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    Data di pubblicazione: 21/11/2025

  • Criteri di computo dei giorni in caso di alternanza tra congedo straordinario biennale, malattia e permessi L. 104 per il personale docente...
  • Il congedo biennale previsto dall'art. 42, comma 5, del DLgs 151/2001 è fruibile non solo in una unica soluzione ma, anche in modo frazionato (a mesi e a giorni interi, ma non ad ore). Al riguardo, la Funzione Pubblica per tutto il comparto del pubblico impiego scuola compresa, nella circolare n. 1 del 2012 precisa quanto segue: “Affinché non vengano computati nel periodo di congedo i giorni festivi, le domeniche e i sabati (nel caso di articolazione dell'orario su cinque giorni),è necessario che si verifichi l'effettiva ripresa del lavoro al termine del periodo di congedo richiesto. Tali giornate non saranno conteggiate nel caso in cui la domanda di congedo sia stata presentata dal lunedì al venerdì, se il lunedì successivo si verifica la ripresa dell'attività lavorativa ovvero anche un'assenza per malattia del dipendente o del figlio. Pertanto, due differenti frazioni di congedo straordinario intervallate da un periodo di ferie o altro tipo di congedo, debbono comprendere ai fini del calcolo del numero di giorni riconoscibili come congedo straordinario anche i giorni festivi e i sabati (per l'articolazione su cinque giorni) cadenti subito prima o subito dopo le ferie o altri congedi o permessi". La citata Nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, fornisce una serie di esempi e modalità di computo del congedo; la nota si riferisce al congedo parentale ma può applicarsi in via analogica anche al calcolo del congedo biennale in caso di assenze cicliche. Nel caso in cui un lavoratore, con orario di lavoro articolato su cinque giorni lavorativi (c.d. settimana corta), fruisca di congedo parentale ( ma analoghe considerazioni valgono per il congedo biennale) nel seguente modo: 1^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale Sabato e domenica 2^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie - malattia - assenza ad altro titolo Sabato e domenica 3^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie o malattia o assenza ad altro titolo Sabato e domenica 4^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale il sabato e la domenica compresi tra la seconda e la terza settimana non sono computabili, né indennizzabili a titolo di congedo parentale in quanto tali giorni - compresi in un periodo unico di congedo parentale posto che, dalla prima alla quarta settimana, non vi è ripresa dell’attività lavorativa - risultano comunque ricompresi all’interno di un periodo di assenza fruita ad altro titolo (periodo neutro ai fini di interesse). Viceversa, il sabato e la domenica ricadenti tra la prima e la seconda settimana e tra la terza e la quarta sono computabili ed indennizzabili in conto congedo parentale in quanto tali giorni cadono, rispettivamente, subito dopo e subito prima il congedo parentale richiesto. Quanto sopra vale anche nei casi in cui il lavoratore alterni congedo parentale e ferie nel seguente modo: dal martedì al giovedì = congedo parentale venerdì = ferie sabato e domenica lunedì= ferie dal martedì a giovedì = congedo parentale. Anche in tale ultima ipotesi, infatti, il sabato e la domenica non si computano a titolo di congedo parentale in quanto inclusi in un periodo, seppur breve, di ferie (venerdì e lunedì). A chiarimento di quanto sopra esposto l'INPS fornisce ancora due possibili casi: Caso 1 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = ripresa del lavoro Caso 2 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = congedo parentale venerdì = ripresa del lavoro Nel primo caso (caso 1) il sabato e la domenica rimangono evidentemente esclusi dal computo del congedo parentale in quanto la frazione di congedo termina il venerdì (infatti, successivamente alle ferie, il lavoratore riprende l’attività lavorativa). Viceversa, nel secondo caso (caso 2), il sabato e la domenica vanno conteggiati ed indennizzati in conto congedo parentale in quanto tali giorni sono compresi in un’unica frazione di congedo (dal lunedì della prima settimana al giovedì della seconda) e ricadono immediatamente dopo il congedo parentale. I criteri sopra indicati trovano applicazione anche nell’ipotesi in cui il lavoratore, avendo già richiesto un periodo di congedo parentale, presenti un’altra domanda (o diverse domande) di congedo parentale determinanti di fatto una proroga del periodo di congedo precedentemente richiesto. Fino all'entrata in vigore del Decreto 119/2011, permessi e congedo straordinario erano considerati due benefici con la medesima finalità per i quali il Legislatore non aveva previsto la possibilità di contemporanea fruizione. Il Decreto 119/2011, però, ha modificato il disposto dell'ex comma 5 dell'articolo 42 del Decreto 151/2001, prevedendo che "per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1, del presente decreto. La Funzione Pubblica nella circolare n. 1 del 3 febbraio 2012, circolare che detta le indicazioni per una univoca e corretta gestione delle modifiche di cui al citato D.lgs. 119/2011, alla lettera b) per tutto il comparto del pubblico impiego scuola compresa (stessa interpretazione INPS circolare 32/2012 per il settore privato), ha modificato una precedente indicazione e, nel merito della cumulabilità nello stesso mese dei due diversi benefici, ha precisato quanto di seguito evidenziato. "Il D.Lgs. n. 119 del 2011 ha modificato il disposto dell'ex comma 5 dell'art. 42 in esame, rivedendo all'attuale comma 5 bis che “i genitori, anche adottivi, possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'art. 33, commi 2 e 3, della l. n. 104 del 1992 e 33, comma 1, del presente decreto.”. A seguito della modifica, i genitori possono fruire delle predette agevolazioni (permessi di tre giorni mensili, permessi di due ore al giorno, prolungamento del congedo parentale) anche in maniera cumulata con il congedo straordinario nell'arco dello stesso mese, mentre è precluso il cumulo dei benefici nello stesso giorno. La stessa INPS nel messaggio 3114 del 07/08/2018, aveva già precisato che:” Si precisa, al riguardo, che i periodi di congedo straordinario possono essere cumulati con i permessi previsti dall’articolo 33 della legge n. 104/92 senza necessità di ripresa dell’attività lavorativa tra la fruizione delle due tipologie di benefici”. Quindi in risposta al quesito, come per altre analoghe risposte, si ritiene che i tre giorni di permesso mensile previsto dall'art. 33, comma 3, della legge 104/92, possono essere fruiti nello stesso mese a giorni alterni al congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5 del D.L.gs 151/2001 mentre, non è possibile cumulare le due tipologie di assenza nello stesso giorno. Nel merito, per il caso specifico, la stessa INPS già nella circolare 53/2008 che nel messaggio 3114 del 07/08/2018 (indicazioni condivise nelle nostre risposte) ha precisato che: ”i periodi di congedo straordinario possono essere cumulati con i permessi previsti dall’articolo 33 della legge n. 104/92 senza necessità di ripresa dell’attività lavorativa tra la fruizione delle due tipologie di benefici”. Quindi, a nostro avviso, il sabato e la domenica, ricadenti tra le due tipologie di assenza non vanno computati nel calcolo del congedo biennale. Invece in caso di assenze cicliche (e non quindi solo di cumulo permessi L. 104 e congedo biennale) si rinvia alle indicazioni di cui sopra.

    Data di pubblicazione: 21/11/2025

  • Assegnazione di aule scolastiche ad un altro istituto comprensivo: limiti di competenza dell’ente locale e poteri del dirigente scolastico...
  • I riferimenti normativi relativi alla questione posta sono rintracciabili nella legge 23/1995 (art. 3) e, in particolare, nel D.Lgs. 112/1998, che all’art. 139 lettera d) così precisa: “omissis…. sono attribuiti alle province, in relazione all’istruzione secondaria superiore, e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, i compiti e le funzioni concernenti: ..omissis……..il piano di utilizzazione degli edifici e delle attrezzature , d’intesa con le istituzioni scolastiche”. Da quanto sopra si evince che, nella situazione di cui al quesito, il comune, se vuole programmare sulla base delle esigenze presenti e – in prospettiva – su basi fondatamente previsionali, la riassegnazione di locali dei suoi edifici scolastici alle scuole del primo ciclo poste nel suo territorio, deve procedere “d’intesa" con le istituzioni scolastiche”. Il che significa che deve avviare un “tavolo” di consultazione con i dirigenti scolastici delle scuole interessate, i quali, considerato che la questione concerne “la organizzazione e la programmazione , per quanto concerne la vita e l’attività della scuola” (D.Lgs. 297/1994, art. 10 comma 3), tramite il lavoro preparatorio della giunta, coinvolgeranno il consiglio di istituto per relazionare sulla proposta comunale e avere pareri, proposte e indicazioni in merito. Il comune può senz’altro disporre una modifica della assegnazione dei locali scolastici di sua proprietà, ma non in modo impositivo senza avere ricercato e attuato un confronto con i dirigenti delle scuole interessate. Quindi il dirigente porterà all’esame del consiglio la proposta del comune, presenterà le sue valutazioni e, sulla base del dibattito, chiederà all’organo collegiale di esprimere un parere sulla proposta e di avanzare eventuali altre soluzioni. Potrà essere utile coinvolgere preventivamente, per gli aspetti didattici, il collegio dei docenti. Il dirigente, con riferimento alle disposizioni di cui sopra sulla “intesa” con le scuole interessate, tenendo conto delle indicazioni consiliari, presenterà all'amministrazione – ovviamente con più forza in ragione della delibera – le osservazioni del caso e, se vi sono state nella decisione del consiglio o il dirigente le ravvisa comunque, altre proposte per una soluzione accettabile dalla scuola. In particolare il dirigente dovrebbe esporre con chiarezza le negative conseguenze che la ipotizzata ripartizione dei locali scolastici avrebbe sullo svolgimento delle attività della scuola come previste nel PTOF. Ove poi il comune avesse già preso le sue decisioni, il dirigente potrebbe/dovrebbe, anche qui opportunamente chiedendo il supporto di una delibera consiliare, presentare al comune una motivata opposizione alla decisione municipale chiedendone il riesame. Qualora poi il comune restasse silente alla richiesta della scuola e nella ipotesi che i locali alla stessa sottratti risultassero essenziali per lo svolgimento dell’attività didattica, il dirigente potrebbe segnalare la questione all’USP di competenza per un intervento sul comune. Non è tema presente nel quesito ma, solo per completezza, ricordiamo che ovviamente l'operazione va fatta coinvolgendo i vari RSPP e adeguando le diverse valutazioni dei rischi.

