltre alla cassa CTPS (Cassa Trattamenti Pensionistici dipendenti dello Stato) e non sono stati versati contributi prima 1996, può essere trattenuta in servizio fino al 71° anno di età. Cordiali saluti

    Data di pubblicazione: 25/03/2025

  • PNRR DM 66: quali ritenute si applicano ai compendi degli esperti formatori e tutor?
  • Come già detto in precedenti risposte, i compensi spettanti a personale interno impegnato in attività aggiuntive connesse con lo svolgimento del rapporto di lavoro dipendente, per norma, devono essere assoggettati alla completa contribuzione previdenziale e assistenziale sia a carico Stato che a carico dipendente. Occorre tuttavia ricordare che il DM 66/2023 - che dispone in ordine alla linea di investimento 2.1 “Didattica digitale integrata e formazione alla transizione digitale per il personale scolastico” della Missione 4 – Componente 1 – del PNRR - prevede la “creazione di un sistema multidimensionale per la formazione continua dei docenti e del personale scolastico per la transizione digitale”. Trattasi quindi, senza ombra di dubbio, di un progetto finalizzato alla realizzazione di percorsi formativi, rivolti al personale scolastico, per sostenere la transizione digitale nella didattica e nell'organizzazione scolastica, in coerenza con i quadri di riferimento europei per le competenze digitali DigComp 2.2. Confermiamo, pertanto, quanto già detto in precedenti risposte ad analogo quesito: sui compensi per attività di formazione svolte dal personale interno (di ruolo o a tempo determinato) della scuola si applicano unicamente la ritenuta IRPEF all’aliquota massima di riferimento (del dipendente) e il contributo IRAP a carico dell’Amministrazione. Ciò, a nostro avviso, anche per quanto concerne la docenza e assistenza tutoriale svolte nell'ambito del PNRR di cui al DM 66/2023. Infatti, in relazione al regime previdenziale/assistenziale applicabile a detti compensi, la circolare MIUR n. 3761 del 30/07/2009, con la quale vengono richiamate le circolari n. 3 del 15/01/1996 e n. 138 del 04/04/1996, esenta “dalla base imponibile ai fini previdenziali i compensi percepiti per prestazioni NON direttamente connesse con lo svolgimento del rapporto di lavoro dipendente”, quali si configurano gli incarichi in qualità di formatore esperto e/o di tutor svolti dai docenti e dal personale ATA nell’ambito dei corsi rivolti al personale scolastico, come previsti dal DM 66/2023. Si cita inoltre la nota del Ministero del Tesoro n. 149948 del 10 giugno 1996, emanata a seguito di apposito quesito del Ministero della Pubblica istruzione, che rimarca l’esclusione dalla base contributiva e pensionabile dei compensi percepiti dal personale scolastico impegnato in attività di organizzazione, coordinamento, controllo, docenza e assistenza tutoriale nell'ambito di iniziative di aggiornamento e formazione. Di fatto, tale assunto viene confermato anche dalla circolare INPS n. 6 del 16/01/2014 che non introduce innovazioni rispetto alle precedenti disposizioni, bensì delinea e precisa ulteriormente gli ambiti applicativi, fornendo un elenco puntale delle fattispecie rientranti nella base contributiva e di quelle escluse. Al punto 6 - redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente – e sub Lettera b (indennità ed i compensi percepiti a carico dei terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità) della circolare si ribadisce infatti: - Sono esclusi dall’assoggettabilità ai soli fini contributivi – ma non ai fini fiscali - i redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente (art.50 - ex art.47 - del TUIR), che in linea generale sono quelli in cui manca una correlazione con la prestazione lavorativa ovvero con il rapporto di servizio. […]. L’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente, in linea di principio, comporta un trattamento fiscale identico a quello riservato ai compensi accessori ricompresi in tali redditi, ovvero l’applicazione dell’aliquota massima posseduta dal percipiente. - Nell’ambito della predetta elencazione si esaminano, per la particolare rilevanza con riferimento ai dipendenti iscritti alla Gestione Dipendenti Pubblici, alcune tipologie di redditi assimilati nonché le circostanze al verificarsi delle quali gli stessi vengono ricondotti ai redditi da lavoro dipendente, determinandone l’inclusione nella base imponibile contributiva. - La norma regolatrice dell’incarico collega una presunzione di possesso della competenza specifica alla circostanza dell’appartenenza del soggetto ad una certa categoria di lavoratori dipendenti o ad una certa posizione d’impiego. In tali casi segnatamente sussiste una relazione tra l’espletamento dell’incarico e la qualifica posseduta. Questa categoria reddituale riguarda prevalentemente i pubblici dipendenti con qualifica diversa da quella dirigenziale. Al fine della corretta individuazione del significato da attribuire al termine “terzo” per un pubblico dipendente, la già menzionata circolare del Ministero delle Finanze n.326/E/97 ha precisato che deve trattarsi di un soggetto diverso dallo Stato. Da ciò ne discende che nell’ipotesi in cui detti compensi vengano corrisposti al pubblico dipendente da una Amministrazione Pubblica diversa da quella di appartenenza, permane la natura di redditi di lavoro dipendente degli stessi. Dall’attenta lettura dei vari passaggi si evince, a parte dello scrivente, che affinché alcune tipologie di redditi (sia corrisposti da terzi che dall’Amministrazione) possano essere ricondotti ai redditi da lavoro dipendente, determinandone l’inclusione nella base imponibile contributiva, occorre, in ogni caso, la sussistenza di una relazione tra l’espletamento dell’incarico e la qualifica posseduta. Sussistenza che, come indicato nella nota MEF prot, 149948 del 10 giugno 1996, non si verifica nel caso di attività formative/tutoriali prestata dal personale scolastico poiché, “ancorché in servizio presso codesta Amministrazione, si ritiene che i relativi compensi debbano essere esclusi dalla base contributiva e pensionabile, in quanto le predette attività non rientrano tra i compiti di istituto del personale medesimo”, applicandosi quindi la sola ritenuta IRPEF e la contribuzione IRAP a carico dell’Amministrazione. Concludiamo, come di consueto, precisando che, in materia di attuazione dei Progetti PNRR, le risposte date tengono conto dello stato delle conoscenze attuali.