    Data di pubblicazione: 21/11/2025

  • Richiesta di autorizzazione per attività agricola familiare da parte di un collaboratore scolastico: sussiste incompatibilità?
  • La materia dell'incompatibilità del personale scolastico è regolata dall’art. 53 del D.Lgs. 165/2001. L’art. 53, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 stabilisce, infatti, che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli artt. 60 e segg. del DPR n. 3/1957, che vietano ai lavoratori pubblici l’esercizio di attività commerciali ed industriali, l’esercizio di professioni, l’assunzione di impieghi alle dipendenze di privati e di cariche in società aventi fine di lucro. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale anche il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore delegato di società di capitali (società per azioni, società a responsabilità limitata, società in accomandita per azioni). Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. Ciò premesso, in merito al quesito posto occorre accertarsi, quindi, se tra le "attività industriali" di cui all’art. 60 citato debba essere ricompreso anche l'esercizio dell'attività imprenditoriale agricola o comunque relativa all'esercizio di una azienda agraria. In relazione alla compatibilità dello status di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale con quello di impiegato, la Corte di Cassazione ha affermato che la qualità di impiegato non è logicamente e giuridicamente incompatibile con quella di coltivatore diretto, soprattutto quando la modesta estensione del fondo non renda incompatibile in fatto la possibilità di esercitare una doppia attività e di utilizzare le residue energie lavorative (Cassazione civile, sez. III, 23 agosto 1985, n. 4520; Cassazione civile, sez. lav., 04 marzo 1980, n. 1455). Il pubblico dipendente può essere conduttore di un'azienda agricola di famiglia, di cui è proprietario, purché tale attività non richieda un impegno assiduo, incompatibile, come tale, con lo svolgimento del tempo pieno (T.A.R. Potenza Basilicata 06 marzo 2003 n. 195). Il T.A.R. Veneto - Sede di Venezia - Sez. II - con la Sentenza 19 maggio 2011, n. 858 ha affermato che va esclusa la sussistenza di un’incompatibilità giuridica tra il rapporto di lavoro pubblico a tempo pieno e la qualifica di imprenditore agricolo a titolo professionale, desunta dalla legislazione in materia di pubblico impiego. La compatibilità dell’attività di imprenditore agricolo deve essere valutata, quindi, caso per caso, in relazione alle modalità concrete nelle quali si concretizza. Pertanto, la Cassazione ha affermato che in via generale nulla osta logicamente e giuridicamente che un impiegato dello Stato possa svolgere anche l’attività di coltivatore diretto, e quindi di piccolo imprenditore agricolo. In materia si è pronunciato anche il Dipartimento della Funzione Pubblica con circolare 18 luglio 1997, n. 6/1997 in questi termini: “E' stato prospettato il caso della partecipazione in società agricole a conduzione familiare, situazione diffusa in molte realtà territoriali. A giudizio di questo Dipartimento, l'attività rientra tra quelle compatibili solo se l'impegno richiesto è modesto e non abituale o continuato durante l'anno. Spetta all'amministrazione valutare che le modalità di svolgimento sono tali da non interferire sull'attività ordinaria”. Da ultimo la Cassazione, con l'Ordinanza 01/12/2020, n. 27420, ha affermato che in tema di incompatibilità dei pubblici dipendenti, dalla lettura combinata e complessiva dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 con l'art. 60 del DPR n. 3 del 1957 deriva che si possono distinguere tre ipotesi: 1) attività assolutamente incompatibili: sono le attività inibite, che non si possono esercitare nemmeno con autorizzazione (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 60 etc.); 2) attività consentite: sono le attività per cui non è necessaria l'autorizzazione (indicate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6); 3) attività consentite previa autorizzazione: tutte le altre attività comprese nella sfera di applicabilità dell'art. 53 del TUPI. L'impresa agricola resta comunque un'impresa commerciale ma qualora in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2135 c.c., otterrà lo status di agricola e in quanto tale non sarà assoggettata al fallimento e alle altre procedure concorsuali (ex art. 2221 c.c.) nè obbligata alla tenuta delle scritture contabili (ex art. 2136 c.c.); con il D.Lgs. 20 marzo 2004, n. 99 è stata prevista, all'art. 2, espressamente la "società agricola", che deve svolgere le attività previste per il singolo imprenditore e, sebbene non sia vincolata a qualche forma societaria, deve rispettare alcuni canoni come ad esempio l'espressa qualifica nella ragione sociale o denominazione. Tale tipo di società può essere costituita nella forma di società di persone (società semplici, s.n.c. o s.a.s.), società di capitali (s.r.l. o s.p.a.) e cooperativa e deve essere iscritta al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio. Ciò premesso la disposizione di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, citato art. 60, in un senso più aderente alla realtà attuale, non può che intendersi la stessa riferita anche a tale tipo di impresa agricola con la conseguenza che se il criterio guida è, ai fini della valutazione dell'incompatibilità di una attività extraistituzionale, l'interferenza sull'attività ordinaria del dipendente, anche la partecipazione in imprese agricole è da ritenere incompatibile con un rapporto di lavoro a tempo pieno laddove sussistano i caratteri della abitualità e professionalità, caratteri che la forma societaria prescelta può far presumere. Pertanto, anche alla luce dei principi sopra riportati ed all'ultimo intervento più rigido della Cassazione, il dirigente scolastico deve valutare (richiedendo apposite delucidazioni al dipendente) se l’attività in questione sia oggettivamente tale da non impegnare il dipendente che in modo marginale o comunque non prevalente, e ovviamente al di fuori dell’orario d’ufficio; è escluso, infatti, l’esercizio di attività da parte di un dipendente pubblico tale da arrecare un pregiudizio alla Pubblica amministrazione, in termini di tempo dedicato e di impegno, nel rispetto del principio generale dell’esclusività del rapporto di lavoro pubblico. Conclusivamente la compatibilità dell’attività di imprenditore agricolo deve essere valutata, quindi, caso per caso, in relazione alle modalità concrete nelle quali si realizza e deve essere caratterizzata da mancanza di abitualità. Pertanto in riferimento al quesito posto si ritiene quanto segue: - l'attività imprenditoriale agricola non è assolutamente incompatibile con lo status di pubblico dipendente ma dipende da quanto detto sopra; - ai fini della compatibilità o meno quello che rileva, alla luce della giurisprudenza sopra riportata, è la modalità di esercizio dell'attività agricola (se continuativa è incompatibile).

    Data di pubblicazione: 21/11/2025

  • Gestione delle assenze del personale ATA in istituti con settimana corta: malattia e ferie generano un debito orario?
  • In caso di orario su cinque giorni, se il dipendente è assente in una giornata compresa tra lunedì e venerdì (a qualsiasi titolo: permesso, malattia, festività) in detta giornata si applicherà la disciplina relativa all'istituto contrattuale utilizzato indipendentemente dalle ore lavorative previste in quanto trattasi di istituti fruibili a giornata e non in modalità oraria. Quindi non vi è l'insorgenza di alcun debito orario per il dipendente assente. L'unica particolarità è prevista per la gestione delle ferie. Il MIUR con CM n. 155 del 6 maggio 1989 ha precisato che, indipendentemente dalle turnazioni effettuate (su 6 o su 5 giorni lavorativi), la normale settimana lavorativa del personale scolastico rimaneva stabilita in 6 giorni settimanali, anche rispetto al computo delle ferie di cui al DPR 395/88. Il CCNL 2007 all’art. 13, comma 5, prevede che in caso di distribuzione dell’orario di lavoro del personale ATA su cinque giorni, il sesto è comunque considerato lavorativo ai fini del computo delle ferie e i giorni di ferie goduti per frazioni inferiori alla settimana vengono calcolati in ragione di 1,2 per ciascun giorno. Da quanto sopra risulta pertanto evidente che le ferie annuali del personale ATA, indipendentemente dall’orario settimanale effettuato, devono essere sempre rapportate a 32 giorni effettivi (sul presupposto di dipendente con più di tre anni di servizio prestati a qualsiasi titolo). Solo in caso di ferie usufruite per limitati periodi, meno di 6 giorni nell’arco di un determinata settimana, queste comportano un computo maggiorato del 20%. La norma vuole, evidentemente, non determinare sperequazioni rispetto a coloro che richiedono periodi di ferie al cui interno è collocato il giorno lavorativo in cui i dipendenti non sono in servizio (di norma il sabato) che, come già affermato sopra, deve essere incluso nei 32 giorni di ferie spettanti. Quindi, in caso di orario su cinque giorni settimanali nel caso in cui il lavoratore richieda un solo giorno di ferie o un periodo inferiore alla settimana (ad es. lunedì e martedì; martedì e mercoledì …) questi giorni impediscono al lavoratore di completare l’orario settimanale e quindi vanno calcolati nella misura di 1,2 per ogni giorno. Pertanto 1 giorno singolo di ferie verrà calcolato 1,2 da scomputare dai 32 giorni previsti; - 2 giorni di ferie varranno 2,4 da scomputare dai 32 giorni previsti; - 3 giorni 3,6 da scomputare e così via. L'assunto che, indipendentemente dall'orario settimanale, il monte ferie annuale rimane 32 ( o 30 se trattasi di dipendenti con meno di tre anni di servizio) è confermato dall'Orientamento ARAN Scu 083 del 6 maggio 2014 che riportiamo: "Come si calcolano i giorni di ferie per il personale ATA a tempo indeterminato e con orario di servizio su 5 giorni settimanali? Le ferie del personale ATA vengono regolate dal CCNL 29.11.2007, all’articolo 13, comma 5 in cui viene specificato che nel caso in cui il POF d’istituto preveda la settimana articolata su cinque giorni di lavoro il sesto è considerato lavorativo ai fini del computo delle ferie. In questo modo, è irrilevante per il calcolo delle ferie che la settimana lavorativa di 36 ore sia articolata su cinque o sei giorni. Ferma rimanendo la regola che se il personale ATA è stato assunto da meno di 3 anni ha diritto a 30 giorni di ferie all’anno, che diventano 32, dopo tre anni di contratto."

    Data di pubblicazione: 21/11/2025

  • Richieste continue di accesso agli atti e segnalazioni da parte di un docente non in servizio: obblighi del dirigente scolastico...
  • Preliminarmente, si consiglia di raccogliere e archiviare tutta la corrispondenza trasmessa dall’ex dipendente, compresi i riscontri forniti con le relative ricevute di accettazione e di consegna, compilando anche un elenco con le date e gli orari di ricezione. Ciò potrà evidenziare la persistenza e reiterazione del comportamento. Dal quesito emerge che le comunicazioni trasmesse, che apparentemente sembrano significative per la P.A., si rivelano in realtà prive di fondamento e del tutto pretestuose, inviate al solo scopo di destabilizzare e rallentare il lavoro dell’Amministrazione. Non è tuttavia possibile esimersi dal riscontrarle né dall’operare una previa indagine di fondatezza, solo in ragione della lamentata persistenza, salvo che si tratti di segnalazioni con identico contenuto. Solo qualora venissero trasmesse comunicazioni ripetitive di precedenti segnalazioni o simili tra loro sarebbe possibile non riscontrare, oppure predisporre una risposta standard o, ancora, rispondere ad un gruppo di comunicazioni, anziché ad ogni singola comunicazione, dettagliando l’elenco delle segnalazioni cui si riscontra. Su tale fronte, non ha alcun rilievo la circostanza che il docente non sia più dipendente dell’Istituto. Egli non può però vantare alcun diritto di controllo sulla successiva azione dell’Amministrazione. La situazione dedotta va peraltro distinta dalla posizione dell’allertatore civico (il c.d. “whistelblower”), tutelato dalla L.24/2023 che prevede uno specifico canale di segnalazione e il diritto all’anonimato. Inoltre, la tutela del whistelblower non si estenderebbe in ogni caso alle contestazioni, rivendicazioni o richieste legate ad un interesse di carattere personale della persona segnalante che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro. E’ comunque possibile per la dirigenza tutelarsi, valutando anche se segnalare in modo accuratamente documentato quanto sta accadendo alle forze dell'ordine (Carabinieri o Polizia di Stato), evidenziando tutte le azioni di indagine e riscontro poste in essere sino ad oggi per verificare le segnalazioni, rilevando il sovraccarico di attenzione e impegno che le comunicazioni stanno recando all’Amministrazione, oltre che la pressione psicologica crescente da esse generata. In base al tenore delle missive a al destinatario ivi indicato le reiterate comunicazioni potrebbero anche essere foriere di ansia o di paura e profilare forme di atti persecutori (art.612-bis Cod.Pen.), possibili anche tramite strumenti informatici e telematici, come la PEC. Oltre certi limiti inoltre l'elevato volume di comunicazioni potrebbe anche pregiudicare l'erogazione dei servizi. Riguardo alle richieste di accesso ai procedimenti disciplinari altrui esse vanno del tutto disattese, per mancanza di interesse qualificato ed anche per la tutela della riservatezza dei lavoratori interessati. Si suggerisce di non riscontrare affatto alle richieste di accesso documentale di cui alla L.241/1990, lasciando maturare il silenzio diniego, al fine di non rinforzare ulteriormente il comportamento petulante. Sul punto più volte la giurisprudenza amministrativa ha ricordato che “va accolta una nozione ampia di "strumentalità" del diritto di accesso, nel senso della finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell'atto o del documento del quale si richiede l'accesso, […] in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante" (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 maggio 2017 n. 2269, Sez. III, 16 maggio 2016 n. 1978 e Sez. IV, 6 agosto 2014 n. 4209), che qui non sembra affatto essere presente. Diversamente in caso di istanze di accesso civico generalizzato disciplinato dal D.Lgs.33/2013, ma con esiti identici. In tal caso infatti, non si matura il fenomeno del silenzio assenso e la risposta va fornita, negando comunque ogni ostensione. Sulle limitazioni all'accesso civico generalizzato, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2018 n. 651) ha affermato che, anche dopo l’entrata in vigore delle norme che disciplinano l’accesso civico “generalizzato”, permane un settore “a limitata accessibilità”, nel quale continuano ad applicarsi le più rigorose norme della L. 241/1990. In altri termini, se è vero che ormai è consentito a chiunque di conoscere ogni tipo di documento o di dato detenuto da una pubblica amministrazione (oltre a quelli acquisibili dal sito web dell’ente, in quanto obbligatoriamente pubblicabili), nello stesso tempo, qualora la tipologia di dato o di documento non possa essere resa nota per il pericolo che ne provocherebbe la conoscenza indiscriminata, mettendo a repentaglio interessi pubblici ovvero privati, l’ostensione di quel documento sarà resa possibile solo in favore di una ristretta cerchia di interessati, tranne nelle ipotesi in cui è legislativamente escluso l’accesso documentale, secondo le tradizionali e più restrittive regole recate dalla L. 241/1990.

    Data di pubblicazione: 21/11/2025

  • Alcune questioni legate all'applicazione e alle tempistiche del CCNL 2022-2024 nelle relazioni sindacali d’Istituto...
  • Nuovo CCNL e relazioni sindacali. L’ARAN ha comunicato che in data 5.11.2025 è stata sottoscritta l’IPOTESI di CCNL 2022-2024....

    Data di pubblicazione: 21/11/2025

  • Personale ATA a t.d. in part-time: trattamento delle assenze e impatto sulla copertura delle supplenze...
  • Per quanto concerne i dipendenti in part-time verticale, in diversi Orientamenti per altri Comparti (cfr. M24 -M19 del 24/05/2011 comparto Ministeri), l’ARAN precisa che "il permesso per matrimonio, il congedo parentale, i permessi per maternità e i permessi per lutto, spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi (vedi art. 23, comma 11, del CCNL integrativo del 16 maggio 2001 del Comparto Ministeri)." Elemento comune a tutti questi istituti è la modalità con cui essi vengono conteggiati, ossia facendo riferimento ai giorni di calendario e non ai giorni lavorativi rientranti nel periodo richiesto. Di conseguenza, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e i permessi sono computati con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. La stessa ARAN ha dato un suo preciso orientamento per il comparto Enti Locali RAL 349 anche in merito al congedo per malattia del bambino caso di part-time verticale che di seguito si riporta integralmente. "Come si applica la previsione dell’art. 6, comma 8 del CCNL del 14/09/2000 in caso di congedo per malattia del figlio ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 151/2001? Riteniamo utile precisare quanto segue: 1. in base all'art. 6, comma 8, in presenza di un rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale "Il permesso per matrimonio, l'astensione facoltativa ed i permessi per maternità (tra i quali rientra il congedo per malattia del figlio di cui all'art. 47 del D.Lgs. n. 151/2001) spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi … "; 2. tale regola comporta che la dipendente, ove si determini l'evento preso in considerazione e tutelato nell'ambito di un periodo lavorativo, potrà sicuramente beneficiare dell'istituto secondo i limiti quantitativi stabiliti dal contratto (o dalla legge) assentandosi dal servizio per la durata prevista dalla certificazione medica; tuttavia, poiché la stessa lavoratrice presta la sua attività solo in alcuni giorni della settimana, pur utilizzando 12 giorni di congedo per malattia, (essendo questi previsti come periodo unico e continuativo dalla stessa certificazione medica), riceverà la retribuzione solo per quei giorni all'interno dei 12 per i quali era prevista la sua presenza al lavoro; in sostanza pur consumando 12 giorni (del monte giorni di congedo retribuito previsto dall'art. 17, comma 6, del CCNL del 14/9/2000), si vedrà effettivamente riconosciuto il beneficio solo relativamente al numero ridotto di giorni nei quali doveva rendere la sua prestazione lavorativa. Es.: in data lunedì 1/01/2002, una lavoratrice a tempo parziale verticale, e con l'articolazione dell'orario di lavoro su tre giorni settimanali (lunedì, martedì, mercoledì), si assenta per malattia del bambino, con certificato medico di 12 giorni; applicando quanto sopra detto la lavoratrice utilizza 12 giorni di congedo per malattia del bambino ed ha titolo ad assentarsi fino al giorno venerdì 12 (il periodo è unico e abbraccia anche il sabato e la domenica in esso compresi, secondo le regole comuni alle assenze per malattia); tuttavia, poiché nell'ambito di tale arco temporale la stessa lavoratrice lavora solo il lunedì, martedì e mercoledì di ogni settimana, pur avendo consumato 12 giorni riceverà la retribuzione solo per 6 giorni (lunedì, martedì e mercoledì delle due settimane interessate); naturalmente dopo tale evento la lavoratrice potrà disporre di ulteriori 18 giorni di assenza per malattia del figlio, con la retribuzione limitata ai soli giorni coincidenti con le prestazioni lavorative; 1. quindi, i giorni di congedo per malattia del bambino, pur essendo esclusi in astratto dal riproporzionamento, risultano ugualmente riproporzionati sulla base della corretta applicazione della clausola contrattuale; 2. se in luogo di un unico certificato medico, vengono presentati più certificati medici concernenti periodi di malattia che si saldano fra di loro, l'effetto è lo stesso di quello dell'unico certificato; diverso è il caso in cui la lavoratrice presenti singoli certificati medici concernenti singoli casi di malattia limitati ai soli giorni in cui la lavoratrice avrebbe dovuto prestare servizio (malattia bambino insorta il lunedì con certificato medico di 3 giorni); infatti, in tal caso saranno utilizzati solo 3 giorni del monte giorni a disposizione della lavoratrice". Dello stesso avviso è l'INPS per il settore privato in merito al congedo parentale (cfr. circolare n. 87/1999 - n. 41/2006 - n. 30/2010) ma, con le stesse tutele del congedo per malattia del bambino. Da ultimo l’ARAN, con l’O.A. 13 aprile 2021 CIRS79, per quanto concerne l’esatto computo del periodo di congedo parentale chiesto da un dipendente a tempo determinato in regime di part time verticale, ha ribadito che il calcolo di tale periodo di assenza deve effettuarsi tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nel periodo di congedo richiesto. Premesso che non ci sono precise regole contrattuali per il personale scolastico, alla luce degli Orientamenti ARAN sopra citati, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e il congedo (sia parentale che per malattia del bambino) è computato con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. Pertanto, secondo questi orientamenti le assenze dovute a congedo parentale e malattia del bambino si computano tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nell’intero periodo richiesto. In caso di fruizione frazionata, il periodo di congedo verrà calcolato partendo dal primo giorno lavorativo e concludendo con l’ultimo giorno lavorativo precedente l’effettivo rientro in servizio. Infatti, come detto nelle nostre ultime risposte in argomento, dal momento che non viene previsto il riproporzionamento, teoricamente il dipendente dovrebbe essere considerato in congedo per tutta la durata del periodo richiesto e ciò vale per tutti i periodi di congedo parentale indipendentemente se indennizzati o meno. Per evitare ciò le domande di assenza del dipendente dovrebbero e possono essere riferite solo alle giornate in cui ha servizio a scuola e non per un intero periodo temporale (come per l’appunto effettua nel caso di specie ove le domande di congedo parentale si riferiscono alle sole giornate in cui avrebbe servizio). Unica peculiarità nel caso di tratti di assenza continuativa per malattia personale. Per quanto concerne le assenze per malattia del personale in part-time verticale, l'ARAN con l'orientamento applicativo Comparto Scuola del 27 febbraio 2013, in merito a come debba essere effettuato il computo dei giorni di assenza per malattia, ha specificato che occorre andare a considerare se l’assenza sia giustificata da un unico certificato medico o da più certificati medici rilasciati solo per i giorni per i quali il dipendente in part-time è tenuto a svolgere la prestazione lavorativa, senza ricomprendere le giornate intermedie non lavorate; solo in quest’ultimo caso l’ARAN ritiene che essi vadano considerati separatamente, in quanto attestanti eventi morbosi distinti. Per completezza, va altresì osservato che in nostre risposte precedenti abbiamo sempre applicato il principio del riproporzionamento per le assenze per malattia (cioè di considerare solo i giorni di assenza coincidenti con le giornate di servizio del dipendente) anche a prescindere dal fatto che si fosse in presenza di certificati separati e distinti; a detta modalità di calcolo corrispondeva il riproporzionamento del periodo di comporto che conseguiva, per l’appunto, dal fatto di considerare malattia solo i giorni in cui il dipendente avrebbe servizio con l'Amministrazione indipendentemente dalla unicità o meno del certificato medico. Infatti, l'ARAN con il successivo Orientamento SCU_070 del 14 giugno 2013 ha così precisato: "Il periodo massimo di comporto relativo alle assenze per malattia deve essere rapportato al periodo lavorato presso l’Amministrazione in caso di regime di part-time verticale? ...Sulla base quindi dei principi desumibili dalla normativa di legge, dalla contrattazione collettiva e dalla giurisprudenza (vedi in particolare le sentenze di Cassazione Sez. lavoro, 30/12/2009 n. 27762 e 14 dicembre 1999 n. 14065 che hanno affermato il principio del riproporzionamento del periodo di comporto in caso di part time verticale) si ritiene che il trattamento del lavoratore a tempo parziale verticale debba necessariamente tenere conto della ridotta entità della prestazione lavorativa, relativamente sia ai trattamenti economici per malattia, sia alle assenze dovute a malattia, sia ai permessi retribuiti che al periodo massimo di conservazione del posto, tutti elementi che dovranno essere rideterminati tenendo conto di tale criterio". L'ARAN, con l'Orientamento Applicativo M_256 del 5 aprile 2016 (applicabile analogicamente anche al Comparto Scuola) ha precisato che in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione un principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, avrà ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto); il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto; i periodi di retribuzione intera e ridotta. Nel medesimo Orientamento viene altresì precisato che: "In proposito, si precisa che, ai fini della verifica dell’eventuale superamento del periodo di comporto, vengono presi in considerazione esclusivamente i giorni di malattia coincidenti con quelli in cui il dipendente avrebbe dovuto rendere la prestazione lavorativa. In relazione ai giorni festivi e non lavorativi, ricadenti in tale periodo, si ritiene applicabile la medesima presunzione di continuità, alla quale si ricorre per calcolare il periodo di comporto del personale con rapporto di lavoro a tempo pieno. Sussiste, infatti, un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale, in mancanza di una diversa previsione contrattuale, nel calcolo del periodo di assenza per malattia, devono essere computati anche i giorni festivi o non lavorativi, che ricadano all’interno di tale arco temporale (Cass. Civ., sez. lavoro, sentenza 10/11/2004, n. 21385, sentenza 18/10/2000, n. 13816; sentenza 14/12/1999, n. 14065)". L'ARAN, con Orientamento RAL del 05/06/2011, ha affermato che in conseguenza di tale riproporzionamento del periodo massimo di conservazione del posto, ai fini della verifica del suo eventuale superamento si computano solo i giorni di malattia del lavoratore coincidenti con quelli nei quali, in base all'articolazione dell'orario del rapporto di lavoro a tempo parziale, è tenuto a rendere la sua prestazione lavorativa. Pertanto, alla luce degli Orientamenti ARAN, in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione il principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, ha ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: - il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto) che per i dipendenti della Scuola è disciplinato dall’art. 17 comma 1 del CCNL 2007 e dall'art. 35 del CCNL 2024 per il personale a t.d.); - il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto (o il diverso periodo stabilito per il personale a t.d); - i periodi di retribuzione intera e ridotta (cfr art. 17 comma 8 del CCNL 2007 e art. 35 CCNL 2024 per il personale a t.d.). Ciò premesso, in riferimento al caso di specie, atteso che il dipendente presenta singole richieste di assenza per congedo parentale ( nonché di malattia personale ) sarà considerato assente solo per le giornate in cui avrebbe avuto servizio. Tra l'altro trattasi di assenze a titolo diverso e quindi, a nostro avviso, non essendoci continuità tra gli istituti, le giornate tra il sabato e il martedì ricompresi tra le assenze, sono da considerare neutri. Unica eccezione sarebbe se le giornate del sabato (se trattasi di servizio su settimana corta) e della domenica fossero comprese tra due assenze per malattia personale; in questo caso alla luce di quanto detto sopra anche dette giornate sarebbero imputabili a malattia personale.