    Data di pubblicazione: 25/03/2025

  • Servizio post-scuola gestito dall'associazione genitori nei locali scolastici: a chi spetta la comunicazione all'INPS in caso di infortunio?
  • Dalla descrizione del quesito si evince che il post scuola è programmato, organizzato e gestito dall’associazione dei genitori della scuola. Se è così, agli atti della scuola, qualora si sia seguita la procedura di cui al D. Lgs. 297/1994 (art. 96 comma 4) dovrebbe esserci l’atto di concessione, fatto dal Comune, ente proprietario dei locali sulla base del parere positivo del consiglio di istituto della scuola, e corredato dalla convenzione circa l’utilizzazione dei locali sottoscritta dal responsabile del comune, dal dirigente scolastico e dal presidente dell’associazione. Se invece si è seguita la procedura di cui al DI 129/2019 (art. 38), la concessione è stata effettuata direttamente del dirigente scolastico sulla base dei criteri deliberati dal consiglio di istituto. Nell’atto concessorio debbono essere definite le modalità in cui si attua l’utilizzazione dei locali scolastici da parte dell’associazione e puntualmente riportate tutte le clausole esplicitate nell’articolato del DI citato. In particolare: temporaneità, assunzione da parte del concessionario degli obblighi di custodia dei locali e dei beni avuti in concessione, responsabilità della associazione per le attività svolte nella scuola con riferimento in particolare agli eventuali danni arrecati a persone, a beni, nonché alle strutture scolastiche, Sempre l’art. 38 del DI 129/2019 prevede che, se si procede alla concessione tramite tale norma, il concessionario (nel nostro caso l’associazione) deve stipulare una polizza per la responsabilità civile con un istituto assicurativo. Fatta questi richiami normativi, veniamo al nocciolo del quesito. Sia che la concessione sia stata fatta ex art, 96 comma 4 del D.Lgs. 297/1994, sia che si sia seguita la procedura di cui all’art. 38 del DI 129/2019, poiché le attività didattiche e ricreative del post- scuola sono realizzate in autonomia dall’associazione, e l’istituto scolastico ha messo semplicemente a disposizione locali e attrezzature, spetta alla associazione la segnalazione all’INAIL di infortuni accaduti agli alunni e al suo personale. In conclusione un suggerimento, Poiché non di rado concessioni del tipo presentato nel quesito sono attuate sulla base di intese verbali, si raccomanda al dirigente, entrato in servizio nella scuola nel gennaio scorso, di procedere alla consultazione della documentazione relativa alla concessione dei locali e delle attrezzature della scuola all’associazione per la realizzazione del post –scuola, assumendo le più opportune iniziative - se del caso - per la regolarizzazione delle procedure e degli atti.

    Data di pubblicazione: 25/03/2025

  • Collocamento fuori ruolo della docente: graduatori interna e perdita della titolarirà...
  • Gentile utente, la circolare n. 19450/2017 che disciplina lo status dei docenti collocati furi ruolo prevede che: "Qualora il collocamento fuori ruolo, ai sensi del decreto-legge 28 agosto 2000, n. 240, convertito con modificazioni nella legge 27 ottobre 2000, n. 306, abbia durata non superiore ad un quinquennio i docenti, all'atto della cessazione dalla posizione di comando, sono assegnati alla sede nella quale erano titolari all'atto del provvedimento. I collocamenti fuori ruolo che abbiano durata superiore ad un quinquennio comportano quindi la perdita della sede di titolarità. A tal fine, i periodi trascorsi in posizione di comando si sommano se tra gli stessi non vi sia soluzione di continuità. I docenti che perdono la titolarità, all'atto del rientro in ruolo o della cessazione del comando hanno priorità di rientro come titolari, secondo le modalità definite in sede di contrattazione collettiva nazionale integrativa in materia di mobilità". In base a quanto sopra, Il docente collocato fuori ruolo in quanto impegnato in attività di insegnamento all’estero, conservando per cinque anni la titolarità nella scuola, deve essere inserito nella graduatoria interna di istituto come tutti i docenti titolari nella scuola Tale diritto decade dopo il quinquennio in quanto il docente collocato fuori ruolo se non rientra nel suo ruolo, perde la titolarità e dovrà chiedere il rientro per l’assegnazione della nuova scuola di titolarità, secondo le norme del CCNI.

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