    Data di pubblicazione: 21/11/2025

  • Un parere sull'utilizzo del MOF/FIS per il compenso delle funzioni del Team bullismo–cyberbullismo e del Nucleo Interno di Valutazione...
  • La destinazione del Fondo MOF è molto articolata ed è disciplinata dall’art. 78 del CCNL di comparto 2019/21, dove sono definite le diverse destinazioni delle risorse annualmente assegnate a ciascun istituto. Buona parte di queste sono vincolate ad una specifica destinazione, altre sono lasciate alla libera iniziativa delle scuole, comprese quelle relative al FIS e alle economie derivanti dalla contrattazione integrativa dell’anno scolastico precedente, che possono essere usate senza più vincolo di destinazione. A questo va aggiunto che il FIS fa ancora riferimento all’art. 88 del CCNL di comparto del 2007, dove si prevede che: “Le attività da retribuire, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, sono quelle relative alle diverse esigenze didattiche, organizzative, di ricerca”. Al successivo comma 2, punto d) si aggiunge che sono altresì retribuibili: “le attività aggiuntive funzionali all’insegnamento. Esse consistono nello svolgimento di compiti relativi alla progettazione e alla produzione di materiali utili per la didattica, con particolare riferimento a prodotti informatici e in quelle previste dall’art.29, comma 3 - lettera a) del presente CCNL eccedenti le 40 ore annue. Per tali attività spetta un compenso nelle misure stabilite nella Tabella 5;”. Al successivo punto k) si aggiungono anche i “compensi per il personale docente, educativo ed ATA per ogni altra attività deliberata dal consiglio di circolo o d’istituto nell’ambito del POF;”. Spetta dunque al dirigente scolastico, nelle vesti di parte pubblica, stabilire quali attività, singole o di gruppo, meritino di essere comprese nella sua proposta di contratto integrativo d’istituto che deve poi essere sottoposta alla parte sindacale in apertura della trattativa annuale. È lo stesso CCNL, infatti, che prevede che le materie di carattere normativo abbiano una vigenza triennale, mentre quelle di carattere economico (CCNL art. 30, comma 4, lettere c2, c3, c4) possono essere contrattate con cadenza annuale. Quindi con il Fondo MOF, e in particolare con il budget del FIS integrato con le economie dell’anno scolastico precedente, possono essere retribuite le attività di carattere didattico ed organizzativo che maggiormente incidono sulla qualità del servizio scolastico erogato. In particolare sia il Team di docenti che si occupano della prevenzione e il contrasto di bullismo e cyberbullismo, che il Nucleo Interno di Valutazione svolgono un fondamentale lavoro di analisi, di progettazione, di produzione di materiali, di input di varia natura, che hanno una reale e qualificata ricaduta sull’elaborazione del PTOF e quindi sulla qualità dell’offerta formativa. Quindi si tratta di attività che hanno tutte le caratteristiche necessarie per essere valorizzate attraverso la corrispondenza di un compenso, calcolato in ore di effettivo impegno aggiuntivo all’orario di servizio o in forma forfetaria. Pertanto il lavoro di entrambi i gruppi rientra sicuramente tra le attività "aggiuntive, ulteriori e finalizzate al miglioramento dell’offerta formativa", considerato il loro carattere di supporto ai processi organizzativi, progettuali e di valutazione dell’istituzione scolastica, e dunque può essere oggetto di specifica retribuzione accessoria. Il compenso effettivo, formulato in forma di ipotesi nell’ambito della proposta iniziale presentata dalla parte pubblica al tavolo sindacale, dovrà essere concordato dalle parti in fase di trattativa, tenendo conto di tutte le altre esigenze scaturenti dalla pianificazione didattica dell’istituto e dalla complessità del modello organizzativo adottato, nel quale devono trovare adeguato spazio anche i gruppi di lavoro organizzati all’interno del collegio docenti.

    Data di pubblicazione: 21/11/2025

  • Obbligo di defibrillatori nei plessi scolastici e formazione BLSD del personale: facciamo il punto...
  • Si ritiene opportuno sottolineare preliminarmente che la Legge 4 agosto 2021, n. 116, sancisce l’obbligo di dotarsi dei defibrillatori semiautomatici e automatici (DAE) per le Pubbliche Amministrazioni, quindi anche per le scuole di ogni ordine e grado e università, che abbiano almeno 15 dipendenti e, in ogni caso, se “aperte al pubblico”; una condizione, quest’ultima, che si verifica quotidianamente nei plessi scolastici durante lo svolgimento dell’attività scolastica. Si osserva, inoltre, che nell’Allegato A al DPCM 23 ottobre 2024, al punto “5. Risorse assegnate e modalità di accesso al finanziamento”, è precisato che: “Il programma pluriennale per favorire la progressiva diffusione e l’utilizzazione dei DAE ha durata di cinque anni, a partire dal 2021 fino al 2025, per un importo complessivo pari a10 milioni di euro.” Ne consegue che i DAE divengono obbligatori entro il 31 dicembre 2025 presso ogni plesso delle scuole dell’infanzia, scuole primarie, secondarie di primo e secondo grado e dell’università (oltre che presso: aeroporti, stazioni ferroviarie e porti, ma anche a bordo di aerei, treni, navi, sui mezzi di trasporto pubblici a lunga percorrenza che prevedono tratte di almeno due ore continuative senza possibilità di fermate intermedie, ecc.). Per quanto concerne la seconda domanda: “Quali sono gli obblighi relativi alla formazione BLSD per il personale scolastico?”, si osserva, come sottolineato in precedenti risposte ad analoghi quesiti, che il DPCM del 23 ottobre 2024, attuativo della Legge 4 agosto 2021, n.116, assegna, per favorire la progressiva diffusione e l’utilizzazione dei DAE, le risorse per l’acquisto dei DAE e per la formazione. Al punto “4. Definizione del programma pluriennale”, dell’Allegato A al citato DPCM, viene posto in rilievo che: - “Al fine di favorire la diffusione dei DAE, le regioni predispongono il piano di utilizzo delle risorse assegnate secondo le dotazioni annuali previste nell'allegato B, in conformità all'art. 1 della legge 4 agosto 2021, n. 116, e alle indicazioni contenute nel presente programma, […]”; - “La progressiva diffusione e l'utilizzazione dei defibrillatori semiautomatici e automatici esterni (DAE) deve avvenire, con priorità per le scuole di ogni ordine e grado, per le università e per le istituzioni dell'AFAM, nei luoghi e sui mezzi di trasporto di seguito indicati […]”. Al punto “7. Formazione”, dello stesso Allegato A viene precisato: “Ai fini della formazione del personale è opportuno individuare i soggetti che all'interno della struttura, per disponibilità, presenza temporale e presunta attitudine appaiono più idonei a svolgere il compito di first responder. La presenza di almeno una persona formata all'utilizzo del defibrillatore è auspicabile durante l'orario di apertura della struttura. Il numero di soggetti da formare è strettamente dipendente dal luogo in cui è posizionato il DAE e dal tipo di organizzazione presente. In ogni caso si ritiene che per ogni DAE venga formato un numero sufficiente di persone. I corsi di formazione metteranno in condizione il personale di utilizzare con sicurezza i DAE e comprendono l'addestramento teorico-pratico alle manovre di BLSD (Basic Life Support and Defibrillation), anche pediatrico quando necessario. I corsi sono effettuati da centri di formazione accreditati dalle singole regioni secondo specifici criteri e sono svolti in conformità alle linee guida nazionali del 2003, di cui al richiamato Accordo Stato-regioni del 27 febbraio del 2003, così come integrate dal decreto ministeriale 18 marzo 2011. Per il personale formato deve essere prevista l'attività di retraining ogni due anni. “ Pertanto, il Dirigente scolastico/datore di lavoro è tenuto a designare e formare in ciascun plesso (formazione di almeno 5 ore, con validità di 2 anni, seguita da corso di aggiornamento della durata di 3 ore) un’adeguata squadra di lavoratori, docenti e personale ATA, in grado di utilizzare il DAE in caso di emergenza per garantire una copertura efficace durante l’orario scolastico e le attività extracurriculari.

    Data di pubblicazione: 21/11/2025

  • Docente con età pensionabile ma priva del requisito contributivo: va trattenuta in servizio?
  • Abbiamo una richiesta di trattenimento in servizio da parte di una nostra docente che al 31/08/2026 avrà un'età di 67 anni, è nata il...

    Data di pubblicazione: 21/11/2025

  • Un docente richiede le ferie nei giorni di lezione presentando una motivazione generica: come procedere?
  • Per quanto concerne i tre giorni di permesso per motivi personali (art. 15, co. 2 CCNL 2007) si ricorda che la Cassazione, con l'Ordinanza 13 maggio 2024, n.12991, nel confermare la sentenza della Corte di Appello, ha affermato che la disciplina prevista dall’art. 15, comma 2, del CCNL 2007, essendo formulata in termini tali da richiedere che il diritto a tre giorni di permesso retribuito riconosciuto al dipendente, a domanda, nell’anno scolastico, sia subordinato alla ricorrenza di motivi personali o familiari che il dipendente è tenuto a documentare anche mediante autocertificazione, riflette l’esigenza che si tratti pur sempre di un motivo idoneo a giustificare l’indisponibilità a rendere la prestazione. Ciò comporta che quel motivo sia adeguatamente specificato e che il dirigente al quale è rimessa la concessione abbia il potere di valutarne l’opportunità sulla base di un giudizio di bilanciamento delle contrapposte esigenze, condizione nel caso di specie oggetto dell'intervento della Cassazione, non è stata ritenuta riscontrabile, non risultando dalla motivazione addotta a giustificazione della richiesta (dover accompagnare la moglie fuori città) specificata e documentata, anche sulla base di una mera autocertificazione, l’esigenza dell’assenza dal lavoro. Pertanto, come si può osservare, i principi affermati ora dalla Suprema Corte sono totalmente diversi da quelli alla base delle precedenti Sentenze di merito che abbiamo citato nelle nostre precedenti risposte. In definitiva, nel caso di specie la Cassazione ha confermato la Sentenza della Corte di Appello - a sua volta confermativa della decisione di primo grado - che ha ritenuto legittimo il provvedimento del dirigente scolastico di diniego di un permesso per motivi personali o familiari, rientrando nella discrezionalità dirigenziale l’apprezzamento delle ragioni di opportunità in ordine alla concessione della giornata di astensione dal lavoro. In sostanza, secondo il nuovo orientamento giurisprudenziale, vi è la necessità di motivare, adeguatamente e specificatamente, le richieste di permesso; in assenza di motivazione o se la motivazione non è adeguata a giustificare l’indisponibilità del lavoratore a rendere la prestazione, il permesso può essere negato. Per quanto concerne, invece, i sei giorni di ferie durante il periodo delle lezioni si rappresenta quanto segue. Il c. 54 della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012) prevede che il personale docente (senza distinzione alcuna tra personale a tempo indeterminato e personale a tempo determinato) fruisce delle ferie nei giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali, ad esclusione di quelli destinati agli scrutini, agli esami di Stato e alle attività valutative. Durante la rimanente parte dell'anno la fruizione delle ferie per i docenti è consentita per un periodo non superiore a sei giornate lavorative subordinatamente alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvale senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Ai sensi del successivo comma 56, peraltro, le clausole contrattuali contrastanti sono disapplicate dal 1° settembre 2013. La dichiarazione congiunta n. 2 al CCNL 2024 prevede che "Resta fermo, inoltre, anche quanto previsto dall’art. 1, commi 54, 55 e 56 della legge n. 228 del 2012". Alla luce di questo disposto, a nostro avviso, quando un docente chiede di poter fruire di giorni di ferie durante il periodo delle lezioni, deve presentare il piano delle sostituzioni. Secondo l’interpretazione sostenuta costantemente nei pareri presenti in banca dati, per i docenti la possibilità di fruire dei sei giorni di ferie facendo ricorso ai motivi familiari o personali ai sensi dell'art. 15, c. 2, CCNL “comparto scuola” 2007 è esclusa dalla previsione introdotta dalla Legge di Stabilità nell'ipotesi in cui comporti oneri per la scuola. Infatti, ai sensi dell'art. 13, c. 9, dello stesso CCNL del 2007 per il personale docente la fruibilità dei predetti sei giorni era subordinata alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvaleva senza oneri aggiuntivi anche per l'eventuale corresponsione di compensi per ore eccedenti, salvo quanto previsto dall’art. 15, c. 2. Quest’ultimo tuttora prevede che per motivi personali e familiari sono fruiti i sei giorni di ferie durante i periodi di attività didattica di cui all’art. 13, c. 9, prescindendo dalle condizioni previste in tale norma. Quindi, prima della legge di stabilità del 2013 il ricorso ai motivi personali serviva per richiedere le ferie indipendentemente dal fatto che vi fosse la possibilità di sostituzione senza oneri aggiuntivi. Tuttavia, stante il tenore letterale della stessa e la disapplicazione delle norme contrattuali contrastanti, si ritiene che per i docenti la possibilità di fruire dei sei giorni di ferie facendo ricorso ai motivi familiari o personali ai sensi dell'art. 15, c. 2, CCNL del 2007, con oneri a carico dello Stato, sia adesso esclusa. In altri termini, si ritiene che i docenti possano fruire dei sei giorni di ferie durante il periodo delle lezioni (o nei periodi in cui è impegnato in scrutini, esami, o attività collegiali) solo se la scuola è in grado di sostituire senza oneri. Trattasi di nostra interpretazione, per noi ampiamente motivata, che non esclude, stante la mancanza di indicazioni ufficiali, che sullo stesso argomento vi possano essere anche interpretazioni differenti a livello sindacale e a livello anche di Uffici Regionali. Ad esempio l’USR Calabria si è espresso in senso contrario mentre in senso conforme alla nostra interpretazione si è espresso l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Umbria con Parere del 20 gennaio 2015, con il quale è stato precisato che a decorrere dal 1° settembre 2013, i sei giorni di ferie che i docenti possono chiedere durante il periodo delle lezioni possono essere fruiti, (sia cioè che siano chiesti come ferie, che in aggiunta ai tre giorni di permessi retribuiti) solo a condizione che non si determinino oneri per l'erario. Con Avviso del giugno 2018, il MIUR ha adeguato il SIDI alla possibilità di inserire nel codice PE03 (assenze per motivi personali o familiari) anche ulteriori 6 giorni di ferie. Più specificamente nell'Avviso si legge che per il codice PE03 (PERMESSO PER MOTIVI PERSONALI O FAMILIARI) è stata recepita la richiesta di poter inserire a sistema i sei giorni di ferie eventualmente commutati in permessi personali. Si precisa che il sistema non effettuerà nessun tipo di controllo in relazione al numero di giorni di ferie. Inoltre sarà a cura dell’utente valorizzare il sub-codice corretto nel caso si tratti dei giorni di ferie utilizzati come permesso personale. Ad ogni modo la nostra interpretazione ha trovato conferma anche in parte della giurisprudenza di merito ( che comunque, in attesa di un pronunciamento della Cassazione, è divisa). Infatti, il Tribunale di Terni (Sentenza 26/06/2017, n. 232) ha affermato la correttezza del provvedimento del DS di rigetto della richiesta di un giorno di ferie da usufruire al di fuori del periodo di sospensione delle attività didattiche stabilito dal calendario scolastico sul presupposto che ciò avrebbe comportato un maggior onere economico per la scuola, in conformità a quanto previsto dall’art. 1, comma 56, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013), che aveva subordinato la fruizione delle ferie al di fuori dei periodi di sospensione delle lezioni alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvalesse senza che venissero a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica (La sentenza è stata confermata dalla decisione della Corte d'Appello di Perugia sezione lavoro n. 106/19). La Corte Appello di Bari , con la sentenza 23 gennaio 2023, ha ribadito che i docenti possono fruire delle ferie durante il periodo delle attività didattiche solo se vi è sostituzione senza oneri Questi i passaggi della Sentenza. La legge di stabilità per il 2013 (l. n. 228 del 2012), all’art. 1, detta disposizioni specifiche che consentono di ritenere superato il meccanismo di fruizione – nel periodo di svolgimento delle attività didattiche – delle ferie “convertibili” in permessi disciplinato dal contratto collettivo. Ed infatti: A) il comma 54 dell’art. 1 cit. stabilisce: «Il personale docente di tutti i gradi di istruzione fruisce delle ferie nei giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali, ad esclusione di quelli de-stinati agli scrutini, agli esami di Stato ed alle attività valutative. Durante la rimanente parte dell’anno la fruizione delle ferie è consentita per un periodo non superiore a sei giornate lavorative subordinatamente alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvale senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica»; B) il successivo comma 56, a sua volta, prevede: «Le disposizioni di cui ai commi 54 e 55 non possono essere derogate dai contratti collettivi di lavoro. Le clausole contrattuali contrastanti sono disapplicate dal 1° settembre 2013». Orbene, tra le “clausole contrastanti” suscettibili di disapplicazione ex lege rientra indubbiamente quella contenuta nell’art. 13, comma 9, del CCNL del 2007, che consentiva al dipendente, per motivi familiari e personali documentati anche mediante una semplice autocertificazione, di usufruire (oltre che di tre giorni di permesso) fino a sei giorni di ferie nel corso dell’anno scolastico, prescindendo dalle condizioni previste dall’art. 15 dello stesso contratto, ossia a indipendentemente dalla possibilità di sostituzione del docente e senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. A tale interpretazione deve pervenirsi in aderenza al chiaro disposto normativo della citata legge di stabilità per il 2013, la quale non consente più la distinzione tra ferie per motivi personali e/o familiari e ferie in senso stretto ai fini della fruizione delle stesse durante il periodo dedicato alle attività didattiche, ma subordina in ogni caso (con espressa previsione di disapplicazione delle clausole contrattuali contrarie) la fruizione delle ferie durante il periodo delle lezioni, degli scrutini, degli esami di Stato e delle attività valutative, alla condizione che sia possibile sostituire il personale che se ne avvale e comunque senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Del resto, se così non fosse, la disciplina di cui ai commi 54 e 56 dell’art. 1 della l. n. 228 del 2012, intesa come riguardante la sola disposizione di cui all’art. 13, comma 9, del CCNL del 2007, non avrebbe avuto alcun senso, dato che già quest’ultima norma contrattuale – come visto – subordina la concessione dei sei giorni di ferie, al di fuori del periodo di sospensione delle attività didattiche, alla condizione che non vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Il godimento di ferie non autorizzate è idoneo a configurare assenza ingiustificata; tuttavia anche in relazione a tale ipotesi vige il principio consolidato secondo il quale la valutazione della proporzionalità tra il comportamento illecito del lavoratore dipendente e la sanzione irrogata sul piano disciplinare costituisce un apprezzamento di fatto che deve essere condotto non in astratto ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, inquadrando l’addebito nelle specifiche modalità del rapporto e tenendo conto non solo della natura dei fatto contestato e del suo contenuto obiettivo ed intenzionale, ma anche di tutti gli altri elementi idonei a consentire l’adeguamento della disposizione normativa dell’art. 2119 c.c. alla fattispecie concreta. A questo punto, se si aderisce alla nostra interpretazione sopra esposta e richiamata in tutte le nostre precedenti risposte, il docente se chiede ferie durante il periodo delle lezioni queste devono essere senza oneri (e quindi senza possibilità di nomina del supplente) e deve essere il docente in autonomia ad individuare il sostituto senza oneri e detto compito non può essere delegato alla scuola. In mancanza di una sostituzione senza oneri non potranno essere autorizzati i giorni di ferie richiesti durante il periodo delle lezioni.

    Data di pubblicazione: 20/11/2025

  • Accoglienza di docenti e studenti stranieri negli scambi scolastici: cosa può finanziare la scuola?
  • La gestione amministrativa degli scambi culturali/gemellaggi può presentare delle criticità, specialmente per quanto riguarda le eventuali spese di ospitalità dei docenti accompagnatori stranieri. Il timore che le spese alberghiere per i docenti accompagnatori della scuola estera vengano considerate spese - non giustificabili - di "rappresentanza" è fondato, data la rigida normativa in materia. Infatti, le spese per l'ospitalità alberghiera e i pasti dei docenti accompagnatori stranieri, in assenza di specifici progetti finanziati (come ad esempio i fondi europei Erasmus+), rientrano nella categoria di spese di rappresentanza o di ospitalità che, per le scuole statali, sono spesso considerate non ammissibili, o comunque soggette a limitazioni molto severe. Come detto in precedenti risposte, la Corte dei Conti si è più volte espressa, in modo molto chiaro, in merito alla natura delle spese che possono rientrare nel concetto di "Spesa di rappresentanza" e all'importanza per le Pubbliche Amministrazioni di dotarsi di uno specifico Regolamento in merito. Infatti, anche nella recente Deliberazione n. 166/2021/SRCPIE/PRSP, la Sezione regionale di controllo per il Piemonte ha ribadito che: "Il Collegio prende atto e, in argomento, ricorda che le spese di rappresentanza assolvono ad una funzione rappresentativa dell’Ente, e, cioè, si sostanziano in quelle spese che, in stretta correlazione con le finalità istituzionali dell’ente, soddisfano l’obiettiva esigenza dello stesso di manifestare se stesso, e le proprie attività, all’esterno e di mantenere ed accrescere il prestigio dell’ente nel contesto sociale in cui si colloca (carattere dell’inerenza); nonché l’interesse di ambienti e soggetti qualificati, per il migliore perseguimento dei propri fini istituzionali e per i vantaggi che, ad esso o alla comunità amministrata, derivano dall’essere conosciuto e apprezzato nella propria attività di perseguimento del pubblico interesse (carattere dell’ufficialità). La violazione di tali criteri comporta l’illegittimità della spesa sostenuta dall’Ente per finalità che fuoriescono dalla rappresentanza. Sotto il profilo gestionale, l’economicità e l’efficienza dell’azione della pubblica amministrazione impongono il carattere della sobrietà e della congruità della spesa di rappresentanza sia rispetto al singolo evento finanziato, sia rispetto alle dimensioni e ai vincoli di bilancio dell’ente locale che le sostiene. Pur in mancanza di norme di legge che stabiliscono criteri e condizioni per la legittima effettuazione delle spese di rappresentanza, la giurisprudenza contabile ha enucleato i tratti distintivi delle stesse precisando che: • esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere il prestigio dell’ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali; • non rivestono finalità rappresentative verso l’esterno le spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all’Ente che le dispongono; • non devono porsi in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 della Costituzione.” Dall’esame della copiosa giurisprudenza contabile, che ha un approccio alquanto rigoroso in materia (ex multis Corte conti, Sez. I, 22 marzo 2001, n. 74, Corte dei conti Piemonte - Sezione controllo - Delibere n. 116/2018, n. 63/2020, n. 166/2021, Corte dei conti Lombardia, Delibera n. 6/2021) emerge dunque che determinano responsabilità erariale le spese - che non costituiscono “spese di rappresentanza” ma che vengono dalla PA inquadrate come tali, in ordine a: • atti di mera liberalità; • spese di ospitalità effettuate in occasione di visite di soggetti in veste informale o non ufficiale; • omaggi, pranzi o rinfreschi offerti ad Amministratori o dipendenti; • spese connesse con l’attività politica volte a promuovere l’immagine degli amministratori e non l’attività o i servizi offerti alla cittadinanza. Tanto premesso, è nostro avviso che sia ammissibile pagare con fondi di bilancio solo l’organizzazione di quegli eventi conviviali strettamente finalizzati “a mantenere o accrescere il prestigio dell’ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali”. Ci può stare, ad esempio, l'open day, ci possono stare cerimonie che hanno una valenza istituzionale con enti esterni, ci possono rientrare iniziative di ospitalità e accoglienza di scuole europee (come potrebbe anche prefigurarsi il caso in trattazione). Questi sono alcuni esempi. Data la delicatezza della questione, ci permettiamo di suggerire all’Istituto di dotarsi di apposito regolamento, come auspicato dalla Corte dei Conti, che individui con esattezza l’elenco degli eventi rientranti nella fattispecie ammissibile. Per garantire l'ospitalità dei docenti accompagnatori della scuola estera, mantenendo la correttezza amministrativa, riteniamo si possano adottare soluzioni alternative, che ci permettiamo di suggerire: - l'accordo di gemellaggio o scambio potrebbe prevedere un principio di reciprocità finanziaria, in cui ciascuna scuola (italiana ed estera) si fa carico delle spese dei propri docenti quando si trovano all'estero. In tal caso, la scuola italiana non dovrebbe sostenere alcuna spesa di ospitalità. - Potrebbe essere richiesto il sostegno logistico all’Ente locale competente, Comune o Provincia (es. uso di strutture comunali o provinciali). - Potrebbero essere stipulate apposite convenzioni con scuole dotate di convitto o strutture pubbliche (es. foresteria dell’università), presenti sul territorio, che possano ospitare i docenti stranieri gratuitamente. - In ultimo, riteniamo che andrebbe considerata anche la possibilità (se accettata dai docenti e dalle famiglie coinvolte) di estendere l'ospitalità in famiglia anche ai docenti. Concludiamo aggiungendo che le regole generali sullo svolgimento degli scambi, gemellaggi, viaggi di istruzione, ecc., vengono di norma disciplinate da apposito Regolamento, deliberato ai sensi dell’art. 10, comma 3 lett. e), del D.Lgs. n. 297/1994, nel quale il Consiglio di Istituto può stabilire opportuni criteri per la copertura delle spese, tenuto conto, sempre e comunque, dei limiti e delle condizioni previste dalla normativa vigente.

    Data di pubblicazione: 20/11/2025

  • Pagamento errato su NoiPA per gli esami di Stato: modalità di recupero della somma versata a un docente non in servizio...
  • Per mero errore materiale il nostro istituto ha autorizzato sulla piattaforma noipa il pagamento per esami di stato ad un nominativo sbagliato...

    Data di pubblicazione: 20/11/2025

  • Utilizzo del contributo volontario delle famiglie: vincolo di destinazione e ammissibilità delle spese per acquisto di materiale didattico...
  • La Nota MIUR del 20 marzo 2012, n. 312, concernente Indicazioni in merito all’utilizzo dei contributi scolastici delle famiglie, precisa che “il contributo […] non potrà riguardare lo svolgimento di attività curricolari” e che “le risorse raccolte con contributi volontari delle famiglie devono essere indirizzate esclusivamente ad interventi di ampliamento dell’offerta culturale e formativa e non ad attività di funzionamento ordinario e amministrativo che hanno una ricaduta soltanto indiretta sull’azione educativa rivolta agli studenti” (sul tema si tenga presente anche la Nota MIUR del 7 marzo 2013, n. 593, concernente Richiesta di contributi scolastici alle famiglie). Risulta, comunque, fondamentale la previa informazione alle famiglie in merito all’utilizzo programmato del contributo proveniente dagli esercenti la responsabilità genitoriale non finalizzato e la rendicontazione sull’effettivo utilizzo. Proprio a tal proposito il D.I. 129/2018 prescrive che “al programma annuale è allegata una relazione illustrativa, che descrive dettagliatamente gli obiettivi da realizzare […] La relazione evidenzia, altresì, in modo specifico, le finalità e le voci di spesa cui vengono destinate le entrate derivanti dal contributo volontario delle famiglie, nonché quelle derivanti da erogazioni liberali, anche ai sensi dell'articolo 1, commi 145 e seguenti della legge n. 107 del 2015, e quelli reperiti mediante sistemi di raccolta fondi o di adesione a piattaforme di finanziamento collettivo[…]” (art. 5, c. 7) e che in merito al conto consuntivo “la relazione illustrativa della gestione evidenzia, altresì, in modo specifico le finalità e le voci di spesa cui sono stati destinati i fondi eventualmente acquisiti con il contributo volontario delle famiglie, nonché quelli derivanti da erogazioni liberali, anche ai sensi dell'articolo 1, commi 145 e seguenti della legge n. 107 del 2015 e quelli reperiti ai sensi dell'articolo 43, comma 5” (art. 23, c. 1). In riferimento al quesito posto, noi diamo sempre lo stesso suggerimento prudenziale, da anni. Si ritiene, pertanto, che l’utilizzo delle risorse derivanti dal contributo volontario dei genitori sia ammissibile qualora, come indicato nella relazione allegata al programma annuale, le spese che si intendono finanziare con il contributo stesso rientrino nelle previsioni sopra indicate (in sostanza, certamente anche spese per acquisto di materiali che siano però davvero utili per realizzare attività didattiche e formative non ordinarie, ma di ampliamento dell’offerta formativa). Sappiamo bene che le Istituzioni scolastiche, sul punto, sono abbastanza elastiche e flessibili, a volte anche "debordando" dai suddetti "confini", ma almeno la forma va sempre assolutamente salvata.

    Data di pubblicazione: 20/11/2025

  • Incontri scuola-famiglia alla presenza di un legale: obblighi e margini di discrezionalità del dirigente scolastico...
  • Nella scuola da me diretta una famiglia di scuola primaria chiede un incontro con lo scrivente alla presenza del loro legale di fiducia...

    Data di pubblicazione: 20/11/2025

  • Gestione di una segnalazione di presunto bullismo: procedure di accesso agli atti, tutela dei controinteressati e limiti di ostensione dei dati personali...
  • La segnalazione proveniente dai genitori della “presunta vittima” è un atto ufficiale, sulla scorta del quale la scuola ha attivato le iniziative di competenza. A quanto consta, inoltre, la segnalazione riguarda la posizione soggettiva dei nove incolpati piuttosto che quella della bambina che avrebbe subito le “aggressioni”. Non constano nemmeno informazioni sulla sfera privata dei genitori segnalanti, che devono assumersi la responsabilità di quanto sostenuto nel documento. In senso tecnico, infatti, il segnalante non è un controinteressato ai sensi dell’art.22 della legge n. 241/1990. Ancorché nel variegato panorama giurisprudenziale non manchino certamente orientamenti diversi dal nostro (ad esempio circa il nominativo del soggetto che firma la segnalazione), la redazione ritiene condivisibili le considerazioni svolte in materia dal TAR Veneto (T.A.R. Veneto Venezia, Sez. III, 04/10/2024, n. 2319) secondo cui chi subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d'iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, non essendovi, alla luce del quadro normativo di riferimento, ostacoli a tale diritto di accesso. Secondo il TAR Veneto, inoltre, l'ordinamento non offre tutela alla segretezza delle denunce, a meno che la comunicazione del nominativo del denunciante non si rifletta negativamente sullo sviluppo dell'istruttoria, il che può unicamente giustificare il differimento del diritto di accesso, ma non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti. Invero, l'esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell'Amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un'attività, e, di conseguenza, il denunciante perde consapevolmente la disponibilità sulla propria segnalazione. Quest'ultima, infatti, diventa un elemento del procedimento amministrativo e come tale nella disponibilità dell'Amministrazione. La sua divulgazione, pertanto, non è preclusa da generiche esigenze di tutela della riservatezza, giacché il già menzionato diritto non assume un'estensione tale da includere il diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi. Qualora per scrupolo, si volesse estendere notizia dell’accesso (ex art.3 del DPR 184/2006) ai segnalanti come controinteressati, ricordiamo che comunque l’eventuale opposizione non sarebbe in alcun modo vincolante per il Dirigente, che comunque resterebbe "con il cerino in mano", vale a dire nella posizione comunque di dover scegliere che fare. Tutto ciò premesso, in considerazione dell’età degli allievi interessati dalla vicenda e, quindi, della necessità / opportunità di superare le criticità segnalate mediante specifici interventi di natura educativa prima ancora che sanzionatori, si suggerisce di valutare di indire una riunione tra i genitori coinvolti, in presenza del personale docente, per favorire un confronto sereno. Tale opzione renderebbe financo superflua l’istruttoria del procedimento di accesso e favorirebbe un approccio meno burocratico alla questione sostanziale. Se questo non è possibile, a quanto già esposto sull'accesso in materia di controinteressati, aggiungiamo che noi proponiamo sempre, nelle nostre risposte, un approccio graduale: - prima concessione dell'atto anonimizzato; - se l'istante insiste, formalmente e motivatamente, evidenziando che così non può difendersi, concessione di copia non anonimizzata.

    Data di pubblicazione: 19/11/2025

  • Richiamo verbale al personale ATA: procedure di comunicazione, annullamento della sanzione e gestione degli atti nel fascicolo...
  • Nei casi di richiamo verbale per il personale ATA esiste una procedura specifica di comunicazione oltre alla convocazione e firma dell'addebito...

    Data di pubblicazione: 19/11/2025

  • Organizzazione del lavoro agile e da remoto per il personale ATA: criteri di pianificazione delle giornate lavorative e ruolo del DS...
  • Circa il lavoro agile il CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 precisa: - “La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno dei locali della sede dell’ufficio al quale il dipendente è assegnato e in parte all’esterno di questi, senza una postazione fissa e predefinita, entro i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale” (art. 11, c. 2); - l’accordo individuale deve contenere “modalità di svolgimento della prestazione lavorativa fuori dalla sede abituale di lavoro, con indicazione delle giornate di lavoro da svolgere in sede e di quelle da svolgere a distanza, ferma restando la possibilità di adeguare la calendarizzazione alle esigenze operative che di volta in volta possono presentarsi” (art. 13, c. 1, lettera c)). Con riferimento al lavoro da remoto, il CCNL vigente stabilisce: - “Il lavoro a distanza può essere prestato anche con vincolo di tempo e nel rispetto dei conseguenti obblighi di presenza derivanti dalle disposizioni in materia di orario di lavoro, attraverso una modificazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa che comporta la effettuazione della prestazione in luogo idoneo e diverso dalla sede dell'ufficio al quale il dipendente è assegnato” (art. 16, c. 1); - in forza del rinvio contenuto nell’art. 16, c. 6, anche in questo caso l’accordo individuale deve contenere “modalità di svolgimento della prestazione lavorativa fuori dalla sede abituale di lavoro, con indicazione delle giornate di lavoro da svolgere in sede e di quelle da svolgere a distanza, ferma restando la possibilità di adeguare la calendarizzazione alle esigenze operative che di volta in volta possono presentarsi” (art. 13, c. 1, lettera c))”. Inoltre, occorre tenere presente che, in base all’art. 30, c. 9, lettera b5) del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021, “i criteri generali delle modalità attuative del lavoro agile e del lavoro da remoto nonché i criteri di priorità per l’accesso agli stessi” sono oggetto di (informazione ed eventuale) confronto con la parte sindacale. Da quanto precede si evince che: - il dirigente scolastico non è obbligato ad adottare un regolamento circa il lavoro a distanza. Risulta necessario, per contro, che comunichi “i criteri generali delle modalità attuative del lavoro agile e del lavoro da remoto nonché i criteri di priorità per l’accesso agli stessi” alla parte sindacale e che ad essi si attenga nella stipula degli accordi individuali con i singoli lavoratori; - non vi è una regola predeterminata sul numero di giorni da svolgersi in presenza o a distanza, essendo lo stesso rimesso all’apprezzamento del dirigente alla luce delle esigenze organizzative dell’istituzione scolastica. Una volta stabilito, il dirigente è tenuto a farne oggetto, come detto, di informazione ed eventuale confronto con la parte sindacale; - la possibilità di svolgere tutti i giorni non festivi in modalità a distanza, nel periodo di sospensione delle lezioni per le festività natalizie, dipende da diversi fattori. Innanzitutto, dipende dal limite massimo di giorni di lavoro a distanza (su base settimanale/plurisettimanale/mensile) eventualmente stabilito dal dirigente e comunicato alle parti sindacali in sede di informazione; in secondo luogo, dalle esigenze di servizio e dalla sussistenza o meno di attività indifferibili da svolgersi in presenza. L'accesso al lavoro a distanza deve essere compatibile con le esigenze e l’organizzazione del lavoro. Attività come quelle che richiedono la consultazione di documenti cartacei d’archivio o strumentazioni presenti in sede o la interazione con altre persone in presenza (si pensi, a titolo esemplificativo, al ricevimento al pubblico o alla manutenzione del materiale tecnico-scientifico-informatico per gli assistenti tecnici) non possono essere delocalizzate. Dunque, la concessione di tutti i giorni lavorativi non festivi in modalità a distanza è vincolata ai limiti massimi mensili/plurisettimanali/settimanali comunicati in sede di informazione e alla compatibilità con le attività indifferibili che richiedono la presenza fisica e il rispetto delle esigenze di servizio e organizzazione. In altri termini, non esiste un divieto espresso di svolgere tutti i giorni non festivi, durante la sospensione dell’attività didattica, in modalità a distanza anche concentrando in quel periodo tutti i giorni in cui il lavoro può svolgersi in tal modo, a patto che sia garantita la funzionalità del servizio e l'apertura all'utenza. Ciò significa che la concentrazione delle giornate lavorative a distanza durante la sospensione dell’attività didattica è possibile, ma deve essere conforme ai criteri generali definiti nell’informazione ed eventuale confronto sindacale e formalizzata nell'accordo individuale, restando sempre subordinata alle esigenze operative dell'amministrazione.

    Data di pubblicazione: 19/11/2025

  • Un parere sull’applicabilità dello smart working a una dipendente con limitazioni motorie...
  • In base all’art. 10 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021, “Le disposizioni in materia di lavoro a distanza di cui al presente Titolo si applicano, ove compatibili con le attività svolte nonché con le esigenze e l’organizzazione del lavoro, al personale tecnico e amministrativo delle istituzioni scolastiche […]”. Dunque, è il solo personale tecnico e amministrativo delle scuole a poter accedere al lavoro a distanza ove ciò sia compatibile con le attività svolte e con le esigenze e l’organizzazione del servizio: questo significa, innanzitutto, che le attività effettuabili a distanza devono essere previamente individuate nel piano delle attività del personale ATA, predisposto dal DGSA e adottato dal dirigente e che è rimesso all’apprezzamento di quest’ultimo concederlo, avendone valutato la compatibilità con le esigenze organizzative del servizio. L’art. 30, c. 9, lett. b5) del CCNL citato prevede che sono materia di (informazione ed eventuale) confronto con la parte sindacale “i criteri generali delle modalità attuative del lavoro agile e del lavoro da remoto nonché i criteri di priorità per l’accesso agli stessi.” Pertanto, occorre ribadire che spetta al dirigente non solo individuare le attività che possono essere svolte a distanza all’interno del piano delle attività del personale ATA, ma anche, e prima di tutto, valutare la compatibilità di una simile modalità di erogazione della prestazione lavorativa con le esigenze organizzative: egli, cioè, non è costretto ad addivenire alla stipula di accordi individuali per il lavoro a distanza solo perché il personale lo richiede. Né, nel caso in cui si determinasse a non concederlo, ha l’obbligo di motivare a fondo la propria determinazione in sede di (informazione e) confronto, perché – come dice la Cassazione – «non è invece necessario che il datore dia conto anche delle ragioni per le quali ha ritenuto di dover esercitare il potere discrezionale perché le valutazioni che rientrano nella discrezionalità sono comunque incensurabili e la loro esplicitazione risulterebbe priva di finalità» (ordinanza Cassazione, sez. lav., n. 24122/2022). Se per contro si determina a consentire lo svolgimento del lavoro a distanza, il dirigente – una volta enucleate le attività che possono essere effettuate in tal modo – declinerà, in sede di (informazione ed eventuale) confronto: a) i criteri generali delle modalità attuative del lavoro a distanza (ad esempio: se è consentito solo il lavoro agile o anche il lavoro da remoto; il numero massimo di giorni in cui la prestazione può essere resa a distanza nel corso della settimana; il numero massimo di unità che vi può accedere; durata massima dell’accordo individuale; per il solo lavoro agile, criteri di individuazione della fascia di contattabilità); b) i criteri di priorità nell’accesso in caso di più domande, avendo cura di vincolarlo a presupposti che ne consentano l’efficace svolgimento (ad esempio l’autonomia operativa del personale beneficiario e l’aver adempiuto alla formazione sicurezza). Tra i criteri di priorità nell’accesso, accanto a situazioni già destinatarie di apposita tutela (come la fruizione dei benefici ex lege n. 104/1992), si avrà cura di valorizzare anche specifiche condizioni del lavoratore che ne sono sprovviste (come la presenza di figli minori di età superiore a 12 anni o particolari condizioni documentate come la presenza di familiari che necessitano di assistenza ma che non sono certificati ex lege n. 104/1992, situazioni di salute personale come nel caso di specie). Restano fermi i diritti di priorità sanciti dalle normative tempo per tempo vigenti ma l’istituzione scolastica - previo confronto ai sensi dell’art. 30 - avrà cura di facilitare l’accesso al lavoro agile ai lavoratori che si trovino in condizioni di particolare necessità, non coperte da altre misure (cfr. art. 12, c. 3 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021). Del resto, il nuovo comma 6-bis dell'art. 33 della legge n. 104/1992, introdotto dal D.Lgs.n. 105/2022, prevede che i lavoratori che usufruiscono dei permessi di cui ai commi 2 e 3 del suddetto articolo 33 hanno diritto di priorità nell'accesso al lavoro agile ai sensi dell'articolo 18, comma 3-bis, della legge n. 81/2017 o ad altre forme di lavoro flessibile. Restano ferme le eventuali previsioni più favorevoli previste dalla contrattazione collettiva nel settore pubblico e privato. La Direttiva del Ministro della PA del 29 dicembre 2023 evidenzia inoltre la necessità di garantire, ai lavoratori che documentino gravi, urgenti e non altrimenti conciliabili situazioni di salute, personali e familiari, di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile; nell’ambito dell’organizzazione di ciascuna amministrazione spetta, pertanto, al dirigente responsabile individuare le misure organizzative che si rendono necessarie, attraverso specifiche previsioni nell’ambito degli accordi individuali, che vadano nel senso sopra indicato. Il CCNL citato, come anticipato, prevede due forme di lavoro a distanza: - il lavoro agile di cui alla legge n. 81/2017, inteso come modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro; - il lavoro da remoto che avviene con vincolo di tempo e nel rispetto dei conseguenti obblighi di presenza derivanti dalle disposizioni in materia di orario di lavoro, attraverso una modificazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa che comporta la effettuazione della prestazione in luogo idoneo e diverso dalla sede dell’ufficio al quale il dipendente è assegnato. Circa il lavoro agile in particolare, l'art. 12 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 stabilisce che l’adesione a questa modalità di erogazione della prestazione lavorativa ha natura consensuale e volontaria ed è rivolta a tutti i lavoratori indicati al comma 1 dell’art. 10 siano essi con rapporto di lavoro a tempo pieno o parziale e indipendentemente dal fatto che siano stati assunti con contratto a tempo indeterminato o determinato. Fermo restando che è l’amministrazione ad individuare le attività che possono essere effettuate in lavoro agile, ne sono esclusi i lavori effettuati in turno e quelli che richiedono l’utilizzo costante di strumentazioni non remotizzabili. Ciò significa che, se il dirigente si determina a concedere il lavoro a distanza, una volta delimitatone il campo di applicazione, mediante le leve del piano delle attività del personale ATA e dell’informazione e confronto con la parte sindacale, lo stesso deve emanare un avviso interno in cui esplicita i criteri delle modalità attuative e i criteri di priorità nell’accesso in modo da individuare il personale con cui addivenire alla stipula degli accordi individuali. L'art. 13 del CCNL citato stabilisce, a questo proposito, che l’accordo individuale di lavoro agile è stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova e deve contenere gli elementi essenziali ivi indicati. Il CCNL precisa infine che, in presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere dall’accordo senza preavviso indipendentemente dal fatto che lo stesso sia a tempo determinato o a tempo indeterminato. L’accordo deve inoltre contenere almeno alcuni elementi essenziali elencati nel citato art. 13 a cui si rimanda. L'art. 13, comma 1 lett. b) del CCNL 2024 , prevede che l'accordo individuale sul lavoro agile deve prevedere le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa fuori dalla sede abituale di lavoro, con indicazione delle giornate di lavoro da svolgere in sede e di quelle da svolgere a distanza, ferma restando la possibilità di adeguare la calendarizzazione alle esigenze operative che di volta in volta possono presentarsi. L'art. 14 detta indicazioni sull' articolazione della prestazione in modalità agile e sul diritto alla disconnessione. L'art. 16 prevede che al lavoro da remoto si applica quanto previsto in materia di lavoro agile dall’art. 13 (Accordo individuale) con eccezione del comma 1, lett. e) dello stesso, dall’art. 14 (Articolazione della prestazione in modalità agile e diritto alla disconnessione), commi 4 e 5 e dall’art. 15 (Formazione). Come precisato dall'ARAN (O.A. CIRS120) il lavoro agile si caratterizza per l’assenza di vincoli di luogo e di orario, mentre il lavoro da remoto si caratterizza per la presenza di un preciso vincolo di luogo e di orario. Non ci sono indicazioni prescrittive su quale sia la forma preferibile a seconda delle attività da svolgere. Si tenga tuttavia presente che le disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro sono più stringenti nel caso del lavoro da remoto alla luce dell’art. 16, c. 5 del CCNL citato (“L’amministrazione concorda con il lavoratore il luogo ove viene prestata l’attività lavorativa ed è tenuta alla verifica della sua idoneità, anche ai fini della valutazione del rischio di infortuni, nella fase di avvio e, successivamente, con frequenza almeno semestrale. Nel caso di telelavoro domiciliare, la stessa concorda con il lavoratore tempi e modalità di accesso al domicilio per effettuare la suddetta verifica”).

    Data di pubblicazione: 19/11/2025

  • Personale ATA a t.d. vincitore di concorso presso altra amministrazione: aspettativa annuale o limitata al periodo di prova?
  • Secondo l'art. 18, comma 3 del CCNL comparto scuola 2007, il dipendente è collocato in aspettativa, a domanda, per un anno scolastico senza assegni per realizzare l’esperienza di una diversa attività lavorativa o per superare un periodo di prova. Detta aspettativa non è discrezionale, in quanto la disposizione pattizia prevede che la sua concessione segua alla domanda dell’interessato, non lasciando, pertanto, al dirigente scolastico alcun margine di valutazione legato a esigenze di servizio. Ovviamente nella istanza il dipendente dovrà attestare l’esperienza lavorativa per la quale chiede di essere collocato in aspettativa. Una volta ottenuta, il dipendente ha la possibilità di stipulare un contratto di lavoro subordinato anche in vista di superare un periodo di prova. L'ARAN, con l'Orientamento Applicativo SCU_100 del 1° agosto 2016, circa l’aspettativa in oggetto ha precisato dunque che: - è senza retribuzione; - l’anno scolastico risulta esserne la durata massima; - può essere richiesta anche per un più breve periodo ma comunque esaurirà i suoi effetti alla fine dell’anno scolastico; - una volta fruita, anche se per un periodo inferiore all’anno scolastico, la stessa non potrà essere prorogata. Una simile disciplina si applica, come noto, anche al personale a tempo determinato in virtù della disposizione dell’art. 35 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021, secondo cui: “Al personale assunto a tempo determinato, al personale di cui all'art. 3, comma 6, del D.P.R. n. 399 del 1988 e al personale non licenziabile di cui agli artt. 43 e 44 della legge 20 maggio 1982 n. 270, si applicano, nei limiti della durata del rapporto di lavoro, le disposizioni in materia di ferie, permessi ed assenze stabilite dal CCNL per il personale assunto a tempo indeterminato, con le precisazioni di cui ai seguenti commi.” Né ci risultano indicazioni di Uffici Scolastici od orientamenti giurisprudenziali che si muovano in senso contrario. Neppure la recente ordinanza della Cassazione Civile, Sez. lavoro, n. 19732/2025 rileva sotto questo profilo, posto che – nella ricostruzione ivi operata – le aspettative previste nell’art. 18 CCNL comparto scuola 2007 non possono essere fruite dal personale in periodo di prova poiché prevale l’esigenza dell’amministrazione allo svolgimento del periodo di prova stesso. Nel caso di specie, in conclusione, nulla osta alla concessione dell’aspettativa ex art. 18, comma 3 del CCNL comparto scuola 2007. Essa tuttavia potrà essere usufruita solo per superare il periodo di prova come dipendente a tempo indeterminato presso l’Agenzia delle Entrate. Al superamento di detto periodo, infatti, e dunque con la stabilizzazione del rapporto alle dipendenze di un’altra amministrazione, si realizzerebbe il cumulo di impieghi con conseguente cessazione di diritto, ai sensi dell’art. 65 D.P.R. n. 3/1957, del rapporto di lavoro precedente, ovvero – nel caso di specie – quello alle dipendenze dell’istituzione scolastica.

    Data di pubblicazione: 19/11/2025

  • Finanziamento delle attività motorie nella scuola primaria: uso del MOF e compensi ai docenti specialisti...
  • La quota del FMOF destinata alla retribuzione delle attività complementari di educazione fisica ex art. 78, comma 7, lettera b) del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 può essere impiegata solo per erogare compensi accessori ai docenti della scuola secondaria (di primo o secondo grado). Lo conferma il CCNI sul FMOF 2025/2026, il cui art. 3 prevede: “1. La quota complessivamente disponibile nell'anno scolastico 2025/26 per la retribuzione delle attività complementari di educazione fisica, pari ad euro 17.150.000,00 (lordo Stato) è distribuita tra le Istituzioni scolastiche sulla base dei parametri che seguono: a) per l'avviamento alla pratica sportiva è previsto un finanziamento complessivo di euro 17.105.000,00 (lordo Stato), attribuito in base al numero delle classi di istruzione secondaria (primo e secondo grado) in organico di diritto; […]. 2. Le risorse finanziarie sono assegnate, entro il limite della disponibilità complessiva indicata nella lettera a) del presente articolo, a tutte le Istituzioni Scolastiche Secondarie di Primo e Secondo grado, in base al numero delle classi di istruzione secondaria in organico dell'autonomia di ogni Istituzione scolastica. 3. Le attività realizzate dalla singola istituzione scolastica sono monitorate ai soli fini conoscitivi da una apposita piattaforma informatica, con l'indicazione della risorsa impiegata per ciascuno di essi nell'anno scolastico oggetto del presente contratto. 4. Negli istituti comprensivi potranno essere realizzate attività progettuali di alfabetizzazione motoria e di avviamento alla pratica sportiva che coinvolgono alunni della Scuola Primaria. […]” Ciò significa che i compensi accessori per le attività complementari di educazione fisica possono essere erogati ai soli docenti di scuola secondaria (che non a caso rilevano per la quantificazione delle risorse da distribuire a ciascuna scuola), mentre le attività possono essere rivolte – negli istituti comprensivi – anche agli alunni di scuola primaria sia per progetti di alfabetizzazione motoria che di avviamento alla pratica sportiva. Ovviamente, è questa l’occasione per costruire una reale continuità tra i due ordini di scuola (primaria e secondaria di primo grado), con il coinvolgimento dei docenti di scienze motorie della scuola primaria. Essi possono affiancare i colleghi della scuola secondaria in dette attività, previa previsione nel PTOF, con compensi a carico del FIS.

    Data di pubblicazione: 19/11/2025

  • Contestazione per mancato assolvimento della formazione obbligatoria nel caso di un dipendente a tempo determinato: elementi di criticità...
  • Il mio Istituto ha fatto approvare nell'a.s. 24-25 un piano della formazione obbligatorio per i docenti per un totale di 26 ore (art. 44, comma 4 CCNL)...

    Data di pubblicazione: 19/11/2025

  • Valutazione della legittimità di un certificato medico emesso il secondo giorno e della sua incidenza sull’assenza del docente...
  • Nel caso di specie si evince che il certificato di malattia è stato redatto in data X ma comprende nella prognosi anche il giorno precedente alla suddetta data. Il problema delle diagnosi riferite (come risulta essere il caso di cui al quesito se la premessa è corretta) dai pazienti è assai delicato. In effetti il medico dovrebbe, in teoria, diagnosticare solo quanto da lui personalmente riscontrato. È però possibile e plausibile che alcuni stati morbosi di breve durata ma di elevata intensità inabilitante provochino disturbi che non siano visibili o che siano scomparsi all’atto della visita medica: per es. una crisi di emicrania, una nevralgia del trigemino, una crisi di vertigine acuta, un’enterite con diarrea profusa ma transitoria, oppure uno stato post-operatorio. Il medico anche in questi casi deve rilasciare al paziente il certificato perché anche di fronte alla più subiettiva delle infermità egli non può escludere che quell’infermità sussista e non può contrastare o eludere l’interesse del paziente ad ottenere il certificato. In tal caso il medico deve certificare che il paziente "accusa" degli stati morbosi, formula idonea a lasciare al paziente la paternità e responsabilità di quanto egli dice al medico in merito ad infermità non obiettivabili"(cfr. Boll. O. M. di Roma e Prov., n. 3, 1983). Il medico potrà anche esprimere un giudizio (diagnosi e prognosi) basandosi sull’"attendibilità" della sintomatologia riportata dal paziente, sempre chiarendo che trattasi di patologia riferita. Ciò è stato confermato dalla giurisprudenza (Cass. Sez. lavoro, dec. n. 3332 del 17/4/90 - 27/3/91 che ha affermato che il giudizio sotteso alla prognosi non verte soltanto sul decorso futuro del fenomeno morboso ma concerne una valutazione complessiva dello stesso che sulla base della diagnosi e dello stato di avanzamento della malattia in atto ben può riferirsi al periodo antecedente al momento in cui la visita medica viene effettuata”). L'indicazione "dichiara di essere ammalato dal.......", richiede di specificare la data di inizio della malattia invalidante secondo quanto dichiarato al medico dal lavoratore. Tuttavia, come anche ben evidenziato in numerosi vademecum e prontuari delle ASL e degli ordini dei medici, la data del certificato deve essere obbligatoriamente sempre quella in cui il documento è stato compilato. Come rilevato in precedenti risposte sull’argomento, l’INPS con la circolare n. 147 del 15 luglio 1996 aveva precisato che il diritto all’indennità di malattia è riconosciuto al massimo a partire dal giorno precedente a quello del rilascio del certificato, termine, questo che può essere quindi preso come riferimento temporale entro il quale può essere fatta decorrere la prognosi. Inoltre si ricorda che l’A.R.A.N. in una risposta ad uno specifico interrogativo posto da una Amministrazione Pubblica in data 5/05/2003 ha affermato che la prognosi possa decorrere anche dal giorno antecedente al rilascio della certificazione medica. Quindi, il certificato medico recante una "diagnosi riferita", rappresenta una certificazione un pò "al limite", con cui il medico, se la sottoscrive regolarmente, attesta la veridicità di quanto dichiarato dal dipendente, assumendosene la responsabilità. Il medico nella certificazione dovrà inserire quale data di rilascio quella in cui il dipendente si è recato effettivamente dal medico; nel riquadro Dati prognosi/Dati diagnosi dovrà inserire la dicitura che “il lavoratore dichiara di essersi ammalato” dal…. e che viene assegnata prognosi clinica a tutto il..... Tuttavia, sempre in merito alla c.d. diagnosi riferita, l’INPS, con la Guida operativa pubblicata a marzo 2024 (che quindi rappresenta l'interpretazione più recente), ha precisato che il medico per legge non può giustificare giorni di assenza precedenti alla visita. Solo se si tratta di certificato redatto a seguito di visita domiciliare (mentre nel caso di specie si dovrebbe trattare di visita ambulatoriale), l’INPS riconosce validità anche al giorno precedente alla redazione (solo se feriale), quando espressamente indicato dal medico. Nei giorni festivi e prefestivi (e in analogia nei giorni in cui il medico curante non svolge servizio) il dipendente deve rivolgersi al medico di Continuità assistenziale per il rilascio del certificato di malattia sia per eventi insorti nei suddetti giorni sia per giustificare la continuazione di un evento certificato sino al venerdì. L’INPS così precisa: “ In caso di malattia, che causa un’incapacità assoluta e temporanea al tuo specifico lavoro, il medico curante redige il certificato di malattia e lo trasmette all’INPS per via telematica, immediatamente o, in caso di visita domiciliare, entro il giorno successivo. Anche il medico libero professionista a cui puoi rivolgerti nei casi previsti dalla legge o dal tuo contratto di lavoro, può rilasciare il certificato di malattia telematico, poiché ha le credenziali di accesso al servizio….. Nei giorni festivi e prefestivi, rivolgiti al medico di Continuità assistenziale per il rilascio del certificato di malattia. Questo vale sia per le malattie iniziate nei giorni festivi e prefestivi, sia per giustificare la continuazione di una malattia certificata fino al venerdì. Per ricoveri o accessi al Pronto Soccorso, richiedi alla struttura ospedaliera la certificazione del periodo di degenza e l’eventuale prognosi. Anche in questi casi, assicurati che l’eventuale trasmissione telematica sia stata correttamente effettuata”. Sempre nella guida si legge ( con riferimento ai dipendenti privati ma i cui chiarimenti possono essere utili anche nel caso di specie): “ In quali casi l’INPS riconosce la tutela della malattia anche per il giorno precedente al rilascio del certificato? L’INPS riconosce la tutela della malattia anche per il giorno precedente al rilascio del certificato solo quando ricorrono tutte le seguenti condizioni: • il certificato è redatto a seguito di visita domiciliare del medico curante; • questa informazione è espressamente indicata dal medico nel certificato; • il giorno precedente alla data di redazione è un giorno feriale. In caso contrario, il datore di lavoro non può anticipare la prestazione per conto dell’INPS”. Nel caso di specie si è trattato di visita ambulatoriale e quindi si ritiene che, in punto di stretta applicazione della normativa vigente, il certificato di cui al quesito non sarebbe idoneo a giustificare l'assenza per malattia. Per completezza si potrebbe sentire l’ASL sul punto per avere contezza se sono state diramate indicazioni specifiche in materia. In merito alla seconda parte del quesito, il CCNL 2007 all’art. 17, comma 10, non modificato dal CCNL 2024, prevede che l'assenza per malattia, salva l'ipotesi di comprovato impedimento, deve essere comunicata all'istituto scolastico in cui il dipendente presta servizio, tempestivamente e comunque non oltre l'inizio dell'orario di lavoro del giorno in cui essa si verifica, anche nel caso di eventuale prosecuzione di tale assenza. In giurisprudenza (Cass. 4 febbraio 2015 ) è stato affermato che ove il contratto collettivo preveda che il lavoratore, che si assenta dal servizio per malattia, abbia l'obbligo di comunicare al datore di lavoro l'inizio della malattia ( come per l’appunto prevede il CCNL 2007), la omessa comunicazione vale ad integrare una infrazione suscettibile di sanzione disciplinare, essendo irrilevante il fatto che il lavoratore abbia comunque inviato il certificato medico giustificativo dell'assenza (ndr o questo sia comunque pervenuto al datore di lavoro n. 2023).

    Data di pubblicazione: 18/11/2025

  • Indicazioni operative sulla stipula di contratti di supplenza ATA per assenze consecutive del titolare con diversa tipologia...
  • Gentile utente, il caso sottoposto rientra nelle proroghe delle supplenze di tutto il personale della scuola i corso d'anno in caso di assenza continuativa del titolare, interrotta solo dalle giornate del sabato e della domenica. La possibilità di proroga è indicata nella circolare annuale sulle supplenze n. 157048\2025 che nelle disposizioni comuni al personale docente ed ata precisa: "Ove al primo periodo di assenza del titolare ne consegua un altro, o più altri, senza soluzione di continuità o interrotto da giorno festivo, o da giorno libero, ovvero da entrambi, la supplenza temporanea, è prorogata nei riguardi del medesimo supplente già in servizio, a decorrere dal giorno successivo a quello di scadenza del precedente contratto. In base a quanto sopra nel caso sottoposto, nonostante la diversa tipologia di congedo, sussiste la continuità dell'assenza del titolare e quindi la supplenza può essere prorogata dal giorno successivo a quello di scadenza del primo contratto, cioè dal sabato che insieme alla domenica è riconosciuto giuridicamente ed economicamente , come disposto dalle norme.

    Data di pubblicazione: 18/11/2025

  • Una docente comunica il cambio di cognome a seguito di divorzio: quali adempimenti attuare?
  • L'art. 143-bis del codice civile consente alla moglie di aggiungere al proprio cognome quello del marito. Tale diritto cessa, tuttavia, all'atto dello scioglimento del matrimonio per divorzio, potendo essere mantenuto solo in caso di vedovanza e fino a eventuali nuove nozze. Secondo la massima n. 3454/2020 della Corte di cassazione, l'utilizzo del cognome del marito, dopo il divorzio, è del tutto eccezionale e deve essere autorizzato dal giudice di merito. Di regola, tuttavia, la donna coniugata mantiene, nei documenti, il cognome da nubile. Il Consiglio di Stato, nel parere n. 1746 del 10 novembre 1997, ha infatti specificato che "ai fini dell’identificazione della persona vale esclusivamente il cognome da nubile". Ciò non toglie che, nei casi in cui il matrimonio venga celebrato all'estero (come forse nel caso in questione), il cognome da nubile possa essere oggetto di modifica in osservanza delle leggi vigenti nel luogo della celebrazione. In particolare, ci risulta che in Romania gli sposi, all'atto del matrimonio, possano scegliere se mantenere i propri cognomi, adottare un cognome comune o un doppio cognome. Ad ogni modo, indipendentemente dalle cause che hanno comportato il cambio di cognome, l'istituzione scolastica è tenuta ai seguenti adempimenti: - in primo luogo, il lavoratore deve provare l'intervenuta variazione anagrafica. La presentazione della carta di identità e del codice fiscale aggiornati, in proposito, appare sufficiente a comprovare la nuova identità assunta; - occorre procedere all'aggiornamento dei dati interni alla scuola, modificando i dati personali sul programma gestionale di segreteria; - è necessario procedere a tale aggiornamento anche al SIDI, accedendo alla funzione "Personale scuola --> Variazione dati anagrafici". È possibile che tale modifica sia inibita all'istituzione scolastica; in tal caso, è necessario richiedere l'intervento dell'USP; - in ogni caso, l'USP va informato dell'intervenuta variazione anagrafica, anche se la scuola ha provveduto autonomamente alla modifica al SIDI; - la variazione deve essere comunicata anche alla RTS competente per territorio, per l'aggiornamento dei dati stipendiali. Sebbene i flussi contributivi siano effettuati dalla RTS, si consiglia di notificare la variazione anche all'INPS, in modo che i contributi relativi alla precedente identità anagrafica siano fatti confluire nella nuova. Non appare, invece, necessaria una comunicazione all'INAIL, dal momento che le istituzioni scolastiche sono assicurate "per conto Stato" e non sono, pertanto, titolari di una propria posizione assicurativa presso tale istituto. Analogamente, appare inutile una comunicazione all'Agenzia delle entrate, dal momento che all'atto della rettifica del codice fiscale tale Agenzia ha certamente registrato la variazione intervenuta.

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